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I restauri tra leggenda e realtà
Giambattista De Tommasi
(stralcio)
... ... ...
Le indagini
I lavori di restauro, schematicamente sopra riportati, hanno peraltro consentito
l'approfondimento di una serie di temi, tra loro apparentemente disorganici,
ma non per questo meno interessanti, mano a mano che l'esame scrupoloso delle murature
metteva in luce caratteri del Castello sconosciuti o comunque poco noti,
fornendo continuamente spunti per indagini ulteriori. Tali indagini hanno consentito
una serie di osservazioni sugli aspetti tecnologici nonché sull'apparato decorativo
e scenografico del Castello che, confermando e completando quanto già conosciuto,
sottolineano la particolare attenzione posta in ogni dettaglio di questo singolare monumento,
per conferire all'intera opera un senso di perfetta compiutezza,
che non poteva non impressionare chi ne avesse percorso le sale.
Il sistema di canalizzazioni per lo smaltimento delle acque piovane, connesso, com'è noto,
al funzionamento dei servizi igienici di cui il Castello era dotato,
seppure affrontato da diversi studiosi nelle sue linee generali,
non era stato mai oggetto di organiche indagini, né tanto meno interessato
da particolari lavori di restauro se si esclude la semplice impermeabilizzazione delle cisterne.
Invero il Cremona nel 1910, come si è già accennato, esaminò questo aspetto,
lasciando anche schizzi piuttosto precisi dei servizi e delle soprastanti cisterne pensili,
in cui peraltro si astenne dall'eseguire saggi, dando come esistenti tubazioni che,
malgrado le ripetute indagini svolte nel corso dei recenti restauri,
non sono state trovate e di cui comunque forniva solo vaghi cenni.
Più precise invece le indicazioni dei resti di tubazioni in pietra originaria
presenti a circa 30 cm. dall'attuale piano di calpestio della terrazza,
in adiacenza alle Torri, probabilmente le stesse che, rinvenute per caso
nel corso degli ultimi lavori spinsero le ricerche in tale direzione,
con risultati almeno in parte sorprendenti.
Le figg. 38-39 illustrano appunto una coppia di tali tubazioni,
originariamente collegate tra loro, il cui funzionamento doveva essere complementare:
l'una, infatti, convogliava le acque nelle cisterne (v. in fig. 40 i corrispondenti tubi di scarico),
l'altra serviva da troppo pieno nei casi in cui la cisterna era colma
(ancora oggi è visibile il relativo gettafuori).
Furono quindi condotti alcuni saggi nelle cisterne [pensili] che si presentavano
tutte intonacate a cemento
[33],
ed in particolare in quella ubicata
nella Torre T4
[34];
in essa si procedette alla completa stonacatura portando alla luce dapprim uno strato di coccio-pesto
continuo su pareti e pavimento, dello spessore di cm. 10-15 circa (fig. 41), ed,
al di sotto dello stesso, un pavimento in grosse lastre di pietra. Le
notevoli dimensioni di tali lastre
[35],
superiori a quelle del boccaglio di accesso, nonché il perfetto grado di finitura della faccia vista
facevano pensare a materiale originario, in contrasto peraltro con la
tecnica di posa in opera, molto approssimativa ed a grossi giunti, e con
l'evidente scalpellatura subita da alcuni lati.
Tutto ciò indicava che
non si era ancora in presenza del piano originario: fu necessario quindi
procedere allo svellimento anche di questo pavimento portando alla luce
finalmente, lungo il perimetro della cisterna e per una lunghezza di cm.
30-50, la primitiva pavimentazione, che risultava scalpellata lungo i
lati liberi fig. 42).
Essa era costituita da lastre di pietra perfettamente squadrate e
lavorate sia sulla superficie sia sui lati, con assetti quasi invisibili
cementati da un sottile strato di malta, tanto da far ritenere inutile
qualsiasi protezione superiore (di cui peraltro non si è trovata
traccia).
I blocchi di pietra costituenti lo strato superiore erano stati quindi parte integrante
di tale pavimentazione e in un momento a noi sconosciuto divelti,
probabilmente per la necessità di effettuare lavori di rifacimento o restauro
delle volte di copertura degli stanzini sottostanti:
ciò spiegherebbe anche la mancanza di costoloni
su di esse
[36].
Comunque il basolato divelto fu poi riutilizzato per ricostituire la pavimentazione,
assicurandone l'impermeabilità con un getto di coccio-pesto.
Il fondo della cisterna, inoltre, si presentava in leggera pendenza
verso il lato ove è ubicato il boccaglio, sulla cui perpendicolare venne in luce
un pozzetto in pietra in unico blocco, delle dimensioni di cm. 50x50.
