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Storia della Città di Andria ...

di Riccardo D'Urso (1800 - 1845), Tipografia Varana, Napoli, 1842, pagg. 118-121

Libro Sesto

Capitolo VI.

Il Regno di Napoli dal Re Federico passa per metà a Ludovico Re di Francia, e per metà al Re Cattolico Ferdinando di Spagna.
Combattimento de’ tredici Italiani, e tredici Francesi.
Anni 1503.

Il nostro Duca Federico di Aragona visse tranquillo sul soglio di Napoli [1]; finchè fu in vita Carlo VIII. Re di Francia; poiché essendo costui molto inclinato ai divertimenti ed al riposo, poco curò le cose d’Italia, rifiutandosi a tollerare le molestie di una guerra. Federico nel breve suo Governo richiamò in Napoli l’età dell’oro. Essendo molto saggio e letterato protesse oltremodo le scienze, e le belle arti. Ma per quanto si studiava con le blandizie a rendersi caro a tutti facendo a tale oggetto coniare quella moneta di oro con l’impronta « recedant vetera, nova sint omnia », pure non valse a sbarbicare quell’odio ossificato nel cuore de’ suoi sudditi contro del Genitore. Il Re Luigi XII. successo a Carlo, altra mira non ebbe dalle prime che d’impossessarsi del Regno di Napoli, dicendo, appartenerglisi. Ma temendo dappoi delle armi del Re Cattolico, che ne affacciava anche pretensioni, si venne alla risoluzione di eseguire quello intavolato progetto = dividatur puer; e così si corse alla riconoscenza della divisione. Ed ecco il Regno di Napoli vittima dilaniata da due formidabili Potenze, dalla Spagna, e dalla Francia. Si videro queste Regioni inondate da Spagnuoli sotto la guida del Gran Capitano Consalvo Ermandez de Cordova, e da Francesi capitanati dal Duca di Nemours, intenti gli uni, e gli altri a guardare i loro confini.

Combattimento

Fu allora, correndo il 1503. [2], ch’ebbe luogo tra Andria, e Corato quel fatto di armi tra i tredici Italiani, e tredici Francesi. Su questa disfida, sebbene altri avessero scritto volumi, io però mi limito alle notizie precipue, e più rimarchevoli.
In virtù dell’avvenuta divisione del Regno, l’esercito Spagnuolo dimorava allora in Barletta, ed il Francese in Ruvo. Accadde ne’ principii di Gennaio in Barletta, che D. Errico de Mendozza Capitano Spagnuolo avesse dato pranzo, invitando molti uffiziali promiscuamente di ambe le nazioni. Fra gli altri v’intervennero Monsignor la Motte Francese, e D. Indico Lopez Spagnuolo. Nel brio delle bevande s’incominciò a lingueggiare sulle militari bravure; ma il Lopez a tutti preferiva il coraggio, ed il valore Italiano. Questa lode ragionevolmente fatta agl’Italiani punse acremente il cuore della Motte Francese; riputando solo la sua nazione primeggiare nelle armi. E si avanzò tanto la sua bile, che non ebbe ritegno dichiarare pubblicamente essere gl’Italiani uomini vili, e codardi. Tosto Lopez soggiunse, ch’egli teneva sotto di sé un Battaglione d’Italiani così prodi, che si burlavano di ogni altra nazione; e che quando a lui piacesse scendere alle prove, questi erano pronti a dargliene soddisfazione. Profferite appena queste parole, che tutt’ i commensali a piena voce gridarono, che si venisse al cimento. L’accaduto si rese di pubblica ragione, ed i Generali reciprocamente dominati dalla voce di onore assegnarono il giorno 13. Gennajo per la sfida. S’impegnarono essi ugualmente a far scelta de’ più bravi delle loro rispettive brigate; e furono separati da entrambe le parti tredici Cavalieri Italiani, e tredici Francesi. Il luogo, dove questi Campioni dovevano bravare l’onore nazionale, fu determinato tra Andria, e Corato: punto medio per quelli di Barletta, e quelli di Ruvo. Si assegnarono per premio ad ogni vincitore le armi ed il cavallo del vinto, nonché la somma di ducati cento. Non sfolgora intanto il Sole del di stabilito, che già erano giunti in Andria i tredici Italiani muniti delle loro armi, e destrieri accompagnati da una immensità d’illustri concorrenti per trovarsi spettatori sul campo della gloria. Si diressero a questa Cattedrale Chiesa; e dopo avere assistito all’incruento sagrificio nella Cappella del nostro Protettor S. Riccardo; di lì incoraggiati, ed inanimati presero la volta del luogo destinato. Gl’Italiani prevennero l’arrivo de’ Francesi, i quali vi giunsero dopo qualche ora. Segnato il luogo, stabiliti gli Araldi, ed i Giudici competenti, si diede il segno dell’attacco; e questi come Orsi stizziti gli uni contro gli altri si avventarono. Il combattimento sulle prime si equilibrò in dubbia lancia; ma indi a poco la vittoria sorrise a pro de’ più forti. Già tre de’ Francesi giacevano inonorati cadaveri, e gli altri sfiniti, e semispenti barellando tra la confusione, e la vergogna furono dichiarati prigionieri, rimanendone degl’Italiani un solo semiestinto. Terminato il combattimento, tosto dai figli d’Italia s’intuonò l’inno della vittoria; il quale aleggiando sul dorso de’ venti, si presentò in un baleno in tutte le Regioni di questo Cielo di Prodi.
Tutta la gente, accorsa allo spettacolo da varii punti della Provincia, riprese il suo cammino; ed i vincitori riaccompagnati da un corpo di milizia, nonché dagli Andriesi, e Barlettani, ripassarono per Andria. Qui incontrarono il Duca di Termoli, Marco Antonio Colonna, Giovanni Carrafa Conte di Policastro, Gismondo de Sanguine, Martino Lopez, e molti altri Cavalieri Italiani, e Spagnuoli, i quali erano impazienti per congratularsi coi vincitori. Usciti questi dalle porte di Andria s’imbattono col gran Capitano Consalvo, seguito da Ettore Fieramosca, e da molti altri galantuomini di Barletta, che si erano messi in viaggio, non sapendo più comprimere l’empito della gioja. Rimescolati tutti in Coorte tra gli squilli marziali pervengono in Barletta; dove quei Cittadini presi da infrenabile entusiasmo, non sapevano come meglio esternare la violenza del loro giubilo. La gloriosa comitiva accompagnata dal Clero si dirige tra i titinni de’ sacri bronzi, e spari arteficiati alla Chiesa Maggiore, dove dopo il cantico del ringraziamento al Dio vero degli Eserciti, si passò al bacio dei vincitori, ed alle congratulazioni col Gran Capitano [3]. Affinché poi questa gloriosa memoria per l’Italia fosse stata rispettata dal tempo, si eresse un monumento nel luogo del combattimento, tre miglia lontano da Andria, e tanto ad un di presso da Curato. Ottant’anni dopo essendo qua venuto Ferdinando Caracciolo Duca di Airola, destinato prefetto delle Provincie di Otranto, e di Bari da Filippo II. questi rifece il monumento, e vi attaccò una lapida con questa iscrizione:
Quis quis es, egregiis animum si tangeris ausis,
     Perlege magnorum maxima fatta Ducum.
Hic tres, atque decem fortes concorrere Campo
     Ausonio Gallis, nobilis egit amor.
Certantes utros bello mars claret, et utros
     Viribus, acque animis auctet, alatque magis.
Par numerus, paria arma, pares aetatibus, et quos
     Pro Patria pariter laude perisse juvet.
Fortuna, et virtus litem generosa diremit,
     Et quae pars victrix debuit esse, fecit.
Hic stravere Itali justo in certamine Gallos,
     Hic dedit Italiae Gallia victa manus
[4].

