di Francesco Sarlo (1840-1916)
L’impulso dato dal Ministero della Pubblica Istruzione ai lavori di restauro, dei quali tanto abbisognano i grandiosi Monumenti nazionali del medio-evo, non ha fatto cadere nell’oblio, ancora una volta, il Castello del Monte, classico e regale edificio fatto costruire nel 1237 dallo Svevo Federico II. [1]
Dopo la vandalica sottrazione di marmi pregiatissimi, di cui per buona ventura si ravvisano gli antichi vestigi; per una seconda fiata, da pochi anni in qua, si è stimato opportuno di porre argine ai guasti esercitati dalla audace mano del tempo, e questa volta col concorso benanche della Provincia di Bari, che ha la fortuna di possedere siffatta meraviglia architettonica, si è spesa la bella somma di lire ventiquattromila in lavori, che qui appresso sarò ad enumerare, e che rendendoli di pubblica ragione non saranno di lieve interesse per coloro, cui sta a cuore la conservazione ed il meritato riguardo dovuto alle storiche memorie.
Fra le opere eseguite, e che si potranno ritenere della maggiore importanza, figura senza dubbio la muratura di rivestimento in pietra da taglio, previsto in progetto solamente per riparare le facciate dei muri in giro al cortile centrale, ed ancora, per minima parte, la sommità dei muri sul terrazzo, invece nella esecuzione dei lavori, non perdendosi di mira queste previsioni, si credé utile ben anche di portare la necessaria e pronta guarentia a qualche muro interno nelle camere di primo piano, e precisamente alle stanze quarta e quinta, nelle quali con la mancanza assoluta di superficiale rivestimento in pietra, la deteriorazione avea fatto tali progressi da minacciare il crollamento della fabbrica soprastante, e con essa porzioni di cornici in marmo che vagamente ricorrono verso l’imposta non che una residuale struttura di originaria focagna. Per simili ragioni furono ripresi gli squarci del vano che conduce nel torrino della prima stanza a primo piano, ed ancora nella medesima stanza vennero ricostruiti gli squarci del vano di finestra esterna, riproducendosi lateralmente le due nicchie, ove si faceva il maneggio della saracinesca, la quale serviva di chiusura al principale vano d’ingresso. E parlando di queste nicchie, è buono accennare che, sotto un ammasso di stalagmite, ivi formatosi, si poté scoprire una bella lese sagomata, già completamente ecclissata, mediante la quale ne fu riprodotta una simile, del tutto mancante all’opposto lato.
Tanto il rivestimento esterno nel cortile, che quello interno nelle stanze fu disposto, ed eseguito con accurato studio e lavoro, seguendosi principalmente le dimensioni degli antichi corpi, e ricostruendosi, ove abbisognavano archi, finte basi e cimase, con imitazione per bene dei tipi originari, ritrovantisi altrove per simile ed eguale ricorrenza. Al muro esterno anche della quinta stanza in primo piano venne riprodotto, come dagli antichi avanzi, un vano rettangolarmente incassato di superficie di metri quadrati 3. 32, con cornice smussata in giro, il quale nella immediata costruzione del Castello dové certamente contenere incastonato una epigrafe, ovvero un qualche bassorilievo, — E chi sa che un pezzo marmoreo con bassorilievi, poco discernibili, che si vede a posticcio incorporato sulla sommità di altro muro interno al cortile, sostenuto alla meglio con grappe di ferro, non avesse avuto dalle prime quell’indicato posto, avvalorando così la data interpretazione.