Da questo partiva un canale ricavato nella pavimentazione che,
attraversate le murature con tubazione in pietra, terminava all'esterno (fig. 43),
costituendo quindi il probabile scarico di fondo.
Malgrado i reiterati tentativi non è stato invece possibile comprendere
se e come vi siano stati dei collegamenti diretti tra le cisterne e
i servizi sottostanti
[37];
constatazione questa che, tenuto conto della perfezione e compiutezza
di tutto il complesso, suscita non poche perplessità e resta per il momento inspiegabile,
a meno di ipotizzare che tali collegamenti siano andati perduti con le volte sottostanti,
al momento del loro probabile rifacimento.
A seguito di questi parziali successi si passò all'esame dei locali di servizio
posti nelle Torri ed in particolare di quelli a primo piano della Torre T6,
in quanto si presentavano come i più integri.
Il più piccolo dei due locali, di dimensioni 1,26 x 2,26 m.,
pur presentando le murature notevolmente degradate, conservava,
in alcuni casi sotto uno spesso strato di depositi calcarei,
i resti dei primitivi «apparecchi igienici».
Pressocché integro infatti era il sedile della tazza (fig. 44) comunicante
con una canalizzazione verticale (fig. 45) che attraversava in altezza tutta la Torre,
terminando in alto in terrazza ed in basso con un pozzo che probabilmente fungeva da pozzo nero.
Lateralmente alla «tazza» due nicchie per la lucerna.
Ancora sulla sinistra, proprio di fronte alla porta di accesso,
ad un'altezza dal pavimento di m. 0,68 i resti di un «bacile» in pietra (fig. 46),
di cui erano perfettamente visibili parte dell'aggetto, la curvatura interna e la nicchia nel muro,
nonché un foro di scarico comunicante con il tubo in pietra
(probabilmente lo stesso già esaminato
dal Sarlo
[38],
anche se egli credette che la pendenza fosse inversa),
che portava le acque di scarico nella tubazione verticale, di cui si è detto.
Nessuna traccia invece di tubazioni di arrivo. Altra particolarità di questo locale era la presenza
di due piccole finestre, poste l'una sopra l'altra (a garantire una perfetta areazione?).
Nell'adiacente stanzino di forma ottagonale, i resti di un altro bacile in pietra
sostanzialmente identico a quello già descritto, anche esso con solo foro di uscita
che sembrava comunicare con la tubazione verticale citata.
Per quanto si attiene infine ai «pozzi neri», posti alla base delle canalizzazioni verticali
è da sottolineare che non tutti erano ispezionabili (come ad esempio quello nella Torre T6);
comunque, lì dove possibile, si è proceduto alla loro pulizia e successiva ispezione
che peraltro non ha tornito elementi degni di rilievo né ha messo in luce fessurazioni
o fori presenti nella roccia in cui è scavata la parte più profonda del pozzo,
attraverso cui il materiale liquido potesse facilmente disperdersi.
I risultati in gran parte positivi così raggiunti non potevano non spingere
ad ulteriori indagini degli aspetti tecnologici del Castello,
anche perché numerosi sono gli «impianti» di cui si conservano le tracce,
evidenziate, peraltro, con chiarezza dai recenti lavori di restauro.
A parte i numerosi pluviali, infatti, — di cui restano solo i fori verticali
nelle murature — di particolare interesse, nelle sale di primo piano,
è la presenza di un foro sul pavimento in corrispondenza della finestra — in alcune sale
perfettamente visibile — comunicante con l'esterno attraverso un gettafuori:
mentre però il foro a pavimento è in asse con la finestra,
il gettafuori è spostato su un lato, evidentemente per evitare che l'acqua cadesse
sulla monofora sottostante! (figg. 47-48). La sua funzione doveva essere probabilmente
quella di raccogliere l'acqua piovana eventualmente infiltrata attraverso l'infisso
ma forse anche, ed è proprio la perfezione del complesso che impone di fare questa ipotesi,
quella di raccogliere ed incanalare verso l'esterno l'acqua di condensa
che avrebbe dovuto formarsi sulle pareti fredde ed impermeabili
(si ricordi che le stesse erano rivestite da marmi).
