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Storia della Città di Andria ...
di Riccardo D'Urso (1800 - 1845),
Tipografia Varana, Napoli, 1842, pagg. 93-95
Libro Quinto
Capitolo VII.
Andria sotto il Duca Francesco, e la Duchessa Margherita sorella di Luigi Re di Napoli.
Matrimonio della figlia col Re di Sicilia.
Disgusti di Francesco colla Regina Giovanna I. Saccheggio sofferto da questa Città.
Vescovo un Andriese per nome Giovanni.
Anni 1357.
Dopo la morte del Conte Bertrando, il Duca Francesco suo figlio ritornò in Andria,
portando seco la sua famiglia. Per tutto il tempo della sua dimora nella Capitale
aveva solo riportati due figli, Antonio, e Giacomo; poiché la Principessa Margherita
sua moglie, contraendo una viziosità uterina, erasi sterilita. Sperò colla salubrità,
e ricambio di quest’aria rivederla sana, e feconda di nuova prole.
Ma dopo lo spazio di tre anni, peggiorando sempre la di lei salute, risolse egli ricondurla
in Napoli; dove elassi alcuni giorni si perdé, e venne come sorella del Re tumulata
in S. Chiara. Il Duca dopo avere sparse lagrime, e fiori sulla di lei tomba,
di bel nuovo fece ritorno in Andria, a rivedere i suoi figli. Essendo ancora
di fresca età, pensò passare al secondo Imeneo, e strinse il nodo maritale colla Contessa
D. Sveva Ursino, figlia del Conte di Nola. Da costei ebbe altri due figli, cioè Guglielmo, e Bianchino.
Quand’ecco, correndo il 1362. egli si vide qui in Andria visitato da due Ambasciatori;
de’ quali uno spedito dal Re di Napoli suo cognato, e l’altro dal Re di Sicilia.
Questi gli espongono, come stanco ormai il Regno di Napoli di tollerare più spese,
e di versare altro sangue per le sue pretensioni sul Regno della Sicilia contro
gli Aragonesi, e come del pari quell’altro Regno; si era finalmente venuto
ad un trattato di pace; ma a queste condizioni tra le altre proposte dal Re Luigi
di Napoli, e dalla Regina Giovanna I. ed accettate dal Re Federico di Sicilia.
Prima condizione, che il Re di Sicilia dovesse titolarsi Re della Trinacria.
Seconda che il Re Federico dovesse sposare Antonia del Balzo, figlia
di Francesco Duca di Andria, e della sorella del Re Luigi
[1]
ecc. ecc.
Il nostro Duca a questi rappresentanti delle due Sovranità rispose, ch’egli si vedeva
molto onorato da tale matrimonio; ed in conferma dell’alto suo compiacimento,
in loro unione condusse la figlia in Napoli. Prima di partire da qui la fidanzata Regina,
ottenne dal padre di elargire ai poveri di Andria ducati mille per sua memoria
[2].
Il matrimonio intanto fu con tutta solennità, e Regia pompa celebrato in Palermo
dal legato Apostolico l’Arcivescovo di Salerno. Il nostro Duca si restituì altra volta
in questa sua Città; ma dal fasto nuziale passò alle divise di lutto; mentre indi a poco
gli pervenne la notizia della morte del Re Luigi suo cognato: prendendo anche il lutto
i Ministri di questa sua corte Ducale. Essendo poi morto l’altro suo cognato
Filippo Principe di Taranto senza prole costui lasciò tutto il Principato col titolo
dell’Imperio al nipote Giacomo del Balzo figlio di Margherita sua sorella e di Francesco Duca di Andria
[3].
Il Principato di Taranto, come dice Costanzo abbracciava mezzo Regno. Si vide il nostro Duca
addivenuto un colosso avendone egli preso possesso come Balio del Figlio.
Tra tutti gli altri Baroni del Regno la sua potenza si rese formidabile: ed il primo
ad esperimentarla fu un Conte di casa Sanseverino, il quale non volle cedere la città di Matera,
pretesa dal nostro Duca come appartenente al Principato di Taranto. Francesco facendo uso
delle sue forze messosi alla testa di armate falangi invade questa Città, e minaccia
al Conte togliere il resto delle sue terre, se ne avesse per poco affacciato risentimento.
