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Federico II fu mai a Castel del Monte?
Pasquale Cafaro (1876-1970)
(stralcio)
Chi raggiunge la sommità della collina murgese, dalla quale domina nei secoli Castel del Monte,
si arresta perplesso alla prima vista del monumento, che gli appare fasciato di mistero.
Mistero derivante non tanto dall'aspetto di èremo solitario in una zona deserta
quanto dalla singolarità dello stile, che, mentre si illegiadrisce nelle bifore gotiche
sorridenti dagli otto lati, si esalta a levante nell'imponente portale classico.
Quando poi il visitatore penetra nel mistero intimo delle sale silenziose,
e si aggira assorto fra le colonne coralline ed i tricolunnii venati,
ed ogni segno scorge dell'antico fasto imperiale devastato dagli anni e dagli uomini,
gli balza spontanea nella memoria la figura di Federico II di Svevia anch'essa fasciata di mistero.
E colui che Dante nella Commedia condannò all'inferno come epicureo
e nel Convivio esaltò come «chierico grande»; colui che il dialetto
apulo-siciliano trasse a corte per elevarlo a volgare illustre,
ed avviò la nuova poesia, egli stesso poetando; colui che lottò
per la indipendenza del potere civile dal Papato e disegnò con anticipata modernità
lo stato laico; colui che, amato ed odiato forse più di quant'altri mai,
riempi del suo nome il suo secolo.
Il visitatore rievoca il sovrano di stirpe straniero ma di nascita italiano e di mentalità latino,
immaginando l'imperatore in severi colloqui raccolto con Pier della Vigna,
Taddeo della Sessa, Bartolomeo da Capua — o alla lettura intento delle opere di Aristotele
da lui affidate alla traduzione di Michele Scoto — o piuttosto dedito alla prediletta caccia
del falcone che gli suggerì il magistrale trattato «De arte venandi cum avibus».
Intanto al visitatore trasognato si fa incontro lo storico e gli chiede pacatamente:
Ma, in realtà, Federico II fu mai a Castel del Monte?
Esaminiamo brevemente e serenamente la questione, che, sebbene sia di portata locale,
può interessare anche Voi adusati a più larghe indagini.
Dico subito: mancano, o almeno non si conoscono, documenti federiciani emessi e datati da Castel del Monte.
Non mancano, però, testimonianze di storici insigni che specificatamente ammettono
la presenza dell'imperatore nel castello murgese.
Giuseppe Aurelio Lauria, autore della prima monografia su Castel del Monte (1861),
afferma: «Da questo castello prendono data parecchie delle Costituzioni imperiali
e molte lettere ai Principi della Cristianità, scritte in nome di Federico dal suo fedele segretario.
L'Apud Castrum Montis che in quelle si legge c'è argomento del piacer di Federico
a godersi le delizie di quella dimora anche durante la stagione ibernale».
Ferdinando Gregorovius nei suoi Viaggi in Italia precisa: «Non sappiamo quando e quante volte
l'imperatore venne a soggiornare a Castel del Monte, nè se vi fosse accompagnato dalla consorte».
Per lo storico tedesco vi ha dubbio sulla data e sulla frequenza delle soste;
non è alcun dubbio che quelle soste ci fossero state. Ma il Gregorovius aggiunge oltre:
«Di castelli destinati alla caccia del falcone egli ne aveva parecchi in Puglia e nella Lucania,
a Foggia e a Gioia, ad Apricena e ad Avigliano ... Di tutti i castelli però Castel del Monte
era il più grandioso; ed è a credere che quivi appunto il grande imperatore
si dedicasse con maggior frequenza al suo esercizio prediletto».
La frase è a credere, che può avere anche un senso dubitativo, non intacca l'affermazione della sosta,
ma si riferisce alla maggior frequenza di soste rispetto agli altri castelli di caccia.
Giuseppe Del Giudice, archivista del Grande Archivio di Napoli, nel suo pregevole libro Riccardo Filangieri
al tempo di Federico II (1893) scrive: «Nelle cacce presso Castel del Monte,
dimora favorita dell'imperatore, certamente il Filangeri accompagnava Federico,
come falconiere ed intimo familiare». Se anche la frase certamente accompagnava
può nascondere un significato ipotetico, l'inciso dimora favorita dell'imperatore è perentoriamente affermativo.
Anche Ernesto Kantorowicz nel suo recente Federico II di Svevia (1939),
dopo essersi soffermato sui particolari pregi del castello, che — dice — testimonia
la mentalità varia e versatile che dominava alla Corte, soggiunge: «Quali misteriosi
e inverosimili festini devono essersi svolti dietro quelle mura silenziose!».
Inverosimile sarebbe immaginare codesti festini senza il genio del luogo,
senza il signore. che al suo gusto ed al suo diletto informava le costruzioni e le feste.
Questi sono gli storici maggiori — sempre che non mi sia sfuggito qualche altro — che,
occupandosi di Castel del Monte, toccarono la nostra questione;
ma moltissimi scrittori dell'800 e del '900 ammisero la presenza di Federico.