Altra particolarità la presenza in alcune sale di primo piano,
come ad esempio nella sala I, di un tubo tronco-conico in rame,
aggettante dalla volta per cm. 8 (fig. 49) posto a circa 40 cm. dal concio di chiave
di ciascuno dei due costoloni in pietra trasversali: da tale tubo
parte poi un'altra tubazione in terracotta che attraversa lo spessore della volta
per una profondità di m. 1,50! Quale possa essere stato l'uso di tali tubazioni,
ovviamente resta un mistero, né è facile fare ipotesi;
peraltro la particolare posizione e la presenza lungo i costoloni,
a poche decine di centimetri da detti tubi di ganci in ferro originari,
possono far pensare ad un sistema di rifornimento di olio alle lucerne
direttamente dalla terrazza.
Elementi di non minore interesse sono stati evidenziati anche per la parte decorativa
delle sale e per alcuni artifici che, seppure già noti, è opportuno sottolineare
in quanto rappresentativi dello spirito che anima il Castello in ogni sua parte.
È noto ed in precedenza lo si è sottolineato, che i costoloni delle volte
sono semplicemente sovrapposti ad esse e con funzioni meramente decorative:
quello che invece in genere sfugge è il particolare accorgimento adottato
per conservare la simmetria di ogni fascia di costoloni al di sopra dei capitelli
da cui partono. A tal proposito è bene premettere che il difficile problema
di coprire con volte ambienti di pianta trapezoidale è stato risolto
in Castel del Monte scomponendo il trapezio in due triangoli e un quadrato,
coperti rispettivamente da volte a botte e volta a crociera.
Ai vertici di quest'ultima sono i pilastri da cui partono i costoloni:
per ogni gruppo di essi, uno, quello posto verso la zona triangolare,
parte regolarmente dal capitello ma si infila subito dopo nella volta (fig. 50),
senza che peraltro il visitatore abbia modo di percepire tale anomalia.
Inoltre la pulizia delle pareti delle sale di primo piano dalle incrostazioni
ha evidenziato che alcuni setti della muratura a vista posta sopra la cornice
che delimita la zona rivestita da marmi conservano ancora tracce della originaria decorazione
costituita da linee di colore rosso scuro: purtroppo ciò che resta è troppo poco
e sbiadito per essere chiaramente visibile dal basso, ma sufficiente
per dare una chiara indicazione sulla decorazione interna delle sale.
Tracce ancora più importanti e notevolmente più consistenti sono poi state rinvenute
in corrispondenza di alcune bifore esterne: molti capitelli in marmo che le ornano conservano,
infatti, quasi integro un leggero strato di colore che li ricopre parzialmente
(figg. 51-52-53) mentre poche ma significative tessere di colore verde
ritrovate negli occhi circolari e nelle zone triangolari poste sulle bifore stesse
indicano senza possibilità di dubbio che esse un tempo dovevano essere ornate
da mosaici (vedi fig. 52 con l'unica [!] tessera oggi esistente).
D'altra parte, la conferma che più si approfondivano i caratteri dell'edificio
più ogni cosa trovava la sua ragion d'essere, rendeva sempre meno convincente l'ipotesi
di una distribuzione casuale degli elementi funzionali di cui le diverse stanze
risultano dotate (camini, finestre, servizi, ecc.) tanto che le stesse,
dimensionalmente uguali, finiscono con l'assumere caratteri nettamente diversi
sotto il profilo funzionale. La constatazione che tutte le porte interne ed esterne,
del tipo a due ante (come testimoniano in maniera inequivocabile gli alloggiamenti
dei cardini), presentano sempre un prospetto più importante con stipiti ed architravi
a decorazioni varie (fig. 54) ed un retroprospetto meno interessante — verso il quale
si aprivano i battenti (fig. 55) — e che, in particolare, tale situazione
si presentava puntualmente ed in maniera sintomatica per la porta di accesso al cortile
dalla stanza II, dotata di un grandioso portale all'interno della sala,
ma assolutamente spoglia verso l'esterno (fig. 56) al contrario di quanto accade
per gli altri due accessi sul cortile (fig. 57), suggerì una nuova chiave di lettura
nell'ipotesi dell'esistenza di percorsi «obbligati» o per meglio dire di percorsi
connessi all'uso delle singole stanze lungo i quali gli ospiti avrebbero comunque
dovuto muoversi ed in funzione dei quali tutto era stato progettato per impressionarli
(mentre, importava meno quello che essi lasciavano alle spalle...).
Partendo quindi dai due ingressi esterni del Castello si sono tracciati i percorsi
determinati automaticamente seguendo i prospetti principali delle porte,
considerando stanze «terminali» quelle il cui accesso può avvenire solo da una sala
oppure che presentano le due porte di accesso con orientamento contrapposto
(cosicché una volta entrati in una sala si veda il retroprospetto della seconda porta).