Epitaffio della Disfida di Barletta, fotografato da "Ist. Arti Grafiche - Bergamo"
[Epitaffio della Disfida di Barletta, fotografato da "Ist. Arti Grafiche - Bergamo", inizio Novecento]

Optimo maximo Exercituum Deo
Ferdinandus Caracciolus Aerolae Dux
Cum a Philippo Regum maximo novi Orbis Monarca
Salentinis, Iapigibusque Praefectus imperaret
Virtutis, ac memoriae causa
Octoginta post annos poni curavit
Anno a Christo Deo nato
MDLXXXIV.
NOTE    (Nell'originale la numerazione è di pagina e non progressiva dell'intero argomento)
[1] Egli successe al Nipote Ferrantino nel 1496. Ricevè l'investitura del Regno nel 1497. ai 7. Giugno da Papa Alessandro VI. Nel 15O1. confugiò in Francia, dove accolto dal Re Ludovico, ebbe in dono il ducato di Angiò con la rendita di trentamila scudi, che ritenne fino a 9. Settembre 1504. quando cessò di vivere.
[2] Muratori, Annali d’Italia, ann. 1503.
[3] Chi su questo fatto desiderasse un più minuto dettaglio, prenda nello mani Giambattista Cantalicio — Giambattista Damiani — Francesco Guicciardini — Paolo Giovio — Mambrino Rusco — Geronimo Zurita — ed altri contemporanei all’accaduto
[4] Ma a gloria degli Andriesi, ed anco de’ Coratini non devo tacere che questo illustre Monumento ora esiste solo sulle carte. Nel proprio sito sono appena reperibili alcune oltraggiate reliquie; mentre le altre sono state disperse dalla Marra, e dalla Vanga. Il territorio, dove questo Epitaffio vantava la gloria d’Italia, è di pertinenza del Reverendissimo Capitolo Cattedrale di Trani, chiamato S. Elia, confinante a quello di Scinatti del Reverendissimo Capitolo Cattedrale di Andria. Se ancora non si è infranta, e dispersa la lapida, dov’è incisa la Iscrizione testé fedelmente trascritta, è stato per opera dello zelo de’ Capitolari di Trani; avendola fatta affigere nella parete di quel rustico loro fabbricato; stante in una delle punte smussata, come ognuno potrebbe tuttavia osservare.