I Sanseverineschi Baroni anche potenti ricorsero alla Regina Giovanna, chiedendone giustizia.
Costei non mancò più volte per via di lettere, e di ambascerie far sentire al nostro Duca
che si rimettesse la cosa al giudizio degli arbitri. Ma perché egli era caduto
in forte corruccio coi Sanseverineschi, non mai diede ascolto alle sue voci.
Allora la Regina vedutasi di soverchio oltraggiata, ordinò in consiglio di stato
la confisca di tutt’ i feudi del Duca di Andria, che teneva nella Puglia
[4].
Il nostro Duca non parve colpito da questa sentenza; anzi dissimulando indifferenza
colla Regina sua zia, si ritirò nello Stato che teneva in Terra di Lavoro, di cui
le principali terre erano Tiano e Sessa. Sperava egli, che costei al più presto
gli avrebbe spedito accordi di pace; ma quando si avvide che tendevano a tutt’altro
le mire di Giovanna si conferì in Roma. Ivi fu graziosamente accolto dal Pontefice
suo Zio Gregorio XI. e riportò da lui grandi sussidii
[5].
Di là si portò nella Provenza, e raccogliendo quante somme potè dai suoi feudi,
pose sellecitamente sotto le armi tredicimila guerrieri, ed egli alla testa di questi
prese la volta di Napoli. Al suo avvicinamento non trovò alcun’ ostacolo, in modo che
prese Capua, e la Regina era in Napoli senza l’apparecchio di alcuna difesa.
Si sparse perciò tra i Napolitani e nel Regno una grande costernazione.
Ma giunto il nostro Duca in Aversa, ivi si abboccò col Zio Raimondo del Balzo
gran Camerario del Regno, persona attaccatissima alla Regina e uomo di tanto merito,
che ha riportata l’apologia di tutti gli storici. Costui colla forza de’ suoi ragionamenti
lo conquise in modo, che lo indusse ad abbandonare la impresa. Difatto partì egli
da Aversa senza toccare Napoli, che allora sarebbe caduta nelle sue mani, fingendo
co’ suoi soldati essere suo impegno riacquistare gli stati perduti nella Puglia.
Ma pervenuto in essa, si diresse in Andria come capitale del suo Ducato dove
si trattenne per qualche giorno. Alla fine dando a credere alle sue truppe
esser cessate le sue operazioni le stipendiò largamente, e loro impose la ritirata.
Egli intanto conferitosi in Barletta s’imbarcò in quel porto, e prese la volta della Provenza.
Quando queste scopersero la risoluzione e lo imbarcamento del loro condottiere
vedendosi deluse nel disegno di foraggiare nel Regno, scuotendo ogni freno dichiararono
la guerra alle dovizie dei Pugliesi. E la prima a sentire la voracità del loro dente
famelico fu la città di Andria; dove fu sì tristo il saccheggio, che non la perdonarono
neppure ai ferri delle porte. A questo tumulto insorto nelle Puglie fu costretta
la Regina Giovanna a scendere alla umiliazione con questa soldatesca
di patteggiare per sessantamila fiorini, e così si cacciò fuori del Regno
[6].
Era allora Vescovo di Andria Giovanni, ch’è il III. di tal nome. Trovo essere stato costui un Andriese.
Egli venne investito di questa cattedra da Innocenzo VI. Cessò di vivere nel 1375.
NOTE (Nell'originale la numerazione è di pagina e non progressiva dell'intero argomento)
[1]
Giannone, lib. XXIII. pag. 238. Costanzo, lib. 7. pag. 197.
[3]
Costanzo, lib. 7. pag. 200.
[4]
Gian. lib. XXIII. pag. 242.
[5]
Costanzo, lib. 7. pag. 202.
[6]
Gian., lib. XXIII. pag. 243. Costanzo, lib. 7. pag. 203.