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Storia della Città di Andria ...
di Riccardo D'Urso (1800 - 1845),
Tipografia Varana, Napoli, 1842, pagg. 183-191
Libro OTTAVO
Capitolo IV.
Ferdinando II. Re di Napoli.
Giuseppe Cosenza Vescovo della Città di Andria.
Notizia originaria sulla pervenienza della Santa Spina.
Relazione del suo ritrovamento, essendosi perduta nell’ultimo saccheggio dato alla Città.
Intorno alla Santa Spina, a quell’Augusto pegno della nostra Cristiana Religione, accennai
nel Capitolo 3. del lib. V. come dalla Principessa Beatrice d’Angiò era stata donata a questo Duomo:
quando venne sposa di Bertrando del Balzo in questa sua Contea. Non ho voluto
in prosieguo farne più motto, per non lasciarvi a brani disperse le notizie; riserbandomi
dirne qualche cosa, trattando della sua Invenzione. Ed eccone un transunto. Ben si conosce,
che tutti gl’istrumenti preziosi, che ebbero luogo nel Deicidio, rimasero per lungo tempo
negletti in Gerusalemme, a maggiore scorno, e confusione di quella Città ingrata.
A misura poi che la Cristiana credenza incominciò a dilatarsi, si dilatò del pari
tra i Principi Cristiani l’avidità dell’acquisto di quei pegni adorabili.
In effetti la Corona delle sacre Spine, che trafissero il Capo del nostro Redentore,
venne nelle mani di S. Ludovico IX. Re di Francia, nell’anno 1239. come rapporta Lorenzo Echard
[1].
Questo accurato Istorico scrive, che trovandosi Costantinopoli, nell’anno 1238. cinta di assedio,
ed oppressa dalle violenze della carestia; furono costretti i Francesi, che la governavano,
e propriamente Baldoino II. ad impegnare la Corona di Spine del nostro Celeste Riparatore
a diversi particolari: per la somma di tredici mila cento trentaquattro Pepri, moneta dell’Imperio.
Ma essendo giunto il tempo determinato pel suo ricupero, o non tenendo mezzi come pagarne il debito;
fecero ricorso a Nicola Quirini nobile Veneto, il quale diede loro a prestito la detta, somma.
Vi aggiunse però l’obbligo che la Santa Corona fosse messa in deposito nella Chiesa del Pandocratore,
appartenente ai Veneziani, per quindi passare in Venezia, dove sarebbe stata per quattro mesi custodita.
Elasso questo termine, e Baldoino non pagando in moneta Veneziana tanto quanto portava
il piombo de’ Pepri, la corona restava a lui venduta.
Vivamente doluto Baldoino della durezza di tali condizioni, comunicò l’accaduto a Luigi IX.,
il quale arse di desiderio, e non volle preterire questa favorevole occasione,
per acquistare un’oggetto si prezioso. Immantinente spedì deputati in Costantinopoli,
per far tenere al Quirini la somma prestata ai Francesi; e così riscattata menare in Francia
la sacra reliquia. «Quando Essa (sono queste parole del testè citato scrittore)
arrivò a Villeneuve, alcune leghe lontano da Sens, andò il Re ad incontrarla e non l’abbandonò,
finchè non fu a Parigi. Dopo che il Popolo soddisfece alla sua pietà si depositò la santa Corona
nella Cappella del suo Palazzo, nota oggidì sotto il nome di Cappella Santa».
E Guglielmo Durando
[2]
scrive aver egli veduto questa Corona nella Cappella del Re di Francia, la quale era composta
di giunchi marini; e sono sue parole: «
Corona fuit de juncis marinis, sicut etiam
vidimus in Thesauris Regis Francorum, quorum acies non minus spinis duræ sunt, et acutæ».
Or premesso tutto ciò, è facile comprendere la sua pervenienza nella Città di Andria.
Essendo il Regno di Napoli caduto dietro la perdita di Manfredi, sotto il dominio di Carlo Duca d’Angiò,
fratello del Re S. Ludovico; questi venne a prenderne solenne possesso nel 1266.
