di Émile Bertaux (1869-1917)
Ancien membre de l'école française de Rome
Il signor Bertaux si propone dimostrare che il celebre castello delle Puglie non è, come si è voluto dire sin qui, il tipo precoce e già perfetto di una imitazione dell’arte antica, si bene un capolavoro della più pura architettura francese del secolo XIII. A sostegno di una tesi cosa nuova, egli presenta all’Accademia una serie di fotografie da lui fatte e un album intero di disegni, opera del signor Chaussemiche, pensionato dell’Accademia di Francia a Roma. Nell’esaminare il monumento con la scorta di quei documenti, il signor Bertaux studia successivamente la costruzione delle vôlte, il profilo degli archi doppi e delle ogive, la forma dei pilastri, il tracciato geometrico delle basi, delle cornici e di tutte le modanature in generale, lo stile assai caratteristico delle volute e del fogliame che adornano i capitelli; ed afferma che tutti i particolari di costruzione e di ornamenti, sino alle stesse fondazioni, rivelano a chi li esamini attentamente, la loro origine francese. In quanto alla pianta del castello, quell’ottagono fiancheggiato in tutti i suoi angoli sporgenti da altri ottagoni, egli ne riconosce l’originalità. “Ma, dice, invece di indagare di dove gli architetti di Castel del Monte abbiano potuto prender l’idea di una pianta probabilmente unica, val meglio chiedersi di dove abbiano preso il modo di superare le difficoltà che venivano loro dalla scelta di codesta pianta„ .
Le sale del castello, separate da tramezzi tracciati fra i vertici di due ottagoni concentrici prendono la forma di trapezi [1]. Orbene, gli architetti francesi han dovuto studiare in tutto il secolo XII il modo di coprire con vôlte ogivali non già superfici quadrate o rettangolari, ma trapezoidali; di fatti, questo problema si è affacciato ad essi tutte le volte che hanno innalzato in una chiesa un coro poligonale a deambulatorium. La maggior parte delle soluzioni da essi trovate spostavano la chiave di volta o davano agli spigoli di ogiva lunghezze disuguali; era una forma sgraziata e spiacente. La soluzione più armonica fu questa, di porre alla entrata delle cappelle absidali due colonnine corrispondenti a due pile del coro, separate tra loro dal medesimo spazio che correva fra codeste pile. Le colonnine furono unite ai pilastri mediante archi doppi, per modo che il trapezio formato sul piano della travata del deambulatorio venne a scompartirsi in un rettangolo e due triangoli. Si poteva poggiare sul rettangolo una volta ogivale perfettamente regolare, e per compiere la copertura del trapezio; non rimaneva che porre su le superfici triangolari due volte a botte tronca. Ora, questo sistema ingegnoso, adoperato in Francia in poche chiese ben note, specie nella Sciampagna, è quello, tale e quale, di cui si è servito l’architetto di Castel del Monte. Nelle sale del castello le colonnine, che in una chiesa sarebbero state collocate all’ingresso delle cappelle absidali, diventano pilastri incastrati nel lato più grande del trapezio, di faccia agli altri due pilastri; in tal modo ciascuna sala è coperta, con lo stesso artificio di una travata di ambulatorio, da una volta di ogive sopra un piano quadrato, fra due volte a botte su piano triangolare. L’architetto di Federico II per mettere in atto il disegno di un castello ottagonale a volte ogivali non ha dovuto fare altro che riunire, contrapponendole, due metà di un ambulatorio di cattedrale francese; ed il metodo seguito nel disegnare codeste volte è così raro, anche in Francia, che si potrebbe, su questo solo dato, indicare i tipi da lui avuti in mente, i quali si trovano nella Sciampagna. Si divida nel mezzo, perpendicolarmente all’asse della chiesa, la pianta del coro poligonale della chiesa di Saint-Remi di Reims o di Notre-Dame di Châlons-sur-Marne, e si avrà la metà della pianta di Castel del Monte.
Avanti di venire a una conchiusione, il signor Bertaux discute una obbiezione che senza meno si porrà innanzi: che cosa diventano, nel suo sistema, le imitazioni evidenti dell’antichità le quali hanno colpito tutti i visitatori di Castel del Monte? Di queste imitazioni ei non pensa negare l’esistenza, anzi ne indica talune che mai sono state rilevate; ma ne trova di identiche nell’architettura borgognona del XII e del XIII secolo, la quale ha riprodotto non pochi motivi presi dai monumenti romani di Langres e di Autun.