I risultati, illustrati nella fig. 58, sono estremamente interessanti e sotto molti aspetti sorprendenti.
Innanzitutto si evidenzia una netta separazione dei percorsi che si originano
dal portone principale, ad est, e da quello secondario, ad ovest,
anche se è possibile con gli uni e con gli altri raggiungere ciascuna stanza «terminale»
senza attraversare altre dello stesso tipo (naturalmente, per il primo piano, nell'ipotesi,
come si è visto sufficientemente attendibile, che originariamente vi fosse
il ballatoio in legno perimetrale al cortile). Strettamente connessa a questa gerarchia
dei percorsi, quella delle scale: infatti quella ubicata nella torre T5
(interessata da percorsi di servizio) è l'unica che corre da piano terra alle coperture,
senza avere un particolare apparato decorativo al primo piano;
situazione ben diversa presentano invece le altre due scale:
quella ubicata nella torre T7 addirittura si ferma al primo piano,
coperta da una volta costolonata su telamoni, capolavori della plastica Federiciana,
e quella ubicata nella torre T3 nota come torre «del falconiere»,
sembra anch'essa fermarsi al primo piano, coperta da una volta costolonata
su mensole costituite da volti femminili.
Sopra di essa, però, la scala continua verso la terrazza:
parte superiore e parte inferiore possono essere quindi collegate
per mezzo di una scala mobile attraverso uno spicchio mancante della volta stessa,
che nelle condizioni di penombra in cui si viene a trovare sfugge al visitatore.
Si spiegherebbe quindi facilmente questa apparente anomalia, su cui tante ipotesi,
più o meno fantasiose, sono state avanzate: la scala,
normalmente utilizzata per i percorsi «principali», poteva essere utilizzata
in alcuni casi anche per quelli «di servizio»; in tal caso una scala mobile
consentiva con facilità la prosecuzione della salita verso la terrazza.
Ma i risultati più sorprendenti sono venuti dall'esame delle caratteristiche
delle stanze terminali: infatti tutte, a parte una, la n. I di primo piano,
di cui si parlerà nel seguito, sono dotate di camino, mentre, cosa forse più interessante,
tutte le altre stanze ne sono sfornite; inoltre le due sale terminali di piano terra
e le due nel settore Nord-Ovest di primo piano sono dotate di servizi
(la n. II anzi è dotata, unica fra tutte, di servizio e stanzino),
mentre sfornite risultano quelle cui si accede attraverso la scala sita nella torre T7.
Infine la sala I di primo piano, in accordo con la tradizione che l'ha sempre indicata
come «stanza del trono», conferma la sua eccezionalità rispetto a tutte le altre:
essa infatti non solo dà accesso alla scala che collega il primo piano con la terrazza,
posta nella torre T8, ma è l'unica stanza terminale dotata di finestra sul cortile,
attraverso cui è possibile raggiungerla dalle altre stanze utilizzando il camminamento esterno.
A questo punto suggerire una destinazione specifica per le singole sale
sarebbe fin troppo facile ma anche del tutto inutile, sia perché non aggiungerebbe
alcuna qualità a quanto sopra evidenziato, sia perché,
per l'arbitrarietà comunque connessa con tale operazione, rischierebbe
di far perdere all'indagine svolta i caratteri di oggettività che l'hanno caratterizzata.
[da "I restauri tra leggenda e realtà" di Giambattista De Tommasi, in
"Castel del Monte" , Adda Editore, Bari,
1981, pagg.129-138,144]
NOTE
[33]
Intonaco realizzato, come si è visto, durante i lavori di restauro del 1934.
[34]
Saggi sono stati condotti anche nelle cisterne ubicate nelle Torri T1 e T2;
seppur limitati, essi sembrano comunque confermare i risultati ottenuti nella cisterna
della Torre T4.
[35]
L'accesso alle cisterne avviene attraverso un boccaglio di diametro di cm. 45-50
e della profondità di m. 2,00-2,50: è evidente quindi che le lastre in questione
dello spessore di cm. 20-25 e della larghezza di cm. 70-90 non potevano essere state introdotte
successivamente alla costruzione delle cisterne.
[36]
Le volte degli stanzini sottostanti sono tutte prive di costoloni: unica eccezione
quella di copertura della scala ubicata nella Torre T7, in cui peraltro è poco spiegabile
la presenza della cisterna superiore non essendo presenti nella torre locali di servizio.
[37]
L'ipotersi di tubazioni esterne alle torri, con inizio dal foro di uscita
di cui si è detto, non può trovare alcuna conferma né sembra credibile che un organismo architettonico
così complesso e studiato possa ammettere simili soluzioni.