Di tutte le gioie pregevoli, ch’egli condusse seco, le più preziose furono due delle Spine più grandi,
che trafissero il Capo del nostro Redentore, staccate dalla Corona, che il Re suo fratello
gelosamente custodiva nella Cappella del suo Palazzo. A dare un attestato della sua Sovrana
benevolenza ai Napolitani, donò una di esse al Clero di quella Cattedrale;
e ritenne l’altra per sé nella sua Reale Cappella.
Alla sua morte, avendo occupato quel Trono suo figlio Carlo II. questi tra la numerosa sua prole
contava dalla parte delle donne Beatrice sua ultimogenita. Dopo aver’egli decorosamente collocate
tutte le altre figlie; finalmente, nel 1305. diede questa ultima in isposa ad Azzo VIII.
Marchese di Ferrara col dotarlo, come dissi nel Cap. 2. del Lib. V. della Contea di Andria,
togliendola a Pietro suo ultimogenito. Ma dietro pochi anni di matrimonio, essendone questa
Principessa rimasta vedova, il Re suo padre pensò rimaritarla, perché giovane ancora;
e la destinò alle seconde nozze col Conte Bertrando del Balzo. Solennizzato il Matrimonio
nella Capitale, nel Marzo del 1308. la Principessa Beatrice riportò dal Re l’istesso dotario,
che pria era stato assegnato all’estinto Consorte Azzo VIII. cioè la Città di Andria
con tutte le sue Terre e Casali. Dopo ciò, Bertrando risolse conferirsi al governo
di essa col dominio ottenuto del mero e misto impero. Beatrice perché molto pia e religiosa,
nel congedarsi dal genitore, gli cercò ardentemente, come ultimo attestato
della sua paterna benevolenza, quella santa Spina, che egli conservava gelosamente
nella sua Reale Cappella. Il Re Carlo e perché con predilezione amava questa figlia;
essendo l’ultimo pegno delle sue conjugali tenerezze; e perché vivea oltremodo compiaciuto
dell’alto merito di Bertrando; così accordò loro in dono, pria della partenza, questo prezioso tesoro.
Giunta in Andria questa coppia felice, e volendo esser grata alle vive dimostrante
di tripudio esternate dai Cittadini, e dal Clero; fu allora che Beatrice in contrassegno
della sua riconoscenza agli Andriesi, donò a questo Duomo la sopraddetta santa Spina,
coll’obbligo che venisse esposta alla venerazione; considerandola, come il celeste palladio negli umani infortunii
[3].
E questo è quanto di certo ho potuto raccogliere da carte antiche sulla sua pervenienza tra noi;
tenendo anco sotto gli occhi
la relazione dell’Abate Medrano.
È degno di osservazione, come la mentovata santa Spina, al di là del corso di secoli diciotto,
non abbia sofferta ingiuria alcuna; anzi sembra come di fresco svelta dal suo cespo.
Essa è della lunghezza di circa quattro dita, e della grossezza di un polputo filo di spago
nel suo basso finimento. Il suo colorito è cenerognolo, ad eccezione della punta semifranta,
che va a finire ad ago, ch’è di colore suboscuro. In essa sono discernibili quattro macchie
di color violaceo nella parte di dietro alla incurvatura ed un’altra patente nel lato d’avanti;
oltre ai molti altri punti a stento reperibili. Intorno a queste macchie, le quali,
quando si avvera il portento rosseggiano di vivo sangue, bisogna convenire coi Teologi,
esser questo sangue miracoloso; perchè il nostro Redentore come conoscesi,
omnia traxit ad se: quodcumque assumpsit nunquam dimisit
[4].
Che poi questo miracolo siasi più volte avverato nella santa Spina, quando si è combinata
la feria VI. della Parasceve coll’Annunziazione della Santissima Vergine, giorno vigesimoquinto
del mese di Marzo, si rileva in primo luogo da quei carmi, i quali erano incisi sul piede
dell’urna antica di argento. Essi poi fedelmente sono stati ripetuti nella nuova, e sono i seguenti:
En Cuspis de tot majoribus una Coronæ,
Qua dire pupugere manus, pia tempora Iesu.
