L’Apulia dell’Impero Romano descritta da Strabone

Contenuto

L'Apulia  dell’Impero Romano
vista e descritta da Strabone

Premessa

Si trascrive, in greco e tradotto dall'Ambrosoli, il capitolo 3 del libro VI della “Γεωγραϕικά”, detta anche “ ῾Υπομνήματα τῆς γεωγραϕίας”, cioè “Memorie-notizie di Geografia” di Strabone, in quanto ci fornisce una descrizione minuta dei luoghi, città ed etnie al suo tempo esistenti nella Apulia, ci indica le strade e le distanze tra i centri abitati nonché tra i porti, non trascurando (anzi direi prediligendo) di tracciarne la storia e raccontare le immancabili leggende ad essa sovrapposte.

Intanto elementi che permettono di capire meglio il pensiero di Strabone e quanto egli descrive nella sua Geografia dell’Italia, e (per quel che qui a noi in particolare interessa) della nostra Apulia, che vede popolata da etnie allora non più nettamente separabili, possiamo attingerli da Gianfranco Maddoli: “ La percezione della realtà etnica e regionale nell’Italia di Strabone”, una sua ricerca rilevata dalla sotto citata rivista. Il virgolettato che segue è uno stralcio di tale studio, ed essendo nient’altro che una citazione, offre solo qualche spunto di riflessione, e richiede che si scorra per intero lo studio del Maddoli perché si comprendano al meglio i significativi approfondimenti testuali. [ndr_1]

“Dietro le ripartizioni di popoli descritte da Strabone c’è già la nozione di aree omogenee per vicende etniche e per caratteri fisici, all’interno delle quali è possibile operare distinzioni ulteriori in senso sia diacronico che contemporaneo ma che tuttavia non negano l’unità regionale d’insieme; allorché Strabone e le sue fonti parlano di un popolo non possono non proiettarlo su uno spazio sostanzialmente ben definito, fino al punto di precisarne in alcuni casi un preciso confine. Natura e storia ne hanno definito nei secoli la fisionomia, al di là di sotto articolazioni, piccole variazioni spaziali o temporali o di tradizione indigena di cui Strabone è ben consapevole.

L’articolazione etnico-regionale dell’Italia secondo Strabone    Le  <em>regiones</em> dell’Italia istituite da Augusto [e così individuate da Plinio].
[L’articolazione etnico-regionale dell’Italia secondo Strabone - Le regiones dell’Italia istituite da Augusto (e così individuate da Plinio)]

Indicative sono ... le annotazioni che egli fa a proposito della Iapigia (VI, 3, 1 e 5) e dell’Apulia (VI, 3, 8): ad articolazioni e denominazioni settoriali di carattere locale, κατὰ μέρη, in rapporto cioè con singoli gruppi etnicamente individuabili (Salentini, Calabri, Pedicli, ...), si contrappone la visione esterna unificante, κοινώϛ, che è quella dei Greci: Iapigia o Messapia (VI, 3, 1); così per l’Apulia, che νυνί ["ora"] copre con questo nome, da tutti ormai accettato, articolazioni interne denominate dagli ἐπιχώριοι ἀνάγκη ..., ἀπάσηϛ δὲ ταύτηϛ τῆϛ χώραϛ Ἀπουλίαϛ λεγομένηϛ νυνί, μηδὲ τοὺϛ ὅρουϛ ἐπ’ ἀκριβέϛ λέγεσθαι τῶν ἐθνῶν τούτων (VI, 3, 8): considerato che tutto va ora sotto il nome di Apulia non è più possibile neppure indicare con precisione i confini di quei popoli. L’affermazione è di una chiarezza inequivocabile! Del resto, dirà più avanti (VI, 3, 11), Dauni e Peucezi parlano la stessa lingua degli Apuli e non si distinguono da questi, almeno oggi, per nessun aspetto, anche se è verosimile che un tempo si differenziassero e che per questo motivo anche i nomi si distinguessero in opposizione fra di loro.”

[tratto da Gianfranco Maddoli, “ La percezione della realtà etnica e regionale nell’Italia di Strabone”, in “Geographia Antiqua” rivista di geografia storica del mondo antico e di storia della geografia, XX-XXI, 2011-2012, ed. Leo S. Olschki, Firenze, pp. 35-43.]


La traduzione dal greco (1827-33) del seguente V capitolo del VI libro della "Geografia" di Strabone (prima del 60 a.C. – dopo il 23 d.C.) è di Francesco Ambrosoli (1797-1868), ed è tratta dal volume in calce citato [ndr_1].

Della

Geografia di Strabone

libri 17
volgarizzati da Francesco Ambrosoli


Libro VI - Capo 3 [del greco], V [della traduzione].

[Sommario:]
Ultima parte dell’Italia in cui sono comprese la Japigia e l’Apulia generalmente dette. — Della Japigia o Messapia. — Della città di Taranto. — Del territorio de’ Salentini. — Circuito della penisola ond’è formata la Japigia; e sue città mediterranee. — Di Brentesio e delle strade che muovono da quella città. — Dell’Apulia in generale. — Paese dei Peucezii e dei Daunii. — Digressione sulle distanze assegnate dai geografi. — Paese degli Apuli propriamente detti.


[trascrizione del testo in greco]

[ 3 ] - [ 1 ]

Ἐπεληλυθόσι δ' ἡμῖν τὰ περὶ τὴν ἀρχαίαν Ἰταλίαν μέχρι Μεταποντίου τὰ συνεχῆ λεκτέον. συνεχὴς δ' ἐστὶν ἡ Ἰαπυγία· ταύτην δὲ καὶ Μεσσαπίαν καλοῦσιν οἱ Ἕλληνες, οἱ δ' ἐπιχώριοι κατὰ μέρη τὸ μέν τι Σαλεντίνους καλοῦσι τὸ περὶ τὴν ἄκραν τὴν Ἰαπυγίαν, τὸ δὲ Καλαβρούς. ὑπὲρ τούτους πρόσβορροι Πευκέτιοί τέ εἰσι καὶ Δαύνιοι κατὰ τὴν Ἑλλάδα διάλεκτον προσαγορευόμενοι, οἱ δ' ἐπιχώριοι πᾶσαν τὴν μετὰ τοὺς Καλαβροὺς Ἀπουλίαν καλοῦσι· τινὲς δ' αὐτῶν καὶ Ποίδικλοι λέγονται, καὶ μάλιστα οἱ Πευκέτιοι.

ἔστι δ' ἐπιχερρονησιάζουσα ἡ Μεσσαπία τῷ ἀπὸ Βρεντεσίου μέχρι Τάραντος ἰσθμῷ κλειομένη σταδίων δέκα καὶ τριακοσίων. ὅ τε περίπλους ἐστὶ περὶ τὴν ἄκραν Ἰαπυγίαν σταδίων ὁμοῦ τι τετρακοσίων. τοῦ δὲ Μεταποντίου μὲν διέχει σταδίους περὶ διακοσίους καὶ [ (testo mancante, forse) εἴκοσιν ὁ Τάρας], ὁ δὲ πλοῦς ἐπ' αὐτὸν πρὸς τὰς ἀνατολάς. τοῦ δὲ κόλπου παντὸς τοῦ Ταραντίνου τὸ πλέον ἀλιμένου ὄντος, ἐνταῦθα [λιμήν] ἐστι μέγιστος καὶ κάλλιστος γεφύρᾳ κλειόμενος μεγάλῃ, σταδίων δ' ἐστὶν ἑκατὸν τὴν περίμετρον. ἐκ δὲ τοῦ πρὸς τὸν μυχὸν μέρους ἰσθμὸν ποιεῖ πρὸς τὴν ἔξω θάλατταν, ὥστ' ἐπὶ χερρονήσῳ κεῖσθαι τὴν πόλιν καὶ τὰ πλοῖα ὑπερνεωλκεῖσθαι ῥᾳδίως ἑκατέρωθεν ταπεινοῦ ὄντος τοῦ αὐχένος. ταπεινὸν δὲ καὶ τὸ τῆς πόλεως ἔδαφος, μικρὸν δ' ὅμως ἐπῆρται κατὰ τὴν ἀκρόπολιν. τὸ μὲν οὖν παλαιὸν τεῖχος κύκλον ἔχει μέγαν, νυνὶ δ' ἐκλέλειπται τὸ πλέον τὸ πρὸς τῷ ἰσθμῷ, τὸ δὲ πρὸς τῷ στόματι τοῦ λιμένος, καθ' ὃ καὶ ἡ ἀκρόπολις, συμμένει μέγεθος ἀξιολόγου πόλεως ἐκπληροῦν. ἔχει δὲ γυμνάσιόν τε κάλλιστον καὶ ἀγορὰν εὐμεγέθη, ἐν ᾗ καὶ ὁ τοῦ Διὸς ἵδρυται κολοσσὸς χαλκοῦς, μέγιστος μετὰ τὸν Ῥοδίων. μεταξὺ δὲ τῆς ἀγορᾶς καὶ τοῦ στόματος ἡ ἀκρόπολις μικρὰ λείψανα ἔχουσα τοῦ παλαιοῦ κόσμου τῶν ἀναθημάτων· τὰ γὰρ πολλὰ τὰ μὲν κατέφθειραν Καρχηδόνιοι λαβόντες τὴν πόλιν, τὰ δ' ἐλαφυραγώγησαν Ῥωμαῖοι κρατήσαντες βιαίως· ὧν ἐστι καὶ ὁ Ἡρακλῆς ἐν τῷ Καπετωλίῳ χαλκοῦς κολοσσικός, Λυσίππου ἔργον, ἀνάθημα Μαξίμου Φαβίου τοῦ ἑλόντος τὴν πόλιν.