La celebre porta monumentale di Castel del Monte, la quale co’ suoi pilastri scannellati ed il suo frontone triangolare, si è sempre tenuta per copia di un arco di trionfo romano, offre una notevole analogia con la porta laterale di una chiesa sconosciuta di Lanciano negli Abruzzi, l’antica cattedrale di Santa Maria Maggiore cominciata nel 1227, monumento di architettura borgognona paragonabile alle chiese cistercensi di stile francese, che il signor Enlart ha segnalate nell’Italia centrale.
Castel del Monte presenta dunque particolarità le quali sembra traggano origine dalla Sciampagna ed altre che paiono risalire ai tipi borgognoni. Ora, gli edifici francesi più strettamente legati col castello di Puglia si trovano, come la chiesa Notre Dame di Châlons-sur-Marne, precisamente ai confini della Sciampagna e della Borgogna.
Posto ciò, soggiunge il signor Bertaux, io rivendico altamente, quanto altri mai, per Castel del Monte il privilegio di rimanere monumento unico, senza l’uguale. Tale apparirà sopra tutto, se col pensiero lo rivestiamo della sua magnificenza, oggi rovinata, e revochiamo per un momento quale ce lo renderà, il signor Chaussemiche coi restauri che apparecchia.
Già l’esterno era splendido: tutto di pietra calcare fina e bionda, con le macchie ardenti del portone e delle larghe finestre di breccia rossa. Tutte le sale erano rivestite di marmo; al terreno, breccia rossa intramezzata di cipollino; al primo piano, cipollino e marmo bianco. Dappertutto pavimenti di maiolica a disegni arabi, de’ quali ci è serbato un frammento squisito. Intorno agli usci, nei timpani delle finestre, altri mosaici, di cui abbiamo trovato le tracce, i quali formavano allo stesso modo una decorazione geometrica di colori chiari, simile ai meravigliosi ricami di smalto che s’intrecciano su gli amboni ed i pulpiti di Palermo, di Sessa e di Salerno. E, a compiere l’incanto, occorre forse coprire le vôlte di quei mosaici che 1’Huillard-Bréholles ha visto anche in frammenti. Le linee severe delle ogive si incrociano di sopra alle pareti dai mille colori; la sobrietà, dell’architettura francese risaltava per il luccichio dei marmi ed i fantastici disegni orientali. Se tale ci figuriamo il castello di Federico II quale fu un tempo, non rimpiangeremo il Castel del Monte, metà gotico, metà antico, venutoci nebuloso e indistinto a traverso le descrizioni degli storici. Certo, Federico II non deve più apparire come l’iniziatore di una rivoluzione artistica e l’autore ideale di un monumento unico del quale non si ardiva ricercare i veri architetti; ma, volendo che Castel del Monte aiuti a intendere l’uomo straordinario che ne fece la sua dimora prediletta, forse se ci riduciamo in mente Federico II in quel palazzo francese per l’architettura e la scultura e saraceno pei suoi marmi e i suoi mosaici, salterà, più fortemente ai nostri occhi il tratto di maggior rilievo della sua figura storica, il cosmopolitismo.
Dopo di avere stabilito, in questa prima parte della sua memoria, che Castel del Monte era, non un’imitazione dell’architettura, antica, ma opera unica di architettura francese, il signor Bertaux si dà, nella seconda parte, a indagare come Federico II sia venuto ad adoperare in Puglia con artisti francesi.
Sarebbe semplicissimo supporre che qualche architetto girovago, come Villard de Honnecourt, capitato in un porto di Puglia, avesse offerto i suoi servigi all’imperatore. Si può attribuire un edificio al caso, come eccezione. Ma il signor Join-Lambert, della scuola di Roma, ha studiato, nella memoria che presenta quest’anno all’Accademia, una serie intera di palazzi e di castelli siciliani, che risalgono al tempo di Federico II ed appartengono al pari di Castel del Monte a una scuola di architettura francese. Tali sono specialmente la torre ottagonata di Castrogiovanni, Castel Maniace a Siracusa e Castel Ursino a Catania.