Quando Parasceve, et Martis
[5]
vigesima quinta
Concurrunt (veluti Majores ore probarunt),
Tunc hæc (o quam mirum!) tota cruenta videtur,
Quæ solet esse alias guttis aspersa quibusdam.
Ad nos Trinacriæ Carolus Rex ille secundus
Transtulit ex Paridis
[6]
quæ Urbs Regia Galliæ habetur.
Pectore devoto, venerandaque poplite flexo est
Spina Redemptoris roseo suffusa cruore,
Cum sentes, ut acus totidem tolleraverit ultor
Humani sceleris: gratissima metra canamus.
Gloria Victori, et monumenta perennia palmæ;
Cornua enim Satanæ Spinosa fronte repressit;
Detque illi Dominus pro tanto huc pignore vecto,
Cuncti exoremus, felicia Regna Polorum.
Da questi versi però non rilevasi in quale tempo sia qui accaduto la prima volta il cennato miracolo.
I pubblici documenti, che conserviamo, incominciano dal 1633. epoca posteriore alle dispersioni,
ed infortunii avvicendati in questa Città, come ho dimostrato dinanzi.
Il primo pubblico atto che fortunatamente ci è pervenuto, fu rogato dal Notajo Gianalfonzo Gurgo di Andria,
nel quale si attesta come essendosi combinato il venerdì Santo di quell’anno 1633.
nel giorno 25. Marzo, ossia nella Festività della Santissima Nunziata, la Santa Spina apparve
verso l’ora nona del mattino rosseggiante di fresco sangue. Per relazione poi de’ Maggiori
si assicurava nell’istesso Istrumento, che quante volte erasi data tale incidenza nel dì 25. Marzo,
tante fiate la Santa Spina era apparsa sempre dell’istesso tenore sanguinosa.
E per maggior chiarezza trascrivo alcuni brani dell’originale.
1.
«Actus publicus pro Reverendo Clero, et Capitulo Cathedralis Ecclesiæ Andrien.
Die vigesimo quinto mensis martii primæ indictionis 1633. in Civitate Andrien etc.
Ob festum sanctissimæ Annuntiationis Beatæ Virginis, coram Joanne Petro Conti Judice,
Rev. D. Vincentio Meli, Carolo Antonio Quarto V. J. D. Richardo Guadagno etc. Adstantibus
Illustrissimo et Reverendissimo Domino Fratre Felice Francischino, Dei et Apostolicæ Sedis
gratia Episcopo Andrien, Illustrissimis et excellentissimis Dominis D. Emilia Carafa Ducissa Laurentiani,
suis filiis etc. Ipsi quidem Reverendissimi, Dignitates, et Sacerdotes attente nos requisiverunt,
ut in scriptis reduceremus id, quod evenit hodie mane in una ex Spinis Majoribus Coronæ
Sanctissimi Domini Nostri Jesu Christi, nam eadem spina apparuit, prout ad præsens
evidentissime apparet, Sanguinolenta, et cum frequenti variatione Sanguinis pretiosissimi
Capitis Christi, et ex relatione eorum Majorum perceperunt, quod quotiescumque dies
Sanctus Veneris inciderit in vigesima quinta die Mensis Martii, prout est hodie,
semper apparuit eodem modo, ut supra expressum, ut modo apparet etc.»
2.
Si avverò la seconda volta l’istesso miracolo nel 1644. e ne fa fede quel documento ricavato
dalla santa Visita Pastorale di Monsignore Cassiani nostro Vescovo. Questo Prelato non volle
defraudare i Posteri del prodigio, ch’egli ocularmente aveva osservato nel venerdì santo
dell’anno indicato, caduto nel giorno festivo della Santissima Nunziata. Registrò ne’ suoi atti,
essere apparse in quella ricorrenza molte e diverse gocce e macchie di sangue circa l’ora nona;
che poi verso il tramonto del Sole andarono insensibilmente a mancare.