 

[traduzione dell'Ambrosoli (con mie annotazioni tra parentesi)]

Poiché abbiamo discorsa l’antica Italia fino a Metaponto, ci conviene ora parlare del rimanente; e prima di tutto sèguita la Japigia. Gli Elleni la chiamano anche Messapia e gli abitanti in parte si chiamano Salentini (e son quelli intorno al promontorio Japigio [capo di S. Maria di Leuca]), in parte Calabri. Al di sopra di costoro verso il settentrione stanno i Peucezii; poi quelli che nel greco linguaggio sono denominati Daunii: ma i nativi di quella regione chiamano Apulia tutto il paese al di là dei Calabri. Alcuni poi de’ popoli onde sono abitati que’ luoghi si dicono anche Pedic[u]li, principalmente i Peucezii.

La Messapia si spinge fuori a guisa di penisola il cui istmo va da Brentesio [1] a Taranto per lo spazio di trecento dieci stadii [uno stadio = seicento piedi ~ 180 metri], e la navigazione intorno al capo Japigio [capo S. Maria di Leuca] è di quattrocento [stadii] all’incirca. Da Taranto a Metaponto si naviga per lo spazio di circa duecento stadii verso levante. Il golfo di Taranto poi ch’è quasi tutto importuoso, ha in vicinanza della città un porto grandissimo e bellissimo [2] chiuso da un gran ponte, con cento stadii di circonferenza. Dalla parte che più s’addentra in fra terra forma un istmo che va al mare esteriore, in modo che la città giace sopra una specie di penisola, e il collo dell’istmo è di sì poco momento, che sì possono trasportar facilmente le navi dall’una all’altra parte. Ed è basso anche il suolo su cui è fabbricata la città, se non che sollevasi alcun poco dalla parte della rocca. L’antico muro ha un grande circuito ma ora è per la maggior parte abbandonato verso l’istmo; e solo verso la bocca del porto, dov’è anche la rocca, continua ad essere popolata, formando un corpo di ragguardevol città. Ha un ginnasio bellissimo ed una piazza assai grande nella quale è posto anche il colosso di Giove fatto di rame e maggiore di tutti dopo quello di Rodi [Egeo, Grecia]. Fra mezzo poi alla piazza ed alla bocca del porto avvi la cittadella, la quale conserva oramai soltanto piccoli vestigi dello splendore che le veniva dai monumenti antichi. Perocché la maggior parte di questi fu distrutta dai Cartaginesi quando presero la città; gli altri li rapirono i Romani, allorché se ne fecero a viva forza padroni. Tal è l’Ercole colossale di rame che trovasi nel Campidoglio, opera di Lisippo, e dono di Fabio Massimo espugnatore di quella città.


[ 2 ]

Περὶ δὲ τῆς κτίσεως Ἀντίοχος λέγων φησὶν ὅτι τοῦ Μεσσηνιακοῦ πολέμου γενηθέντος οἱ μὴ μετασχόντες Λακεδαιμονίων τῆς στρατείας ἐκρίθησαν δοῦλοι καὶ ὠνομάσθησαν Εἵλωτες, ὅσοις δὲ κατὰ τὴν στρατείαν παῖδες ἐγένοντο, Παρθενίας ἐκάλουν καὶ ἀτίμους ἔκριναν· οἱ δ' οὐκ ἀνασχόμενοι (πολλοὶ δ' ἦσαν) ἐπεβούλευσαν τοῖς τοῦ δήμου. αἰσθόμενοι δ' ὑπέπεμψάν τινας, οἳ προσποιήσει φιλίας ἔμελλον ἐξαγγέλλειν τὸν τρόπον τῆς ἐπιβουλῆς. τούτων δ' ἦν καὶ Φάλανθος, ὅσπερ ἐδόκει προστάτης ὑπάρχειν αὐτῶν, οὐκ ἠρέσκετο δ' ἁπλῶς τοῖς περὶ τῆς [ἐπι]βουλῆς ὀνομασθεῖσι. συνέκειτο μὲν δὴ τοῖς Ὑακινθίοις ἐν τῷ Ἀμυκλαίῳ συντελουμένου τοῦ ἀγῶνος, ἡνίκ' ἂν τὴν [κυνῆν] περίθηται ὁ Φάλανθος, ποιεῖσθαι τὴν ἐπίθεσιν· γνώριμοι δ' ἦσαν ἀπὸ τῆς κόμης οἱ τοῦ δήμου. ἐξαγγειλάντων δὲ λάθρᾳ τὰ συγκείμενα τῶν περὶ Φάλανθον καὶ τοῦ ἀγῶνος ἐνεστῶτος, προελθὼν ὁ κήρυξ εἶπε μὴ περιθέσθαι κυνῆν Φάλανθον. οἱ δ' αἰσθόμενοι ὡς μεμηνύκασι τὴν ἐπιβουλὴν οἱ μὲν διεδίδρασκον οἱ δὲ ἱκέτευον. κελεύσαντες δ' αὐτοὺς θαρρεῖν φυλακῇ παρέδοσαν, τὸν δὲ Φάλανθον ἔπεμψαν εἰς θεοῦ περὶ ἀποικίας· ὁ δ' ἔχρησε

Σατύριόν τοι δῶκα Τάραντά τε πίονα δῆμον
οἰκῆσαι, καὶ πῆμα Ἰαπύγεσσι γενέσθαι.

ἧκον οὖν σὺν Φαλάνθῳ οἱ Παρθενίαι, καὶ ἐδέξαντο αὐτοὺς οἵ τε βάρβαροι καὶ οἱ Κρῆτες οἱ προκατασχόντες τὸν τόπον. τούτους δ' εἶναί φασι τοὺς μετὰ Μίνω πλεύσαντας εἰς Σικελίαν, καὶ μετὰ τὴν ἐκείνου τελευτὴν τὴν ἐν Καμικοῖς παρὰ Κωκάλῳ συμβᾶσαν ἀπάραντας ἐκ Σικελίας κατὰ δὲ τὸν ἀνάπλουν δεῦρο παρωσθέντας, ὧν τινὰς ὕστερον πεζῇ περιελθόντας τὸν Ἀδρίαν μέχρι Μακεδονίας Βοττιαίους προσαγορευθῆναι. Ἰάπυγας δὲ λεχθῆναι πάντας φασὶ μέχρι τῆς Δαυνίας ἀπὸ Ἰάπυγος, ὃν ἐκ Κρήσσης γυναικὸς Δαιδάλῳ γενέσθαι φασὶ καὶ ἡγήσασθαι τῶν Κρητῶν· Τάραντα δ' ὠνόμασαν ἀπὸ ἥρωός τινος τὴν πόλιν.

 

Antioco parlando della fondazione di Taranto dice che, terminata la guerra Messenica, i non intervenuti alla spedizione de’ Lacedemoni furono giudicati schiavi e denominaronsi Iloti; e i figliuoli nati nel tempo della guerra chiamaronsi Partenii e si ebbero in conto d’infami. Ma costoro (ch’erano molti) mal comportando un tal giudizio, congiurarono contro i cittadini: i quali avendone avuto sentore mandarono ad essi alcuni che fingendosi amici si mettessero in grado di svelare l’insidie ch’essi tramavano. E fra questi v’ebbe Falanto, che in apparenza mostrava di esser capo di tutti, ma nel vero poi non s’accordava punto con coloro ch’erano principali della congiura [3] . Fu pertanto ordinato che nelle feste Zacintine da celebrarsi nel tempio Amicleo, quando Falanto si coprirebbe col suo berretto dovessero tutti assalire i cittadini, i quali si conoscevano a’ capegli: ma avendo alcuni segretamente riferite le cose ordinate dai compagni di Falanto, quando fu cominciata la festa si fece nel mezzo un araldo e comandò che Falanto non si coprisse col suo berretto. Allora i congiurati accorgendosi che il loro disegno era stato scoperto, in parte fuggirono, in parte si volsero a domandare perdono: e i cittadini dicendo loro che si facessero animo, li consegnarono alla prigione, e mandarono Falanto a consultare l’oracolo, in qual luogo potesse condurre una colonia e l’oracolo rispose:

Ti concedo di abitare Satireo il pingue paese di Taranto,
ed essere il flagello de’ Japigii
.

Vennero dunque i Partenii insiem con Falanto a cotesti luoghi, dove li accolsero così i barbari come i Cretesi che n’erano possessori. Costoro, per quanto si dice, eran venuti con Minosse nella Sicilia; e dopo la morte di lui, accaduta in Camico [forse Agrigento] presso Cocalo [il re di Camico], partitisi dalla Sicilia furono da una tempesta sospinti colà; d’onde poi alcuni proseguendo per terra il loro viaggio lungo l’Adriatico, giunsero fin nella Macedonia, e si denominarono Bottiei.
Dicesi inoltre che tutti i popoli fino alla Daunia furono detti Japigii da quel Japige che nacque, come si narra, a Dedalo da una donna cretese, e divenne poi capo di quei di Creta. E la città di Taranto ebbe il suo nome da quello di un eroe.