D’altra parte, lo stesso signor Bertaux trova particolarità francesi in un certo numero di castelli imperiali sparsi nell’Italia Meridionale, ed in modo notevole nel vasto castello sconosciuto di Lagopesole. Per spiegare questo insieme di fatti non basta ammettere il passaggio di un artista isolato; si deve supporre tutta una scuola ed un unico indirizzo.
Sebbene sia oggi dimostrato, per i lavori sapienti di Durm, Dohme e Bode, che l’architettura francese ha esercitata in Germania una influenza preponderante sin dalla prima metà del secolo XIII, non si potrebbe ammettere che la scuola artistica a cui dovrebbe attribuirsi Castel del Monte sia venuta in Italia dalla Germania: tra la scultura del monumento di Apulia e quella delle chiese tedesche di tipo francese sono differenze troppo profonde.
Nella stessa Puglia troveremo la chiave del problema. Ce la dà un’iscrizione ben poco nota, tuttora incastrata sopra una porta del castello di Trani, della quale ecco il testo:
CESARIS IMPERIO DIVINO MORE TONANTE
FIT CIRCA CASTRUM MUNITIO TALIS ET ANTE,
HUJUS OPERIS FORMAM, SERIEM, TOTUMQUE MASSE
PHILIPPI STUDIUM CINARDI PROTULIT ESSE.
QUOQUE MAGIS FIERET, STUDIIS HAEC FAMA TRANENSIS
PROFUIT HIS STEPHANI, ROMUALDI CURA BARENSIS,
ANNO INC. I. C. MCCXLIX INDIC. VII.
Un’altra iscrizione, pubblicata in parte da Schulz, rivela che il castello fu cominciato nel giugno 1223. Un certo Philippus Cinardus ha dato la pianta e le dimensioni dell’edificio, con tutte le indicazioni necessarie; i suoi disegni sono stati eseguiti da due architetti del luogo, Stefano da Trani e Romualdo da Bari. Ora, questo nome di Cinardus non è italiano. Senza discorrere della sua desinenza, è da notare che tutti i nomi di artisti locali incisi sui monumenti dell’Italia meridionale o ricordati nei documenti non sono mai accompagnati dal nome di famiglia; sempre il nome di battesimo con l’indicazione della città di origine, come Gualtiero da Foggia o Anello da Stigliano. … Il nome che abbiamo letto nell’iscrizione dimenticata si ritrova nei documenti di archivio, sempre però senza il nome del paese natale dell’architetto. Per fortuna una particolarità ortografica ci può dar luce. Negli atti della Cancelleria Angioina vien ricordato il nostro individuo molto tempo dopo la morte di Federico II. Ora, mentre gli architetti apuli del castello di Trani hanno fatto incidere il nome del1’architetto direttore, di cui avevano eseguito il piano, nella forma italiana Cinardus, gli scrivani francesi di Carlo I d’Angiò hanno ridato a questo nome la sua vera ortografia scrivendo Chinardus. Ciò constatato, basterà invero, per convincersi che è francese, pronunziare questo nome: Filippo Chinard.
Raccogliendo le notizie che si trovano nelle scritture della badia di Conversano, nel Codice diplomatico barese (1897), nel V volume dei Regesta imperii di Bochmer e negli articoli del signor Del Giudice su Manfredi apparsi nell’Archivio Storico Napoletano del 1879, si possono fissare taluni punti della vita di Chinard. Dopo il 1233, data del principio del castello da lui disegnato, lo perdiamo di vista per quasi dieci anni. Nel 1242 si parla di lui come investito dall’imperatore della signoria di Conversano. Poi sparisce dalla storia sino al 1256. Allora, sotto il regno di Manfredi, porta il titolo di ammiraglio di tutto il regno di Sicilia e di Gerusalemme. Chinard è di nuovo citato nel 1257 in un atto pontificale relativo alle terre ch’ei possedeva in Puglia. Finalmente, alla morte di Manfredi lo si trova stabilito fuori d’Italia: divenuto governatore dei nuovi possedimenti di Oriente da Elena, figliuola del despota Michele d’Epiro, portati in dote, nel 1259, al figlio di Federico II. Nell’anarchia che seguì la disfatta di Benevento, Chinard tentò d’impadronirsi del paese di cui era custode; ma, per effetto di una cospirazione oscura, venne assassinato dai Greci nel 1266. Egli era stato pochi giorni signore assoluto di Corfù e Ianina.
