Cenni storici sulla Cattedrale di Andria - L.Renna

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(dall'opuscolo)

La cattedrale di Andria


Cenni storici sulla Cattedrale di Andria

di Luigi Renna

Il passaggio di Andria da locus a contea normanna, nel secolo XII, costituisce un notevole punto di riferimento storico per datare la costruzione della cattedrale sorta sull’antica chiesa pre-normanna, attualmente cripta sottostante il presbiterio. Guglielmo Appulo, nel suo Historicum poema, scrive che «Petrus [. .. ] edidit Andrum, fabricavit et inde Coretum, Basilias, Barolum maris aedificavit in oris» (Pietro .. . fortificò Andria, costruì quindi Corato, Bisceglie, edificò sulle rive del mare Barletta). Si tratta di Pietro I il Normanno, che recinse di mura Andria nella prima metà del secolo XI, ed inglobò in essa certamente la chiesa che oggi, al disotto del livello stradale, funge da cripta della nostra Cattedrale.

Secondo una leggenda, in questa chiesa sostò san Pietro nel suo viaggio verso Roma: la pia tradizione va interpretata come un tentativo di attestare l’antichità della città e della sua comunità cristiana. Con l’ampliamento della Cattedrale fu dato al la cripta l’attuale assetto, con la collocazione di colonne che sorreggono antichi capitelli e la costruzione dell’attuale volta. Nel secolo XIII la cripta ospitò le tombe delle prime due mogli di Federico II: Jolanda di Brienne († 1228) e Isabella di Inghilterra († 1241). Con la fine della dinastia sveva, nel periodo angioino, furono cancellate le tracce dei mausolei imperiali, ed oggi solo due lapidi ricordano la presenza delle tombe delle due imperatrici. Successivamente la cripta fu adibita a sepolcreto e soltanto agli inizi del Novecento fu ripulita e resa più accessibile.

Quando fu edificata la Cattedrale? Tre iscrizioni, incise su pietra, ci riportano alle origini, fornendoci indizi che gli storici hanno cercato di interpretare per una corretta datazione. Nel terzo pilastro di sinistra, una iscrizione ci consegna il nome di Alkseberius, probabile architetto della costruzione [1]. Al quarto pilastro, un’altra iscrizione che invoca il Cristo, riporta i nomi delle maestranze che aggiunsero un arco al tempio già esistente: si tratta di Angelo, Etmundo, Costantino, Iohannoccaro [2]. Lo stesso Iohannoccaro è citato in un documento notarile del 1138 [3]. Infine è di singolare importanza, per attestare l’esistenza della Cattedrale già nella seconda metà del secolo XII, la lapide per la colonna funebre di Emma moglie del conte Riccardo II († 1155) [4]. La convergenza di questi indizi ha portato gli storici a concludere che la Cattedrale sia stata edificata nella seconda metà del secolo XI e che nel secolo successivo fosse già pronta per accogliere la tomba della contessa Emma. Quando il vescovo Riccardo, nominato da papa Adriano IV, giunse nella sua diocesi, inaugurò in questa chiesa il suo ministero episcopale.

Lapide funeraria per la contessa Emma

La primitiva Cattedrale era quindi costituita da l’unica navata centrale e da due navate più basse; nella parte superiore sono visibili ancora le antiche finestre, inutilizzate dopo la costruzione delle navate più alte.

Si ipotizza che il campanile sia stato una semplice torre di epoca normanna, coerente con la fortificazione della città e che venne completato nella seconda metà del secolo XV, sotto l’episcopato di Martino di Soto Major. Ai piedi della tavola del Cristo benedicente [5], nella rappresentazione della città, il campanile appare già sopraelevato, ma senza la cuspide e il gallo.