[ 3 ]

Ἔφορος δ' οὕτω λέγει περὶ τῆς κτίσεως· ἐπολέμουν Λακεδαιμόνιοι Μεσσηνίοις ἀποκτείνασι τὸν βασιλέα Τήλεκλον εἰς Μεσσήνην ἀφικόμενον ἐπὶ θυσίαν, ὀμόσαντες μὴ πρότερον ἐπανήξειν οἴκαδε πρὶν ἢ Μεσσήνην ἀνελεῖν ἢ πάντας ἀποθανεῖν· φύλακας δὲ τῆς πόλεως κατέλιπον στρατεύοντες τούς τε νεωτάτους καὶ πρεσβυτάτους τῶν πολιτῶν. δεκάτῳ δ' ὕστερον [ἔτει] τοῦ πολέμου τὰς γυναῖκας τῶν Λακεδαιμονίων συνελθούσας ἐξ ἑαυτῶν πέμψαι τινὰς παρὰ τοὺς ἄνδρας τὰς μεμψομένας, ὡς οὐκ ἐπ' ἴσοις πολεμοῖεν πρὸς τοὺς Μεσσηνίους (οἱ μὲν γὰρ μένοντες τεκνοποιοῦνται, οἱ δὲ χήρας ἀφέντες τὰς γυναῖκας ἐν τῇ πολεμίᾳ ἐστρατοπέδευον), καὶ κίνδυνος εἴη λειπανδρῆσαι τὴν πατρίδα. οἱ δ' ἅμα καὶ τὸν ὅρκον φυλάττοντες καὶ τὸν τῶν γυναικῶν λόγον ἐν νῷ θέμενοι πέμπουσι τῆς στρατιᾶς τοὺς εὐρωστοτάτους ἅμα καὶ νεωτάτους, οὓς ᾔδεσαν οὐ μετασχόντας τῶν ὅρκων διὰ τὸ παῖδας ἔτι ὄντας συνεξελθεῖν τοῖς ἐν ἡλικίᾳ· προσέταξαν δὲ συγγίνεσθαι ταῖς παρθένοις ἁπάσαις ἅπαντας, ἡγούμενοι πολυτεκνήσειν μᾶλλον· γενομένων δὲ τούτων οἱ μὲν παῖδες ὠνομάσθησαν Παρθενίαι.
Μεσσήνη δὲ ἑάλω πολεμηθεῖσα ἐννεακαίδεκα ἔτη, καθάπερ καὶ Τυρταῖός

φησιν ἀμφ' αὐτὴν δ' ἐμάχοντ' ἐννεακαίδεκ' ἔτη,
νωλεμέως αἰεὶ ταλασίφρονα θυμὸν ἔχοντες,
αἰχμηταὶ πατέρων ἡμετέρων πατέρες.
εἰκοστῷ δ' οἱ μὲν κατὰ πίονα ἔργα λιπόντες
φεῦγον Ἰθωμαίων ἐκ μεγάλων ὀρέων.

τὴν μὲν οὖν Μεσσηνίαν κατενείμαντο, ἐπανελθόντες δ' οἴκαδε τοὺς Παρθενίας οὐχ ὁμοίως τοῖς ἄλλοις ἐτίμων ὡς οὐκ ἐκ γάμου γεγονότας· οἳ συνιστάμενοι μετὰ τῶν Εἱλώτων ἐπεβούλευσαν τοῖς Λακεδαιμονίοις καὶ συνέθεντο ἆραι σύσσημον ἐν τῇ ἀγορᾷ πῖλον Λακωνικόν, ἐπειδὰν ἐγχειρῶσι. τῶν δὲ Εἱλώτων τινὲς ἐξαγγείλαντες, τὸ μὲν ἀντεπιτίθεσθαι χαλεπὸν ἔγνωσαν· καὶ γὰρ πολλοὺς εἶναι καὶ πάντας ὁμόφρονας, ὡς ἂν ἀλλήλων ἀδελφοὺς νομιζομένους· τοὺς μέλλοντας δ' αἴρειν τὸ σύσσημον ἐκ τῆς ἀγορᾶς ἀπιέναι προσέταξαν. οἱ μὲν δὴ μεμηνυμένην αἰσθόμενοι τὴν πρᾶξιν ἐπέσχον, οἱ δὲ διὰ τῶν πατέρων ἔπεισαν αὐτοὺς εἰς ἀποικίαν ἐξελθεῖν· κἂν μὲν κατάσχωσιν ἀρκοῦντα τὸν τόπον, μένειν, εἰ δὲ μή, τῆς Μεσσηνίας τὸ πέμπτον κατανείμασθαι μέρος ἐπανιόντας. οἱ δὲ σταλέντες κατελάβοντο τοὺς Ἀχαιοὺς πολεμοῦντας τοῖς βαρβάροις, μετασχόντες δὲ τῶν κινδύνων κτίζουσι τὴν Τάραντα.

 

Ma intorno alla sua fondazione Eforo dice così. I Lacedemoni mossero guerra ai Messenii che loro avevano ucciso il re Teleclo venuto a Messene per cagione di sagrificii, e giurarono di non ritornare alla patria se o non avessero prima distrutta quella città, o non fossero tutti rimasti uccisi. Mentre pertanto attendevano a quella spedizione lasciarono custodi di Lacedemone i più giovani e i più vecchi dei cittadini. Ma dopo dieci anni di guerra le mogli congregatesi insieme mandarono alcune di loro ai mariti rimproverandoli che guerreggiassero contro i Messenii a disuguali condizioni: perocché quelli restando nelle case loro procreavansi de’ figliuoli, ed essi invece, lasciate vedove le mogli, stavano a campo in territorio nemico, e così v’era pericolo che la patria rimanesse senza abitanti. Laonde i Lacedemoni volendo da una parte custodire il giuramento, e considerando dall’altra il discorso delle loro donne, mandarono ad esse dal campo i più robusti insieme e i più giovani (i quali per avere lasciata la patria quando erano ancora fanciulli non parevan tenuti al giuramento predetto), e loro ordinarono di congiungersi tutti con tutte le vergini, persuadendosi che per tal modo potrebbero avere gran numero di figliuoli; i quali poi essendo nati, denominaronli Partenii [4].
Messene poi, combattuta per diciannove anni, fu presa, come dice anche Tirteo:

Intorno ad essa guerreggiarono diciannove anni,
conservando sempre lo stesso animo ardito,
i bellicosi padri dei nostri padri;
ma nel vigesimo poi abbandonando i pingui loro colli
fuggirono dalle alte sommità d’Itoma
.

Dopo di ciò i Lacedemoni divisero fra loro il territorio di Messene: ma come furono ritornati alla patria non tennero nello stesso onore degli altri figliuoli i Partenii, perché non erano nati da matrimonii. E questi, unitisi cogl’Iloti, congiurarono contro a’ Lacedemoni, accordandosi di metter mano all’impresa quando si vedesse innalzar nella piazza un berretto lacone. Se non che alcuni Iloti denunciarono la congiura; e i Lacedemoni, giudicando che sarebbe difficile volerli pigliare di fronte (perciocché erano molti e tutti d’una mente per considerarsi come fratelli) ordinarono solamente a coloro i quali dovevano sollevare il berretto di allontanarsi dalla piazza. Allora i Partenii accorgendosi ch’era stato scoperto quanto essi avevano meditato, si ritrassero dall’impresa; e i Lacedemoni per mezzo de’ padri li persuasero ad uscir della patria per fondare altrove una colonia: e se trovassero un luogo opportuno quivi fermassero la loro sede; se no, ritornando, otterrebbero la quinta parte del territorio di Messene. Costoro per tal modo inviati s’abbatterono negli Achei che avevano guerra co’ barbari, ed entrati con essi a parte di quel pericolo, fondarono Taranto.


[ 4 ]

Ἴσχυσαν δέ ποτε οἱ Ταραντῖνοι καθ' ὑπερβολὴν πολιτευόμενοι δημοκρατικῶς· καὶ γὰρ ναυτικὸν ἐκέκτηντο μέγιστον τῶν ταύτῃ καὶ πεζοὺς ἔστελλον τρισμυρίους, ἱππέας δὲ τρισχιλίους, ἱππάρχους δὲ χιλίους. ἀπεδέξαντο δὲ καὶ τὴν Πυθαγόρειον φιλοσοφίαν, διαφερόντως δ' Ἀρχύτας, ὃς καὶ προέστη τῆς πόλεως πολὺν χρόνον. ἐξίσχυσε δ' ἡ ὕστερον τρυφὴ διὰ τὴν εὐδαιμονίαν, ὥστε τὰς πανδήμους ἑορτὰς πλείους ἄγεσθαι κατ' ἔτος παρ' αὐτοῖς ἢ τὰς ἡμέρας· ἐκ δὲ τούτου καὶ χεῖρον ἐπολιτεύοντο. ἓν δὲ τῶν φαύλων πολιτευμάτων τεκμήριόν ἐστι τὸ ξενικοῖς στρατηγοῖς χρῆσθαι· καὶ γὰρ τὸν Μολοττὸν Ἀλέξανδρον μετεπέμψαντο ἐπὶ Μεσσαπίους καὶ Λευκανούς, καὶ ἔτι πρότερον Ἀρχίδαμον τὸν Ἀγησιλάου καὶ ὕστερον Κλεώνυμον καὶ Ἀγαθοκλέα, εἶτα Πύρρον, ἡνίκα συνέστησαν πρὸς Ῥωμαίους. οὐδ' ἐκείνοις δ' εὐπειθεῖν ἠδύναντο οὓς ἐπεκαλοῦντο, ἀλλ' εἰς ἔχθραν αὐτοὺς καθίστασαν. ὁ γοῦν Ἀλέξανδρος τὴν κοινὴν Ἑλλήνων τῶν ταύτῃ πανήγυριν, ἣν ἔθος ἦν ἐν Ἡρακλείᾳ συντελεῖν τῆς Ταραντίνης, μετάγειν ἐπειρᾶτο εἰς τὴν Θουρίαν κατὰ ἔχθος, ἐκέλευέ τε κατὰ τὸν Ἀκάλανδρον ποταμὸν τειχίζειν τόπον, ὅπου ἔσοιντο αἱ σύνοδοι· καὶ δὴ καὶ ἡ συμβᾶσα αὐτῷ κακοπραγία διὰ τὴν ἐκείνων ἀγνωμοσύνην ἀπαντῆσαι λέγεται. πρὸς δὲ Μεσσαπίους ἐπολέμησαν περὶ Ἡρακλείας, ἔχοντες συνεργοὺς τόν τε τῶν Δαυνίων καὶ τὸν τῶν Πευκετίων βασιλέα. περί τε τὰ Ἀννίβεια καὶ τὴν ἐλευθερίαν ἀφῃρέθησαν, ὕστερον δ' ἀποικίαν Ῥωμαίων δεξάμενοι καθ' ἡσυχίαν ζῶσι καὶ βέλτιον ἢ πρότερον.