La figlia di Filippo Chinard, damigella d’onore di Elena regina di Sicilia, per comando di Carlo I fu con la sua padrona condotta prigioniera nel castello dell’Ovo in Napoli.
In quanto ai figli dell’ammiraglio di Manfredi, essi furon rinchiusi nel castello di Trani, nella medesima fortezza costruita al tempo di Federico II sotto la direzione del padre loro.
Intanto, come va che Filippo Chinard si trovava in Puglia nel 1233? Il suo nome s’incontra per la prima volta in un atto imperiale del 1226, accanto ad altri nomi interamente francesi, come Guy de Roniau e Gervais de Malgastel [2]. È segnato fra i testimoni della conferma solenne concessa da Federico II, dopo il suo matrimonio con Isabella di Brienne, ai cavalieri teutonici dei beni che costoro possedevano nel regno di Gerusalemme. Fra questi testimoni, ve ne sono che appartengono all’impero e al regno di Sicilia; Chinard fa parte di quelli che rappresentavano il regno francese di Gerusalemme. D’altra parte, parecchi testi di cronache di Cipro indicati al sig. Bertaux dal signor Digard, già della scuola francese di Roma, danno modo di determinare precisamente l’origine di Chinard e di tratteggiare la storia di lui sino al momento in cui egli andò a stabilirsi nel regno di Sicilia.
Filippo Chinard apparteneva a una delle famiglie francesi d’oltremare, ed è a Cipro ch’egli entrò ai servigi di Federico II. Si sa in qual modo, nel 1228, l’imperatore sbarcò nell’isola, allora mezzo francese, passandovi per recarsi in Siria a fare il suo simulacro di crociata. Profittò delle discordie che dividevano i baroni per imporre al giovine re Enrico d’Ibelin la tutela di cinque signori, i quali presero il titolo di bails del regno di Cipro. Questa fu la origine di una guerra famosa tra i partigiani dell’imperatore e quelli di Giovanni d’Ibelin, barone di Beyrouth. Filippo Chinard partecipò alla lotta sino al giorno che i baroni vinsero i difensori dei luogotenenti imperiali. Egli era fratello uterino di uno di questi, Messire Gauvain de Chénechy, già citato come testimonio nell’atto imperiale del 1226 relativo ai teutonici. Quando Gauvain fu ucciso da un quadrello di balestra nel castello di Kantara dove si era fortificato “Phelippe Chenart quy estoit jeunes home vistes et penibles„ [3] divenne comandante del castello. Era il 1229. Tre anni appresso, allorchè gl’Ibelins vittoriosi posero l’assedio a Cherines, ultimo baluardo degl’imperiali, Filippo Chinard ebbe anche questa volta il comando della cittadella. Alla fine dovette arrendersi al signore di Beyrouth, nei primi giorni del 1233. La pace venne subito conchiusa per mezzo del cronista che ha raccontato quelle gesta, Filippo de Novare. Tutti i patrizi che avevano sostenuto il partito dell’imperatore furono dichiarati decaduti dai loro feudi, e Filippo Chinard è segnato tra gli spodestati. Non gli restava che lasciare Cipro, e mentre il maresciallo Riccardo Filangieri faceva vela per Tiro, Chinard dovette imbarcarsi per la Puglia, però che nel giugno di quel medesimo anno cominciava la costruzione del castello di Trani.