Tavola del Cristo benedicente

Una iscrizione ricorda l’ampliamento della Cattedrale verso il presbiterio: è la testimonianza della costruzione dell’arco a sesto acuto ad opera di Alessandro Guadagno, nel 1494. L’arco non è in asse con la navata centrale, forse per esigenze di spazio che non permettevano di svilupparlo nella sua ampiezza, per la presenza del palazzo ducale. Ci troviamo quindi nel periodo posteriore ai Del Balzo (i quali perdono il feudo di Andria nel 1487), nell’epoca del dominio spagnolo, che vede avvicendarsi due feudatari, finché nel 1552 la città viene venduta a Fabrizio Carata. È di questo periodo anche l’arco di accesso al coro, che riprende la tipologia dei portali catalano-durazzeschi [6], le cui decorazioni sono state ripristinate dopo i recenti lavori di restauro. Il secolo XV fu quindi caratterizzato da profonde trasformazioni della nostra Cattedrale, grazie soprattutto al ritrovamento del sepolcro del vescovo san Riccardo e della ripresa del suo culto dopo più di un secolo di oblio. Fautori di questa ripresa e della committenza di molte opere d’arte non furono solo vescovi munifici come il Florio e il Di Giannotto, ma la stessa famiglia Del Balzo. Sotto l’episcopato di Martino di Soto Major (1471-1477) furono edificate le cappelle laterali con le volte a crociera e la Cattedrale assunse l’aspetto che conserva tuttora. Fu costruita anche la cappella di san Riccardo nella sua parte più antica, costituita dall’arco con le formelle che lungo i lati riportano i miracoli ottenuti dalla intercessione del Santo, così come vengono narrati dalla Legenda sancti Richardi scritta da Francesco II del Balzo, e nell’arco superiore raffigurano otto profeti (riconoscibili dal cappello “dottorale” e dai cartigli che tengono tra le mani), simbolo del ministero profetico e di insegnamento del Vescovo. La committenza del Del Balzo e lo zelo del vescovo Florio arricchirono l’altare maggiore di una raccolta di preziose reliquie di santi (qui era conservata anche la Sacra Spina) e delle due tavole che chiudevano l’armadio reliquiario e che raffiguravano il Cristo benedicente e la Vergine che intercede.

Altare della Cappella di S. Riccardo

La Cappella della Natività, che si trovava sul presbiterio a sinistra [NDR_1], confinante con il Palazzo Ducale, prima dell’attuale Cappella della Sacra Spina, fu trasferita accanto a quella di San Riccardo, denominata “S. Maria del Capitolo”. La Cappella della Natività aveva già da allora le pregevoli statue lignee della Vergine adorante e di san Giuseppe, oltre anche ad alcuni pastori. Il vescovo Martino di Soto Major commissionò il Crocifisso ligneo, forse di scuola spagnola, denominato fino agli inizi del secolo XX “nero” perché annerito dal fumo delle lampade. Questo pregevole crocifisso è stato ora collocato sul presbiterio, dopo secoli nei quali era stato venerato in una cappella laterale. Il vescovo Angelo Florio già dagli inizi, tuttavia, lo aveva fatto innalzare nel centro della Cattedrale: Hic Christum in medii suspendit culmine templi. Così sulla sua lastra tombale: “Questi fece sospendere il Cristo nella parte più alta del mezzo del tempio”. Nella prima metà del secolo XVI fu edificato l’elegante arco in pietra datato appunto 1544. Nel secolo XX quest’arco divenne la Cappella del Crocifisso nero e nei lavori di restauro degli anni ‘60 fu collocato all’ingresso della sagrestia.

Sotto l’episcopato di mons. Luca Antonio Resta (1582-1597) fu istituita la Confraternita di S. Maria degli Agonizzanti, costituita all’inizio solo da sacerdoti e successivamente anche da laici. La sua sede fu nella seconda cappella a sinistra, prima dedicata a San Sebastiano. Nel 1663, mons. Alessandro Egizio cedette il giardino del vescovo per l’ampliamento di detta Cappella, che assunse le dimensioni dell’attuale cappellone del Santissimo. Il Vescovo Ascanio Cassiano fece costruire poi un imponente coro in noce (1650) e fece rifare il prospetto e l’atrio della chiesa. Successivamente il Vescovo Andrea Ariano (1697-1706) commissionò all’artista Jacopo Colombo, maestro dei nostri scultori Brudaglio, l’altare maggiore con le tre teste di cherubino che, insieme ai reggimensola che ora reggono le acquasantiere all’ingresso della chiesa, sono le uniche decorazioni scampate all’incendio divampato nel 1916. Le teste dei cherubini furono recuperate per la decorazione del presbiterio e della Cappella del Santissimo Sacramento. Sempre al Vescovo Ariano si deve la realizzazione delle pitture della volta della chiesa, rimosse perché pericolanti nel 1902. Le decorazioni con stucchi, in pieno periodo barocco, furono invece opera di mons. Giampaolo Torti, che riconsacrò la Cattedrale nel 1722.

Cherubino dell'altare di Jacopo Colombo

Alla morte del vescovo Ferrante, il presule che fece ampliare notevolmente l’episcopio e il suo cortile, nel 1773, il Capitolo ereditò una notevole somma di denaro, che utilizzò per rifare il pavimento del presbiterio (andarono purtroppo distrutte molte lapidi) e della chiesa, e decorò con tre grandi quadri il coro dei canonici. I quadri andarono bruciati nell’incendio del 1916.

