il presbiterio

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Il Presbiterio

Per il grande Presbiterio l’esposizione sia dei dati storici che delle analisi affettuate dagli studiosi, considerata la vastità dell'argomento, è qui frammentata nelle seguenti pagine:
- L’ampio presbiterio, visione d'insieme,
- Il profondo abside con il Coro del Quattrocento,
- Le tre recenti strutture liturgiche,
- Il trecentesco "Crocifisso doloroso",
- L'antico Altare-Cappella della Natività di Maria Vergine,
- I demoliti Trono e Coretto Baronale,
- L’altare di Jacopo Colombo nel Presbiterio d’inizio Novecento. (in questa pagina)


L’altare di Jacopo Colombo nel Presbiterio d’inizio Novecento

veduta parziale del presbiterio ai primi del '900

Si riportano passim della descrizione del presbiterio scritte dall'Agresti, cercando di individuare nella foto su riprodotta (ripresa durante la festa del 23 aprile, immediatamente dopo Pasqua) alcuni elementi architettonici, esistenti prima dell'incendio del 1916:

stemmi dei tre vescovi Fieschi: Francesco, Nicola e Luca

stemma del vescovo Saverio Palica
l'abside ai primi del Novecento
“Al lato sinistro del Trono [episcopale], in prossimità della porta che mette alla Sacrestia, si vedono sul muro i tre stemmi dei tre successivi vescovi Fieschi, cioè il Cardinal Nicola, Gianfrancesco, e Luca. [foto a sinistra] ... .
In cornu Evangelii dell'altare maggiore, sul Presbiterio, è sito il così detto Banco di S. Nicola [a sinistra nella foto sopra], costruito dal Capitolo di quella Collegiata Insigne, dove siedono quei Rev. Capitolari, tutte le volte che intervengono all'assistenza delle Sacre funzioni nella Cattedrale. Esso è formato a tre registri con relativa spalliera, ed è addossato al muro, che metteva nell'antico Sacrario, di cui si vede ancora il vecchio arco.
In cima al Banco di S. Nicola, a ridosso del muro, si veggono incisi su targhe di pietra tre stemmi, quello del Vescovo Florio, di Mons. Soto Major, e del Vescovo d'Atella [Ruggiero].
Due superbi cornucopii di ottone, messi a destra ed a sinistra dei muri laterali di chi entra sul presbiterio (Questi due cornucopii sono opera del valoroso artista Civita di Andria), ed un grandioso candelabro con varii bracci, diversamente ritorti e carichi di grossi prisma di cristalli, messo nel centro del grande arcato, formano l'ornamento di questo spazioso presbiterio. A ridosso del muro, dove è sito il trono Episcopale, dal lato della porta che mena nella Sacrestia, si vede una lunga targa di legno che porta incisa la sentenza della Congr. del Concilio del 10 febbraio 1759, che dichiarava la Cattedrale l'unica Parrocchia della città e territorio di Andria.
Quest'arco [di accesso al coto] poggia su due colonne, i di cui zoccoli sono di pregiatissimo marmo, fatti costruire dal Vescovo Palica, del quale ne portano lo stemma [foto a sinistra - descrive lo stemma il Borsella: 'splende un Cappello con bandiera nei merli'] (Era intenzione del Vescovo Palica di costruire tutto in marmo il detto arco. Ma il tempo e gli acciacchi di salute non gli permisero di affettuare il suo divisamento).”

[tratto da " Il Duomo di Andria" in " Il Capitolo Cattedrale di Andria ed i suoi tempi", di Michele Agresti, tip. F. Rossignoli, Andria, 1912, vol.II, pp. 44-54].

L'immagine a destra  (con un fotomontaggio di due antiche riprese) mostra la cornice del quadro sulla parete sinistra (in cornu evangelii), che rappresentava Davide con l'arpa davanti all'Arca Santa, e (con molta fantasia) quella della volta, nella quale era raffigurato il vitello d'oro adorato dagli ebrei; fuori dall'angolazione di ripresa di questa immagine c'era il quadro affisso a destra (in cornu epistolae): Aronne che sacrifica un ariete. Sulla parete di fondo si vede nella foto l'ovale che conteneva la tela col ritratto di Mons. Ferrante, perché alla sua morte col denaro proveniente dal suo "spoglio" il Capitolo Cattedrale fece realizzare questi dal pittore Nicola Porta [2].