Possiamo dunque seguire Filippo Chinard dalla sua giovinezza alla vecchiaia, e da Cipro a Corfù. V’è da precisare la parte che ha potuto avere questo capitano francese nella storia dell’architettura in Puglia. Potrebbe maravigliare di vedere un nobile, possessore di feudi importanti o investito di alti officj, compiere opere di architettura. Ma, per accogliere senza scrupoli un fatto accertato con l’iscrizione di Trani, basterà mettere accanto alle vicende di Filippo Chinard quelle di Pietro d’Angicourt, che fu primario architetto di Carlo I e di Carlo II d’Angiò. Non solo è noto che Pietro d’Angicourt era cavaliere e possedeva feudi in Basilicata e in Terra di Bari, ma il signor Bertaux prova inoltre con documenti inediti, presi dagli Archivi Angioini di Napoli, che Pietro d’Angicourt ebbe nel 1291 il titolo di Vicarius in honorem montis Sancti Angeli, e come tale esercitò un’autorità effettiva sul monte Gargano e sopra tutta la Capitanata. In quanto a Filippo Chinard, non va dimenticato ch’ei diresse a Cherines, quale ingegnere in capo, la costruzione degli ordegni di guerra [4], ed è a notarsi che, come governatore di Corfù, fece demolire il palazzo dell’arcivescovo latino, perché, troppo vicino al castello, dava impiccio alla difesa [5].
D’altra parte, si osserverà che i castelli poco noti che possono studiarsi nelle città pugliesi, quelli di Bari, di Bisceglie, di Brindisi, di Gioia del Colle, non sono che variazioni del tipo stabilito col castello di Trani: un edificio rettangolare con un cortile centrale, fiancheggiato agli angoli sporgenti da torri quadrate, tutto di enormi pietre a bugnato. Si sa dalla cronaca di Riccardo di San Germano che Federico II per difendersi da un attacco di Oriente, fece fortificare i porti di Puglia e quelli di Napoli appunto nel 1233. È naturale supporre che Filippo Chinard abbia avuta l’alta direzione di tutte codeste opere di difesa marittima.
D’altronde, per i castelli delle côste pugliesi, a cominciare da quello di Trani, è certo che i lavori furono eseguiti da artisti del luogo. Ma poi che Federico II ebbe assicurata la difesa dei porti del suo regno, ei si pose a far innalzare o restaurare le fortezze dell’interno e costruire per uso suo castelli di delizia, che i documenti chiamano palatia et domus solatiorum nostrorum. Non abbiamo la data della costruzione del castello di Lagopesole e della torre di Castrogiovanni in Sicilia; ma conosciamo l’ordine cronologico col quale furono innalzati i palazzi di Federico II, che sono anche quelli conservati meglio: Castel Maniace a Siracusa era quasi finito interamente nel 1239, Castel Ursino a Catania venne cominciato nel medesimo anno, e Castel del Monte nel 1240. Sicché, alla serie di fortezze costruite da architetti locali per la difesa del regno seguì una serie di castelli di più sapiente struttura e molto riccamente decorati, destinati a dimora dell’imperatore: per questi Federico II si rivolge ad architetti stranieri. Si consentirà facilmente che Filippo Chinard abbia contribuito allora più di ogni altro a suggerire all’imperatore 1’idea di prendere ai suoi servigi artefici francesi.
Al principio del secolo XIII l’isola di Cipro si ricoprì di castelli francesi, de’ quali rimangono rovine maestose; e di magnifiche chiese francesi, di cui parecchie sono tuttora intatte nel loro abbandono. Il signor Enlart, già allievo della scuola francese di Roma, ha raccolto l’anno scorso in una missione a Cipro tutti gli elementi di uno studio completo su monumenti come le cattedrali di Famagosta e di Nicosia e la badia di Lapaïs; egli stesso ha presentato all’Accademia i frutti principali della sua esplorazione in codesta provincia poco nota dell’architettura francese. Ma, bisogna dirlo, nessuno degli edifici studiati e riprodotti dal signor Enlart nell’isola di Cipro sembra con evidenza il prototipo di Castel Maniace o di Castel del Monte; nessuno, sopra tutto, porge quell’insieme caratteristico, di architettura di Sciampagna puramente gotica e di particolari borgognoni ispirati da modelli antichi, notato nel più sontuoso dei palazzi di Federico II. Dunque difficilmente si può credere che Filippo Chinard abbia fatto venire da Cipro una squadra completa di artisti francesi.
D’altronde si potevano trovare altrove architetti francesi, senza uscire dall’Italia meridionale. Infatti il signor Bertaux stabilisce qui un fatto interamente inosservato, come quelli enumerati ora: l’esistenza di una serie di edifici religiosi di architettura francese innalzati su punti dell’antico reame di Napoli molto distanti gli uni dagli altri, prima della crociata di Federico e dello stabilirsi in Puglia di Filippo Chinard. Di questi edifici, alcuni appartenevano alle Comunità benedettine, altri sono chiese indipendenti.
