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Storia della Città di Andria ...
di Riccardo D'Urso (1800 - 1845),
Tipografia Varana, Napoli, 1842, pagg. 126-130
Libro Sesto
Capitolo IX.
Carlo V. Re di Napoli.
Il Duca Consalvo progetta la vendita della Città di Andria. Risoluzione degli Andriesi.
Compra di essa dal Conte Carrafa. Breve ragguaglio della origine di questa famiglia.
Vescovo Giovanni Francesco de Flisco.
Anni 1553.
Attediato il Duca Consalvo II. Ernandez de Cordova, per non potere personalmente governare
questi stati in un altro Regno tanto rimoto dalle Spagne; venne finalmente alla risoluzione di disfarsene.
Fece sentire che amava cedere la Duchea di Andria; ma col prezzo non minore di ducati centomila.
Appena questa notizia giunse all’orecchio degli Andriesi, essi non poco si conturbarono.
Temeano assai declinare dal loro primiero lustro, cadendo sotto qualche Barone di basso carato.
In tale stato di cose, a prendere una qualche risoluzione, si congregarono nel largo della Corte
i nobili di prima piazza, o sia gli appartenenti al primo Seggio dalle ventisei qualificate,
e titolate famiglie; e per lo spazio di tre giorni, discettando tra loro, non si venne a capo
di veruna determinazione. In ultimo a comun sentimento conchiusero, volere essi sborsare
al Duca Consalvo la somma di ducati centomila, e comprare questa Duchea a loro nome.
Non si tosto questa loro risoluzione si rese nota ai Civili, o sia ai Gentiluomini
di seconda piazza, che incominciarono a risvegliarsi forti tumulti. Il popolo alla fine
in massa ne prese parte; e si videro obbligati gli Ecclesiastici a percorrere
di continuo la Città, per impedire una guerra civile.
Dicevano questi del secondo, e terz’ordine: Se da noi a stenti si soffre il giogo di un solo;
come poi potremo tollerare l’aristocrazia di ventisei? Perché rimanere oppressi da tanti despoti?
Nacque dissensione ancora tra quegl’istessi della prima piazza, quando rifletterono,
che tra loro eranvi molte masse poderose, e molti distinti coi titoli di Marchesato,
e di Cavalieri di Malta, e di S. Giacomo; che perciò un giorno o l’altro il più forte
avrebbe conculcato il debole; e così molti di loro sarebbero stati esclusi dalla convenzione.
Il popolo intanto gridava che si fosse fatta la compra a nome della Università; ma mancavano
i mezzi perchè i ricchi si negavano. In questo trambusto quand’ecco vi perviene la notizia,
che l’Illustre Conte di Ruvo D. Fabrizio Carafa era entrato in trattativa col Duca Consalvo
sulla compra di Andria. Al nome di questo personaggio successe qui ciò che avverasi nel mare,
quando dopo lunghi urti, e riurti delle onde pel cozzamento de’ venti, si affaccia
dal Cielo il nunzio della calma. Cessò la discordia, e gli animi si tranquillarono.