Fra i tanti cito: l'inglese Janet Ross (La terra di Manfredi - 1899)
ed il francese Louis Dupont (La terre du soleil 1909), Camelia Fravolini (Paesaggi d'Italia - 1925),
Giovanni Mariotti (Nostalgia di Puglia - 1938). Mi astengo dal citare giornalisti benché insigni,
come Rowand Anderson, Angelo Conti, Vincenzo Morello, Orio Vergani; molto meno riporto nomi di poeti,
anche se si chiamano Gabriele D'Annunzio o Angelo Silvio Novaro.
Per eccessiva prudenza esito a citare i miei benemeriti concittadini storiografi,
il diligentissimo Emanuele Merra (Castel del Monte - 1895) ed il lineare
Riccardo Napolitano (Castel del Monte - 1926), perché gli storici locali
sono sempre sospettati — talvolta ingiustamente — di malinteso amore
del loco natìo e di caparbio attaccamento alla tradizione.
Ma voglio citare il mio illustre amico Michele Gervasio, non sospetto di fantasticherie campanilistiche.
Egli scrive, in un sobrio e chiaro studio (Castel del Monte -1926):
esso serviva come una delle «domus solatiorum» ricordate nei documenti di Federico,
cioè come villa e dimora estiva del principe nei brevi periodi di pace o
destinata solo a pernottarvi quando egli recavasi in Capitanata ad «uccellare».
Mi son guardato bene dal citare il cronista del tempo Matteo Spinello da Giovinazzo — che
porta l'imperatore partito da Castel del Monte alli 25 di novembre del 1250
già tocco dal male che doveva spegnerlo il 13 mese successivo in Castel Fiorentino — perchè
i suoi Diurnali sono definitivamente condannati come apocrifi.
Qualunque sia il giudizio che possa trarsi dagli autori citati,
proseguo la mia indagine con un'altra categoria di prove — con argomenti; i quali,
in difetto od insufficienza di documenti, come prove sono ammissibili,
pur che poggino su documenti certi.
Comincio con l'esaminare l'unico documento relativo alla costruzione di Castel del Monte:
la nota lettera di Federico lI a Riccardo di Montefuscolo Giustiziere di Capitanata,
emessa da Gubbio il 28 gennaio 1240. In tale documento l'imperatore ordiata
di provvedere urgentemente alla copertura della terrazza di Castromonte.
Dal mandato federiciano risultano due dati di fatto importantissimi ai fini di questa dissertazione.
1.) Castel del Monte fu opera voluta da Federico, e quindi creazione di un solo autore,
evidentemente ideazione dello stesso Federico: «... pro Castro,
quod apud Sanctam Mariam de Monte fieri volumus» (S. Maria del Monte era una badia benedettina in seguito scomparsa).
2.) Alla data del diploma il castello era pressochè ultimato, già che l'imperatore ordinava,
con ribadita volontà: «instanter fieri volumus actractum ..., actractum ipsum in calce,
lapidibus et omnibus aliis oportunis fieri facias sine mora».
La voce di bassa latinità, e forse di gergo tecnico, actractus da tractus,
sta ad indicare distesa, spianata, cioè il lastrico solare, non inteso come composto di lastre,
ma come quella mescolanza compatta di calce, pietrisco ed altre materie
(in calce, lapidibus et omnibus aliis oportunis) di cui si solevano coprire le terrazze
ed anche i pavimenti nelle case pugliesi fino a tempi recenti.
Dunque, dal 1240 al 1250 (epoca della morte di Federico) l'imperatore aveva bene il tempo,
pur fra le cure di stato, di fermarsi nel castello che egli aveva con deciso proposito voluto,
seguendo persino i particolari della costruzione: «significaturus nobis frequenter
quid inde duxeris faciendum» aveva scritto nel citato documento.
In dieci anni Federico aveva bene il tempo di salire a Castel del Monte,
ne aveva anche facile opportunità, perché durante quell'attivo decennio
l'imperatore sostò spesso in Puglia, specialmente in Foggia, in Barletta, in Melfi,
lontane dal maniero qualche ora di cavallo. E appunto perchè Federico,
per raggiungere Castel del Monte, doveva necessariamente provenire da quelle tre città,
dove attendeva agli affari di stato emettendo i suoi atti diplomatici,
appunto per questo non aveva bisogno di stilare decreti e rescritti durante le brevi soste
di riposo e di caccia. Non dobbiamo mai dimenticare che al riposo ed alla caccia
era destinato il castello della Murgia, e a tale preciso scopo costruito,
senza alcun apprestamento di fortilizio, nemmeno di fossato e di ponte levatoio,
forse nemmeno di merlatura.
Un'altra osservazione. Le visite dello Svevo a Castel del Monte erano favorite
dalla immediata vicinanza di Andria, al cui territorio apparteneva ed appartiene.
Ma — può chiedere ancora lo storico prudente — in Andria si fermò mai Federico?