Dopo il “sacco dei Francesi” del 1799, nel quale la Cattedrale era stata depauperata dei suoi tesori più preziosi, fra i quali la Sacra Spina, fu monsignor Giuseppe Cosenza a provvedere non solo al restauro della chiesa, ma anche all’acquisto di preziosi arredi liturgici. Si deve a monsignor Cosenza la realizzazione della facciata neoclassica, progettata dall’architetto Federico Santacroce nel 1844 e la decorazione della cappella di san Riccardo. Nei lavori che interessarono la Cattedrale negli anni ‘60 del secolo scorso, la parte superiore della facciata neoclassica fu demolita. Durante il secolo XIX la Cattedrale non subì notevoli cambiamenti strutturali. Degno di nota è il ripristino della cappella di sinistra del presbiterio, che fu riaperta, decorata con marmi e consacrata al culto della Sacra Spina, nel 1912. Negli anni ‘30 del Novecento, lo “spirito riformatore” del vescovo Alessandro Macchi contribuì a riordinare il culto nel la chiesa e a riconsacrare gli altari di alcune cappelle; si deve a Monsignor Rostagno, inoltre, la dedicazione alla Madonna di Lourdes dell’antica Cappella di san Michele, adiacente al Cappellone del Santissimo Sacramento.

I lavori di restauro sotto l’episcopato di mons. Francesco Brustia cambiarono il volto della Cattedrale, eliminando ogni traccia del periodo barocco, chiudendo le cappelle e in molti casi smontando gli altari, rinforzando con cemento le fondazioni e la stessa cripta. Uno dei rifacimenti più radicali, come già detto, fu quello della facciata, la cui parte superiore fu smontata perché pericolante.

La Cattedrale fu riconsacrata da mons. Brustia il 18 marzo 1965, e apparve più sobria, ma priva, allo stesso tempo, dei tanti elementi che la caratterizzavano. Conoscevano una nuova collocazione le tele e le tavole dipinte; molti pezzi degli antichi altari furono riutilizzati nelle parrocchie per costruire gli altari postconciliari. Anche l’altare maggiore ebbe varie vicissitudini: quello del Colombo andò danneggiato nel 1916, a causa di un incendio, fu sostituito da un altro e infine da quello della chiesa della SS. Trinità delle Benedettine (oggi nella Basilica di S. Maria dei Miracoli). Con i lavori degli anni ‘60 fu rifatto un altare adorno dei simboli dei quattro evangelisti. Sotto l’episcopato di mons. Lanave fu consacrato un altro altare, consistente in una ampia lastra sostenuto da 18 colonnine di pietra. Il Crocifisso “nero” fu intanto restaurato e un Crocifisso più tardo, proveniente dalla Chiesa di San Bartolomeo, per alcuni anni fu elevato dietro la cattedra del Vescovo.

Anche il coro dei canonici andò bruciato nel 1916 e fu sostituito dall’attuale coro, proveniente dalla chiesa di San Domenico. La sede episcopale non era altro che il “tronetto” dei Del Balzo, proveniente dalla stessa chiesa.

Nella notte del 6 dicembre 1983 furono rubate dalla Cattedrale tre pregevoli statue in argento: la Madonna dei Miracoli, il busto di San Riccardo e il SS. Salvatore, che era collocato prima accanto all’ingresso della cripta, e poi nella nicchia della Cappella di San Giuseppe. La devozione del popolo andriese portò alla realizzazione di due nuove statue: quella della Madonna dei Miracoli e quella di S. Riccardo, a figura intera.

I lavori di restauro più recenti (2005-2008)

l recenti lavori di restauro voluti da mons. Raffaele Calabro hanno interessato l’intera Cattedrale. Le cappelle laterali sono state riaperte e rese fruibili, anche se solo due conservano gli antichi altari. Nella cappella di destra più vicina al presbiterio, di fronte alla Cappella di S. Riccardo, sono state scoperte strutture architettoniche particolarmente interessanti. È emersa una grande porta esterna con massicce incardinature in pietra, una finestra e un occhio, mentre sulla parete esterna della antica cappella è apparso un grande arco ogivale temperato del secolo XVIII. Tale arco è stato riaperto e permette anche l’accesso ai disabili.

