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Storia della Città di Andria ...
di Riccardo D'Urso (1800 - 1845),
Tipografia Varana, Napoli, 1842, pagg. 177-182
Libro OTTAVO
Capitolo III.
Ferdinando II. Re di Napoli.
Vescovo della Città di Andria Giuseppe Cosenza.
Concessione della Sottana di colore Pavonazzo alla Cattedrale;
non che de’ finimenti minori: come anco ai due Collegi.
Erezione dello Spedale Civile.
Trasferimento del Seminario al Convento del Carmine.
Apertura del sacro deposito delle Ossa del nostro Protettore S. Riccardo.
Flagello del Colera.
Anni 1832.
Vacando questa Sede Episcopale, dietro la morte del Vescovo Bolognese, fu dalla Divina Sapienza
prescelto ad occuparla D. Giuseppe Cosenza Napolitano, e Canonico Teologo di quella Cattedrale
Arcivescovile. Replicate furono le sue resistenze, e rinunzie intorno all’accettazione;
ma quando si vide strettamente obbligato a condiscendervi, si persuase esser questa la Divina volontà:
e facendo un sagrificio di se stesso, assunse il governo di questa Diocesi nel giorno
2. Luglio del 1832. Sulle mirabili virtù di costui son costretto a tacere, per non incorrere
nella sua indignazione. Mi limito a dare un cenno di talune cose avvenute sotto il suo Vescovado;
lasciando ad altra età l’apologia della sua vita.
Il suo arrivo in questa Città fu preceduto da favori segnalati a pro di questo Clero Secolare.
Da informi ricevuti avendo rilevato, che tra questa Cattedrale, e i due Collegi ardeva
da circa un secolo una ostinata contenzione sulla diversità degli esteriori Canonicali finimenti;
egli cercò dalle prime togliere di mezzo il pomo della discordia. Essendosi conferito
in Roma a consagrarsi Vescovo, chiese in grazia dal Pontefice Gregorio XVI. felicemente regnante,
la concessione di queste insegne minori, per farne un donativo nel suo arrivo alle rispettive Chiese.
Sua Santità si compiacque secondare il suo desiderio; ed egli ritornò in Napoli con le Bolle Pontificie,
contenenti una semplice distinzione pei Canonici della Cattedrale intorno al colore del fiocco
del cappello. Ma come gli animi erano allora nel forte accaloramento; anche questa semplice diversità
portò in campo molti ostacoli per la spedizione dell’exequatur. Monsignore avrebbe voluto
trattenervisi di vantaggio, per disciorre ogni nodo; ma costretto a portarsi in questa sua residenza,
lasciò quivi l’affare molto raccomandato.
Essendo passato qualche anno, e crescendo semprepiù gl’intoppi sul disbrigo di esse, standovi
due Reali Decreti in opposizione
[1];
e rendendosi vie maggiormente gagliardo l’accanimento tra questi Preti, videsi egli obbligato
la seconda volta conferirsi in Napoli, ed in Roma nel Maggio del 1834. cercando dal Papa
e dal Sovrano la esecuzione di quanto gli era stato concesso. In questo secondo viaggio,
lasciandosi accompagnare dall’ornatissimo suo Vicario Generale D. Giangiuseppe Canonico Torti
di Piedimonte di Alife, dal Signor Canonico D. Riccardo Montaruli Juniore, e dal Signor Canonico
D. Giuseppe Jannuzzi, ci ottenne di più da Roma la Prelatizia decorazione, qual è la Sottana Pavonazza.
Egli amò ugualmente tutti i suoi figli in Cristo; e se pretese qualche distinzione
per la Cattedrale lo fece per la conservazione dell’ordine; essendo diverse le qualità delle Chiese.
Oltre alla Sottana, la quale ha luogo nelle solennità di Chiesa, ci ottenne altresì
dal Sommo Pontefice la distinzione al cappello del fiocco porporino, riserbando il pavonazzo ai due Collegi
[2].
E così alla fin fine si estirpò quel fomite di controversie, che aveva vessati tanti altri Vescovi
suoi antecessori si estinse quella discordia, la quale disseminava le liti, e divorava,
senza iperbole, il terzo delle rendite Capitolari in ogni anno.
