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(stralcio da "Rassegna Pugliese di scienze, lettere ed arti", n.7-8 del 1905)
“Le tombe delle imperatrici sveve in Andria”
relazione di Artur Haseloff (1872-1955)
Or son trent’anni [1875?] il Gregorovius
descrisse in questo giornale la sua gita a Castel del Monte,
il castello di Federico II presso Andria.
I suoi studi e le sue impressioni
di viaggio attraverso la Puglia, riuniti nel quinto volume dei suoi
“Wanderjahre in Italien”
[“Anni di Peregrinazione in Italia”], danno ancor oggi
un’idea viva e vera del presente e del passato di quella regione.
Dopo trent’anni essi rafforzano, soltanto, l’impressione della grande opaca,
la quale guarda dall’alto in basso il modesto presente.
Chi sa intendere la voce della storia dai testimoni monumentali del passato ne risentirà
dappertutto in Puglia le vibrazioni, con meraviglia crescente. La Puglia sta ancor
oggi nell’ombra del periodo possente della dominazione normanno-sveva;
l’antichità sparve senza lasciar traccia, circoscritta nei musei a scavi di tombe;
il Rinascimento è noto per udito dire e solo il barocco ha cercato di coprire
con un martelletto meschino e sbrandellato le opere dei grandi antenati.
La voce che risuona più alta dapertutto narra dei giorni fulgenti di Federico II:
i giorni che fecero della Puglia il teatro di avvenimenti di
storia universale, la residenza dell’imperatore potentissimo.
Era d’uopo sol di un urto esteriore per spingere al proscenio i ricordi degli Hohenstaufen:
e l’occasione fu data dalla visita imperiale progettata nella primavera del 1904 e all’ultim’ora rinviata.
Bisogna essere stati in Puglia per comprendere l’entusiasmo che precedette l’arrivo
dell’imperatore Guglielmo e gli sforzi poderosi per riceverlo degnamente e l’eco
lunga della dolorosa disillusione. Il legame mentale tra Guglielmo II e Federico II
era naturalissimo: e però non vi sarebbe stato bisogno, su suolo pugliese,
dell’alto interesse personale dell’imperatore Guglielmo per i monumenti dell’epoca sveva.
Ma il ravvivamento di quel ricordo fridericiano s’impose.
Andria, una città di provincia di più di 50˙000 abitanti, posta a 10 chilometri da Barletta,
nell’interno, appartiene a quei luoghi, la cui storia è legata specialmente a Federico II.
Men ricca delle città vicine di ricordi monumentali - cattedrale e castello medievali
non esistono più - essa può gloriarsi di aver dato il riposo estremo alle due consorti
dell’imperatore, Jolanda di Gerusalemme e Isabella d’Inghilterra. Jolanda morì
in Andria nel 1228, ma Isabella (morta nel 1241) vi fu trasportata da Foggia, come narra
Riccardo da San Germano. Sono ignote le ragioni per le quali l’imperatore s’indusse
al seppellimento in Andria. Di sue costruzioni in Andria noi non sappiamo nulla:
solo la costruzione di Castel del Monte, a 15 chilometri da Andria, la mirabile fabbrica,
ci porge un indizio della predilezione dell’imperatore per queste contrade.
Le tombe delle imperatrici scompaiono immediatamente nel buio del passato; nel sec. XVIII,
dicono, esse sparirono senza lasciar traccia: ma ostinatamente reggesi la tradizione ch’esse
fossero nella cripta del Duomo, adoperata come ossario e però inaccessibile.
Ricerche e saggi di scavi riuscirono infruttuosi: settantacinque anni or sono lo storico andriese
D’Urso discese nella cripta oscura, piena di tanfo e di muffa, senza portare alla luce
risultati soddisfacenti.
Una seconda tradizione, di minor valore, la quale parla
di una distruzione delle tombe, fatta dagli Angioini, e del trasporto delle ossa nel pronao
del Duomo (là mostravansi fino al 1844 le pretese pietre sepolcrali) paralizzò il ricercatore.
Solo la prospettiva della visita imperiale nel 1904 fece, nell’onorevole e attivo Sindaco
avv. V. Sgarra e in suo fratello, il dott. Raffaele Sgarra, maturare il pensiero
di rischiarar la questione con un largo scavo della chiesa sotterranea.
Tra i primi testimoni oculari delle indagini fu il Consigliere Intimo prof. Kehr di Roma,
per desiderio del quale il Ministero dei Culti prussiano inviò lo scrittore
di queste linee a esaminare i risultati degli scavi di Andria. Nelle
“Quellen and Forschungen”, ["Fonti e Ricerche" - rivista culturale tedesca]
pubblicate dal Reale Istituto storico di Prussia, vedrà la luce la notizia completa sulle ricerche fatte:
queste sian qui ora comunicate a grandi linee. Quante vive azioni di grazie
debba l’autore a tutte le autorità di Andria, potrà intendere solo chi ha letto
nel Gregorovius le splendide descrizioni della ospitalità e dell’amabilità pugliesi.