«Cum in dicta feria sexta, quae incidit in Festum Sanctissimæ Annunciationis Deiparæ,
in Spina apparuerunt multæ et diversæ guttæ, et maculæ sanguinis circa horam nonam,
et non solum a nobis, et supradictis, qui nobiscum semper adstiterunt, fuerunt evidentissime
visæ et conspectæ; sed etiam a toto Populo, et tota Civitate, et etiam exteris
per totam diem illam, et circa solis occasum insensibiliter deficiebant etc.»
3.
Avvenne la terza volta l’istesso prodigio nel 1701. reggendo questa Cattedra Vescovile il. dotto,
e santo Prelato D. Andrea Ariani. Il tutto rilevasi da quell’atto pubblico rogato dal Notajo
Michelangelo de Micco Andriese, e dal processo compilato, per ordine di Monsignore
dal Reverendo D. Nicola D’Urso, Notajo del Santo Ufficio
[7].
Quivi si rapporta, come nel concorso del Venerdì Santo dell’anno indicato 1701. col giorno festivo
della Santissima Nunziata, mosso il nostro celeste Riparatore dalle fervide preghiere,
e dirotte lagrime dei suoi fedeli, siasi compiaciuto verso l’ora sesta fare apparire palpabilmente
intrisa la Santa Spina di alcune macchie di vivo sangue; le quali poi circa l’ora nona
incominciarono insensibilmente a scolorarsi. Ed ecco una parte dell’originale:
«Attestatio pro Spina Christi 1701.
Die vigesimo quinto Mensis Martii, nonæ Indictionis, millesimo septingentesimo et uno in Civitate Andriæ
coram notario Michæle Angelo de Micco etc. In nostri præsentia personaliler constituti
J. V. Doctores Richardus de Anelli, Paulus Colavecchia, Nicolaus Politi etc. Nobiles Dominicus Antonius Sugariga,
Richardus Tesorerio, Joseph Dominicus Curtopassi, Richardus Tupputi, Laurentius Guadagno,
Nicolaus Accetto: Civiles Ascanius Paglia, Richardus Conte, Franciscus Catafaregna, Joseph de Mutiis etc.
qui sponte asseruerunt coram nobis in volgari sermone loquentes simul cum me Notario,
et Judice Regio ad contractus etc. come nella Venerabile Cappella del glorioso
S. Riccardo principale Padrone della Città di Andria conservandosi una gran copia di sagrosante Reliquie
di Santi Martiri, Confessori, e Sante Vergini, e fra quelle conservandosi ancora
in uno spiracolo di cristallo una delle maggiori spine della Corona, che alle Tempia
del nostro Nazareno formò di giunchi marini la Giudaica perfidia; questa per antica tradizione,
che congiungendosi la Festa della Santissima Vergine Annunziata (in cui si solennizza
la memoria dell’incarnazione del Verbo) colla feria sesta in Parasceve, giorno consagrato
alla memoria del cruento sagrificio offerto da Gesù sulla Croce per la comune salvezza, questa Spina,
diceva, si vedesse aspersa di molte gocce di sangue. Onde in quest’anno essendo sortita
la feria Sesta della Parasceve nel dì vigesimo quinto di Marzo, si è con impazienza atteso
il solito Portento; per lo che il giorno antecedente si era osservata la Santa Spina
dall’Abate D. Domenico Antonio Menafra Vicario Generale, coll’assistenza
di molti altri Ecclesiastici, e secolari cospicui , ed era nel suo solito stato,
cioè di color cinericio: Appena poi nel mattino del Venerdì segnalato si fe’ giorno,
che subito videsi tutta la Chiesa piena di Cittadini, e di Forestieri: ed affinchè la S. Spina
fosse stata in maggior venerazione, non si espose dal principio alla vista di tutti,
ma la cancellata della Cappella del glorioso Protettore si coprì di drappi, e paramenti,
con proibire a tutti l’ingresso; ad eccezione di alcuni Capitolari, dell’Eccellentissimo
D. Antonio Carafa Duca, del Signor Federico Conoscitore suo Agente Generale,
del Dottore Signor Giuseppe Ajta Giudice, del Signor Vincenzo d’Elia Sindaco
con tutti gli Eletti, e di altri distinti personaggi, i quali dal far del giorno,
assieme coll’Illustrissimo Monsignore D. Andrea Ariani, e detto suo Vicario,
si trattenevano genuflessi colla maggior divozione dentro la detta Cappella etc.