Altro lavoro da giudicarsi importante per la ulteriore conservazione del Monumento, è stato la gittata di un masso proporzionalmente spesso, formato di malta, pozzolana e tegola pesta; questo preservativo, giusta gli accordi presi, allora quando precedentemente ai lavori recavasi sul posto il benemerito Ispettore centrale del Ministero cav. Buongiovannini, fu impiegato per garantire le sommità dei muri dalle infiltrazioni delle piogge nel corso della murazione sottostante, e per riguardo al cortile centrale fu giudicato conveniente per impedire la crescenza da nuove erbe, e piante di ogni genere, come altresì a configurarne nel tempo stesso la superficie, senza carattere di sorta, lasciando per tal modo libero lo scolo delle acque, che vanno a raccogliersi nella cisterna situata fuori, ma prossima al Castello. Va pure qui soggiunto: che per quanto concerne il cortile restò eseguita la prescrizione, dopo d’essersi sterrato di quel materiale, ivi anno per anno accumulato, e che superato anche il livello delle soglie dei tre vani a piano terreno permetteva, in caso di piogge dirotte, l’allagamento delle camere terrene; con precedenza pure si restituiva l’originario suo sesto ad una porzione della volta della cisterna esistente nel ridetto cortile, già erroneamente riparata negli anni decorsi. In quanto poi al masso che occorreva sulle sommità, in generale dei muri del Castello abbenché si fossero rimessi a posto molti conci smossi dal loro sito primiero ed altri rimpiazzati a nuovo, pure per i pronunziati scoscendimenti tra un blocco e l’altro, tra il ciglio esterno e quello interno della muratura di rivestimento, e per lo sgretolamento di essa in moltissimi punti, fu perciò necessario costruire porzioni modestissime di muratura incerta per accompagnamento nei vuoti, e per tal modo complanare alla meglio la sommità del fabbricato, rendendola atta a permettere la gittata del masso, e senza togliere il carattere di diruto in quel posto, molto meno mascherare motivi di guida a futuri studi sul vero Maestro dell’Arte antica.
E per bandire completamente nell’interno del Castello ogni penetrazione d’acqua, a simiglianza di altro portone esterno fatto costruire nel 1879, furono garantiti con eguali chiusure a due battenti gli altri tre vani che danno nel cortile centrale; oltre di ché vennero costruite tutte le invetriate alle luci di primo e secondo piano, le quali, quantunque di carattere provvisorio, pure si ebbero la forma sagomata dei rispettivi vani, secondo la ricorrenza ove vennero allogate, e senza deficienza di quei precedenti bisognevoli restauri per ogni vano onde combaciare a dovere il pezzo d’opera. Qui è da rilevare, che gli stipiti originari delle finestre esterne del 1° piano del Castello, sono tutti di pietra calcarea, ma che si avevano superficialmente un rivestimento con lastre di marmo dello spessore di quattro centimetri, quale rivestimento, com’è facile argomentarlo, comparve con lo scomparire di tutto ciò che era più agevole ne’ tempi andati ad essere rimosso e trasportato dalle barbariche e vandaliche mani dell’uomo. Ora per altro che si trattava di dover munire con invetriate tutte le anzidette finestre, si credé pur regolare ed indispensabile di far rimpiazzare i marmi in parola nel modo più addicente, con lo stesso spessore degli antichi.
I pozzi pensili situati, nel numero di cinque, sulle sommità di altrettante torri vennero tutti essiccati, riparandosi quelle porzioni corrose e mancanti d’intonaco a stagnezza, ristabilendo pure precipuamente il fondo per ciascuno di essi, affinché ove lontanamente dal boccaglio, coverto con sportello mobile di ferro, vi entrasse qualche poco d’acqua, questa potesse restare lì contenuta, senza trapelare nella muratura.
Ogni cura venne posta dappoi nel praticare un generale estirpamento di erbe e piante diverse cresciute da per ogni dove, è stato però rincrescevole notare che in molti punti le radici delle piante legnose vi si addentrano molto nella muratura, ragione per cui uno sbarbicamento completo non è stato fattibile in quei luoghi.
Con la levata dei materiali in frantumi e di altre congerie che si trovano in ciascun piano, ed in ogni luogo, tutto il Castello è rimasto ammirevolmente pulito, e mediante quelle materie maggiormente trite si sono compianate provvisoriamente tutte le irregolarità che presentavano i piani delle stanze, già tutte prive di pavimento.