 

I Tarentini si governarono democraticamente e furono un tempo fortissimi [5]: il loro navile fu il maggiore che si sapesse in que’ luoghi; e mandavano fuori trenta mila fanti, tremila soldati a cavallo, e mille ipparchi [comandanti della cavalleria]. Adottarono la filosofia pitagorica; principalmente Archita che presiedette per molto tempo alla città. Ma prevalse col tempo il lusso introdotto dalla prosperità, sicché presso di loro nel corso dell’anno si celebravano più pubbliche feste che non sono i giorni.
Di qui poi si corruppe il loro governo: e ne fa prova una delle cattive loro istituzioni, cioè quella di affidarsi a capitani stranieri: perocché chiamarono Alessandro Molosso per inviarlo contro i Messapii e i Leucani; e prima aveano avuto Archidamo figliuolo di Agesilao; e più tardi chiamarono a sé Cleonimo ed Agatocle; e poi Pirro, quando levaronsi contra i Romani. Oltreché non sapevano indursi a ubbidire que’ medesimi ch’essi avevano chiamati, ma se li facevan nemici. Quindi Alessandro per odio contro di loro tentò di trasportare a Turi la comune adunanza degli Elleni d’Italia che solevasi celebrare in Eraclea sul territorio de’ Tarentini e ordinò che vicino al fiume Acalandro si murasse un luogo dove poi si tenessero quelle assemblee. Ed anche la mala ventura da Alessandro incontrata dicesi che procedesse dalla ingratitudine de’ Tarentini verso di lui.
Del resto guerreggiarono per Eraclea contro i Messapii, ed ebbero ausiliari il re dei Daunii e quello dei Peucezii. Al tempo di Annibale poi perdettero anche la libertà: dopo di che avendo ricevuta una colonia di Romani vivono nella quiete e meglio di prima.


[ 5 ]

Ἡ δ' ἑξῆς τῶν Ἰαπύγων χώρα παραδόξως ἐστὶν ἀστεία· ἐπιπολῆς γὰρ φαινομένη τραχεῖα εὑρίσκεται βαθύγειος σχιζομένη, ἀνυδροτέρα δ' οὖσα εὔβοτος οὐδὲν ἧττον καὶ εὔδενδρος ὁρᾶται. εὐάνδρησε δέ ποτε καὶ τοῦτο σφόδρα τὸ χωρίον σύμπαν καὶ ἔσχε πόλεις τρισκαίδεκα, ἀλλὰ νῦν πλὴν Τάραντος καὶ Βρεντεσίου τἆλλα πολισμάτιά ἐστιν·

οὕτως ἐκπεπόνηνται. τοὺς δὲ Σαλεντίνους Κρητῶν ἀποίκους φασίν· ἐνταῦθα δ' ἐστὶ καὶ τὸ τῆς Ἀθηνᾶς ἱερὸν πλούσιόν ποτε ὑπάρξαν, καὶ ὁ σκόπελος, ὃν καλοῦσιν ἄκραν Ἰαπυγίαν, πολὺς ἐκκείμενος εἰς τὸ πέλαγος καὶ τὰς χειμερινὰς ἀνατολάς, ἐπιστρέφων δέ πως ἐπὶ τὸ Λακίνιον ἀνταῖρον ἀπὸ τῆς ἑσπέρας αὐτῷ καὶ κλεῖον τὸ στόμα τοῦ Ταραντίνου κόλπου πρὸς αὐτόν. καὶ τὰ Κεραύνια δ' ὁμοίως ὄρη κλείει πρὸς αὐτὸν τὸ στόμα τοῦ Ἰονίου κόλπου, καὶ ἔστι τὸ δίαρμα ὅσον ἑπτακοσίων σταδίων ἀπ' αὐτοῦ πρός τε τὰ Κεραύνια καὶ πρὸς τὸ Λακίνιον. περίπλους δ' [ἐκ] Τάραντός ἐστιν εἰς Βρεντέσιον μέχρι μὲν Βάριδος πολίχνης ἑξακόσιοι στάδιοι· καλοῦσι δὲ Βᾶριν οἱ νῦν Ὀυερητόν, κεῖται δ' ἐπὶ τοῖς ἄκροις τῆς Σαλεντίνης, καὶ τὸ πολὺ πεζῇ μᾶλλον ἢ κατὰ πλοῦν εἰς αὐτὴν ἐκ τοῦ Τάραντος εὐμαρὴς ἡ ἄφιξίς ἐστιν. ἔνθεν εἰς τὰ Λευκὰ στάδιοι ὀγδοήκοντα, πολίχνιον καὶ τοῦτο, ἐν ᾧ δείκνυται πηγὴ δυσώδους ὕδατος· μυθεύουσι δ' ὅτι τοὺς περιλειφθέντας τῶν γιγάντων ἐν τῇ κατὰ Καμπανίαν Φλέγρᾳ Λευτερνίους καλουμένους Ἡρακλῆς ἐξελάσειε, καταφυγόντες [δὲ] δεῦρο ὑπὸ γῆς περισταλεῖεν, ἐκ δὲ ἰχώρων τοιοῦτον ἴσχοι ῥεῦμα ἡ πηγή· διὰ τοῦτο δὲ καὶ τὴν παραλίαν ταύτην Λευτερνίαν προσαγορεύουσιν.

ἐκ δὲ τῶν Λευκῶν εἰς Ὑδροῦντα πολίχνην ἑκατὸν πεντήκοντα· ἐντεῦθεν δ' εἰς Βρεντέσιον τετρακόσιοι· οἱ δ' ἴσοι καὶ εἰς Σάσωνα τὴν νῆσον, ἥτις μέση πως ἵδρυται τοῦ διάρματος τοῦ ἐκ τῆς Ἠπείρου πρὸς τὸ Βρεντέσιον· διόπερ οἱ μὴ δυνάμενοι κρατεῖν τῆς εὐθυπλοίας καταίρουσιν ἐν ἀριστερᾷ ἐκ τοῦ Σάσωνος πρὸς τὸν Ὑδροῦντα, ἐντεῦθεν δὲ τηρήσαντες φορὸν πνεῦμα προσέχουσι τοῖς μὲν Βρεντεσίνων λιμέσιν, ἐκβάντες δὲ πεζεύουσι συντομώτερον ἐπὶ Ῥοδιῶν πόλεως Ἑλληνίδος, ἐξ ἧς ἦν ὁ ποιητὴς Ἔννιος.

ἔοικεν οὖν χερρονήσῳ τὸ περιπλεόμενον χωρίον ἐκ Τάραντος εἰς Βρεντέσιον· ἡ δ' ἐκ Βρεντεσίου πεζευομένη ὁδὸς εἰς τὸν Τάραντα, εὐζώνῳ μιᾶς οὖσα ἡμέρας, τὸν ἰσθμὸν ποιεῖ τῆς εἰρημένης χερρονήσου, ἣν Μεσσαπίαν τε καὶ Ἰαπυγίαν καὶ Καλαβρίαν καὶ Σαλεντίνην κοινῶς οἱ πολλοὶ προσαγορεύουσι· τινὲς δὲ διαιροῦσιν, ὡς ἐλέγομεν πρότερον.
Τὰ μὲν οὖν ἐν τῷ παράπλῳ πολίχνια εἴρηται.

 

Il paese dei Japigii che viene appresso è buono quantunque paja il contrario: perocché nella superficie apparisce aspro, ma arandolo si trova di buon terreno, e sebbene sia senz’acqua, nondimeno è acconcio ai pascoli e si vede bene arborato. E una volta tutto questo paese fu anche assai popoloso, ed ebbe tredici città: ma ora, fuor Taranto e Brentesio [Brindisi], le altre son luoghi di picciol conto; tante sventure soffersero.