Quando verso l’ora di sesta si fe’ sentire dalla Cappella, che già
la Divina misericordia si era compiaciuta di accordare il Miracolo ... e si vide
la sudetta Santa Spina ripiena di molte macchie di sangue dalla sua sommità sino al basso;
che poi dopo l’ora di nona incominciarono a mancare etc.
Et sic testificaverunt, et cum juramento affirmaverunt etc. Præesens copia extracta est
a suo proprio originali existente in actis quondam Michaelis Angeli de Micco Andrien,
cujus scheda penes me etc. Et in fidem Ego Notarius Vincentius Tedesco ejusdem Civitatis
Andriæ conservator supradictorum Actorum requisitus signavi. Andriæ 5. Martii 1785.»
4.
A tempo del Governo di questa Episcopale Cattedra dell’Illustrissimo Monsignor Vescovo
D. Nicola Adinolfi successe del pari il menzionato prodigio, correndo il Marzo del 1712.
come si rimarca da documenti autentici, sistenti nella Curia Vescovile, e nell’archivio Ducale.
5.
Dell’istesso tenore fu quello che avvenne nel 1785. reggendo questa Chiesa l’Illustrissimo
Vescovo Monsignore D. Saverio Palica. L’Abate D. Domenico Medrano suo Vicario Generale,
Prete della Cattedrale di Trani, ne compilò una accurata e dotta relazione, la quale fu pubblicata
colle stampe. Oltre di questa esistono i pubblici Istrumenti rogati dai Notai Andriesi
D. Gaetano Frisardi, D. Leonardo Frisardi, D. Vincenzo Tedesco, D. Giuseppe Sinisi, D. Donato Sinisi,
D. Pasquale Cannone, e D. Francesco Paolo Cristiani: dai Notai forestieri D. Emmanuele Lopane di Trani,
D. Vincenzo Tedesco di Bisceglie, D. Domenico Nicola Frascolla di Corato, e D. Vincenzo Tedesco di Corato.
6.
L’ultimo miracolo del pari solennemente autenticato, ebbe luogo nel Marzo del 1796. occupando
questa Sede Vescovile l’Illustrissimo Monsignore D. Salvatore Maria Lombardi, come rilevasi
dagli atti pubblici rogati da tutt’i nostri, e dai Notai forestieri:
cosa che passo sotto silenzio per non più ripetere le istesse cose.
Or questa santa Spina, pegno adorabile della nostra Cristiana Redenzione, la quale pria di essere svelta
dal suo serto aveva promosse le gare e le gelosie tra i Principi Cattolici intorno al suo acquisto;
dopo aver formata la letizia, ed il conforto de’ nostri avi per lo spazio di cinque secoli;
nelle nostre lagrimevoli vicende del 1799. da qui furata, e trasferita altrove, da noi si piangea perduta.
Ma grazie alla Divina Misericordia, essa dietro anni trentotto di lontananza è ritornata di bel nuovo
a felicitare gli Andriesi.
Relazione del suo ricupero, correndo l’Ottobre del 1837.
Tra le perdite sofferte da questa infelice Città nella sventura del 1799. quella vi avea lasciato
un vuoto irreparabile, ch’era l’involamento della santa Spina. Gli Andriesi ne rimasero oltre ogni credere
inconsolabili. Solo riusciva loro di conforto l’amica speranza di forse rivederla un giorno.
Da tempo in tempo però ci faceva sentire la voce della sua esistenza; ma ogni nostro tentativo
si rendeva vano; disperdendosene tosto le tracce. Quindi da noi non mai si tralasciava offrire
voti al Cielo, affinché, rimirando questa Città con pietosa pupilla, si fosse compiaciuto agevolarcene l’acquisto.