Molte chiese di monasteri benedettini costruite nel XII secolo e al cominciare del XIII nella Basisilicata, in Capitanata o negli Abruzzi ricordano molto da vicino le chiese di Borgogna, così per la pianta come per i particolari di scultura. È nota la magnifica abbazia di Venosa, la Santissima Trinità, il cui coro a deambulatorium, compiuto verso la metà del secolo XII, riproduce, come quello abbaziale di Sant’Antimo in Toscana, il coro della chiesa di Paray-le-Monial. D’altra parte v’è “una chiesa benedettina perduta su la punta del Gargano, presso Peschici„ rimasta ignorata da tutti; essa apparteneva alla badia di Santa Maria di Calena, una dipendenza della grande badia di Tremiti. Perfettamente conservata, questa chiesa ci dà una pianta di cui non v’è in Italia altro esempio [6]: una navata a volta di spigoli con laterali formati da una serie di cappelle coperte da volte a botte perpendicolari a l’asse della navata principale. E la pianta della chiesa di Châtillon-sur-Seine e della celebre badia di Fontenay presso Montbard. Su le pietre della chiesa benedettina del monte Gargano si distinguono ancora chiaramente dei fiordalisi.
Le due grandi chiese benedettine degli Abruzzi sono, nel loro insieme, di costruzione locale. Ma a San Clemente a Casauria si vede uno stupendo portico borgognone, innalzato dopo il 1180, con vôlta ogivale, ornato di sculture magnifiche, di cui una parte sono state certamente eseguite da artefici venuti di fuori. Ugualmente la porta di S. Giovanni in Venere, presso Lanciano, eseguita tra il 1226 ed il 1230, è coperta di ornamenti scolpiti nei quali appare chiaramente l’influenza dell’arte borgognona: i pilastri, le colonnine e i capitelli di questa porta ricordano in modo sorprendente, pel disegno e pel lavoro come per la ricchezza dei marmi antichi da cui sono cavati, la porta monumentale del castello innalzato da Federico II a Siracusa.
Insieme con le chiese benedettine, si possono citare nell’Italia Meridionale tre monumenti ben poco noti, i quali presentano le vôlte ogivali più antiche d’Italia. Uno è l’ambulatorio della cattedrale di Aversa, che si può attribuire alla seconda metà del secolo XII; il secondo è l’antica cattedrale di Teramo, riedificata probabilmente dopo l’incendio della città del 1154, e di cui sono rimasti la crociera e l’abside; il terzo è la chiesa di S. Maria di Ronzano, perduta su la sponda del torrente Mavone, nella stessa provincia di Teramo. Questa chiesa ha sulla crociera un finestrone di ogive molto massicce, anteriore al 1185.
L’esistenza di queste tre chiese sinora non si spiega con ragioni storiche. Ma il signor Bertaux ha potuto studiare in Puglia una serie di altri edifici anteriori al castello di Federico II, i quali sono da tenersi come monumenti di un’architettura francese tornata in Italia dall’Oriente.
Il più notevole è la chiesa dei canonici del Santo Sepolcro in Barletta (fine del XII secolo), monumento purissimo e perfetto di stile borgognone, il quale è stato studiato sapientemente dal signor Enlart. Per spiegare la chiesa di Barletta, occorre non dimenticare che il trasferimento del patriarcato di Nazareth in questa città di Puglia ne aveva fatto una colonia delle colonie francesi d’Oltremare. Sul Gargano, a Monte Sant’Angelo, v’è un edificio dello stesso stile, un campanile massiccio della fine del secolo XIII che, per uno strano errore, passa ancora per la tomba del re longobardo Rotari.