Ma non erano scorsi che pochi giorni, quando vi giunse altra notizia, che il Conte
di Ruvo desisteva dalla intrapresa compra, perchè non tenea in pronto tutta la somma
di ducati centomila, mancandogli altri quindici mila. Ecco ad un tratto di bel nuovo
in campo la tempesta. Ma ad ovviare ad ulteriori sconcerti, si convocò un parlamento
nel seggio della Corte; e si ammisero indistintamente quelli della prima,
e seconda piazza coll’intervento anche di molti Ecclesiastici, e di altre persone
considerabili della Città. Si risolse in quest’assemblea comiziale a pieni voti,
che l’Università di Andria supplisse dal suo erario ai rimanenti ducati quindici mila,
i quali uniti alla somma dell’Illustre Conte Carafa componessero i ducati centomila
per consegnarsi al Duca Consalvo. Su questo articolo so che molti hanno censurati
gli Andriesi per aver così comprate le loro catene; ma, considerate le riferite circostanze,
meritano compatimento. Furono in pari tempo nominati otto Deputati, per conferirsi
in Napoli ad abboccarsi col Conte Carafa, ed a presentargli il supplemento della somma;
ma a condizione però di dover egli, prima della investitura del Ducato, accettare
con atto pubblico alcuni patti, sanzionati in quella radunanza. Per questo vennero
prescelti promiscuamente dalla prima, e seconda piazza i Magnifici Giammarco Leopardi,
Domenico Sagariga, Giacomo Tesoriero, Ferdinando de Angelis, Flavio Curtupassi,
Alessandro Spoletrino, Fabio Cito, e Giambattista Bianco. Convalidata questa pubblica
risoluzione per mezzo di uno Istrumento, erogato dal Magnifico Notaio Nicolangelo Facinio;
tosto i Deputati si portarono in Napoli all’Illustre Conte; e dopo i congratulamenti
con lui a nome della Città gli offrirono il grazioso, e condizionato dono.
A questi tratti di segnalata generosità oltremodo compiaciuto il Conte Fabrizio
diresse loro per primo suo accento: Andria fidelis etc. Indi senza esitar punto,
lettosi tutto ciò che nell’Istrumento contenevasi accettò volentieri l’offerta, e le condizioni.
Con questo istrumento si dichiarava
[1],
come l’Illustre Duca Consalvo Ernandez de Cordova
pro quibusdam occorrentiis, et necessitatibus,
avendo risoluto vendere la Città di Andria coll’intero suo stato, e col Castello del Monte disabitato,
col prezzo di ducati centomila; ed essendosi presentato l’illustre Conte di Ruvo Fabrizio Carafa
per mezzo dei suoi procuratori a farne la compra; questa non potendosi effettuare per la mancanza
di un residuo di somma, si erano presentati otto Deputati
de melioribus della Città di Andria
ad offrirne il supplemento, affinché detta compra fosse succeduta in persona dell’Illustre Conte,
attese le nobili qualità,
quibus mirifice decoratur; e soprattutto onde detta Città
non fosse caduta sotto il dominio di qualche Barone
minorum gentium. Che perciò gli otto
magnifici deputati gli consegnavano la somma residuale in ducati quindici mila; ma con patto
ch’esso Illustre Conte doveva con atto pubblico confermare tutti, e qualsivogliano privilegi,
grazie, immunità, esenzioni, prerogative, capitali, statuti, consuetudini, officii, dignità,
ed osservanze concesse a detta Città dai Re, Imperatori, e da altri Duchi suoi predecessori.
Che doveva ancora confermare il Bajulato e tutt’ i suoi Capitoli, ed anche il Bajulato piccolo:
Dazii, Catapania, e suoi Capitoli, Portolania, officio del Mastrodatti; i frutti, provvisioni,
e guadagni del Governatore, il privilegio del triduo, e quant’altro di universale, e particolare
concessione trovavasi a favore di essi Cittadini o siano Chierici o Laici ec.
col di più che in esso istrumento va registrato.
Prontamente l’Illustre Conte si obbligò co’ sopraddetti Magnifici Deputati, procuratorio nomine mandati
da questa Università, per mezzo di un’altro pubblico Istrumento, stipulato dal Magnifico Notajo
Gian Nicola Giulietta di Napoli, e da Marco Andrea Stoppa Giudice a contratti, di osservare
scrupolosamente quanto venivagli richiesto dalla Università di Andria. Con questo
si obbligava ancora ottenere a sue spese il Reale beneplacito per la investitura del Ducato:
venire a fare la residenza nel palazzo di Andria e concedere un grazioso universale indulto
a tutt’ i Cittadini inquisiti ec. ec. Finalmente mancandosi dall’Illustre Conte per qualunque
siasi ragione, titolo, o motivo alla osservanza di quanto erasi obbligato, si dichiarava tenuto
alla restituzione dei predetti quindicimila ducati cogl’interessi scalari a favore di questa Università,
contandosi dal giorno dello sborso; ed alla esecuzione obbligava sé, e suoi eredi,
successori universali, e particolari. Questo Istrumento venne datato col giorno 24. Ottobre 1552.