Passando ora a parlare della ricerca fatta delle antiche docce di scolo, ed originarie condutture di piovane, s’ebbe a rilevare, che tanto nella 2ª stanza di piano terra, quanto nell’altra posta superiormente, sul muro interno rivolto a mezzodì si trovavano per combinazione in tre punti diversi a mancare dei conci di rivestimento, per la qual cosa fu notato, che un condotto perpendicolarmente ricorreva in quel sito, il quale dovea servire unicamente per passaggio d’acqua dall’alto in basso. Per tale fatto, venne disposto che fosse scoperta una zona di pianolato calcareo ricostruito nel 1879 sul terrazzo, appunto dove poteva avere inizio la conduttura in esame; ed infatti, dopo metri 1,50 di cavo le aspirazioni furono coronate di successo. Tale condotto adunque venne subito ripristinato e funzionerà d’ora innanzi, a portare le acque, come prima, nella seconda cisterna, che si trova esternamente al Castello. Le docce di scolo poi di una porzione d’acqua che si riversa esternamente all’edificio sono state tutte rimpiazzate con altre nuove modellate sopra un tipo originario, che rotto in due pezzi si trovò confuso con altre pietre, accumulate nella torre ottava.
Ad eliminare intanto un visibile deturpamento, sulla sommità del Castello furono demoliti, fino all’incontro della mirazione propria ed originaria di ciascuna torre, due casotti provvisori venuti su nel principio di questo secolo, costruiti con pietra di accordo e tufi e che esistevano rispettivamente l’uno sulla torre numero due, e l’altro sulla torre numero otto. Invece onde proteggere le scalinate che internamente alle torri conducono sul terrazzo, furono fatti eseguire tre casottini a guisa di cappelli di ferro, che dipinti a bianco sporco, imitandosi il colore della pietra e di poco elevati, non sono punto disdicenti da qualunque parte guardati.
Una porzione della volta in tufi alla prima camera in piano terreno, da diversi anni a questa parte trovavasi caduta, e la stupenda crociera o nervatura di essa tutta in pietra da taglio, per mancanza di contrasto poteva venire giù quando meno si credeva; oltre a che un pericolo permanente sovrastava a’ visitatori del Castello che osservando il primo piano, distrattamente potevano incorrere in un serio malanno. Per tali esposte ragioni, fu ricostruita la parte mancante del volto, con simili materiali e forma identica alla preesistente, in guisa da ripristinare tutta la parte diruta dal tempo.
Di pavimenti che son coperti di pietra da taglio, si son rifatti a nuovo quelli internamente alle torri, altri su di esse e molte frazionate porzioni ove abbisognavano sempre avendo a guida il tipo, e la lavorazione originaria; così pure sono stati rimpiazzati parecchi gradini, diverse soglie mancanti, e porzioni non piccole di poggiuoli che ricorrono in giro alle camere del primo piano.
Per tal modo avrò rassegnati quei principali lavori, oltre a svariati di minore importanza, eseguiti al Castello del Monte nell’anno testé decorso, per i quali dal superiore Ministero della P. Istruzione con benigno pensiero mi ebbi l’onore della Direzione Tecnica ed artistica; impiegandosi, da mia parte per ricambio, tutto quello zelo e quell’amore che nutro costantemente per la degna conservazione degli antichi monumenti. Dopo di ciò passerò brevemente ad accennare qualche cosa sugli accertamenti fatti durante la esecuzione degl’indicati lavori.
Mediante alcuni cavi, che si praticarono a diversi punti esternamente ed in giro al poligonale Castello, si ebbe per primo a constatare, come tre murazioni di cinta per forma ottagonale si avea questa regale dimora. Siffatti muri, cui è rimasta la sola fondazione, presentemente offrono una interruzione ne’ lati verso Nord ed Ovest ove il colle si eleva con più ripido pendio; sono dessi formati di pietrame calcareo, cementato con ottima malta e sono tra loro quasi equidistanti, allontanandosi il primo dal fabbricato per metri 18,40.