Nella medesima epoca, e al principio del sec. XIII, vennero innalzati in Terra d’Otranto edifici dove a particolarità francesi di pianta e di scultura si uniscono particolarità bizantine. Tale è la chiesa dei SS. Nicola e Cataldo di Lecce, nella quale Von Quast, l’editore di Schulz, aveva già riconosciuta una derivazione borgognona. A Brindisi, la chiesa di S. Benedetto ha una navata coperta da quattro cupole, poggianti su colonne monolite con capitelli bizantini, ma di sotto alle cupole l’architetto ha incrociato forti ogive. A Matera, la chiesa di S. Giovanni, intorno a cui si lavorava nel 1230 (secondo un documento inedito) è bizantina di fuori come San Nicola e Cataldo di Lecce; la pianta è a croce greca, e l’altezza, con tutti i particolari dell’interno, è di chiesa borgognona, come le badie cistercensi di Fossanova o di Casamari. Sicchè la Terra d’Otranto, dove l’arte dell’Oriente bizantino dominava dal IX secolo, sembra abbia per giunta risentita l’influenza artistica dell'Oriente latino.
Finalmente, due cattedrali, francesi di architettura e di grande importanza storica, furono edificate quasi alle estremità opposte del regno di Napoli, prima che Federico II prendesse al suo servizio un ingegnere francese. Una è la cattedrale di Lanciano, cominciata nel 1227, quando cioè l’abate Rainaldo fece scolpire la porta di San Giovanni in Venere. Pare dunque sia logico attribuire l’architettura borgognona della cattedrale e le sculture notevoli dell’abbazia alla medesima influenza, quella dei benedettini francesi.
Molto lontano di là, nel cuore della Calabria, la cattedrale di Cosenza, riedificata sul principio del secolo XIII, era stata solennemente consacrata nel 1222, in presenza dell’imperatore Federico II. Parti considerevoli dell’antico edificio sono riapparse nel 1895, quando si cominciò a togliere dai muri l’intonaco che li ricopriva; le porte, due rosette, le absidi e la crociera sono venuti fuori adesso, e si può affermare che la cattedrale di Cosenza era una costruzione molto accurata dello stile di Sciampagna. Se, d’altra parte, si notano in questa chiesa particolari arcaici che s’incontrano nelle chiese francesi di Palestrina e di Cipro, se si bada inoltre alla posizione geografica di questo monumento e alla lunga durata delle tradizioni orientali così in Calabria come in Terra d’Otranto, si ammetterà agevolmente che l’architettura francese, penetrata sino a Cosenza, vi sia giunta dal mezzogiorno piuttosto che dal settentrione. Per modo che, secondo il signor Bertaux, la cattedrale di Lanciano, cominciata nel 1227, sarebbe una prova dell’influenza artistica esercitata dai benedettini borgognoni, e la cattedrale di Cosenza, consacrata nel 1222, si spiegherebbe come prima derivazione dall’Oriente latino.
Or bene, vi sono rapporti evidenti fra le chiese citate di sopra e i castelli di Federico II, per esempio tra la porta di San Giovanni in Venere e la porta di Castel Maniace, tra la porta laterale della cattedrale di Lanciano e la porta trionfale di Castel del Monte, tra le cornici quadrate delle finestre della cattedrale di Cosenza e quelle delle finestre di Castel del Monte. Da siffatte somiglianze può dedursi che Chinard ha dovuto essere aiutato, nella costruzione dei castelli di Federico II, da artisti francesi, i quali avanti ch’ei giungesse erano venuti a lavorare nell’Italia Meridionale. Bisogna andare anco più in là: le cattedrali di Cosenza e di Lanciano non bastano, come non basta la cattedrale di Nicosia, per spiegare la grande e superba scultura di Castel Maniaco e di Castel del Monte. È probabile che agli artisti francesi di Cipro e dell’Italia Meridionale si sieno aggiunti artisti francesi chiamati direttamente dalla Francia. Se si accetta questa ipotesi, non riuscirà inutile, ricordando che l’architettura dei castelli di Federico II si riattacca alla scuola di Borgogna e di Sciampagna, osservare che il fratello uterino di Filippo Chinard sire Gauvain, era originario di Chénegy, presso Troyes, nella Sciampagna.