I Salentini si dice che furono una colonia de’ Cretesi. Appo loro si trovano e il tempio di Minerva che fu una volta assai ricco, e quello scoglio chiamato promontorio Japigio [6], che giace mollo addentro nel mare contro il levante d’inverno; se non che si converte alcun poco verso il Lacinio [presso Crotone] all’occidente, e chiude con quello la bocca del golfo tarentino. Così parimente anche i monti Ceraunii [nell’Epiro, tra Albania e Grecia] si piegano a formare la bocca del golfo Ionio la cui apertura è di circa settecento stadii, cominciandosi dal detto promontorio Japigio fino ai Ceraunii ed al capo Lacinio [presso Crotone]. Navigando lungo la costa da Taranto verso Brentesio [Brindisi] v’hanno seicento stadii per giungere alla piccola città di Bari. I moderni la chiamano Vereto [circa Patù-Leuca]: giace nell’estremità del territorio Salentino; e per andarvi da Taranto il viaggio è in gran parte più facile per terra che per mare. Da Bari a Leuca [7] contansi ottanta stadii; ed è anche questa una piccola città nella quale si mostra una sorgente d’acqua di cattivo odore: e favoleggiano che i Giganti detti Leuternii vinti a Flegra nella Campania e perseguitati da Ercole furono in questo luogo inghiottiti sotterra, e che dal lor putridume l’acqua della fontana contrasse questo fetore. Quindi poi (aggiungono) quella spiaggia fu anche della Leuternia.

Da Leuca alla piccola città d’Idrunte [8] sono centocinquanta stadii: di quivi a Brentesio [Brindisi] quattrocento, e altrettanti fino all’isola di Saso [9] la quale può dirsi fondata in meno allo spazio ch’è dall’Epiro a Brentesio [Brindisi]. Quindi coloro che non possono fare una navigazione diretta piegansi alla sinistra di Saso verso Idrunte [Otranto], dove poi o aspettano il vento propizio e van con quello ai porti di Brentesio [Brindisi], o sbarcando piglian la strada di terra che è più breve, attraversando Rodeo [10], città ellenica donde fu nativo il poeta Ennio.

Il paese adunque da Taranto a Brentesio [Brindisi] può costeggiarsi per mare e somiglia ad una penisola; e la strada terrestre da Brentesio a Taranto, che forma l’istmo della penisola stessa, può essere da un buon viaggiatore percorsa in un giorno. I più denominano comunemente questa penisola o Messapia, o Japigia, o Calabria o Salentina ma alcuni dinotano con questi nomi diverse parti, come abbiam detto già prima.
Fin qui abbiamo parlato delle piccole città che si trovano lungo la spiaggia di questa penisola.


[ 6 ]

Ἐν δὲ τῇ μεσογαίᾳ Ῥοδίαι τέ εἰσι καὶ Λουπίαι καὶ μικρὸν ὑπὲρ τῆς θαλάττης Ἀλητία· ἐπὶ δὲ τῷ ἰσθμῷ μέσῳ Οὐρία, ἐν ᾗ βασίλειον ἔτι δείκνυται τῶν δυναστῶν τινος. εἰρηκότος δ' Ἡροδότου Ὑρίαν εἶναι ἐν τῇ Ἰαπυγίᾳ κτίσμα Κρητῶν τῶν πλανηθέντων ἐκ τοῦ Μίνω στόλου τοῦ εἰς Σικελίαν, ἤτοι ταύτην δεῖ δέχεσθαι ἢ τὸ Ὀυερητόν.

Βρεντέσιον δ' ἐποικῆσαι μὲν λέγονται Κρῆτες οἱ μετὰ Θησέως ἐπελθόντες ἐκ Κνωσσοῦ, [εἴθ'] οἱ ἐκ τῆς Σικελίας ἀπηρκότες μετὰ τοῦ Ἰάπυγος (λέγεται γὰρ ἀμφοτέρως)· οὐ συμμεῖναι δέ φασιν αὐτούς, ἀλλ' ἀπελθεῖν εἰς τὴν Βοττιαίαν. ὕστερον δὲ ἡ πόλις βασιλευομένη πολλὴν ἀπέβαλε τῆς χώρας ὑπὸ τῶν μετὰ Φαλάνθου Λακεδαιμονίων, ὅμως δ' ἐκπεσόντα αὐτὸν ἐκ τοῦ Τάραντος ἐδέξαντο οἱ Βρεντεσῖνοι, καὶ τελευτήσαντα ἠξίωσαν λαμπρᾶς ταφῆς. χώραν δ' ἔχουσι βελτίω τῆς Ταραντίνων· λεπτόγεως γὰρ ἐκείνη, χρηστόκαρπος δέ, μέλι δὲ καὶ ἔρια τῶν σφόδρα ἐπαινουμένων ἐστί. καὶ εὐλίμενον δὲ μᾶλλον τὸ Βρεντέσιον· ἑνὶ γὰρ στόματι πολλοὶ κλείονται λιμένες ἄκλυστοι, κόλπων ἀπολαμβανομένων ἐντός, ὥστ' ἐοικέναι κέρασιν ἐλάφου τὸ σχῆμα, ἀφ' οὗ καὶ τοὔνομα· σὺν γὰρ τῇ πόλει κεφαλῇ μάλιστα ἐλάφου προσέοικεν ὁ τόπος, τῇ δὲ Μεσσαπίᾳ γλώττῃ βρέντιον ἡ κεφαλὴ τοῦ ἐλάφου καλεῖται.
ὁ δὲ Ταραντῖνος οὐ παντελῶς ἐστιν ἄκλυστος διὰ τὸ ἀναπεπτάσθαι, καί τινα καὶ προσβραχῆ ἔχει τὰ περὶ τὸν μυχόν.

 

 

Dentro terra sono Rodeo [Rudiæ del Salento, per i Romani] e Lupia [Lecce]; e poco distante dal mare Salepia. Nel mezzo dell’istmo trovasi Tureo [da intendere Hyria-Oria], dove suol mostrarsi la reggia di un principe che vi regnò. E dicendo Erodoto [11] che v’ha nella Japigia una città detta Uria [Hyria-Oria] fondata da que’ Cretesi che si divisero dalla flotta cui Minosse guidava nella Sicilia, è da credere che volesse significare Tureo [Hyria-Oria] o Vereto [circa Patù-Leuca].

Rispetto a Brentesio [Brindisi] dicesi che ricevette una colonia di Cretesi, i quali vi approdarono insieme con Teseo venendo da Gnosso; ovvero di quelli che vennero dalla Sicilia, condottiero Japige. Perocché l’una e l’altra cosa si dice; ma soggiungono altresì che questi coloni non poterono fermarvi il loro soggiorno; sicché partendosi di colà trasferironsi nella Bottiea [regione meridionale della Macedonia]. In progresso di tempo questa città governata da re perdette molta parte del suo territorio che le fu tolto dai Lacedemoni sotto la capitananza di Falanto. Nondimeno quando egli fu discacciato da Taranto, i Brentesini [Brindisini] lo accolsero, e dopo la sua morte l’onorarono di una splendida tomba. Del resto, la città di Brentesio [Brindisi] ha migliore territorio dei Tarentini, leggiero e fruttifero assai; oltreché il miele e la lana di quel paese sono de’ più lodati. Aggiungasi che Brentesio [Brindisi] ha più comodi porti di Taranto, giacché una sola bocca chiude dentro di sé molti porti sicuri dalle tempeste; ciò sono parecchi seni del medesimo golfo: sicché nella figura somiglia alle corna d’un cervo, d’onde poi ricevette anche il nome: perocché tutto il luogo insieme colla città somiglia grandemente alla testa di un cervo; e nella lingua de’ Messapii la testa di un cervo chiamasi appunto Brentesio.
Il porto di Taranto invece non è al tutto sicuro dalle tempeste per essere la sua bocca, assai larga, ed avere nelle sue parti più intime alcuni bassi fondi.


[ 7 ]

Ἔτι δὲ τοῖς ἀπό τῆς Ἑλλάδος καὶ τῆς Ἀσίας διαίρουσιν εὐθύπλοια μᾶλλόν ἐστιν ἐπὶ τό Βρεντέσιον, καὶ δὴ καὶ δεῦρο πάντες καταίρουσιν οἷς εἰς τὴν Ῥώμην πρόκειται ὁδός.
δύο δέ εἰσι,
μία μὲν ἡμιονικὴ διὰ Πευκετίων, οὓς Ποιδίκλους καλοῦσι, καὶ Δαυνίων καὶ Σαυνιτῶν μέχρι Βενεουεντοῦ, ἐφ' ᾗ ὁδῷ Ἐγνατία πόλις, εἶτα Καιλία καὶ Νήτιον καὶ Κανύσιον καὶ Ἑρδωνία·
ἡ δέ διὰ Τάραντος μικρόν ἐν ἀριστερᾷ ὅσον δὴ μιᾶς ἡμέρας περίοδον κυκλεύσαντι, ἡ Ἀππία λεγομένη, ἁμαξήλατος μᾶλλον· ἐν ταύτῃ δέ πόλις Οὐρία τε καὶ Ὀυενουσία, ἡ μὲν μεταξὺ Τάραντος καὶ Βρεντεσίου, ἡ δ' [ἐν] μεθορίοις Σαυνιτῶν καὶ Λευκανῶν.
συμβάλλουσι δὲ ἄμφω κατὰ Βενεουεντόν καὶ τὴν Καμπανίαν ἐκ τοῦ Βρεντεσίου. τοὐντεῦθεν δ' ἤδη μέχρι τῆς Ῥώμης Ἀππία καλεῖται, διὰ Καυδίου καὶ Καλατίας καὶ Καπύης καὶ Κασιλίνου μέχρι Σινοέσσης· τὰ δ' ἐνθένδε εἴρηται. ἡ δὲ πᾶσά ἐστιν ἐκ Ῥώμης εἰς Βρεντέσιον μίλια τριακόσια ἑξήκοντα.
τρίτη δ' ἐστὶν ἐκ Ῥηγίου διὰ Βρεττίων καὶ Λευκανῶν καὶ τῆς Σαυνίτιδος εἰς τὴν Καμπανίαν, συνάπτουσα εἰς τὴν Ἀππίαν, μακροτέρα τῆς ἐκ Βρεντεσίου τρισὶν ἢ τέτταρσιν ἡμέραις διὰ τῶν Ἀπεννίνων ὀρῶν.