L'altare di Giacomo Colombo

Dai primissimi anni del Settecento e fino al 16 aprile del 1916 nel Presbiterio della Cattedrale di Andria, sotto l'arco cinquecentesco che immetteva nel coro, s'innalzava superbo per le sue candide sculture marmoree l'incantevole altare ideato e realizzato da Giacomo (o Jacopo) Colombo (1663-1731), nella sua rinomata bottega napoletana.
Purtroppo questo pregevole altare ando distrutto nell'incendio divampano nella notte del 17 aprile 1916; si salvarono i tre angeli di bianco marmo che lo adornavano, i due come capialtare e  il centrale in funzione di finto ciborio. Attualmente i due angeli capialtare sono collocati sui plinti dell'arco di accesso al coro (le due foto laterali qui sotto), l'angelo centrale è utilizzato come base al ciborio dell'altare dell'Oratorio del SS. Sacramento.

 l'angelo capialtere di sinistra salvatosi nell'incendio    l'altare di Jacopo Colombo, dopo l'incendio del 1916    l'angelo capialtere destro salvatosi nell'incendio
[l'altare maggiore di Jacopo Colombo, andato distrutto nell'incendio - foto centrale dell' Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione - ICCD_MPI131848]

Il presbiterio era chiuso da una balaustra marmorea e sulla parete destra sino al 1916 c'era un abaco - credenza, retta da due angioletti attribuiti anch'essi a Giacomo Colombo; essi oggi reggono le acquasantiere d'ingresso alla Cattedrale e li troviamo descritti sia dall'Agresti che dal Borsella. Questi a metà Ottocento, sia per l'altare che per la credenza, scrive:

angelo centrale dell'altare maggiore di Giacomo Colombo
[l'angelo centrale - foto Sabino Di Tommaso]
angeli che reggevano l'abaco-credenza a destra del presbiterio
[part. degli angeli sotto le acquasantiere d'ingresso - foto di Sabino Di Tommaso]
Su tutti i divisati altari eminentemente primeggia il Maggiore, a causa delle teste di tre grandiosi Cherubini, che soli costarono ducati mille, collocati con ali spiegate nei due corni, e nel mezzo di esso, le di cui penne possonsi senza difficoltà numerare nella loro spessezza, tanto bene scolpir le seppe l'industre scalpello. I loro volti gravi e maestosi, abbelliti di ricciuti capelli senza dubbio eccitano maraviglia. Dai fianchi del Cherubino di mezzo svolgonsi due vaghi festoni di marmo bianco, che s'intreccian tra loro, dai quali sorton fuori spiche di grano, frutta, e grappoli d'uva, simboli dell' incruento sacrificio.
In tutto il resto adorno dei più fini marmi, che formano li più graziosi rabeschi a varii colori. È ammirabile il paliotto di prezioso basalto, con rabeschi variopinti artificiosamente contorti, che terminano con fiori, e frutta. Opera dell'immortale scalpello del Cavaliere Napoletano Iacopo Colombo.”
[Si notino nella foto dell'altare sui laterali del paliotto i due stemmi con l'aquila, emblema di Andrea Ariano, vescovo dal 1697 al 1706]
(Per ciò che si attiene alla vita del Colombo, accenneremo, che nella sua origine era intagliatore, e per la stretta amicizia che si ebbe con Francesco Solimene, Pittore rinomato, animossi a prendere lezione di disegno, onde riuscì egregio scultore. Nicola Antonio Brudaglio, nostro concittadino stando in Napoli fu discepolo del Colombo, onde divenne chiaro statuario, e i di lui lavori vennero ricercati dalla Repubblica di Venezia ed altre opere trovansi in Rimini. … )
Sorge questo magnifico altare su ampio presbitero marmoreo, montato a quattro spaziosi gradini. Vien recinto il presbitero da estesa balaustra, con pilastrini di scelto marmo, intarsiati di rosso, tramezzato da uscio a due valve lavorato di solide lastre scorniciate di ottone vagamente traforate con nastri dello stesso modello. Sicché l'occhio ne rimane ben pago e sodisfatto.
elementi d'ottone dei cancelli dell'antica balaustra del presbiterio
[elementi della balautra presbiteriale: colonnine e cancelletto]
Questa balaustrata fu fatta a spese del Vescovo Giambattista Bolognese, come attestano gli stemmi gentilizii apposti a destra, e a sinistra dell'entrata, poggiante sopra tre gradini di breccia. [1]
Rimpetto all'enunciato trono è fissato ampio abaco di marmo, in cornu epistolae, a guisa di altare, con ispalliera e gradini superiori, ornato lateralmente da due teste di Cherubini alati; la di cui mensa è svariatamente rabescata a marmi di varii colori, nella guisa stessa dell'altare maggiore. È sostenuta la mensa da tre cornicioni di marmo bellamente scorniciati, e scanalati. Sull'apice è sita la impresa del Capitolo di marmo statuario.