Essendo il suo cuore sempre aperto alla beneficenza, vide dappoi, che questa Città abbisognava
di un locale aggiustato ed alquanto spazioso, per ricettare il forestiere, e cittadino bisognoso
nei casi d’infermità. Esisteva, come dissi di sopra, a quest’uso un pio albergo attaccato
alla Chiesa di S. Bartolomeo; ma essendo molto limitato, ed angusto, e pei molti sconcerti avvenuti,
dovendone le donne convivere cogli uomini: egli si cooperò per un nuovo stabilimento.
Gli parve un ricetto molto adattato a quest’officio quel braccio dell’antica Clausura
delle Chiariste, di pertinenza di questo monte della Pietà.
Dopo averlo ottenuto a sua disposizione, dietro i suoi replicati rapporti, e domande;
tosto aprendolo ad asilo di conforto della mendicità desolata, lo dichiarò Spedale Civile.
La sua benefica mano vi apprestò i primi ripari; e poi gli ottenne il quotidiano provvedimento.
Questo sebbene ad un piano, era però molto comodo per la divisione delle stanze, e per tutt’altro:
al presente rendesi nobile stabilimento per l’aggiunzione del piano superiore:
togliendosi affatto il commercio tra la diversità del sesso.
Era poi tormentato da una inquietudine, nascente dal riflesso, che il Seminario da lui trovato
non era capace di tutti contenere gli Alunni Diocesani. Vivea convinto dalla esperienza,
che fuora di questo Semenzajo di virtù non era sperabile potere la vigna di Cristo ottenere
un giorno piante odorose, e fruttifere. Nell’ardenza del suo desiderio entrò nell’impegno
di fabbricarlo di pianta, e ne disegnò il luogo fuora la porta del Castello, nell’Orto Episcopale.
Una impresa di tal fatta ricercava la somma di ducati diciottomila. Ma considerando che doveva,
per non breve tempo, chiudere i suoi visceri paterni alla parte di sè più cara, quali sono i poveri;
trovò un mezzo come non defraudare gli uni, e giovare agli altri. Portò la circostanza,
nel 1837. che il Convento del Carmine, il quale sin dal 1804. era stato ridotto ad Ospedale Militare
di Puglia; in questo anno per Sovrana disposizione rimanesse destituito da tale esercizio.
Egli incontanente profittandone della occasione, presentò domanda al Ministro, e supplica al Re,
affinchè gli fosse stato concesso invertire questo locale ad uso del Seminario;
giacchè la Diocesi ne sentiva un bisogno. Il nostro Monarca, vivendo sommamente impegnato
al bene della nostra Cristiana Religione, ed amando vie più promuovere questi Sinodali stabilimenti,
si compiacque decretarne la inversione. Monsignore subito contribuendone tutta la spesa,
fece fabbricarvi molte aggiunzioni; e di tante celle monacali abbattute vi formò sei cameroni,
oltre agl’infiniti risarcimenti adoperati nel totale. Quella Chiesa, che nella occupazione militare
erasi ridotta a porcile, è già risorta, come dalle sue ceneri, più leggiadra e più abbellita.
Ed a compimento dell’opera fu solennizzata la sua Consagrazione nel dì 31. Maggio 1840.
Ora ecco qui stabilito un Seminario, il quale e per la capacità del locale e per l’amenità del sito,
e per la vigilanza del governo, ad altri non la cede. Entrarono i Seminaristi
[3]
ad abitarlo nel dì 29. Aprile del 1839.
Apertura del Sacro deposito di S. Riccardo.
Ma prima di veder coronato questo desiderio intorno al Seminario, a Monsignore era riuscito dar corso
ad un altro; e fu l’apertura del Sacro Deposito del nostro primo Vescovo e Protettore S. Riccardo,
per dargli un ricetto di maggior considerazione, e decenza. Ebbe luogo questa operazione nel mattino
del primo giorno di Agosto dell’anno 1836. dopo essere terminati gli Uffizii Ecclesiastici.
Circa l’ora del mezzogiorno il nostro Prelato sceso dal suo Palazzo Vescovile, si conferì
nella Cappella del Santo, accompagnato, dietro un previo invito, da tutte le Dignità delle rispettive Chiese:
da un numero di Canonici della Cattedrale: da tutte le autorità locali: eda una porzione de’ Decurioni;
come altresì dal Cavaliere D. Carlo Carafa, e da molti Galantuomini, e Professori
[4].