Quando nell’Ottobre dell’anno testé segnato si presentò al nostro pio Pastore persona,
che dal suo andamento si conobbe esser molto religiosa, e dabbene; e con lui si compromise della sua invenzione.
Monsignore dopo avere ricavato da costui un minuto e dettagliato apporto de’ fatti genuini,
de’ suoi varii passaggi e finalmente della sua locale permanenza; prese subito
le più energiche determinazioni. Chiamò a sé un Canonico di questo Duomo
[8],
ed a lui dietro giurato silenzio ne commise la esecuzione, assicurandolo anticipatamente dell’esito
felice di tale intrapresa. Animato questi come da profetico presagio, e da patrio desiderio,
senza perdita di tempo si rese presente a quei luoghi indicatigli: e trovando veraci le notizie
a lui comunicate, vie più si accalora nel suo disimpegno.
Eccolo alla fine in Venosa, e propriamente nella casa del Cameriere del già defunto Vescovo Guarini,
presso del quale essa custodivasi gelosamente. Quivi proferendo miti, ma scaltre domande alle persone,
che lo circondavano, giva ricercando i luoghi più segreti di quell’abitazione.
Quando dai segni preindicatigli vi scoperse il bramato ripostiglio; presentando un insieme di preghiere,
e di minacce, si scagliò in quel recesso; ed immantinente strinse quel nostro profugo Palladio
[9].
L’avvenimento incontanente si rese pubblico in tutta Venosa, e vi accorsero le Civili Autorità,
e molti Ecclesiastici; ma il nostro Canonico Lo Muscio colla qualifica di Commessario con volto
imperturbabile sostenne in faccia a tutti i dritti della Città di Andria su di quella
Sacra Reliquia: dritti che furono a prima fronte rispettati da quegli ottimi Ecclesiastici;
i quali ne conoscevano da molto tempo tutto l’andamento della provenienza tra loro
[10].
Il nostro Canonico frattanto lasciandosi in guardia di essa, spedì a volo in Andria al nostro Vescovo
l’avviso del felice esito della sua commissione; essendo già presso di lui il pegno de’ comuni sospiri.
Monsignore, siccome anelava i momenti di un tale riscontro; così senza perdita di tempo,
lasciandosi accompagnare da alcuni nostri Canonici anziani, corse in Venosa. Là giunto incontrò
il piacere di subito averla nelle mani; confessando apertamente tutt’ i Venosini,
appartenersi quella alla Città di Andria. Monsignore la espose a disamina ai suoi Canonici
di compagnia, i quali nel rivederla, tra le lagrime di tenerezza contestarono con giuramento esser essa:
rimarcandone quei connotati, de’ quali ne conservavano viva la reminiscenza. Dopo ciò,
spedì un corriere a questo Capitolo Cattedrale, partecipandone la sua letizia, e ne determinò
il giorno (che fu l’ultimo dell’Ottobre), nel quale tutto il Clero doveva al suo ritorno
farsi trovare coi sacri paramenti di gala nella Chiesa della Nunziata, fuori le mura;
dov’egli sarebbe giunto alle ore ventidue; e vestito degli abiti Pontificali
l’avrebbe processionalmente rimenata in Città.
Ma qui come posso io esporvi, anche ne’ soli delineamenti, il quadro dello spettacolo commovente,
che presentò Andria in quel giorno, la di cui memoria tra noi sarà rispettata coi secoli?
Non appena il sole incominciò a declinare all’occaso, e quindi a segnare l’ora di quella tenera funzione,
che tutte le corporazioni e del Clero Secolare, e Regolare avviandosi alla Chiesa della Nunziata,
incontrarono per l’immenso affollamento delle genti anguste le strade, per le quali doveva
in processione passare il ricuperato palladio. Particolarmente fuori la Porta della Barra
fluttuava in massa la popolazione. Erano rimaste in quel giorno spopolate tutte le casine
di campagna; mentre i villeggianti si erano restituiti in Città, per prendere parte
nella comune letizia. Era da vedersi come si erano accalcati gli Andriesi e sulle balconate,
e sulle ringhiere, e sui solai di quelle abitazioni , che sporgevano alla Chiesa della Nunziata.