tratto da “Andria sacra”, [di Giacinto Borsella, tip. F. Rossignoli, Andria, 1918, pp. 55-58].


L'architetto Gabriella Di Gennaro nella sua tesi di laurea sugli altari marmorei settecenteschi ad Andria del 1995, (anpliata e pubblicata a stampa nel suo studio "Altari policromi marmorei del Settecento ad Andria ed altri arredi sacri", Schena Editore, 2020, pp. 111-113) parlando dell'altare del Colombo, andato distrutto ell'incendio del 1916, scrive:

“Un altro magnifico altare, ora completamente distrutto, è quello opera di Giacomo Colombo che era collocato nella Cattedrale di Andria come altare maggiore e si imponeva per bellezza e preziosità su tutti gli altri delle cappelle del Duomo. (...)
Di questo altare ci rimane solo una fotografia scattata immediatamente dopo la sua distruzione a seguito di un incendio divampato tra il 17 e il 18 aprile 1916 nella Cattedrale, e la descrizione del Borsella antecedente al fatto. (...)
Attualmente, però, di questo altare sopravvissuto all'incendio restano i seguenti reperti, da me misurati in loco:
1. le due teste alate di angeli laterali (altezza cm 63, larghezza cm 81, profondità cm 42) in marmo statuario di Giacomo Colombo, attivo a Napoli tra il 1679 ed il 1718. Essi sono collocati separatamente ai due lati del presbiterio, perfettamente visibili date le loro dimensioni notevoli. I due angeli, simmetrici ed identici, sono ritratti in semiprofilo, con i capelli mossi ed il volto assorto, l’ala esterna spiegata, mentre quella interna è racchiusa e conclusa accanto al capo a forma di volute. La collocazione laterale agli spigoli esterni dell’altare giustifica la loro morfologia: il volto dolcemente rivolto al centro, l’ala esterna spiegata e descritta nei particolari del piumaggio, mentre quella interna è ridotta, come si è detto, quasi ad una cifra decorativa, i capelli scomposti da un impercettibile vento, lo stesso che distende l’ala. La massa marmorea è sapientemente modellata in gote rigonfie della serica pelle ed in soffici piume.
2. un angelo in marmo, già sul ciborio dell'altare, ora è custodito nel Cappellone degli Agonizzanti sotto il tabernacolo”

Giuseppe Ceci, (profondo studioso delle arti figurative dell'Italia Meridionale a cavallo tra l'Ottocento e il Novecento) nella sua relazione su "L’incendio della Cattedrale di Andria", inviata alla "Rassegna Tecnica Pugliese", e redatta il 20 aprile 1916, appena tre giorni dopo tale incendio, introducendo l'articolo scrive:

"Nella notte tra il 17 e il 18 aprile un violento incendio divampò nel presbiterio e nel coro della cattedrale di Andria.
Appiccatosi il fuoco, per cause che saranno accertate dall’inchiesta giudiziaria, ai panneggi dell’apparato per l’esposizione del Santissimo sull’altar maggiore, l’incendio si propagò al soffitto e alla tettoia, ma per l’opera delle autorità e di cittadini volenterosi, favorita dal vento di ponente che respingeva le fiamme verso il coro, queste si arrestarono al grande arco che divide il presbiterio dalla nave trasversa.
... ... ... L’incendio ha in parte distrutto, in parte danneggiato tutte quelle opere che si trovavano nel presbiterio e nel coro. Ne intraprendo l’enumerazione, rimandando alla perizia tecnica, che dovrà compilarsi dopo accurati assaggi, lo stabilire quali danni ha sofferto la costruzione. Sono totalmente distrutte le seguenti opere:
Soffitto del presbiterio ... Quadri su tela del coro ... Coro ... Libri corali ... Trono e coretto episcopale ... Altar maggiore ... Mensola all’angolo orientale del presbiterio ... Balaustra del presbiterio ... Pilastri esterni della cappella di S. Riccardo ... Quadri della cappella di S. Riccardo
[due buchi]".