Quivi dopo aver egli pronunziata una dotta ed apposita orazione sul motivo della loro convocazione
si recitarono le litanie de’ Santi, e poi si pose mano all’opera. Fu scompaginato il Dossale dell’Altare,
nel di cui interno si contenevano le sacre reliquie; ed apparve a prima fronte una cassa, attaccata
al suolo da due lame di ferro a forma di archi, la quale
[5]
era lunga palmi cinque, e larga due. Smossa questa, e scoperchiata, presentò nell’interno un’altra
cassettina lunga palmi due e larga uno. Il suo legname era di cipresso,
e tutta foderata di lamine di piombo. Allora il Maestro di cerimonie
[6]
di Monsignore Illustrissimo riverentemente la trasportò su di un’apposita credenza nel piano
della Cappella; e distaccandone i suggelli, non affatto lesi dal tempo, del Vescovo Monsignore Adinolfi,
la dischiuse. Videsi un involto, consistente in una tovaglia di lino con ricamo,
ed in un’altra di seta ornata di oro, in cui riposavano le sacre ossa
[7].
Queste anco rimosse emerse tutto visibile e palpabile il venerando Deposito. Il nostro Prelato allora
divotamente prendendo nelle mani una delle tibie, e dopo il primo suo bacio di adorazione,
lo portò in giro al bacio comune; appalesandosi dal volto di ognuno la viva e sentita emozione di tenerezza,
alla vista di quel venerato avanzo del nostro primo Padre, e Pastore. Si accordò in pari tempo
a quegl’invitati la libertà di saziare le loro cupide pupille: osservandone minutamente
anche gli ultimi frammenti. Stante così la cosa, Monsignore a rendere di pubblica ragione
questo scoprimento, ordinò che si fossero battute festivamente tutte le campane, le quali
come in un’ora insolita (contandosi l’una dopo il mezzogiorno) risvegliarono la comune curiosità.
Il popolo, oltre il credibile, vi accorse in folla; e subito videsi accalcata la Chiesa.
Egli dopo averne data a ciascuno soddisfazione; ad evitare qualche tumulto, con garbo
licenziò tutti; e fece rinchiudere la cassettina col sacro Deposito, segnata dai suoi suggelli,
nel Santuario di eletta Cappella. In prosieguo, per darne una più esatta, e completa conoscenza
agli ansiosi Andriesi, fece tutte locare le Reliquie in un’urna di cristallo visibili
da tutt’i lati; e cosi le tenne esposte per un ottavario alla pubblica adorazione
[8].
Nella seguente prima Domenica di Settembre, solennizzandosi l’annuale Festa del Santo Protettore,
quest’urna, la quale aveva a sè chiamato un numero immenso di forestieri, venne processionalmente
condotta da quattro venerandi Sacerdoti per le strade più cospicue della Città, in vece della Statua come al solito
[9].
Fu questo davvero uno spettacolo di generale commozione! Al pari del passaggio dell’Arca di Dio tra il popolo Ebreo,
riscuoteva da per ogni dove universali attestati di santa tenerezza, e Cristiana adorazione
[10].
Essendo poi venuta da Napoli la nuova urna di marmo per quivi convenevolmente locarsi
questo sacro Tesoro si ricostruì il Dossale; ed in quell’Urna
[11]
nella guisa di prima rinserrato riposa tuttavia a difesa, e salvezza degli Andriesi.
Per l’autenticità del fatto si è lasciata in questa Curia Vescovile un’accurata,
e commendevole relazione in latino idioma.
Flagello del Colera.
Eccovi ad un altro calamitoso avvenimento, il quale servir debbe di salutare spavento per l’empio,
onde ritorni a buon senno; ed è questa la voce del Cielo ne’ suoi ministri di morte.
Quando l’uomo per la sua malvagità è giunto ad assonnarsi nel lezzo de’ vizii; onde risorga
da un si lagritnevole abbandono, non avvi mezzo più potente di questi estremi gastighi.
Per sentimento di Natura la perdita del proprio essere non andiede mai disgiunta da orribile spavento:
essendo l’ultimo de’ mali. Quindi la Divina Pietà non di raro anche quest’arma fatale
imbrandisce per chiamarci a ravvedimento.
