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Storia della Città di Andria ...
di Riccardo D'Urso (1800 - 1845),
Tipografia Varana, Napoli, 1842, pagg. 160-163
Libro SETTIMO
Capitolo XIII.
Re di Napoli Carlo VI. Duca di Andria Ettore.
Suo Vescovo Tommaso Cherubino Nobilione dell’Ordine Domenicano.
Trasferimento del Seminario.
Contesa tra i Preti della Cattedrale e i Domenicani.
Testamento del Canonico Ponsi.
Flagello de’ Bruchi cessato pel miracolo del nostro Protettore S. Riccardo.
Anno 1726.
Nel Dicembre dell’istesso anno fu traslatato dalla Chiesa di Avellino, ed assunse il governo di questa
Tommaso Cherubino Nobilione dell’Ordine Domenicano, Patrizio di Sorrento, creato da Benedetto XIII.
dell’istessa Religione. La prima delle sue operazioni fu il trasferimento del Seminario.
Non stimando convenevole la sua situazione nel pieno della città; permutò quell’antico
col nuovo da fabbricarsi accanto al suo palazzo
[1],
come venne eseguito. Essendo di un genio assai splendido spese molte migliaia per formare
tutto l’ornato dell’Altare Maggiore del Duomo di fuso e puro argento. Il solo palliotto o sia frontale,
con alcune figure a rilievo gli costò tremila e quattrocento ducati. Quest’Ara così fregiata,
nelle solennità presentava una molto ricca e sacra pompa. Avrebbe di più doviziata la Chiesa,
se non fosse stato imprudentemente tirato in uno sbaglio.
Correndo l’anno 1730. i Padri Domenicani, dovendo solennizzare la processione del Santissimo Sagramento,
per ottenuto privilegio, nella Domenica infra l’ottavario del Corpo del Signore, invitarono lui
a portare il Venerabile, per farne una pompa maggiore. Alle replicate premure non sapendosi egli denegare,
ne accettò l’invito. Ma di ciò non appena pervenne la notizia al Capitolo Cattedrale,
che tosto una deputazione di Canonici corse da Monsignore, e col dovuto rispetto gli fece sentire,
che non avrebbe dovuto accettarne l’invito; e che quando gli piacesse eseguirlo, doveva
nella funzione pontificare coll’intervento del Capitolo della sua Cattedrale, a tenore de’ sacri Riti,
e Sanzioni della Chiesa. Monsignore rispose loro, che ci avrebbe pensato. Ma nel mattino seguente
rilevato dall’Episcopio da un numero de’ suoi Confratelli, essendo dell’istess’Ordine,
e vestito nella Chiesa di S. Domenico pontificalmente, colla compagnia de’ soli Monaci
si avviò processionalmente col Venerabile.
[Antica statua di S. Riccardo alla bandiera]
Quando i Capitolari si accertarono del fatto, elevossi tra loro un grido generale e contro i monaci e Monsignore,
chiedendosene soddisfazione. Pochi Preti canuti cercarono invano smorzare la fiamma de’ giovani,
la quale trascendeva ogni limite. Alla fine si risolse avviarsi la corporazione, e chiudere Monsignore
in mezzo ai suoi Preti; e così proseguire la processione. S’inalberò la Croce, e sotto questo augusto vessillo
di pace, si precipitò il Capitolo coll’intervento dell’Arcidiacono de Rubertis, dell’Arciprete Pincerna,
e del Primicerio Tesse. Il solo Cantore D. Niccola D’Urso non intervenne, perché trovossi a confessare,
e ad assistere una Monaca inferma. Sopraggiunto il Vescovo dal Capitolo, fu pregato a distaccarsi da’ Monaci,
e prender rango in mezzo al suo Clero. Egli non rispose, e mostrava aderirvi. Ma i Monaci accigliati
cominciarono ad alzare la voce, negandosi a lasciare i loro posti. I Capitolari, che non si fidavano più
trattenere le vampe del risentimento, principiarono a riurtarli; quelli a farvi resistenza;
e così in un momento di aberrazione dalla parte dei Preti si venne ad un sagrilego conflitto.
Monsignore vedendo la funesta conseguenza del suo sconsigliato procedimento, ne pianse;
e potè a stenti col Venerabile rifuggire nella vicina Chiesa di S. Francesco.
Disse poi esser’ egli doppiamente colpevole; perché aveva ben conosciuto il temperamento degli Andriesi,
i quali per quanto fossero docili, e maneggiabili fuora dell’urto; altrettanto indomabili,
e tremendi nel riscaldamento. I Monaci intanto acerbamente doluti del contumelioso
complimento, spedirono staffette in Napoli, ed in Roma
[2];
rapportandone l’oltraggio ricevuto. Ne venne, che l’Arcidiacono, ed il Capo dell’Ordine Domenicano
furono chiamati in Roma
ad sacra Umilia: Arciprete Primicerio, ed alcuni Canonici costretti
a far dimora in Barletta, officiando in quella Chiesa sotto una sorveglianza. il Vescovo Nobilione
dopo una lunga vessazione fu obbligato a deporre il Vescovado nel 1743. e ritirarsi nella sua Religione.