Ancora esternamente al Castello, innanzi alla grande porta d’ingresso, si sono scoperti muri di fondazione, di altre fabbriche, surte in quel sito, ma in epoca recentissima al pari di altri avanzi osservati sul lato di mezzodì in prossimità del medesimo Castello.
Tra la prima cinta e l’edificio, sulla sinistra della porta principale d’ingresso, esiste una grande cisterna con le dimensioni di m: 3,70 in larghezza e metri 8,00 in lunghezza e m: 6,10 in profondità. Per tanto venuta in luce manifesta questa grande conserva d’acqua della quale le piante cresciute d’intorno avevano ecclissato perfino il boccaglio, fu argomentato dover sussistere del pari una relativa conduttura d’acqua che l’avesse a suo tempo alimentata, e con questo criterio furono disposte altre escavazioni, secondo la direzione del Castello. Si rinvenne infatti un condotto sotterra di pietre accordate il quale parte dal centro del cortile interno e s’incammina nella direzione della seconda stanza a piano terra; quivi poco al disotto del piano del pavimento, riceve per innesto la conduttura recentemente ripristinata, e che incanala una parte delle acque del terrazzo; attraversa quindi la grossezza del muro esterno della camera accennata, e finalmente con canale, che fa una leggera curva nel centro della sua percorrenza giunge ad incontrare la cisterna. Ecco come questo grande serbatoio si ritiene parte integrale del Monumento, e dell’acquisto fatto dal Governo; siccome venne comunicato già al superiore Ministero con rapporto dei 19 settembre ultimo scorso; ed è così solo che si giudicano egualmente distribuite le piovane che cadono generalmente sul castello, senza temere che coll’andare del tempo ripiena che fosse la cisterna nel cortile centrale, potesse allagare il cortile prima e poi le camere tutte, di piano terreno.
Nella terza stanza di piano terreno da sotto alle tante macerie, depositate in quel punto, è uscita la platea della focagna posta a ridosso del muro interno. Ha le dimensioni di metri 1,30 per metri 2,25, e quel testimone formerà probabilmente un altro elemento per migliori studi sul modo, onde erano formati quei camini.
Nella stanza ottava ed ultima dello stesso anzidetto piano terra, anche nettata per bene, è stata messa in evidenza migliore una piccola porzione di pavimento a mosaico, ed altra a piccoli poligoni esagonali di pietra calcarea, residuali e preziosi testimoni per loro stessi, in quanto che dimostrano come più sfarzosi, ed eleganti dovevano essere i pavimenti di primo piano, a fronte di tanta ricercatezza che si osserva nel piano terra. — Sul primo degli indicati avanzi per raccomandarlo alla intangibilità, venne destinato un tavolaccio mobile come coperchio, che lo custodisca per lo avvenire, e dimostri il non trascurato interesse, per la sua conservazione.
I cessi che rispondono in piano terra, nella torre N. 2, profondo m. 5,50; in quella N. 6, profondo metri 4,30; e nell’altra numero 8 profondo metri 4,00 sono stati sterrati e nettati, onde si ebbe la opportunità di rilevare la sezione orizzontale costante in larghezza di metri 0,95, ed in lunghezza metri 1,00; sicché solo nella profondità differiscono tra loro, potendosi ritenere l’effetto della roccia compatta più o meno incontrata all’atto della loro costruzione. La muratura interna di essi procede dall’alto in basso con regolari corsi di pietra lavorata con martellino alla sedici denti, e si conserva bene quasi generalmente.
Nettandosi il cesso nella torre N. 2, fu rinvenuta una certa quantità di polvere da sparo tutta ammuffita, ed una palla da cannone del peso di quindici chilogrammi, unico oggetto di rilievo rinvenuto in tutti gli sterri eseguiti.
Nel primo piano per ciascuna stanza, ove al livello del piano del pavimento e dove immediatamente ad esso superiore, vale a dire nel fronte del gradino che ricorre a tutte le finestre esterne, fu notato un foro rettangolare con luce media, di centimetri 12 a 15 in quadro. Tutti gli anzidetti fori formano l’inizio di altrettanti piccoli condotti, che attraversano la grossezza del muro e con piccola doccia all’estremo riescono dall’apposto lato. Per quanto si fosse giudicato sulla esistenza di questi canali è sembrato spiegarli adatti a poter versare immediatamente fuori dalle stanze quelle acque che potevano penetrare dalle finestre e balconi anzidetti nelle piogge violente.