Un altro di sì tristi esempli ebbe luogo in queste Regioni, pochi anni addietro. Correndo il 1831.
ci pervenne, come funesto preludio, la luttuosa notizia di essere minacciata l’Europa dalla presenza
di un nuovo flagello chiamato — Cholera Morbus — disseminando allora in altro Emisfero la strage
e l’esterminio. Consisteva questo nelle violenze di un flusso ventrale, accompagnato per lo più da vomiti,
e da sussulti di brivido; in modo che nello spazio di ore 24. le machine più colossali addivenivano
marciosi cadaveri. All’eco del tuono, che ancora rumoreggiava da lontano, molte furono le precauzioni,
che si adoperarono in queste parti, predisposte dalla saggezza del Governo. Ma come impedire
all’aria la comunicazione de’ miasmi, essendo epidemico quel morbo? Videsi perciò un sì spietato nemico
a passi di gigante innoltrarsi nell’Italia, e spandere il suo dominio di morte nel Cielo di questo Regno.
Quali non furono in sì lacrimevole scompiglio gli sforzi de’ talenti Europei per iscoprire un mezzo,
onde disarmare la sua ferocia?
Già nella nostra Capitale, dove le vittime caddero a migliaia, di continuo si pubblicavano colle stampe
tanti opuscoli, contenenti regolamenti sanitarii. Nelle Provincie i Ministri della vita ad esempio di Napoli,
si sfibravano ne’ loro studii per rintracciarne la causa, onde arrestarne gli effetti.
Ma tutto ciò serviva ad accrescere vieppiù la confusione; anzi che impedirne il proseguimento.
Una sol cosa potè in situazione sì trista conoscersi; e fu che quelle Città ne andavano esenti,
o n’erano poco toccate, nelle quali respiravisi un’aria meno, o non mica contaminata.
Andria difatto, per grazia segnalata di Dio, può dirsi esserne andata quasi immune:
contando circa trenta vittime in quei tre o quattro mesi di palpiti: incominciando
dalla fine di Giugno sino al Settembre del 1837. sebbene nell’istessa stagione dell’anno antecedente
si fosse qui avverato qualche caso. Questa Città si rese allora il salutare, o comune confugio
de’ luoghi vicini; e specialmente littorali. In Barletta soprattutto incrudelì tanto questo alito infernale,
che quella Popolazione ne fu di molto difalcata: costretta in ultimo a soffrire la durezza del cordone sanitario.
In tale luttuoso trambusto qui assai si distinse la pietà del nostro zelante Pastore, dividendo
le sue sollecitudini colle Autorità Civili, e Giudiziarie; onde in caso di uno sviluppo maggiore,
avessero trovato gl’infelici l’opportuno sussidio. Egli, alla notizia di taluni attaccati,
non sapeva come meglio partirsi, per tutto donarsi a tutti onde a tempo non fossero mancati gli ajuti,
specialmente spirituali. Ma si tiri un velo a sì lugubre scena; e faccia il nostro Cristiano procedimento,
che questa forse sia stata l’ultima stilla delle Divine amarezze, versata a gastigo dell’uomo traviato!
NOTE (Nell'originale la numerazione è di pagina e non progressiva dell'intero argomento)
[1]
Ferdinando il Vecchio o sia l’avo di questo Re tediato dai tanti ricorsi, e doluto per le tante liti
tra la Cattedrale, ed i due Collegi; per smorzarne la fiamma con due suoi Reali Rescritti,
in diverse epoche, vietò loro espressamente l’uso di queste minori insegne.
[2]
Questo Breve Pontificio si conserva nell’archivio del Duomo, il quale incomincia —
Qui Episcopi senatum etc. Datum Romæ apud S. Mariam Majorem die 8. Julii 1834.
[3]
Facendo da Rettore il Canonico Primicerio Troja.
[4]
Di questo Reverendissimo Capitolo Cattedrale presenziarono le cinque Dignità, cioè I’Arcidiacono
D. Lorenzo Marchio, I’Arciprete D. Riccardo Santacroce, il Cantore D. Riccardo Brudaglio,
il Prlmicerio D. Giuseppe Troja, il Priore della Cappella del sullodato Santo D. Giuseppe Canonico Jannuzzi;
e molti Canonici, tra i quali ebbi anch’io l’avventura di vedere ocularmente quanto consegno alla carta.
Dal Collegio di S. Nicola intervennero il Prevosto D. Vincenzo Noja, il Cantore D. Francesco Antolini,
ed il Primicerio D. Riccardo dell’Olio. Dal Collegio della Santissima Nunziata il Priore D. Tommaso Greco —
Dalle Autorità locali, il Regio Giudice il Dottore D. Giuseppe Rotondo, il Sindaco D. Consalvo Ceci,
ed i due Eletti D. Vincenzo Farina, e D. Niccola Avolio.