 

Ancora a coloro che fanno il tragitto partendo dalla Grecia e dall’Asia, la navigazione diritta è verso Brentesio [Brindisi]; e però di quivi passano tutti quelli che si propongono di andare a Roma.
Due poi sono le strade da Brentesio [Brindisi] a Roma;
- una "ἠμιονιϰἠ", mulattiera [interpretabile anche "ἠ Μινοιϰία" chiamata Minucia], attraversa i Pencezii detti anche Pedic[u]li, i Daunii e i Sanniti fino a Benevento; e lungo questa strada sono la città Egnazia [12], poi Celia [Καιλία, presso Ceglie del Campo, sotto Bari)], Nezio, Canusio [Canosa] e Cerdonia [Herdonia-Ordona]:
- l’altra passa per Taranto tenendo alcun poco a sinistra quant’è il viaggio d’un giorno all’incirca: questa dicesi Via Appia ed è più acconcia ad essere carreggiata; e lungh’essa stanno le città di Uria [Oria] e di Venosa la prima situata fra Taranto e Brentesio [Brindisi], la seconda sui confini dei Sanniti e dei Leucani. Tutte due queste vie, partendosi divise da Brentesio [Brindisi], si congiungono verso Benevento e la Campania. Di quivi poi fino a Roma formano la così detta Via Appia attraversando Caudio [presso Benevento], Calazia [presso Capua], Capua e Casilino fino a Sinuessa [a Nord di Mondragone (Na)]. Le altre città che vengon dopo le abbiamo già nominate. E tutto intero questo cammino da Roma fino a Brentesio [Brindisi] è di trecento sessanta miglia.
Avvi poi una terza strada che si parte da Reggio, attraversa i Brezii [l’attuale Calabria], i Leucani [o Lucania-Basilicata], i Sanniti [il Sannio] e conduce nella Campania, ed all’ultimo si congiunge anch’essa coll’Appia valicando i monti Appennini; ma è più lunga delle altre il viaggio di tre o quattro giorni.


[ 8 ]

Ὁ δ' εἰς τὴν περαίαν ἐκ τοῦ Βρεντεσίου πλοῦς [διπλοῦς] ἐστὶν ὁ μὲν ἐπὶ τὰ Κεραύνια καὶ τὴν ἑξῆς παραλίαν τῆς τε Ἠπείρου καὶ τῆς Ἑλλάδος, ὁ δ' εἰς Ἐπίδαμνον μείζων τοῦ προτέρου· χιλίων γάρ ἐστι καὶ ὀκτακοσίων σταδίων· τέτριπται δὲ καὶ οὗτος διὰ τὸ τὴν πόλιν εὐφυῶς κεῖσθαι πρός τε τὰ τῶν Ἰλλυριῶν ἔθνη καὶ τὰ τῶν Μακεδόνων.

παραπλέοντι δ' ἐκ τοῦ Βρεντεσίου τὴν Ἀδριατικὴν παραλίαν πόλις ἐστὶν ἡ Ἐγνατία, οὖσα κοινὴ καταγωγὴ πλέοντί τε καὶ πεζεύοντι εἰς Βάριον· ὁ δὲ πλοῦς νότῳ. μέχρι δεῦρο μὲν Πευκέτιοι κατὰ θάλατταν, [ἐν] τῇ μεσογαίᾳ δὲ μέχρι Σιλουίου· πᾶσα δὲ τραχεῖα καὶ ὀρεινή, πολὺ τῶν Ἀπεννίνων ὀρῶν κοινωνοῦσα· ἀποίκους δ' Ἀρκάδας δέξασθαι δοκεῖ. εἰσὶ δ' ἐκ Βρεντεσίου εἰς Βάριον ἑπτακόσιοί που στάδιοι· σχεδὸν δ' ἴσον ἑκατέρας [Τάρας] διέχει·

τὴν δὲ συνεχῆ Δαύνιοι νέμονται, εἶτα Ἄπουλοι μέχρι Φρεντανῶν. ἀνάγκη δέ, Πευκετίων καὶ Δαυνίων μηδ' ὅλως λεγομένων ὑπὸ τῶν ἐπιχωρίων πλὴν εἰ τὸ παλαιόν, ἁπάσης δὲ ταύτης τῆς χώρας Ἀπουλίας λεγομένης νυνί, μηδὲ τοὺς ὅρους ἐπ' ἀκριβὲς λέγεσθαι τῶν ἐθνῶν τούτων· διόπερ οὐδ' ἡμῖν διισχυριστέον περὶ αὐτῶν.

 

A Brentesio [Brindisi] s’imbarca chiunque vuol navigare all’opposto continente, o ch’egli vada a Ceraunia [antica città greca a sud di Valona] ed alla spiaggia ivi congiunta dell’Epiro e dell’Ellade, o ch’egli si diriga ad Epidamno [Durazzo (Albania)]: quest’ultimo tragitto è maggiore del primo, cioè conta ben mille e ottocento stadii nondimeno è assai frequentato per essere quella città opportunamente situata rispetto alle nazioni d’Illiria e di Macedonia.

Chi da Brentesio [Brindisi] entra in mare costeggiando la spiaggia Adriatica trova la città d’Egnatia [presso Fasano], luogo di riposo comune così a chi naviga come a chi va per terra a Bari: e si naviga col vento Noto. Ed appunto fino a Bari arrivano lungo il mare i Peucezii; dentro terra van fino a Silvio [Gravina di Puglia]. Tutto quel territorio è aspro e montuoso, siccome quello che in sé comprende molta parte dei monti Appennini; e pare che un tempo abbia ricevuta una colonia di Arcadi. Da Brentesio [Brindisi] poi a Bari vi sono settecento stadii all’incirca; quasi altrettanto è lontano da amendue la città di Taranto.

Il paese che viene appresso è abitato dai Daunii, e poscia dagli Apuli sino ai Frentani. Siccome poi dagli abitanti di que’ luoghi non si adottarono mai i nomi di Peucezii e Daunii, se non forse anticamente, ma tutta quella regione si disse Apulia, così ne viene di necessità che al presente non è possibile determinare con precisione i confini di quelle nazioni, intorno alle quali pertanto noi non affermeremo cosa alcuna con asseveranza.


[ 9 ]

Ἐκ δὲ Βαρίου πρὸς τὸν ποταμὸν Αὔφιδον, ἐφ' ᾧ τὸ ἐμπόριον τῶν Κανυσιτῶν, τετρακόσιοι· ὁ δ' ἀνάπλους ἐπὶ τὸ ἐμπόριον ἐνενήκοντα. πλησίον δὲ καὶ Σαλαπία τὸ τῶν Ἀργυριππίνων ἐπίνειον. οὐ πολὺ γὰρ δὴ τῆς θαλάττης ὑπέρκεινται δύο πόλεις ἔν γε τῷ πεδίῳ, μέγισται τῶν Ἰταλιωτίδων γεγονυῖαι πρότερον, ὡς ἐκ τῶν περιβόλων δῆλον, τό τε Κανύσιον καὶ ἡ Ἀργυρίππα, ἀλλὰ νῦν ἐλάττων ἐστίν. ἐκαλεῖτο δ' ἐξ ἀρχῆς Ἄργος ἵππιον, εἶτ' Ἀργυρίππα, εἶτα νῦν Ἄρποι. λέγονται δ' ἀμφότεραι Διομήδους κτίσματα· καὶ τὸ πεδίον καὶ ἄλλα πολλὰ δείκνυται τῆς Διομήδους ἐν τούτοις τοῖς τόποις δυναστείας σημεῖα, ἐν μὲν τῷ τῆς Ἀθηνᾶς ἱερῷ τῆς ἐν Λουκερίᾳ παλαιὰ ἀναθήματα (καὶ αὕτη δ' ὑπῆρξε πόλις ἀρχαία Δαυνίων, νῦν δὲ τεταπείνωται),

ἐν δὲ τῇ πλησίον θαλάττῃ δύο νῆσοι Διομήδειαι προσαγορευόμεναι, ὧν ἡ μὲν οἰκεῖται, τὴν δ' ἐρήμην φασὶν εἶναι· ἐν ᾗ καὶ τὸν Διομήδη μυθεύουσιν ἀφανισθῆναί τινες καὶ τοὺς ἑταίρους ἀπορνιθωθῆναι, καὶ δὴ καὶ νῦν διαμένειν ἡμέρους καὶ βίον τινὰ ζῆν ἀνθρώπινον τάξει τε διαίτης καὶ τῇ πρὸς ἀνθρώπους ἡμερότητι τοὺς ἐπιεικεῖς, ἀπὸ δὲ τῶν κακούργων καὶ μιαρῶν φυγῇ. εἴρηται δὲ καὶ τὰ παρὰ τοῖς Ἑνετοῖς διατεθρυλημένα περὶ τοῦ ἥρωος τούτου καὶ αἱ νομισθεῖσαι τιμαί. δοκεῖ δὲ καὶ ὁ Σιποῦς Διομήδους εἶναι κτίσμα διέχων τῆς Σαλαπίας ὅσον τετταράκοντα καὶ ἑκατὸν σταδίους, καὶ ὠνομάζετό γε Σηπιοῦς Ἑλληνικῶς ἀπὸ τῶν ἐκκυματιζομένων σηπιῶν.