Un altro numero, anche incalcolabile, ingombrava la strada di Canosa, sino alla distanza
di quattro miglia, per prevenirne l’arrivo. Questo spettacolo, per quanto ilare, e commovente,
veniva poi maggiormente rianimato e dalla vivezza de’ raggi solari, che brillavano
oltre l’usato, e dalla ricca gala pomposamente dispiegata dal ceto nobile, e facoltoso
di questi Cittadini. Si vedevano essi invasi da sacro entusiasmo correre a gara chi
su fulgidi cocchi, e chi su abbigliati palafreni, per tributare anticipatamente al pio Pastore
l’indelebile attestato di riconoscenza; perchè rimenava in Città l’Arca prodigiosa
della nostra antica, e nuova predilezione.
Ma tralasciando, tutte le circostanze, che accompagnarono il suo arrivo, come i colpi da sparo
tirati in determinate distanze lunghesso la via, i generali e replicati applaudimenti popolari,
l’ingresso nel sacro Tempio: dico solo, che defilando la Processione, ecco Monsignore,
vestito di Pontificati paramenti, presentare fuora la Porta della Chiesa tutto visibile
alle ardenti pupille degli Andriesi il sospirato Augusto pegno nel Sacro Ostensorio.
Ed oh qui la viva mozione generale! L’interno fremito, non soffrendo più argini,
scoppia dal volto, dagli occhi, e dalle labbra. In questo mentre i sacri bronzi battagliati
rafforzano i rinascenti assalti della gioia: gli spessi spari, e continuati rintronano l’aria,
di mille e mille voci plaudenti formandosi un grido gigante assordava le orecchie
[11].
Grandi e multiplici erano i festoni, e gli smerlati addobbi, che pendevano dai balconi
di quelle strade, per le quali come nel suo trionfo essa passava. Di continuo le Vergini,
ed i putti innocenti lasciavano cader dall’ alto in segno di venerazione spessi nembi di olezzanti fiori.
Alla fine si pervenne nel Duomo; e non appena essa si mostrò dalla porta; che tosto videsi
ondeggiare la immensa calca, che ivi impaziente l’attendea. Molti della fredda canizie,
rivolgendosi al Cielo, con grida si protestarono morire finalmente contenti, per esser loro toccato
rivedere apparsa altra fiata in queste mura quell’iride di conforto, che per lungo tempo
erasi celata ai voti comuni. Altri non potendo diversamente significare l’interno tumulto,
e la sentita voce del tripudio, si abbandonarono singhiozzosi alla violenza delle lagrime.
In questo mentre salì sulla sacra tribuna il nostro ornatissimo Canonico Teologo
[12],
e con analoga commovente orazione vie più dispose i Cittadini a ricevere quella prima benedizione,
che il nostro inclito Pastore a tutti impartì con quella Reliquia. Intanto le ombre indicarono
l’arrivo della notte, e così terminò la funzione di quel giorno degna della memoria de’ secoli
[13].
NOTE (Nell'originale la numerazione è di pagina e non progressiva dell'intero argomento)
[1]
Storia Romana Lib. XII. Cap. 2. Questi con maggior soddisfazione del Bossuet, del Racine, e del Fleury ne porta la narrativa.
[2]
Rational. Divin. lib. 6. Cap. 77.
