bassorilievo di Nord-Est

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bassorilievo sul lato Nord-Est del piano superiore della corte

foto R. Rotolo: lato Nord-Est del piano superiore della corte
[foto di Renato Rotolo tratta da "Castel del Monte",
Adda Editore, Bari, 1981, pag.159]

Corte, bassorilievo a Nord-Est: "Caccia di Meleagro"?

Un interessante frammento di bassorilievo è incastonato nell'angolo sinistro della parete Nord-Est del piano superiore del cortile. Giosuè Musca ci aiuta a comprenderne il significato.
"Nella parte alta della parete settentrionale del cortile, sulla destra della porta-finestra interna della sala I del piano superiore, è ancora visibile un ampio frammento di un bassorilievo classico, forse ellenistico, che rappresenta un cavaliere a cavallo. S'è già detto che Federico faceva raccogliere sculture e bassorilievi classici per ornarne le sue costruzioni. Erano le sculture «visibili»: quella cui qui si accenna, se in origine era dov'è adesso (e non vi sono motivi per pensare il contrario), era destinata ad essere ammirata proprio dalla finestra di quella sala che, pur dimensionalmente identica alle altre, evidentemente è per la sua  posizione e per le caratteristiche di «punto d'arrivo» di un itinerario privilegiato la più importante del maniero. Quella scultura doveva cioè essere vista da Federico e da chi aveva accesso in una sala che era la sede del potere imperiale anche se temporaneo e che permetteva a chi aveva il privilegio di sostarvi una doppia visione: all'esterno le terre, le città della costa ed il mare, l'orizzonte del potere pubblico, il palcoscenico delle attività sovrane; all'interno il richiamo agli ozi privati dell'imperatore. Kantorowicz ha identificato in quel bassorilievo una «caccia di Meleagro», [*], frequentemente rappresentata nei sarcofagi antichi, e mai identificazione fu tanto coerente con le inclinazioni di Federico."

[da "Castel del Monte, il reale e l'immaginario" di Giosuè Musca, in "Castel del Monte" , Adda Editore, Bari, 1981, pag.51]

NOTE
[*] A titolo di curiosità mitologica riporto parte della favola di Meleagro: "Meleagro, l'uno de' più rinomati eroi dell'antichità, era figliuolo di Oeneo, re di Calidone nell'Etolia, e di Altea, figlia di Testio, re di Pleurone; secondo l'opinione d'Euripide, la madre di lui avealo avuto da Marte. Un giorno facendo il padre di lui dei sacrifici a tutti gli Dei in rendimento di grazie per la fertilità della terra, obliò Diana; mentre le altre Divinità, con piacere accoglievano l'odore dell'ecatombe, Diana sola vedea spogli e negletti i proprii altari. Sia per effetto di negligenza, sia per disprezzo, siffatta ingiuria fu dalla Dea vivamente sentita; e, colta da subito sdegno, mandò un furioso cinghiale che tutte le terre di Oeneo devastò, fin dalle radici schiantò gli alberi carichi di frutti, e le campagne coprì di lutto e di desolazione. Il figlio del re, il prode Meleagro, raccolse da tutte le città vicine un gran numero di cacciatori e di cani; poiché non voleavi meno d'un'armata onde combattere quell'orrido cinghiale, il quale era di una enorme e mostruosa grandezza, e che, in forza della già commessa strage, avea acceso in tutta Etolia un'infinità di roghi.
Meleagro l'uccide; ma Diana, non paga ancora, fa insorgere fra gli Etoli ed i Cureti una calda lite in proposito del ceffo e della pelle di quel feroce animale, mentre ciascun de' popoli pretendeva che quella gloriosa spoglia fosse al proprio valore dovuta. Tosto la guerra si accende, e si viene a battaglia. Intanto che Meleagro combatte alla testa de' suoi popoli, i Cureti, benché superiori di numero, sono assai maltrattati, né trovano luogo veruno onde porsi al coperto dalle furiose sortite che ogni giorno egli faceva contro di loro. Ma poco dopo ei si ritira, e si pone accanto della sua sposa, della bellissima Cleopatra, sommamente offeso, perché Altea, disperata per la morte de' proprii fratelli, da lui uccisi nel combattimento, vomitava contro di lui le più orribili imprecazioni, battendo co' piedi e colle mani il suolo, e scongiurando genuflessa il Dio Plutone e la crudele Proserpina, acciò il proprio figlio divenisse preda di morte. La Furia che va errando per l'aria, ed ha il cuor violento e sanguinario, intese le imprecazioni di lei.
Tosto i Cureti, animati dalla lontananza di Meleagro, ricominciano gli attacchi, e furibondi spingonsi a nuovi assalti. Gli Etoli, in tale estremità, inviano a Meleagro una deputazione de' più saggi vegliardi, e de' più venerabili sacerdoti, onde scongiurarlo d'impugnar l'armi, ed uscire alla comun difesa, promettendogli un ragguardevole dono nel paese di Calidone; mentre offrivangli un recinto di cinquecento arpenti, ch'egli stesso avrebbe potuto scegliere a proprio piacere.
Il padre dei Meleagro sale nell'appartarnento di lui, si gitta alle ginocchia del proprio figliuolo, gli pone sott'occhio il pericolo in cui trovasi, e all'armi lo affretta. Alle preghiere del re vengono unite quelle de' suoi fratelli, e la stessa Altea, dallo sdegno alfin rinvenuta, e pentita, ne lo scongiura col pianto sul ciglio; ma egli diviene ognor più inflessibile alle loro istanze. i Cureti, già padroni delle torri, stanno per divenirli eziandio degli aditi del palazzo, e preparansi ad incendiare la città.
In tale stato di cose, la bella Cleopatra, gittasi genuflessa dinanzi al marito, lo scongiura, l'affretta, e giunge finalmente a toccare quell'indurito cuore. Egli chiede le armi, esce dal palazzo qual furibondo lione, e con tanto valore e successo combatte, che respinge i Cureti, e salva nel tempo stesso gli Etoli. Questi, memori dell'aspro rifiuto poco prima da lui ottenuto, più non gli fanno l'offertogli dono; in tal guisa Meleagro salvò questo popolo senza ottenerne veruna ricompensa."
[da "Dizionario d'ogni mitologia e antichità" di F. Noel ed altri, Tip. Battelli e Fanfani, Milano, 1822, Vol.III, pagg.516-517]