veduta parziale del presbiterio dopo l'incendio del 1916
[veduta panoramica del presbiterio dopo l'incendio del 1916- elaborazione elettronica su foto dell' Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione: ICCD_MPI131846 e ICCD_MPI131847]

Pregevoli erano gli antifonari risalenti al XV secolo, andati distrutti nel suddetto rogo del 1916.
Giuseppe Ceci nella su citata relazione riporta la descrizione che di tali libri corali ne fa il prof. Francesco Carabellese, (ne "I manoscritti delle Biblioteche di Bitonto, Terlizzi, Trani, Andria, Barletta, Canosa, Bisceglie, Ruvo", ed. Bordandini, Forlì, 1896):

lettera P dell'antifonario di Monte Morcino(PG), riportata come esempio
[lettera P dell'antifonario di Monte Morcino(PG), riportata qui come splendido esempio]
«I. Antifonario graduale.
Membranaceo in fol. di carte 220, modernamente numerate, mutilo in principio ed in fine forse di più carte, in scrittura gotica calligrafica, con lettere iniziali di varia grandezza, miniate o semplicemente colorate in rosso o azzurro con qualche carta interpolata come la carta 8.
È assai poco conservato per l’umido, specie d’aceto, di cui pare abbia subito un bagno a tempo della peste, onde l’aceto combinandosi con gli elementi metallici dell’inchiostro o dei colori ha prodotto qua e là corruzione della scrittura.
Appartiene al secolo XV. Il P [iniziale del graduale Puer natus est] a carte 38 è in grande su fondo azzurro; nel corpo è riprodotta in oro e colori la Natività, la Vergine con S. Giuseppe che adorano il Bambino, in fondo all’alcova due animali e bella prospettiva.
Il fregio esterno splendidissimo della stessa iniziale si estende a rettangolo per i quattro margini della pagina con quadretti che li interrompono di quando in quando, rappresentanti animali (cervo, pavone), angeli e figure umane, con ornamentazioni d’animali e vegetali (foglie e fiori su per gli steli) in mezzo a cui sono profuse bacchine auree. Ma si trova in stato di conservazione deplorevole.
A carta 40 nell'E [iniziale dell'introito Ecce advenit dominator Dominus] è rappresentata l’Epifania, miniatura assai bella e ricca di figure con molto oro ed i soliti fregi splendidissimi per tutto il margine; assai belli i visi della Vergine e di S. Giuseppe, e bello lo sfondo del Presepe: è miniatura molto rovinata e restaurata in modo peggiore.
II. Antifonario graduale (sèguito dell’altro).
Membranaceo in foglio di carte 124, non numerate, mutilo in fine, del resto simile al precedente.
Appartiene anch’esso alla seconda metà del secolo XV o alla prima metà del seguente: malissimo conservato.
A carta 3 l’iniziale è stata grossolanamente aggiunta da mano posteriore; dell’antica lettera si scorge un frammento soltanto, come della miniatura si vede solo la parte inferiore, cioè i Giudei caduti atterriti sulla tomba di Cristo sollevato in aria, di cui si vedono le gambe; qualche frammento ci è rimasto del ricco fregio marginale di solida fattura e stile del rinascimento. A c. 30, come a c. 46 ed altrove la lettera con la miniatura è stata asportata via; rimane però quasi intatto fregio marginale ricchissimo e bellissimo con quadretti intercalati nelle ornamentazioni di foglie, fiori, animali (bove, mostro alato) ed angeli.
III. Altro antifonario.
Membranaceo del secolo XV, mutilo in principio ed in fine, di carte 150 circa, numerate modernamente, in folio, con rilegatura posteriore, con carte di guardia, restaurato ed un po’ meglio conservato degli altri due. Qualche carta è interpolata. Le iniziali sono semplicemente colorate in azzurro e in rosso con fregi a colori.
»
lettera E dell'introito alla messa dell'Epifania, da un manoscritto del se.XV
[lettera E di un manoscritto lombardo del sec.XV, riportato qui come esempio]