Dal ceto de’ Galantuomini, e Dottori (che io nomino com’erano situati nelle sedie di prospetto all’altare)
il Cavaliere D. Ferdinando de Angelis, D. Ferdinando Spagnoletti, D. Gaetano Virgilio Dottor Fisico,
D. Filippo Fasoli Dottore in Legge, D. Tobia Bisceglie Dottor Fisico, D. Felice Fabbiani Dottor Fisico,
D. Annibale Accetto, D. Giovanni Jannuzzi, D. Vincenzo Marchio, D. Riccardo Ceci,
D. Tommaso Margiotta Dottore in Legge, D. Carlo Antonio d’Urso Giudice Conciliatore,
D. Riccardo Grossi Dottore in Legge, D. Vincenzo Jeva Dottor Fisico, D. Nicola Regano Dottor Fisico,
D. Pasquale Gallelli Dottore in Legge, D. Riccardo Porro, D. Riccardo Jannuzzi,
D. Onofrio Spagnoletti Dottore in Legge, D. Riccardo Latilla Notajo, D. Ruggiero Simone Dottore in Legge,
D. Agostino d’Urso Dottore in Legge, e Regio Procuratore Diocesano, D. Michele Cristiani Notaio, D. Nicola Mite.
[5]
Questa Cassa è formata da dura pietra col rispettivo coperchio, il suo colorito appena reperibile è di similoro.
Fu situata mesi dopo in faccia alla parete di detta Cappella in cornu Evangeli,
dove trovossi per tradizione l’antica cassa di cedro, che anche lì dentro conservasi.
[6]
Il signor Canonico D. Giovanni Pastina.
[7]
Queste due tovaglie offrirono lo stemma della Duchessa di Andria Imperiale, moglie, come a suo luogo dissi, del Duca Fabrizio.
[8]
Questa Commissione da Monsignore fu data al suo elemosinario il Signor Canonico D. Nicolantonio Brudaglio, il quale I’eseguì con molta lode.
[9]
In Chiesa pronunciò un’analoga orazione panegirica il Signor Canonico D. Giovanni Pastina.
[10]
Il seguito che più ne accrebbe la gala veniva composto da Monsignore Illustrissimo pontificalmente
parato nel mezzo di due anziani Canonici D. Giuseppe Camaggio, e D. Riccardo Bisceglie
e dalle Autorità locali coll’intero corpo Decurionale, oltre a molti altri Galantuomini.
Si distinguevano tra i Decurioni, che numero secondo I’anzianità in quell’officio,
D. Felice Margiotta Notajo, D. Giammaria Antolini , D. Antonio Sinisi, D. Alfonso Margiotta Dottore in Legge,
D. Nicola Jannuzzi Dottore in Legge, D. Matteo Leonetti Farmacista, D. Leopoldo Grossi Dottore in Legge,
D. Giuseppe Bolognese, D. Francesco de Giorgio Dottor Fisico, D. Riccardo Latella Dottor Fisico,
D. Giammaria Marchio di Vincenzo Dottore in Legge, D. Vincenzo Fabbiani Farmacista, D. Riccardo Barletta,
D. Sebastiano Gioscia Notajo, D. Nicola Leonetti, D. Ottavio Spagnoletti, D. Michele Marziani,
D. Pasquale Spagnoletti, D. Vincenzo d'’Urso legale, D. Riccardo del Giudice Farmacista,
D. Silverio Pastina, D. Emmanucle Porziotta, D. Giuseppe Montenegro,
D. Giammaria Marchio di Riccardo Dottore in Legge, D. Michele Jeva Notajo,
D. Vincenzo del Giudice Dottore in Legge, D. Luigi lntonti Notajo, D. Tommaso Regano Dottore in Legge,
D. Vincenzo Mastropasqua Architetto, D. Riccardo Marchio legale. D. Giacinto Borsella Dottore in Legge,
D. Nicola Farina legale, D. Francesco Porro Notaio, D. Carlantonio Gallo, D. Giovanni Cannone,
D. Giuseppe Palombella, ed altri.
Dopo l’amministrativo seguiva il Corpo Urbano preceduto dal Capo D. Francesco Marchio,
e dal sottocapo D. Francesco Porro.
[11]
Qui dentro fu conservata una erudita e dotta relazione in latina favella composta dall’ornatissimo
Signor Canonico Penitenziere D. Mariano Cocco.