Marco Stigliano
Architetto e progettista del nuovo complesso
Lo spazio della chiesa al suo interno si contrappone alla sua immagine esterna, una grande aula centrale inondata di luce naturale che piove dall’alto, in cui i colori caldi delle superfici lignee accolgono e proteggono.
All’interno dell’aula liturgica ci ha guidato un principio per cui i fedeli non fossero distratti da troppi esibizionismi formali o strutturali, ma che siano attratti invece da una essenzialità ispirata ai sacramenti che si celebrano al suo interno, il contenuto dovesse essere predominante rispetto al contenitore.
[Sezione longitudinale del complesso parrocchiale]
Tuttavia l’assoluta semplicità delle forme non si deve confondere con l’incomunicabilità di un progetto muto, altrimenti potremmo celebrare messa in un capannone industriale. L’edificio chiesa deve essere un’architettura colta, consapevole del rapporto che si instaura tra la realtà materiale delle cose (un muro, un tetto ecc,) e le sensazioni immateriali che ne scaturiscono. Per questo quando entriamo in una chiesa romanica, barocca o rinascimentale proviamo una sensazione di benessere, di calma, di intimità interiore, la vera essenza del luogo sacro è nell’effetto emotivo che provoca nell’uomo, l’architettura sacra deve trasmettere un’emozione, deve essere il tramite per raggiungere la mistica atmosfera della fede.
Nell’impostazione tipologica dell’aula liturgica dialogano due grandi famiglie di tipi di chiese storiche: il tipo longitudinale ad aula unica, con un percorso assiale dall’ingresso al presbiterio, ed il tipo a pianta centrale con deambulatorio anulare. Nella storia dell’architettura cristiana esistono innumerevoli variazioni di questi due tipi che spesso si sono fusi generando soluzioni tipologiche molto interessanti.
[Spaccato dell’aula liturgica con esplicazione degli spazi]
L’aula liturgica è strutturata secondo una successione di “scatole spaziali”, l’una dentro l’altra. La moltiplicazione delle spazialità multiple che si intersecano senza soluzione di continuità tra di loro si unificano in un’apertura di spazi dentro altri spazi.
Dapprima il “recinto lapideo”, un primo involucro che separa il dentro dal fuori, in una sorta di atto fondativo arcaico, come primo gesto dell’uomo nell’esperienza dell’abitare la casa di Dio; questo primo involucro alto 3,5 metri individua i deambulatori. Si tratta di spazialità longitudinali e compresse, con un’altezza limitata rispetto alla lunghezza, qui trovano allocazione le XIV stazioni della via crucis essendo questi luoghi propensi ad una percorrenza processionale; anche le acquasantiere a mensola si trovano nei deambulatori, come luogo di purificazione prima dell’ingresso nell’aula liturgica.
[Il graticcio ligneo del controsoffitto che infrange la luce esterna e particolare dell'impianto d'illuminazione]
Il margine più esterno dell’aula liturgica coincide con la seconda scatola spaziale, un aulico cubo bianco, una metafisica geometria che contiene un vuoto colmo di silenzio, questo involucro definisce anche la “dimensione” volumetrica dell’aula dall’esterno. È uno spazio centrale di altezza tripla rispetto ai deambulatori, e qui che si concentra lo studio della sezione trasversale con un sistema per celare la fonte di luce naturale che giunge tangente alla superficie muraria creando un effetto di sospensione della grande copertura di 24 metri di luce. Si tratta di un’articolazione complessa della sezione, messa in atto nell’aula centrale dei mercati traianei ai fori imperiali ed adoperata con diverse declinazioni in vari edifici successivi.
[Disegni esecutivi del sistema di illuminazione indiretta dall’alto dell’aula liturgica]
La scatola spaziale più interna ed intima coincide con la proiezione del grande controsoffitto ligneo, il luogo dell’assemblea, definita spazialmente da un involucro effimero costituito da un graticcio di doghe di legno, che sospese dal controsoffitto non giungono al suolo, delimitano ma non interrompono, contengono ma non opprimono.
Nell’aula liturgica, la luce è l’assoluta protagonista di uno spazio che vuole recuperare il senso del trascendente, il veicolo attraverso il quale vivere l’esperienza del sacro.
L’utilizzo della luce come un vero e proprio materiale da costruzione è onnipresente nell’esperienza spaziale dell’aula: la luce che irrora gli spazi compressi dei deambulatori, la luce riflessa attraverso la copertura staccata dell’aula che sospende quasi per intervento divino la massa della copertura, la luce dei tagli verticali della facciata che si infrangono sul graticcio ligneo frammentandosi in mille raggi, la luce celeste della grande lanterna circolare che aspira l’emozione del fedele verso il cielo.
[La luce circolare istallata e la luce celeste della grande lanterna della volta]