Nell'immagine a destra è riprodotta la lettera "P", iniziale del graduale "Puer natus est"; la lettera contiene una miniatura e proviene da un libro corale, un tempo in dotazione al Convento di Santa Maria a Monte Morcino (PG). L'immagine è stata ripresa da "I corali di Monte Morcino a Monte Oliveto Maggiore", pubblicato da www.mirabileweb.it.
Evidentemente vuol essere solo un esempio, in quanto già dalla sola descrizione che abbiamo della lettera "P" che era dipinta nell'antifonario della nostra Cattedrale si rilevano delle differenze:
- nella miniatura dell'antifonario di Monte Morcino dietro la Sacra Famiglia sono dipinti tre angeli e, appena visibili, il bue e l'asino nella mangiatoia a destra; nella miniatura del corale della nostra Cattedrale, invece, dietro i tre personaggi sacri c'erano solo i due animali.
- nella miniatura dell'antifonario di Monte Morcino la "P" prosegue con uno stelo floreale, mentre nella miniatura dell'antifonario della nostra Cattedrale c'erano "animali (cervo, pavone), angeli e figure umane, con ornamentazioni d’animali e vegetali (foglie e fiori su per gli steli) in mezzo a cui sono profuse bacchine auree".

A sinistra si riproduce un esempio di miniatura della lettera "E" dello stesso secolo (XV) di quella che era dipinta nell'antifonario della nostra Cattedrale; essa proviene da un manoscritto lombardo riprodotto da "Free Library of Philadelphia Lewis E M". Anche per questa miniatura, simile nei personaggi rappresentati alla nostra, appaiono comunque molte differenze nei fregi che, qui limitati sulla sinistra, nella nostra, invece, coronavano tutto il margine intorno al testo.

NOTE (dell'autore della presente pagina)

[1] L'Agresti elencando i Fondi destinati alle spese del Culto in Cattedrale (fondi che formavano la Fabriceria) annota:
Mons. Giov. Battista Bolognese nel 1827 donava al Capitolo un capitale di ducati 5oo, che vantava ed ipotecava sopra i beni del Sig. Vincenzo Vespa fu Diego, offrendo l’annua rendita netta di ducati 36. Da questa rendita disponeva, che si prelevassero ducati 6 annui per la polizia settimanale della balaustra (Perché questa somma, ora, non viene più erogata allo scopo, voluto dal donatore?), che chiude il presbiterio, [fatta costruire dal medesimo Vescovo], e ducati 3o per la celebrazione di messe N. 5o in altari privilegiati, oltre ad una messa solenne nel dì anniversario di sua morte.

[tratto da " Il Capitolo Cattedrale di Andria ed i suoi tempi", di Michele Agresti, tip. F. Rossignoli, Andria, 1912, vol.I, cap. XVIII, pag. 434].

[2] L'Agresti parlando di mons. Ferrante scrive:
"Nello spoglio delle carte, fatto dopo la sua morte, fu rinvenuto un lungo carteggio, dal quale rilevavasi la prossima sua promozione al Cardinalato, per la quale fu rinvenuto, nel suo scrigno, un buon gruzzolo di quattrini, chiuso in una grossa busta, sulla quale era scritto di suo pugno: denaro da spedirsi per la Porpora. Vigendo allora la legge, che le Chiese Cattedrali ereditavano tutto il denaro, che trovavasi nello spoglio dei Vescovi defunti, il Capitolo, benché tanto da Lui travagliato, pure, a testimoniargli la sua devozione, spese tutto quel denaro a beneficio del Duomo, facendolo adornare di stucchi. Con quel medesimo denaro fece decorare il Coro di tre pregevoli quadri, situando, in cima allo stallo del Vescovo, il ritratto ad olio di Mons. Ferrante, che tuttora si ammira. ..."

[tratto da " Il Capitolo Cattedrale di Andria ed i suoi tempi", di Michele Agresti, tip. F. Rossignoli, Andria, 1912, vol.I, cap. XIV, pagg. 332-333].


[il testo e le immagini della pagina sono di Sabino Di Tommaso (se non diversamente indicato)]