Difatto si restituì al suo Ordine di S. Domenico Maggiore di Napoli; dove dopo molti anni (nel 1758.)
cessò di vivere. Alla fin fine Roma mettendo un velo sul passato, assegnò per penale al nostro Capitolo,
che avesse comprata una lampada di argento del peso di libbre dieci, e l’avesse collocata
nell’alto della Chiesa di S. Domenico alimentandola di olio, Mundo durante;
e questo ad eterna espiazione del suo mal regolato risentimento
[3].
L’anno che seguì, e fu il 1731. va rimarcato dalla spaventevole frequenza de’ terremoti.
Furono questi cosi spessi, ed impetuosi, che si vide costretta la popolazione per molti giorni
e notti ricoverarsi ne’ luoghi aperti sotto delle tende e case formate di legno.
Avvennero essi nel Marzo di quest’anno; poiché abbiamo dalla tradizione, essersi praticate
le funzioni della settimana Santa dai Preti in un baraccone innalzato nel largo della Catuma.
Troviamo perciò molte case, allora qui fabbricate coll’incrocicchio di travi e con soffitte.
In questo istesso anno morì in Bari il Canonico D. Nicola Francesco Ponsi. Era nato da una nobile
Andriese della casa Vitagliano. Non avendo eredi, lasciò coll’ultimo suo testamento i beni paterni
al Collegio di Bari, a cui apparteneva, ed i materni al Collegio di S. Niccola di Andria;
dove con molto piacere de’ Collegiali veniva a funzionare nelle solennità.
Consistette questa donazione nelle dieci carra, dette di Taverna Vecchia.
Compiacendosi molte volte Iddio mostrare con aperti indizii agli uomini non potere più tollerare
il numero delle loro colpe, si serve de’' gastighi che sono i ministri della sua collera.
Ed un esempio spaventevole si avverò nell’Aprile del 1741. trovandosi invasa la Provincia di Bari
da immensi sciami di locuste, o sia
Brucus de’ Latini. Essi nel prossimo Maggio crebbero
a tal segno, soprattutto in questi tenimenti, che ne divorarono interamente i campi.
Nelle ore calde era lagrimevole lo spettacolo; poichè a spesse torme svolazzando,
toglievano al sole la sua chiarezza: apparendo coperto il Cielo come da folta nebbia
[4].
In questo mentre parte ne cadeva in Città, nella guisa che discende a spessi fiocchi la neve
e n’empiva i tetti, le pareti, e le strade; parte s’intrometteva nelle case e tormentava
i Cittadini nelle cucine, nelle tavole, e ne’ letti.
Percossa la popolazione da un sì orribile gastigo, corse alla mediazione dell’inclito Protettore S. Riccardo,
affinchè avesse liberati i figli suoi da sì trista calamità. S’incominciò la novena nella sua Cappella,
coll’intervento di tutto il Clero e Secolare, e Regolare, non che di questa Università.
Quando nella notte dell’ultimo giorno compiacendosi Iddio, ad intercessione del suo Santo,
accordarne la grazia, tutti morirono. Quale non fu la sorpresa degli Andriesi in quel mattino,
trovando annientato il nemico, e dal vento trasportato, come piume leggiere? Presi questi Bruchi
nelle mani erano così friabili, che si riducevano in minutissima polvere. Notate il miracolo:
se questi fossero stati capaci di corruzione, ne sarebbe venuto un male maggiore,
qual’era la contaminazione dell’aria.
Allora gli Andriesi, per lasciare un attestato perenne della loro gratitudine al Santo Protettore
per questo sì segnalato miracolo, innalzarono a pubbliche spese quella Guglia nel largo della Corte;
e sopra si adattò quella statua di marmo grigio, di scarpello Andriese, che vedesi tuttafiata,
con apposita iscrizione dell’accaduto.
NOTE (Nell'originale la numerazione è di pagina e non progressiva dell'intero argomento)
[1]
Il primiero Seminario, come ho detto dinanzi, era dirimpetto alla Cappella di S. Michele in Città,
la quale serviva per gli esercizii Spirituali dei Seminaristi. Quest’antico Seminario
è di pertinenza de’ Signori Marchio.
[2]
Per avventura del Capitolo allora era morto Benedetto XIII. Dell’Ordine Domenicano.
[3]
II Capitolo eseguì fedelmente quanto gli venne imposto da Roma, e poi ritornato alla pace
con detta comunità, le assegnò due abitazioni nel basso di S. Andrea, per provvederne
la lampana da quella rendita annuale. Ma il tutto finì colla soppressione in tempo
della occupazione Militare nel 1809 — Ma le abitazioni non sono ritornate.
[4]
Dimorava allora in Andria un distaccamento di Spagnuoli. Questi, mentre gli Andriesi gemevano,
tripudiavano per le tante fritture, che ne facevano, mangiandoli con avidità in tutte le ore.