Nella prima stanza del piano in esame vale a dire in quella che risponde sul portone d’ingresso, togliendosi con cura accanto alla finestra esterna uno strato molto spesso di stalagmite si ebbe a scoprire una modanatura che ricorreva in base ad una nicchia, da dove molto comodamente si praticava una volta il maneggio della saracinesca, e tale scoperta permise ed agevolò il restauro completo delle anzidette nicchie, giusta quanto innanzi s’è riferito.
Ed ancora a questo medesimo primo piano, nella torre N. 4 a forza di nettare e ricercare venne osservato un tratto di tubolatura che cammina orizzontalmente procedendo nella direzione del cesso posto in quella stessa torre: quale conduttura, senza tema di sbagliarsi, è diramazione del condotto principale con sezione media di metri 0,50 in quadro, che parte dalla sommità del terrazzo, ove ha il boccaglio relativo, poco discosto da quello del vicino pozzo pensile. Ponderata quindi la vicinanza tra loro di questi due boccagli allo stesso livello, e la pianta del torrino, ove si ritrovano, l’ufficio dei pozzi pensili sulla sommità del Castello resta sufficientemente determinato, servendo evidentemente a raccogliere e contenere quella quantità di acqua necessaria, la quale a mezzo del prossimo condotto e sue diramazioni, dovea distribuirsi pel servizio dei cessi non solo, ma ben anche per tutti quegli altri usi di lavande, tanto costumate in un sontuoso edificio.
Al piano del terrazzo si sono messe in vista ove si rinvennero le platee dei camerini che ricorrevano nelle torri e si sono espurgate fin dove è stato possibile quelle condotture di acqua per servizio dei cessi ed altro: pel qual fatto si poté constatare che l’appiombatura del condotto ora indicato non segue quella stessa dei cessi sottoposti, onde la ragione della sussistenza di altre condotture orizzontali delle quali fa prova la scoperta di recente.
Altri rinvenimenti fatti sul terrazzo sono stati due pezzi di canali originari, i quali smaltivano esternamente al fabbricato anche una porzione doppia d’acqua. Su questi campioni sono state modellate le nuove docce ora ristabilite, le quali, se figureranno poco più delle originarie effettive, ciò dipende dal perché l’acqua delle falde esterne del tetto, la quale in buona parte si portava nei pozzi pensili, ora invece deve versarsi tutta fuori del Castello, giusta le previsioni del progetto.
Infine nello sfogare la condottura, che porta una parte delle acque del terrazzo nella cisterna esterna, fra i rottami ammassati in quel canale, si rinvenne un pezzo di marmo bianco col seguente frammento di epigrafe e che a titolo di ricordo qui si trascrive: E L’SĀBET / ‘ CORĀTo
detto marmo è spesso metri 0,025, largo 0,10 e lungo metri 0,16.
Ed ora non mi resta a dire altro di questo importante monumento, di cui, come s’è già detto, molti con competenza hanno parlato dei suoi pregi storici ed artistici, ultimi tra questi, anche il nostro egregio amico Sante Simone, che con molto amore e trasporto ha impreso a trattare dei monumenti medioevali di questa provincia nello erudito ed accreditatissimo Giornale Arte e Storia. Fo voti pertanto, che il Castello del Monte, abbisognevole ancora di molto, non abbia ad essere posto in dimenticanza dal Governo, e che datosi mano a restaurarlo, potesse ricevere gradatamente se non quel primiero lustro fornitogli dallo svevo Federico, almeno vederne religiosamente conservati quei tipi architettonici, che come mi disse recentemente sul posto lo scozzese architetto Rowand Anderson: Le vere meraviglie di Federico II.