Nel corso della rimozione della scalinata di accesso al presbiterio negli anni ‘60, è emersa una gran parte della pavimentazione originale e la base di breccia corallina.

È stato rifatto interamente il pavimento in pietra e sono state ripristinate le capriate lignee sovrastanti il presbiterio, in sostituzione di quelle metalliche alle quali era sospeso un pesante controsoffitto in latero cemento dello spessore di 10 cm.

È stato restaurato anche il controsoffitto ligneo ed è stata trovata la firma del l’autore: Vincenzo Redi [NDR_2].

Il presbiterio è stato completamente rifatto: è stato tolto un gradino e sono stati realizzati dall’artista bolognese Luigi Enzo Mattei, l’altare, la cattedra e l’ambone, che rispondono ad esigenze liturgiche e danno identità alla Cattedrale.

Le cappelle, nella loro disposizione, hanno conservato, dove è stato possibile, l’antica intitolazione, ma rispondono per lo più ad un itinerario liturgico: accanto all’ingresso laterale c’è il fonte battesimale, segue la cappella della santità, con le reliquie esposte in due armadi, quindi la penitenzieria nell’antica cappella di S. Pietro. È cappella penitenziale anche quella che si trova all’ingresso a sinistra.

Cominciano poi le cappelle che ricordano i testimoni di santità della nostra diocesi: mons. Giuseppe Di Donna e San Riccardo. Si giunge perciò ai piedi del presbiterio, luogo della proclamazione della Parola e dell’Eucaristia, “fons et culmen della vita della Chiesa” (Sacrosantum Concilium 10).

Uno sguardo di fede sui luoghi più “significativi” di una Cattedrale

La notte di Pasqua la liturgia nel preconio canta: Gioisca la madre Chiesa, splendente della gloria del suo Signore, e questo tempio tutto risuoni per le acclamazioni del popolo in festa.

Possiamo dire che il preconio pasquale ci svela il senso profondo della Cattedrale: è la madre delle chiese, nella quale tutta la diocesi è raccolta per celebrare il Risorto. Al di là dell’arte, in essa parla la bellezza della fede con i suoi segni. l segni presenti nella Cattedrale la rendono un luogo particolare, che parla ai credenti e li nutre.
Anzitutto ciò che dà il nome alla Cattedrale, la cattedra, che è sempre in prossimità dell’altare, affinché risulti chiaro che il magistero del vescovo serve a santificare il popolo. Sant’Atanasio, nella sua Storia degli Ariani, narra che gli ariani, quando irruppero nella Cattedrale di Alessandria, distrussero la cattedra e la mensa dell’altare, come se si trattasse di un solo segno.

La Parola e l’Eucarestia, l’insegnamento e la santificazione sono segno del magistero del vescovo e della liturgia che edifica la comunità cristiana. Guardando a questi due segni siamo invitati a riflettere sulla nostra comunione ecclesiale, che è, nella Parola e nell’Eucarestia, con colui che esercita il ministero episcopale. Sotto l’altare sono deposte le reliquie di San Riccardo, secondo l’antica consuetudine che faceva dire a Sant’Ambrogio, nel IV secolo: «Cristo sopra l’altare, perché ha subito la passione per tutti; i martiri sotto l’altare perché sono stati redenti dalla sua passione». Non un martire, ma un confessore della fede fu San Riccardo, e le sue reliquie ci ricordano che il dono della vita continua nel cammino di santità della Chiesa. Sul presbiterio della Cattedrale di Andria compare finalmente un dirompente ambone in pietra, con il portacero pasquale. Il termine ambone viene dal greco anabáinein, salire, e indica la tribuna sopraelevata che si trova anche nelle sinagoghe e nelle moschee per la lettura di testi sacri. Nella tradizione cristiana esso evoca il sepolcro vuoto, dal quale fu annunciata la Risurrezione di Cristo. L’ambone attira l’attenzione su Colui che nelle parole proclamate chiama ad essere “nuove creature”. Anche l’ambone è in stretto rapporto visivo con l’altare, dove Cristo è presente nelle specie del pane e del vino, e con la cattedra, luogo dal quale la Parola viene spiegata. Il nostro ambone, quasi prua slanciata dell’intero presbiterio, sembra invitare all’ascolto che salva.

Sul presbiterio troneggia il Crocifisso, l’antica opera commissionata dal Vescovo Martino di Soto Major, che per alcuni secoli fu sospesa al centro del presbiterio. La sua collocazione ci richiama alla presenza del Cristo Redentore nella celebrazione eucaristica e nella comunità cristiana.