Nemmeno da Andria è datato alcun documento federiciano.
Rispondo. Innanzi tutto sarebbe strano che il re di Puglia e di Sicilia
non avesse mai visitata la sua città prediletta dal 1208 — quando venne per la prima volta
nella nostra Terra fanciullo quattordicenne (puer Apuliae lo chiamarono)
sino al 1250 — quando nella nostra Terra si spense (uomo di Puglia egli stesso si chiamò).
Fra tutte le città visitate sarebbe stata una esclusione eccezionale,
contraria alla manifestata predilezione.
C'è di più. Ad Andria Federico era legato da avvenimenti e ricordi notevoli della sua vita familiare,
che presumono la sua presenza per quella comune logica che deve essere a base di ogni investigazione razionale.
Andria aveva anche un castello di città, costruito da Pietro I Normanno,
ampliato ed abbellito da Federico II Svevo. In questo castello sostava spesso la seconda consorte dell'imperatore,
Jolanda di Brienne, la quale nel 1228 vi dette alla luce Corrado IV,
nel giorno e nell'ora in cui Federico teneva in Barletta il parlamento del reame
per organizzare quella che fu detta la Crociata degli scomunicati.
Giunta la fausta notizia all'imperatore durante la seduta, egli volle subito designare
(con atto del notaio Pappalettere di Barletta) il neonato Andriese a successore
del regno di Puglia e di Sicilia. In base a tale notizia, riferita da Riccardo
di S. Germano e controllata dal Muratori, vien fatto di chiedersi:
in quella circostanza il sovrano e padre felice non corse, con men di un'ora di cavallo,
alla vicinissima Andria per vedere l'atteso erede?
E nemmeno dieci giorni dopo, quando la giovane Jolanda vi morì per maligna febbre?
Ben egli intanto dispose fosse l'imperatrice sepolta nella cripta della cattedrale andriese,
dove tuttora riposa. Né la fausta né la luttuosa circostanza avrebbe richiamato ad Andria Federico,
mentre da quell'aprile sino al luglio successivo, quando salpò da Brindisi
per la Crociata, fu quasi sempre in Puglia.
Ancora: quando, nel dicembre del 1241, morì in Foggia la terza consorte, Isabella d'Inghilterra,
egli volle fosse sepolta in Andria presso la tomba di Jolanda (sempre Riccardo di S. Germano in Muratori).
Nei rimanenti nove anni di vita l'imperatore non ebbe mai occasione di visitare
i due sepolcri che amorevolmente aveva voluto abbinati sotto la stessa volta mistica?
Dopo anni un lieto avvenimento nel castello di Andria: il I. dicembre 1249
vi furono celebrate con grande sfarzo le nozze di Violante, figlia naturale di Federico,
con Riccardo conte di Caserta. Anche in questa occasione sarebbe stato assente l'imperatore,
che aveva pur predisposto con particolare cura il matrimonio ritenuto opportuno
per ragioni di stato? Si noti che da nessun documento risulta che Federico
fosse impegnato altrove in quel giro di giorni.
Un'ultima circostanza fa ritenere la presenza di Federico II in Andria.
Quando, cioè, tornato egli da Gerusalemme trovò che soltanto Andria, con Brindisi e Barletta,
gli era rimasta fedele, mentre tutte le altre città della Puglia erano passate al Papa.
Andria mandò in ostaggio al suo signore cinque nobili giovinetti che gli recitarono
i noti esametri, riportati da tutti gli scrittori della materia:
Rex felix, Federice, veni, dux noster amatus.
Est tuns adventus nobis super omnia gratus,
Obses quinque tene, nostri signamine amoris,
Esse tecum volumus omnibus diebus et horis.
Con simile forma poetica l'imperatore rispose:
Andria fidelis nostris affíxa medullis,
Absit quod Federicus sit tui muneris iners;
Andria vale felix, omnisque gravamini expers.
Il primo verso del generoso saluto imperiale è inciso sul frontone dell'antica porta
della città detta di S. Andrea, oggi meglio denominata di Federico.
È tempo di concludere. Non vi sono, o non si conoscono, documenti autentici
attestanti soste di Federico H in Castel del Monte, ma non v'ha nemmeno un solo documento
che le escluda. Vi sono, d'altronde, le testimonianze di storici
e le argomentazioni di logica che ho sommariamente esposte.
Comunque, il visitatore consapevole di Castel del Monte sentirà sempre aleggiare
lo spirito di Federico II di Svevia nella singolare costruzione
che il Perkins definì «la più completa di questo genere che esista nel mondo intero»;
riconoscerà sempre il sigillo inconfondibile del genio federiciano nel castello fatidico
che dal colle solatìo della Puglia preannunziò due secoli prima la Rinascenza italica
Pasquale Cafaro, "Federico II fu mai a Castel del Monte?,
in “Archivio Storico Pugliese, Ed. A. Cressati, Bari,
1951, Anno IV, fasc.III-IV, pagg.96-101