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Alcuni nostri storici locali, poi, ... danno per certa l'esistenza di due vescovi di Andria nel primo trentennio nel XII secolo: Desidio e Ilderico. Essi comparirebbero rispettivamente in due "pubblici istrumenti": il primo in una "Bolla" del settembre 1104, il secondo in un "Decreto" del settembre 1126, entrambi intesi a stabilire rapporti giurisdizionali ed economici canonicamente corretti - pur nelle graziose concessioni - tra il Vescovo e il Clero del Capitolo Cattedrale di Andria e il "Præpositus" e il Clero della Chiesa di S. Maria de Trimodie, trasferitisi ed accolti nella nostra città, dove per ragioni di sicurezza s'erano rifugiati "multi cives" trimodiesi.Ma, se si esamina la "Bolla" del cosiddetto "vescovo Desidio", riportata parzialmente dal D'Urso e integralmente dal Merra, si giunge ad una sola conclusione: che essa è apocrifa e, pertanto, non la si può addurre come prova dell'esistenza né del vescovo Desidio né della sede vescovile di Andria agl'inizi del XII secolo.Già il Merra incontra serie difficoltà nell'accettare come autentica la "Bolla" suddetta. Ma più interessante è il giudizio che ne dà il dotto paleografo Francesco Nitti di Vito in una sua lettera indirizzata al nostro illustre storico Giuseppe Ceci, datata "Andria, 23-1-1909": "Il documento è indubbiamente falso sotto il rispetto paleografico: per me non è anteriore, a dir poco, al 1350. Il carattere è tutto di una mano, forzato nelle sottoscrizioni,: elementi di falsificazione sono, oltre la scrittura, il suggello di cera viola, la pergamena, un segno che vuol essere tabellionato, ma che non ritrovasi se non in documenti della fine del XIV secolo, l'indizione tralasciata e errata etc.". E più oltre aggiunge: ... e con un po' di studio accurato potrà venirsi a una di queste conclusioni: 1) Il documento è tutto un'invenzione e fu manifatturato per accampare diritti giurisdizionali o economici: il falsario, poco esperto, tenne presente, pel carattere, suggello e tabellionato, un documento del secolo XIV e XV. Questa totale falsificazione io l'escludo a priori, essendoci la tradizione che, per quanto ampliata e svisata, deve avere, come tutte le tradizioni, un fondo di verità. 2) Il documento è una falsificazione parziale; cioè interessando al Capitolo di esibire un documento che attestasse qualche diritto di più del reale, il falsario, avendo presente il documento originale, lo trascrisse, cogli elementi scrittorii di cui disponeva, aggiungendovi e togliendovi delle frasi che interessava togliere e aggiungere per la propria causa. Dopo avrebbe distrutto, per ogni buon fine, il documento originale. 3) Esisteva la tradizione, esisteva forse il documento originale, che non si seppe rintracciare e non si seppe leggere, e allora, a memoria si sarebbe foggiato il nuovo documento".Fra le tre conclusioni del Nitti sono d'accordo con lui nell'escludere la prima: il fatto stesso che il Clero della Collegiata di S. Nicola poté produrre la "Bolla" di Desidio nelle controversie con quello della Cattedrale - e con senza successo - davanti a vescovi, arcivescovi e protonotari apostolici, nel corso di vari secoli, esclude che si possa rifiutare il documento giudicandolo una "totale falsificazione".Neppure la seconda conclusione - secondo la quale la Bolla desidiana sarebbe stata parzialmente falsificata dai Nicolini "aggiungendovi e togliendovi delle frasi che interessava aggiungere e togliere" per ottenere e rivendicare "qualche diritto di più del reale" - sembra realisticamente accettabile. L'esistenza del reale documento originale - che poi serebbe stato distrutto dal "falsario" - gli avrebbe impedito di incorrere in errori storici e filologici grossolani.All'epoca in cui fu steso il documento originale spettava all'autorità politica non a quella religiosa la facoltà di concedere ai cittadini o al clero di un villaggio di trasferirsi nella città. ...Inoltre, nei documenti dell'XI e del XII secolo il nome "Desidio" compare solo e sempre sotto forma di "Disigius", sicché esso non è che la "deformazione" a cui andò incontro nei secoli successivi. D'altra parte non vi compaiono mai nomi come "Ladislao" e Tarquinio", in uso se mai nel XIV secolo.Infine, all'estensore della "Bolla" originale sarebbe stato impossibile incorrere nell'incredibile svista di determinare la "penalità" in "oboli" - moneta in corso mezzo millennio prima - invece che in "solidi aurei" e in "denari bizantini" e in "maliaresi" e in "follari": tutte monete, quale di conto, quali reali,che uniche ebbero corso durante la dominazione bizantina e quella della prima generazione normanna, destinate ad essere soppiantate dalle monete imposte dal re Ruggiero II.Per tutte queste ragioni sono propenso ad accogliere la terza ed ultima conclusione proposta dal Nitti. ...
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[da “Andria nel Medioevo”, di P.Barbangelo, tip Guglielmi, 1985, pagg.112-115]