μεταξὺ δὲ τῆς Σαλαπίας καὶ τοῦ Σιποῦντος ποταμός τε πλωτὸς καὶ στομαλίμνη μεγάλη· δι' ἀμφοῖν δὲ τὰ ἐκ Σιποῦντος κατάγεται καὶ μάλιστα ὁ σῖτος. δείκνυται δὲ τῆς Δαυνίας περὶ λόφον ᾧ ὄνομα Δρίον ἡρῷα, τὸ μὲν Κάλχαντος ἐπ' ἄκρᾳ τῇ κορυφῇ (ἐναγίζουσι δ' αὐτῷ μέλανα κριὸν οἱ μαντευόμενοι, ἐγκοιμώμενοι ἐν τῷ δέρματι), τὸ δὲ Ποδαλειρίου κάτω πρὸς τῇ ῥίζῃ διέχον τῆς θαλάττης ὅσον σταδίους ἑκατόν· ῥεῖ δ' ἐξ αὐτοῦ ποτάμιον πάνακες πρὸς τὰς τῶν θρεμμάτων νόσους.

πρόκειται δὲ τοῦ κόλπου τούτου πελάγιον ἀκρωτήριον ἐπὶ τριακοσίους ἀνατεῖνον σταδίους πρὸς τὰς ἀνατολὰς τὸ Γάργανον, κάμπτοντι δὲ τὴν ἄκραν πολισμάτιον Οὔριον καὶ πρὸ τῆς ἄκρας αἱ Διομήδειαι νῆσοι.

ἔστι δὲ πᾶσα ἡ χώρα αὕτη πάμφορός τε καὶ πολυφόρος, ἵπποις δὲ καὶ προβάτοις ἀρίστη· ἡ δ' ἐρέα μαλακωτέρα μὲν τῆς Ταραντίνης ἐστί, λαμπρὰ δὲ ἧττον. ἡ δὲ χώρα εὐδινὴ διὰ τὴν κοιλότητα τῶν πεδίων.

οἱ δὲ καὶ διώρυγα τεμεῖν ἐπιχειρῆσαί φασι τὸν Διομήδη μέχρι τῆς θαλάττης, καταλιπεῖν δ' ἡμιτελῆ καὶ ταύτην καὶ τὰς ἄλλας πράξεις μετάπεμπτον οἴκαδε γενόμενον, κἀκεῖ καταστρέψαι τὸν βίον. εἷς μὲν οὗτος ὁ λόγος περὶ αὐτοῦ, δεύτερος δ' ὡς αὐτόθι μείνειε μέχρι καταστροφῆς τοῦ βίου, τρίτος δ' ὁ μυθώδης ὃν προεῖπον τὸν ἐν τῇ νήσῳ λέγων ἀφανισμόν, τέταρτον δὲ θείη τις ἂν τὸν τῶν Ἑνετῶν· καὶ γὰρ ἐκεῖνοι παρὰ σφίσι πως τὴν καταστροφὴν αὐτοῦ μυθεύουσιν, ἣν ἀποθέωσιν καλοῦσι.
Ταῦτα μὲν οὖν κατ' Ἀρτεμίδωρον κεῖται τὰ διαστήματα.

 

 

Da Bari sino al fiume Aufidio [13] sul quale è situato l’emporio dei Canusii sono quattrocento stadii; e il tragitto dalla bocca di questo fiume all’emporio predetto è di circa novanta stadii [14]; ed ivi presso è anche Salepia [a Nord-Ovest delle saline di Margherita di Savoia, presso Torre Petra (~porto di Salinis) a 3 Km verso l’interno], arsenale marittimo degli Argiripei. Perocché le due città di questi (Canusio ed Argiripa [presso Arpi~Foggia]) sono bensì a poca distanza dal mare, ma giacciono in una pianura. Esse furono un tempo le più grandi delle città greche in Italia, come si fa manifesto dal circuito delle loro mura; ma ora. sono fra le minori. E Argiripa da principio chiamavasi Argo-Ippio, ed ora invece Arpi [~Foggia]. Tutte e due poi queste città si dice che le fondò Diomede; e così nella pianura come in molte altre parti si trovano indizii della signoria che Diomede ebbe in que’ luoghi. Di tal sorta sono alcuni antichi voti consacrati nel tempio di Minerva in Luceria [Lucera], la quale fu anch’essa un’antica città dei Daunii, ora ridotta a piccolissima cosa.

Nel vicin mare sono due isole soprannomate Diomedee [15], l’una delle quali è abitata, l’altra dicono ch’è deserta. In questa poi favoleggiasi che Diomede disparve, e che i suoi compagni furono tramutati in uccelli, alcuni dei quali vi si trovano anche al presente, e vivono una vita in parte umana, mangiando con ordine, e dimesticandosi cogli uomini dabbene, mentre per lo contrario fuggono i tristi e gli scellerati. Quello poi che suol raccontarsi comunemente appo gli Eneti intorno a questo eroe ed agli onori che gli vengono tributati, l’abbiamo già detto. Pare che fosse fondata di Diomede anche Sipo [16], distante da Salepia cento quaranta stadii. Gli Elleni la dissero anche Sepia dalle secche che i flutti sogliono formare in quel luogo.

Fra Salepia e Sipo [Siponto] v’ha un fiume navigabile ed anche la bocca di un gran lago; sui quali trasportansi le produzioni di Sipo [Siponto], e principalmente il frumento.
Nella Daunia poi, intorno al colle denominato Drio [monte Drion-Monte Sant’Angelo (sul Gargano)] soglionsi mostrare alcuni monumenti sacri ad eroi: l’uno di Calcante collocato proprio sul vertice, dove coloro che vanno per avere de’ responsi sagrificano un ariete nero, poi si mettono a dormire sopra la pelle: un altro sacro a Podalirio trovasi al basso vicino alla radice del colle lontano dal mare cento stadii all’incirca. E da questi luoghi scorri un fiume le cui acque sono universale rimedio a tutte le malattie degli animali.

Dinanzi al golfo ora descritto [17] giace un promontorio che si addentra circa trecento stadii nel mare verso oriente ed è detto Gargano; e chi abbia dato la volta alla punta di quel promontorio trova la piccola città d Ureio [18]. Egli è poi rimpetto al Gargano che son situate le isole Diomedee.

Tutto questo paese produce ogni maniera di frutti, ed è abbondevolissimo di cavalli e di pecore, la cui lana è più morbida della tarentina, ma però men lucida. E per essere alcun poco avvallata, tutta questa regione gode una mite temperatura [19].

Alcuni dicono che Diomede stesso imprendesse a scavare una fossa, la quale (attraversando il promontorio) congiungesse il mare, ma che la lasciò non compiuta come anche altre cose, perché fu richiamato alla patria dove finì poi la vita. Questa è una delle opinioni che corrono rispetto a Diomede: l’altra invece afferma ch’egli rimase nei luoghi dei quali parliamo fino al termine del viver suo. Secondo una terza tradizione favolosa e già mentovata da noi egli disparve nell’isola; e potremmo aggiungerne altresì una quarta invalsa fra gli Eneti; i quali raccontano che Diomede finì appo loro la vita e v’ebbe quella che dicesi apoteosi.
Del resto le distanze da me indicate sono quelle assegnate da Artemidoro.


[ 10 ]

Φησὶ δ' ὁ χωρογράφος τὰ ἀπὸ τοῦ Βρεντεσίου μέχρι Γαργάνου μιλίων ἑκατὸν ἑξήκοντα πέντε, πλεονάζει δὲ αὐτὰ Ἀρτεμίδωρος· ἐντεῦθεν δ' εἰς Ἀγκῶνα διακόσια πεντήκοντα τέτταρα μίλιά φησιν ἐκεῖνος, ὁ δ' Ἀρτεμίδωρος εἰς Αἶσιν πλησίον [ὄν]τα τοῦ Ἀγκῶνος σταδίους εἴρηκε χιλίους διακοσίους πεντήκοντα, πολὺ ἐνδεέστερον ἐκείνου· Πολύβιος δ' ἀπὸ τῆς Ἰαπυγίας μεμιλιᾶσθαί φησι καὶ εἶναι μίλια πεντακόσια ἑξήκοντα δύο εἰς Σήναν πόλιν, ἐντεῦθεν δ' εἰς Ἀκυληίαν ἑκατὸν ἑβδομήκοντα ὀκτώ. οὐχ ὁμολογοῦντες τῷ φερομένῳ διαστήματι τῆς Ἰλλυρικῆς παραλίας ἀπὸ τῶν Κεραυνίων ὀρῶν ἐπὶ τὸν τοῦ Ἀδρίου μυχόν, ὑπὲρ ἑξακισχιλίων τοῦτον ἀποφαίνοντες καὶ μείζω καθιστάντες ἐκείνου πολὺ ἐλάττονα ὄντα.
καὶ πάντες δὲ πρὸς ἅπαντας μάλιστα περὶ τῶν διαστημάτων οὐχ ὁμολογοῦσι πρὸς ἀλλήλους, ὡς πολλάκις ἐλέγομεν. ἡμεῖς δ' ὅπου μὲν ἐπικρίνειν δυνατόν, ἐκφέρομεν τὸ δοκοῦν ἡμῖν, ὅπου δὲ μή, τὰ ἐκείνων εἰς μέσον οἰόμεθα δεῖν τιθέναι. ἐὰν δὲ μηδὲν παρ' ἐκείνων ἔχωμεν, οὐδὲν θαυμαστὸν οὐδ' εἰ παρελείψαμέν τι καὶ ἡμεῖς, ἐν τοιαύτῃ καὶ ταῦθ' ὑποθέσει· τῶν μὲν γὰρ μεγάλων οὐδὲν ἂν παραλίποιμεν, τὰ δὲ μικρὰ καὶ γνωρισθέντα μικρὸν ὤνησε καὶ παραπεμφθέντα ἔλαθε καὶ οὐδὲν ἢ [οὐ] πολὺ τοῦ παντελοῦς ἔργου παρέλυσε.