[3]
Per queste due sacre Spine avvi la concessione di Roma intorno all’Uffizio proprio
come nella Cattedrale di Napoli, così in quella di Andria. Il rescritto per Napoli
è datato col 1728. il quale in comincia: « —
Ad humillimas preces nomine Capituli,
et Cleri Ecclesiæ Cathedralis Neapolitanæ etc.» Quello di Andria è datato col 4. Novembre 1737. ed è questo:
«
Asserentibus Episcopo, Capitulo, et Clero Civitatis Andriæ, in Ecclesia Cathedrali
ejusdem Civitatis, maximo cum populi concursu, unam ex sacris spinis Coronæ Domini Nostri
Jesu Christi venerari, et humillime S. Rit. Congregationi supplicantibus, quatenus Clero
saeculari praefatæ Civitatis facultatem recitandi Officium Coronæ Domini, alias,
prout assertum fuit. Capitulo Ecclesiæ Metropolitanæ Civitatis Neapolis, recitari concessum,
benigne impertiri dignaretur. Sacra eadem Rituum Congregatio (citra tamen approbationem
assertæ S. Spinæ) Oratoribus gratiam petitam in una de Feriis Sextis Mensis Martii
benigne indulsit, atque concessit.»
[4]
Di queste Spine, dice il dotto Berti, alcune per virtù Divina reviviscono:
Quasdam virtute Divina reviviscere, ut etiam scribit Gregor. Turonensis.
[5]
Ossia Marzo. Questo mese così denominato, come ciascuno conosce, da Romolo
in onore del Dio Marte, dal quale, delirando, pretendeva la sua origine.
[6]
Carlo II. il Zoppo, come si è sopra osservato, Re di Napoli, e di Sicilia trasferì questa S. Spina
da Parigi -
ex Urbe Paridis-, o quando venne col Padre, o, a sentimento di altri,
nel suo ritorno da Francia nel 1300. in Napoli; donde per mezzo della figlia Beatrice pervenne a noi.
[7]
La copia di questo Processo rattrovasi in uno coll’atto pubblico del Notajo de Micco nella Scheda del Notajo Vincenzo Tedeschi.
[8]
Il Signor Canonico D. Antonio Lo Muscio.
[9]
Avvenne questa invenzione nel giorno 24. Ottobre.
[10]
La Città di Andria va molto debitrice ai sentimenti di Giustizia dell’ornatissimo
D. Domenico Rapollo Primicerio, e Teologo di quella Chiesa Venusina, il quale opponendosi
a tutti gli ostacoli, sostenne quel principio sacro presso tutte le Genti:
Res clamat ad Dminum. Dimostrò in pari tempo la sua cordialità nel trattare
in sua casa l’ottimo nostro Prelato con tutto il suo seguito per cinque giorni,
con quella galanteria, la quale è tutta propria della sua nobile, e ricca famiglia.
[11]
Le lagrime di tenerezza di questo giorno compensarono quelle del dolore, che versò questa Città nella sventura del novantanove, quando essa ci fu rapita.
[12]
Il Signor Canonico D. Antonio Regano, cugino del Vescovo di Catania.
[13]
Nei giorni posteriori non si mancò da questo Vescovo esporre più volte la suddetta Santa Spina
agli sguardi di molti probi ed ingenui Ecclesiastici e secolari anziani, i quali tutti
pleno ore, contestarono esser quella. Si aggiunse di vantaggio il concorso
di molti Forestieri; e fra essi molti vecchi, i quali I’avevano conosciuta nell’ultimo
miracolo del 1796. e questi del pari ne confessarono la sua autenticità.
A compimento dell’opera mancavale un’urna di argento, per decentemente locarsi:
essendosene perduta l’antica. Allora presentossi un nostro pio Concittadino,
chiamato D. Vincenzo Morselli, il quale a mostrarne ai presenti ed ai tardi posteri
la sua devozione, generoso si sottomise a qualunque spesa: e così fu formata nella Capitale
la presente teca di argento a modo di ostensorio, coll’ornato di molti rubini intorno
al cratere, e lunghesso il suo fusto. Sul suo nuovo piede oltre agli antichi carmi ricopiati,
furono incisi questi altri moderni:
Quam cernis Spinam hinc peregrina in littora traxit
Dextera rapax, ferro quum sterneret omnia Gallus;
Josephi intemerata manus, pietasque verenda
Antiquam in Sedem Venusina ex Urbe reduxit:
Inclytus ah vivat Præsul per sæcula sospes!