Breve cenno sulla genealogia della Famiglia Carafa.
Sulle primordiali notizie di questa famiglia sono varii, e disparati i sentimenti de’ Scrittori.
Avvi Giambattista Porta, che in un trattato delle notizie di Napoli, vuole che la famiglia Carafa
abbia nel Regno una origine molto antica tra gli altri Baroni; discendendo dall’Ungheria da stipite Reale.
Dice essere stato nella Polonia un Re chiamato Demetrio Carafa, il quale usava per impresa
quattro sbarre bianche in campo rosso sullo scudo, dinotanti i quattro principali fiumi,
che scorrono in quei Regni: e come che poi il Reame di Ungheria, e di Polonia non abbracciò
più tutt’ i quattro fiumi ma solo tre; perciò nella sua impresa porta tre sbarre, in quella
guisa che i Carafa in questo Regno portano l’arma loro, come discendenti da quei Re di Ungheria.
Bernardo Vapponio nelle sue cronache, e Martino Crome negli annali di Polonia, vogliono,
che questa famiglia debba cognominarsi Caraffa, che significa un vaso di vetro, originato dalla Kossia,
Provincia di quel Regno dove vi sono Duchi di Biel della nobilissima famiglia Norc’zale,
la quale voce presso i Polacchi dinota un vaso di vetro, che noi Italiani chiamiamo Caraffa:
e che non solo si avvera il cognome, ma anche l’arma consistente in tre fasce di argento
in campo vermiglio; del pari che praticano questi Signori Caraffi del nostro Regno.
Quindi sostengono essere la stessa famiglia; e siccome quei Signori Polacchi ascesero
poi alla corona, ed allo scettro coll’acquisto di molte altre Città in quei Regni;
così pretendono che questi Caraffi del nostro Regno di Napoli sieno di Regio stipite come oriundi da quelli.
Altri vogliono, che un certo Matteo, essendo Generale delle armi della casa d’Austria,
nell’attacco di un giorno avendo ricevuto alcune ferite; così con le mani asperse
di sangue fossesi presentato al Re nella tenda, che palpitava sull’esito di quella pugna;
e volendolo assicurare della vittoria, mettendosi la mano al petto avesse giurato,
che per la sua Cara Fe lo avrebbe posto in possesso del Regno di Napoli, come avvenne.
Quindi d’allora chiamato dal Re Cara fe, avesse preso questo cognome:
e che l’arma con tre fasce bianche in campo rosso dinotasse la impressione
delle tre dita insanguinate sopra il bianco abito, che indossava.
Altri vogliono, che questa Famiglia sulle prime sia stata chiamata Sigismonda, originata dall’Alemagna; ed ometto questo racconto, perché lunghissimo.
Altri in fine sostengono, che questa casa Carafa, sia un ramo de’ Caraccioli,
persuasi da quegli Epitafii, che si leggono nella Chiesa di S. Domenico maggiore di Napoli:
Hic jacet Dominus Macteus Caraczolus, dictus Carafa etc. In un altro tumulo appresso:
Hic requiescit corpus quondam nobilis Thomasii Caraczoli, dicti Carafae. In un altro:
Hic jacet nobilis excellens ac strenuus Miles Gurellus Caraczolus, dictus Carafa de Neapoli,
Regni Siciliae Marescallus etc. qui obiit Anno Domini MCCCII. die II. Novembris X. indictione.
Ora dopo aver posti in veduta questi brani sulla rimota origine della Casa Carafa,
lascio alla discrezione di chi legge l’attenersi a quella opinione, che più gli vada a genio;
mentre qualunque abbracciandosi, rimane sempre fermo l’antico lustro de’ Carafi.
NOTE (Nell'originale la numerazione è di pagina e non progressiva dell'intero argomento)
[1]
Conservasi questo nell’Archivio Ducale.