Sicché, per riassumere: è dimostrato che Federico II ha preso al suo servizio in Puglia un ingegnere militare francese, venuto da Cipro; anche prima che questi si stabilisse in Italia, l’imperatore aveva assistito alla consacrazione di una cattedrale di architettura francese, ed una serie di edifici, di stile borgognone, più o meno intramezzati di elementi locali ed orientali, erano stati innalzati nell’Italia Meridionale, a durevole testimonianza dell’incivilimento francese portato lontano sia dalle comunità benedettine, sia dalle colonie dell’Oriente latino. Si attribuisca pure la costruzione dei castelli di Federico II ad architetti e a scultori venuti di Cipro o di Francia, o già stabiliti negli Abruzzi e in Calabria, l’importante è di avere costatato il fatto della loro origine francese e di avere largamente provato che se ne può dare la spiegazione.
In ultimo il sig. Bertaux indica tre monumenti notevoli che attestano l’influenza esercitata in Basilicata e nelle Puglie dalla scuola di architetti francesi al servizio di Federico II. Questi sono i monumenti: la chiesa interamente sconosciuta del monastero verginiano di San Guglielmo al Goleto [7], compiuta nel 1250, dieci anni dopo il principio dei lavori di Castel del Monte; la cattedrale di Rapolla, costruita nel 1258 dall’architetto Melchiorre di Montalbano in Basilicata; finalmente il campanile della basilica di Monte Sant’Angelo, innalzato nel 1270 da due artisti nati sul Gargano: Giordano di Monte Sant’Angelo e suo fratello Marrando. Codesto campanile, di forma ottagonata, è un’imitazione evidente di una torre di Castel del Monte; uno dei piani è coperto da una cupola ottagonale su spigoli di ogive identici a quelli che si scorgono al pian terreno di quattro torri, nel castello di Federico II.
I particolari francesi che si notano in questo edificio non si possono spiegare con 1’influenza degli architetti stranieri, i quali lavorarono pei re angioini. Nel 1270 le grandi opere intraprese da Carlo I in Puglia e in Basilicata non erano ancora cominciate. Giordano di Monte Sant’Angelo è l’ultimo allievo della scuola di cui Filippo Chinard è il solo rappresentante innanzi alla storia. Dopo di lui Pietro d’Angicourt e molti altri costruirono a Napoli e nelle provincie chiese di tipo francese. Ma vi è soluzione di continuità fra l’influenza borgognona e della Sciampagna che penetrò nelle Puglie al tempo di Federico II, e l’influenza provenzale che vi si diffuse dopo la conquista di Carlo I d’Angiò.
Si può così seguire dalle origini sino alla sua estinzione codesta scuola di architettura francese che fiorì dal mezzogiorno d’Italia avanti la dinastia angioina e che innalzò capolavori per il più grande degli Hohenstaufen. Questo capitolo nuovo quanto glorioso della storia dell’arte francese sarà scritto tra poco. Nell’esporre i risultati delle sue ricerche personali intorno a Castel del Monte e a Filippo Chinard, il signor Bertaux presenta soltanto la parte sua dello studio intrapreso di accordo col signor Join-Lambert, il quale ha esplorato minutamente i castelli ignorati di Sicilia, e col signor Chaussemiche, il quale è pronto a continuare per gli edifici più notevoli di Federico II il lavoro iniziato per Castel del Monte. L’argomento meritava la collaborazione delle due scuole francesi di villa Medici è del palazzo Farnese.
trad. M. D’Ayala.
[estratto da “RASSEGNA PUGLIESE di Scienze, Lettere ed Arti”, ed. Valdemaro Vecchi, Trani, Vol. XIV, febbraio 1898, n. 12, pagg. 353-359]
Il testo originale in francese è possibile leggerlo sul sito " Persee - revues scientifiches".
NOTE
[1] V. il piano di Castel del Monte nell’opera di Huillard¬Bréholles o nell’atlante di Schulz.
[2] HUILLARD-BRÉHOLLES, Historia diplomatica Fredrici II, vol. II, 2.a parte, pag. 536.
[3] Les Gestes des Chyprois, publié par. Gaston Raynaud, Genève, 1887, p. 67.
[4] Les Gestes des Chyprois, p. 198.
[5] Archivio Storico Napoletano, anno 1880, p. 311.
[6] È la chiesa cistercense di S. Nicola di Girgenti descritta dall'Enlart, Origines françaises de l’architecture gothique in Italie, P. 75.
[7] Presso S. Angelo dei Lombardi.