Gli scavi consistettero, come fu accennato, nello sgombero dei rottami e
dello ossa dalla chiesa sotterranea. Venne fuori una costruzione architettonica molto strana:
una chiesa a due navate, con un’abside semicircolare, che non può essere stata costruita
come cripta della chiesa superiore, ma si rivela come una costruzione a sé, più antica.
Le volte originarie, certo, non esiston più: anche i pilastri centrali furon rinnovati:
si è conservato soltanto l’ultimo pilastro davanti all’abside, e su di esso è una pittura
murale frammentaria: una figura di Cristo, sotto la quale è stato collocato l’altare.
Davanti a questa chiesa è un portico interno, in miglior stato, consistente in quattro
scompartimenti a volta: tutti i particolari sono originarii e indicano la grandissima
rozzezza primitiva: nessun ornamento scarpellato, non capitelli, non basi,
fino a due spoglie evidentemente accattate da lungi
[1],
un capitello romano completamente logorato ed un capitello bizantino usato come base.
In quanto alla data, noi possiamo trarre da quest’ultimo soltanto l’argomento,
che la costruzione non possa esser stata condotta a termine prima del settimo secolo:
probabilmente questa deve fissarsi alla fine del Mille.
I motivi che indussero a conservare questa misera costruzione, in tutte le aggiunzioni
posteriori, sono ignoti: noi potremo accettare l’opinione, che importanti ricordi ecclesiastici
si addentellavano ad essa. E non è da meravigliarsi ch’essa sia stata designata
come il sepolcro delle imperatrici. Infatti, si trovarono sul pavimento della chiesa sotterranea,
addossate alle pareti del pronao, due tombe che si somigliano perfettamente.
Sono di lastre di pietra calcarea, lievemente trapezoidali, ed hanno nella parete posteriore
una speciale piega all’infuori, rettangolare, per la testa dei cadaveri. Una delle tombe era rovinata,
l’altra ancor chiusa da un coperchio a lastra. In essa giaceva uno scheletro fortemente danneggiato,
di sesso femminile, secondo l’opinione del dottor Sgarra, senza alcun oggetto, senza alcuna iscrizione.
Son queste le tombe delle imperatrici? La tradizione, il numero di due e la situazione
in posto privilegiato sono favorevoli all’ipotesi affermativa.
Gli scavi a Spira han dimostrato, per vero, che là i Salii seppellivansi in sarcofagi,
ma che per la imperatrice sveva Beatrice, consorte di Barbarossa, e per la figliuoletta
Agnese si trovaron sufficienti queste tombe piatte. La forma trapezoidale,
il posto per la testa son particolarità. che riscontransi egualmente nelle tombe dei Wettin
sul Lauterberg presso Halle. Nessuna opposizione è, però, possibile da questo lato.
Intanto, chi conosce le tombe reali di Palermo chiederà meravigliato: potevano le imperatrici
sveve esser sepolte in forma così semplice e disadorna? Perciò i frugatori della chiesa inferiore hanno,
da tempo immemorabile, cercato monumenti funerarî e han creduto, dopo, di averli trovati.
Lo sgombero completo della chiesa sotterranea ha messo alla luce un gran numero di frammenti
di scultura e di blocchi di tufo dipinti. A l’apparenza, essi sono avanzi di molti e vari monumenti:
avanzi che, in parte, come macerie e materiali di costruzione, potrebbero essere stati trasportati
nella chiesa sotterranea. Un tutto coerente forman soltanto parecchi blocchi di pietra calcarea.
Sono tre pezzi angolari di un baldacchino sormontato da una vôlta a croce. Le curve degli archi
sono adorne di fregi ornamentali: in uno dei pezzi angolari due fregi contrastan
fra di loro: negli altri due un lato è stato lasciato a parete liscia.
Vi si rivela chiaramente la forma di un baldacchino ornato
in tre dei suoi lati, la cui parete posteriore disadorna s’appoggiava al muro.
Manca soltanto il quarto pezzo (l’anteriore): e però le arcate sovrapposte sono incomplete.
La ornamentazione è semplicissima: sulla parte anteriore un tralcio ondulato con rosette,
a destra ovuli intrecciati, con entro aquile accoppiate accanto a una palma fogliata,
a sinistra una voluta di foglie con un’aquila e un quadrupede alternati.
A giudicar dallo stile, questi fregi risalgono almeno al XII secolo,
forse solo alla prima metà del secolo XIII. Era riservato alla viva fantasia degli scopritori
di leggere in essi allusioni araldiche — la rosa inglese — l’aquila sveva!
Con meraviglia non si trovò alcun avanzo delle colonne sulle quali doveva poggiare il baldacchino,
sebbene il D’Urso dica di averle viste. Ma all’architetto napoletano e storico dell’arte
E. Bernich, che presenziò gli scavi in qualità di perito, occorse di scoprire
in una casa privata [Casa Montenegro]quattro colonnette in parte ruinate,
insieme a capitelli e a basi: probabilmente i frammenti de’ quali si va in cerca.