La felice nuova posizione del fonte battesimale – più visibile da tutta l’assemblea – la cappella per l’adorazione del Santissimo, le due cappelle per le confessioni, i luoghi cari alla memoria dei due santi Vescovi di Andria, San Riccardo ed il venerabile Giuseppe Di Donna, le tante immagini della Vergine Maria, meriterebbero una lettura di fede più dettagliata. Qui ora si vuole ricordare solo una frase detta da Mons. Ablondi, allora Vescovo di Livorno, al Convegno della Chiesa Italiana a Palermo, nel 1995. Il Vescovo chiedeva quale fosse il luogo più importante di una chiesa e rispondeva: è la porta. Dalla porta (nelle antiche cattedrali era simbolo di Cristo) l’uomo entra nello spazio che lo santifica, ma anche dalla porta esce con la missione di santificare le realtà del mondo con la sua testimonianza. Ci piace quindi ricordare la grande lezione del Concilio Vaticano Il, che nella costituzione sulla liturgia, la Sacrosantum Concilium, così afferma: “Dalla liturgia dunque, particolarmente dall’Eucarestia, deriva in noi, come da sorgente, la grazia, e si ottiene con la massima efficacia quella santificazione degli uomini e glorificazione di Dio in Cristo, verso la quale convergono, come a loro fine, tutte le altre attività della Chiesa” (SC 10).

[da: Luigi Renna, “Cenni storici sulla Cattedrale di Andria”, in “La cattedrale di Andria”, a cura della Biblioteca Diocesana “San Tommaso D'Aquino” di Andria, Grafiche Guglielmi, Andria, 2009, pp. 14-27.]

NOTE

[1] Eterna vita rogo dona Sancta Maria / Alkseberius / hic per quem factus talis spes constat et arcus (Imploro la vita eterna. Donala, Santa Maria. Alkseberius per mezzo del quale fu costruito questo arco saldo come la speranza).

[2] Portas celestes videant sibi Christe patentes / huic hoc qui fano studuerunt addere sacro / Angelus Etmundo frater eius / Constantinus atque Joannoccarus (O Cristo, vedano aprirsi per sé le porte celesti coloro che qui hanno deciso di aggiungere questo al sacro tempio, Angelo, Etmondo suo fratello, Costantino e Jannoccaro).

[3] Cfr. V. Schiavone in San Riccardo protettore di Andria riscoperto come vescovo del Vangelo e della carità nei bassorilievi della Cattedrale, Andria 1989, p. 85.

[4] Non timet erumpnam talem tibi Virgo columnam / fabricat in celis gaude comitissa fidelis / vir tibi Riccardus tu coniux nobilis Emma / ille velut nardus tu sicut splendida gemma. (“Forte nella sventura, questa colonna innalza o giovane donna per te: e in cielo t’allegra contessa fedele. Riccardo tuo sposo, o sposa nobile Emma, è come profumo di nardo per te, quasi splendida gemma”. Traduzione di Vincenzo Schiavone in op. cit., p. 86).

[5] Si tratta di una delle due tavole che costituivano le ante di un armadio delle reliquie situato nella cappella di San Riccardo nella Cattedrale, originariamente attribuite a Tuccio d’Andria, ma che in realtà sembrano appartenere ad un pittore molto più colto e raffinato, d’ascendenza franco-provenzale (si ipotizza della scuola di Jean Fouquet, uno dei maggiori esponenti del Quattrocento francese). Cfr: M. D’Elia in La Sacra Spina di Andria e le Reliquie della Corona di Spine, Fasano 2005, p. 404.

[6] Cfr. Lorizzo F., La Cattedrale di Andria, Andria 2000, p. 59.

Note di Sabino Di Tommaso, redattore del sito e di questa pagina

[NDR_1] Luigi Renna mutua la collocazione della Cappella della Natività da quanto scrivono gli autori dell'Otto-Novecento (Borsella, Agresti, ...), ma le relazioni delle visite pastorali, fin dalle prime disponibili del 1644 e del 1690, collocano sempre la Cappella della Natività nella navata laterale sinistra accanto e prima di quella di San Riccardo, mentre sulla parete laterale destra del presbiterio vedono sempre un altare (non Cappella) della Natività della Beata Maria Vergine sotto l'arco lapideo del 1544.

[NDR_2] Si tratta di Tommaso Redi e non Vincenzo. Forse, nella firma osservata nel dipinto, il nome, eventualmente abbreviato anche solo alla prima lettera, non era perfettamente leggibile.