 

Ma il Corografo dice che da Brentesio [Brindisi] fino al Gargano v’hanno cento sessantacinque miglia; di quivi ad Ancona duecento cinquantaquattro miglia. E Artemidoro da questo medesimo capo fino a ... presso Ancona assegna mille e duecento cinquanta stadii; numero molto minore. Polibio [20] poi dice che le distanze dalla Japigia furono misurate a miglia, e che di quivi alla città di Sila se ne contano cinquecento sessantadue; da Sila fino ad Aquileia [in prov. di Udine] cento settantotto. Ma queste misure non s’accordano coll’estensione che suole assegnarsi alla costa illirica, dai monti Ceraunii sino al fondo del golfo Adriatico: perocché dicono che si estende oltre a sei mila stadii, e così la fanno molto piò lunga che non è quella d’Italia, mentre è invece molto minore.
E tutti (come ho detto già spesse volte) discordano gli uni dagli altri nel determinare le distanze dei luoghi: però noi dovunque è possibile giudicare delle vane opinioni facciam manifesto il nostro parere; e dove no, crediamo sempre debito nostro recare in mezzo le opinioni degli altri. Che se qualche volta non troviamo ne’ precedenti scrittori cosa alcuna da riferire, non è per questo da fare le meraviglie, come né anche se noi in un argomento di tal natura e sì vasto tralasceremo qualcosa. Perciocché degli oggetti di gran rilievo non vorremmo dimenticarne veruno; ma dei piccoli e di quelli che anche quando siano conosciuti non recano punto di utilità, e possono omettersi senza che il leggitore se ne accorga, stimiamo di poterne tacere senza che il nostro libro ne soffra alcun danno o ne riesca meno perfetto


[ 11 ]

Μεταξὺ δ' εὐθὺς ἀπὸ τοῦ Γαργάνου κόλπος ὑποδέχεται βαθύς· οἱ δὲ περιοικοῦντες ἰδίως Ἄπουλοι προσαγορεύονται, εἰσὶ δὲ ὁμόγλωττοι μὲν τοῖς Δαυνίοις καὶ Πευκετίοις· οὐδὲ τἆλλα δὲ διαφέρουσιν ἐκείνων τό γε νῦν, τὸ δὲ πάλαι διαφέρειν εἰκός, ὅθενπερ καὶ τὰ ὀνόματα ἐναντία πάντων ἐπικρατεῖν. πρότερον μὲν οὖν ηὐτύχει αὕτη πᾶσα ἡ γῆ, Ἀννίβας δὲ καὶ οἱ ὕστερον πόλεμοι ἠρήμωσαν αὐτήν· ἐνταῦθα δὲ καὶ τὰ περὶ Κάννας συνέβη, ὅπου πλεῖστος ὄλεθρος σωμάτων Ῥωμαίοις καὶ τοῖς συμμάχοις ἐγένετο. ἐν δὲ τῷ κόλπῳ λίμνη ἐστίν, ὑπὲρ δὲ τῆς λίμνης ἐν μεσογαίᾳ τὸ Ἄπουλον Τέανον, ὁμώνυμον τῷ Σιδικίνῳ· καθ' ὃ δοκεῖ συνάγεσθαι τὸ τῆς Ἰταλίας πλάτος ἐφ' ἱκανὸν πρὸς τοὺς περὶ Δικαιάρχειαν τόπους, ἐλαττόνων ἢ χιλίων σταδίων ἀπὸ θαλάττης ἐπὶ θάλατταν ἰσθμὸν καταλεῖπον.

μετὰ δὲ τὴν λίμνην ἐπὶ τοὺς Φρεντανοὺς καὶ τὴν Βοῦκαν παράπλους ἐστί· διακόσιοι δ' εἰσὶν ἐφ' ἑκάτερα στάδιοι τῆς λίμνης ἐπί τε τὴν Βοῦκαν καὶ τὸ Γάργανον. τὰ δ' ἑξῆς τοῖς περὶ Βοῦκαν εἴρηται πρότερον.

[ 4 ] - [ 1 ]

Τοσαύτη μὲν δὴ καὶ τοιαύτη τις ἡ Ἰταλία.

[tratto da “ Strabonis GEOGRAPHICA” recensuit commentario critico instruxit Gustavus Kramer, Vol. I., Berolini prostat in Libraria Friderici Nicolai, 1844, pp. 441-455.]

Frattanto subito dopo il Gargano v’ha un golfo profondo: coloro che lo abitano all’intorno denominansi propriamente Apuli, ed hanno la stessa lingua dei Daunii e dei Peucezii: né in veruna altra cosa differiscono presentemente da quelli; ma ben pare che ne differissero una volta, d’onde poi anche invalse appo loro un nome diverso da tutti gli altri. Anticamente tutto questo paese era in fiore, ma Annibale e le guerre che vennero dopo lo desertarono: essendoché quivi successe anche la battaglia di Canne, dove accadde grandissima strage de’ Romani e dei loro alleati. Lungo le spiagge del golfo poi avvi un lago, e al di là di questo, nelle parti mediterranee è Teano detta Apula per distinguerla dalla città d’ugual nome che dicesi Sidicinia. Verso quel sito pare che l’Italia assai si ristringa: perocché verso le parti di Dicearchia [21] resta da mare a mare un istmo di meno che mille stadii.

Dopo il lago predetto si naviga costeggiando sino ai Frentani ed a Buca. E dal lago a Buca [forse Punta Penna, fra Istonio-Vasto e Ortona] come dal Gargano al lago contanti duecento stadii; del resto già abbiamo descritti i paesi al di là di Buca.

Tale adunque e siffatta è l’Italia.

[Testo della traduzione tratto da “Della Geografia di Strabone libri 17 volgarizzati da Francesco Ambrosoli”, Volume terzo, (Libri V-X), Milano, coi tipi di Paolo Andrea Molina, 1833, Libro VI, pp. 142-158 (dall'originale della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze – digitalizzato da Google)]



Orbis Terrarum ad mentem Strabonis (pubbl. da: www.Romanoimpero.com )
[elaborazione da una cartina del mondo illustrato da Strabone, pubblicata dal portale " Romano Impero", consultato il 05/04/2022]


NOTE

[ndr_1] Il grassetto, il sottolineato e quanto è scritto tra parentesi quadre non sono nel documento originale, ma una evidenziazione o chiarificazione del redattore della presente pagina.
Anche la divisione in paragrafi è diversa: sono stati infatti frazionati i paragrafi eccessivamente lunghi per una più agevole lettura.


[1] Brindisi.

[2] Leggo col Coray: Ἐνταῦθα λιμήν ἐστι μέγιστος κ.τ.λ..

[3] Luogo di dubbia lezione [lettura]

[4] Da Παρθένος vergine.

[5] Da principio (dicono gli Edit. franc.) dee credeesi che Taranto fondata da una colonia spartana non si governasse affatto popolarmente; e può congetturarsi che questa mutazione accadesse verso l’anno 473 avanti l’E. V. [acronimo di “Era Volgare”]

[6] Capo di Leuca.

[7] S. Maria di Leuca.

[8] Otranto.

[9] Ora Saseno [oggi Sazan, davanti a Valona (Albania)].

[10] I Latini la dissero Rudiæ: ma in qual luogo precisamente la si trovasse è ignoto. Questo passo è poi di lezione [lettura] dubbia ed oscura.

[11] Lib, VII, § 170.

[12] Torre d’Agnazzo.

[13] L’Ofanto.

[14] Il Silandro legge invece sei stadii.

[15] Le Isole Tremiti.

[16] Siponto: luogo diroccato presso Manfredonia. { Edit. fr. }

[17] Il Golfo di Manfredonia.

[18] Rodi.

[19] Il testo è qui dubbioso.

[20] Non si conosce il passaggio di Polibio a cui qui allude Strabone. Così parimenti è incerto qual punto della Japigia voglia qui indicare il nostro Autore colle parole ἀπό τῆς Ἰαπυγίας. Gli Edit. franc. inclinano a credere che debba intendersi il Promontorio Japigio (ora Capo di Leuca), sebbene riconoscano che in tal caso sarebbe impropria l’espressione.

[21] Pozzuolo.