Stilisticamente son essi molto lungi dal resto della costruzione: son capitelli
neogotici, graziosi e ben lavorati: ma questo contrasto di forme romaniche
e gotiche non è cosa strana per le Puglie. Nella cattedrale di Altamura, costruita da Federico II,
noi troviamo capitelli affatto simili accanto a forme romaniche.
E adunque molto probabile che il baldacchino sorgesse nel secondo quarto del secolo XIII:
e questo periodo coincide proprio con gli anni della morte delle imperatrici.
E si spiega facilmente, che siano state, con il più vivo ardore, iniziate ricerche
per ricostruir dai frammenti qualche monumento funebre. In Puglia, spesso,
il baldacchino poggiante alla parete sovrasta le tombe: alcuni altri pezzi scavati,
una piastra quadrata con rosetta a intreccio di nastri e un leone alato,
il simbolo di S. Marco, in bassorilievo — sculture che, certamente, appartennero
al baldacchino — furon dichiarati come i frammenti di un baldacchino connesso
al sarcofago. Infatti, a citare un esempio, le tombe dei Falcone in Bisceglie
provano che i simboli degli evangelisti erano in uso in queste contrade.
Ma per quanto favorevoli sian tutti questi argomenti all’opinione degli scopritori,
essi son distrutti da altri. Innanzi tutto è inverosimile, che sulle tombe della quasi
buia chiesa sotterranea sia stato un cenotaffio: poiché come tale noi dovremmo
considerare il sarcofago; ancora: non v’è il più lieve motivo per far che dai frammenti
si possano mettere insieme due baldacchini: si tratterebbe adunque di un sol monumento funebre.
Oltracciò, le misure dei pezzi angolari del baldacchino e della volta provano
che la disposizione di esso era approssimativamente quadrata: ciò che affatto
non si addice a un monumento funebre; e che la sua lunghezza laterale
era minore di quella dei sepolcri.
Anche la vôlta porge un argomento in contrario: poiché il baldacchino funerario è primitivo
e indiscutibilmente, fin nel secolo XIII, adoperato come «basilicula» sul sepolcro,
ebbe forma a pinnacolo. Da tutto ciò segue, che materiale e stile non sembrano
degni di un sepolcro imperiale. Vi sarebbe stato il marmo, e lo si sarebbe adoperato
nel modo migliore, poiché da per tutto in quel tempo, nella regione, eccellenti
artefici lavoravano al servizio dell’Impero o della Chiesa. Nella cattedrale
di Andria stessa son conservati due splendidi capitelli marmorei,
molto probabilmente residui di un tabernacolo per altare, della metà del XIII secolo.
Se dunque, realmente, nelle tombe scavate furon sepolte le imperatrici (supposto che il sesso
femminile dello scheletro sia esattamente determinato, non ne consegue alcun argomento
incalzante a favore dell’autenticità, come contro) qui si seguì il semplice
costume del Nord. La erezione di un monumento funebre in questo luogo
non fu certo dai morti pensato in lor vita e Federico II non deve essersi
indotto al compimento di qualsiasi piano di mausoleo.
Ma le sculture ritrovate non sono in accordo con le tombe. Esse son da riguardarsi
quali avanzi di una cattedra o di un ciborium con le relative balaustrate del coro:
forse il baldacchino è il ciborium della chiesa sotterranea: ciò è confermato
dalle misure. L’epoca di costruzione è, certo, l’epoca fridericiana: e si ha con ciò
prova salda dell’inizio di lavori artistici in Andria nella breve epoca aurea di Federico II.
Sì, sonvi indizî, che in quel tempo era in corso una ricostruzione o un restauro
della cattedrale. Pochi capitelli superstiti portano alla conclusione,
che i medesimi scalpellini lavorarono alla ricostruzione e al tabernacolo.
Gli scavi di Andria han però prodotto, da un lato, una disillusione. Se le tombe ritrovate
sono i veri sepolcri, le consorti di Federico II non han sepoltura sul modello delle tombe
fastose di Palermo. Pur tuttavia, ciò che in Andria venuto alla luce dimostra, ancora una volta,
la vivacità artistica che, dapertutto, trionfa sotto Federico II; solamente, da questi scavi modesti
non è uscita fuori la nota personale della volontà artistica imperiale, la quale ci colpisce
nelle creazioni dirette di Federico, sian esse di stile classicizzante o goticizzante.
[estratto da Nr.89 del "Beilage
zur Allgemeinen Zeitung"
del 15 aprile 1905 - traduzione di G. Battista Guarini
[NDR]
pubblicato in "Rassegna Pugliese di scienze, lettere ed arti", n.7-8, Trani, 1905, pagg. 185-188]
NOTE
[1]
Nella stessa chiesa sottostante fu trovato un capitello dorico
adoperato come base.