Per quello interesse, sempre ammirevole, e che onora altamente il Ministero della Pubblica istruzione, comunque astretto a disporre di fondi relativamente esigui, sono stati testé [1889] ultimati altri lavori di restauro al Castel del Monte, tendenti con preferenza alla migliore conservazione del classico medioevale monumento.
I lavori di cui è parola, ammontati nel loro importo a circa lire. 12,000,00 tutte a carico del Governo, han consistito nella rinnovazione del pavimento calcareo del terrazzo, per impedire la infiltrazione delle acque piovane nelle vòlte delle stanze soprane; nella ripresa di porzioni di rivestimento interno alle pareti di qualche camera di primo piano, alfine di rattenere quanto, rimasto in vuoto, poteva crollare da un giorno all’altro; nella sostituzione dei gradini mancanti a due scalinate e chiocciola, rese cosi servibilissime da piano terra fin sopra al terrazzo; nella ricostituzione delle scalinate e poggiuoli a due finestre, le quali presentano all’osservatore il panorama più imponente della maggior parte dei paesi di due province; e finalmente nelle riparazioni di vario genere a quelle parti che si degradano per forza col passare degli anni.
Colgo questa occasione intanto, per rendere di pubblica ragione che dai diruti di fondazione scoperti, mediante saggi fatti nell’attuale cortile centrale del Castello, fu duopo riconoscere ed ammettere indubbiamente, come prima della costruzione, decretata ed ordinata da Federico II a Pier delle Vigne, vi fossero in quel sito altre fabbriche costituenti forse altro Castello, od un punto di vedetta relativamente fortificato. Il genere però della fabbrica rinvenuta non era poi di quella perfezione ed eleganza, che si riscontra anche nelle fondazioni dell’attuale Castello; né le preesistenti servirono punto di base alle costruzioni disposte dallo svevo imperatore.
Dovrà quindi considerarsi fondata l’opinione di non pochi autori, che ritengono in quel sito altro Castello sussistesse al tempo dei Greci e Saraceni [2], anche per quanto si ricava dalla cronaca Cavese, dove ai legge: che nel 1029 Rachio Duca Barese e di Paglia avesse rivendicato dal dominio greco e saraceno il Castel del Monte, insieme a Bitonto: «Raycus dux Barensis, post Dattum præliatus est cum Græcis, qui victi sunt prope Botuntum, et cepit aem cum Castrumonte, quod adhuc existit situm inter Canusium, et Andriam».
Per conto mio, soggiungo che una analogia di fabbrica ebbi a riscontrare soltanto tra i diruti rimasti ora sepolti e le murazioni di cinta, che in punti parziali sono ancora visibili per forma ottagonale, in giro al Castello; e se tra gli uni e le altre vi fosse differenza di epoca posso assicurare, di esservi elementi costanti, per desumere che Federico II fece costruire la sua regale dimora dopo la demolizione di un fabbricato preesistente, vuolsi per le sue condizioni di rattrovamento, sia più verosimilmente per avere l’agio di meglio spaziare il concetto dell’opera da lui decretata.
Dell’epoca di Federico non vi è iscrizione alcuna che accenni alla classica opera del Castello, lo che fa ignorare assolutamente l’architetto ed i costruttori. Vi è soltanto all’altezza del primo piano incisa sopra una finta di pilastro la epigrafe seguente, che potrebbe alludere a qualche restauro fatto in quell’anno; dessa fu pubblicata non correttamente dal d’Urso (Storia della città di Andria), ed ora qui si riporta nella sua vera lezione; con che metto punto a queste poche notizie.
1566
D.s • I • D • C.A • D
B.LO • C.O • L • P • P
S.A • ML.TA • DIE
3 7.b s
Ing.re Francesco Sarlo.
[estratto dal periodico " Arte e Storia", Firenze, 1885, Vol. IV, Fasc. n. 13, pagg. 100-101; Fasc. n.14, pagg. 110-111; Fasc. n.15. pagg. 118-119; 1889, Vol.VIII, Fasc. n.26, pagg.203-204]