Giuseppe Fallacara
Professore Associato del Politecnico di Bari
Proviamo a viaggiare nel tempo e ad immaginare il possibile inizio della concezione dello spazio sacro.
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dal diario di Yousuf Aracallaf durante l’Esodo
Nell’area desertica in cui ci troviamo la notte è fredda ma il cielo è terso e la luna, con le stelle, splendono di luce chiara. Abbiamo costruito da pochi giorni la nostra tenda per il riparo, a breve la smonteremo ancora per ripartire. Tutto il necessario lo trasportiamo con pochi asini e cammelli, riusciamo a ripiegare le pelli attorno ai pali e a stringere tutto con le corde. I picchetti li conserviamo in sacche di cuoio più resistente. Montiamo prima il palo centrale, conficcandolo nella sabbia, poi tendiamo le corde dal suo vertice sino al bordo che sarà il limite interno della tenda e in ultimo appoggiamo e leghiamo le pelli alle corde che si inflettono leggermente sotto il loro peso. Per tracciare il suo contorno attacchiamo una corda al palo centrale, la tendiamo di una lunghezza definita e con un picchetto tracciamo un cerchio perfetto girando intorno. Restiamo sorpresi ogni volta che vediamo un cerchio perfetto sulla sabbia. Il vertice della tenda resta scoperto per consentire al fumo del braciere interno di fuoriuscire dalla tenda. La sera, prima di chiudere gli occhi per la stanchezza, osserviamo tutti da quel foro il cielo e le stelle attratti nell’imbuto capovolto della tenda che focalizza il nostro sguardo verso l’alto, aldilà di tutto. Al buio, la luce della luna e delle stelle proiettano un cerchio chiaro a terra che sfiora il braciere combinandosi in alcuni momenti in un raddoppio di luce: dalla terra e dal cielo. Se le pelli di copertura della tenda non sono ben raccordati reciprocamente la luce penetra nella tenda dai tagli trasformandosi in lampade sospese. A volte sembrano lampade disposte in maniera geometricamente perfetta all’interno dello spazio circolare della tenda. Tutte le notti la tenda diventa un nuovo piccolo cielo sotto il grande cielo. La tenda è dimora umana che custodisce la sacralità dei pensieri della notte quando, in silenzio, contempliamo il cielo. Quando i tagli del tessuto diventano stelle come lampade appese nel velo del nostro cielo. Tutto ciò è continuato e si è ripetuto per secoli come dai racconti dei nostri avi, le notti della contemplazione riunivano i pensieri delle famiglie e delle piccole comunità nomadi che di giorno erano dedite al duro lavoro. Nei giorni di riposo, quando i giovani chiedevano ai padri di descrivere i luoghi più remoti che avevano raggiunto e avevano conosciuto, questi rispondevano disegnando la mappa del mondo sotto forma di tenda, del tutto simile alla propria tenda dove pero le pelli o il telo di copertura erano il cielo stellato e il perimetro circolare era il confine del mondo troppo lontano da raggiungere in una sola vita.
Veniva detto loro che il mondo è come una tenda, e il Dio creatore dell’intero universo è il Geometra supremo che costruisce la grande Tenda della Terra, con le colonne come pali per reggere il grande velo del cielo. La dimora mobile di ogni singolo israelita, il mishkan, la tenda mobile è il modello dell’universo e al contempo il modello della casa di Dio tra il popolo. Si tramanda nelle Scritture che Dio parlò a Mose dicendogli di aver infuso saggezza nel cuore di ogni artista affinché possano eseguire quanto comandato: la tenda del convegno, l’arca della Testimonianza, il coperchio sopra di essa e tutti gli accessori della tenda; la tavola con i suoi accessori, il candelabro puro con i suoi accessori, l’altare dei profumi e l’altare degli olocausti con tutti i suoi accessori, la conca con il suo piedestallo, le vesti ornamentali, le vesti sacre del sacerdote Aronne e le vesti dei suoi figli per esercitare il sacerdozio; l’olio dell’unzione e il profumo degli aromi per il santuario. Quando la guida del nostro popolo decideva di fermarsi in un luogo, sul cammino per la Terra Promessa, edificavamo il Tempio di Dio, la dimora trasportabile della presenza divina, come Dio ordinò a Mosè sul Sinai sul modello di una grande tenda rettangolare con antistante l’altare sacrificale circondati da mura di recinzione. La costruzione della casa divina era la prima cosa che facevamo prima di costruire, fuori dal recinto, le nostre tende. La tecnica era la stessa, ovvero con una struttura con pali di sostegno drappeggiata con tende di pelo di capra ed il tetto fatto di pelli di montone. Sopra le pelli di montone era posta una copertura di “pelli di tachash”, pelli conciate blu, pelli di tasso, pelli di delfino e pelli intrecciate dai colori accesi. I tessuti del colore azzurro cielo coprivano la grande “tenda dell’incontro” con Dio, il Tempio è la riproduzione in terra di un archetipo celeste per destare la sorpresa di coloro che ammirano queste tende a distanza non diverse dal colore del cielo.
Racconto immaginario dell’autore.
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Nella lingua latina il santuario mishkan si chiama tabernāculum “tabernacolo” che significa appunto “tenda” o “capanna” e rappresenta il centro del culto Ebraico-Israelita che racchiude l’Arca dell’alleanza, ovvero la dimora di Dio nel popolo.
Il tabernacolo seguì Israele durante la sua vita mobile, dopo l’arrivo nella Terra Promessa soggiornò in vari luoghi ed infine il re David lo portò a Gerusalemme e Salomone lo costruì con pietre e marmi. In epoca successiva il Tabernacolo è stato sostituito dal Tempio.
Il Tabernacolo, come la tenda del deserto, è una struttura intelaiata che sostiene un drappo di copertura e al suo interno contiene il mondo conosciuto. La sua disposizione grafico-spaziale, simboleggiava nel suo schema geometrico, anche la creazione, la struttura del cosmo.
Quindi la dimora umana, quella divina e l’intero universo venivano descritti con lo stesso modello della tenda-tabernacolo. In epoche successive la semplicità e chiarezza di questo modello iconico, seppur errato dal punto di vista geografico-astronomico ma dettato da Dio, fecero proliferare le mappe del “mondo-tabernacolo”.
Una nota rappresentazione cristiana del mondo fu messa a punto da Cosma Indicopleuste (titolo onorifico di “viaggiatore dell’India”, pseudonimo di Costantino di Antiochia), mercante geografo bizantino del VI secolo che in seguito divenne monaco. Cosma, nella sua Topografia Cristiana, le cui trascrizioni più antiche sono dell’XI secolo, pensando al tabernacolo biblico, aveva sostenuto che il cosmo fosse rettangolare, con un arco che sovrastava il pavimento piatto della Terra.
[Tabernacolo di Cosma Indicopleuste]
Secondo la lettura di Cosma, Mosè fu divinamente ispirato per la costruzione del tabernacolo poiché rispecchiava la forma del cosmo. Nel modello di Cosma la volta ricurva rimane celata ai nostri occhi dallo Stereoma, ovvero dal velo del firmamento. Sotto lo Stereoma si stende l’Ecumene, ovvero tutta la terra sui cui abitiamo, che poggia sull’Oceano e monta per un declivio impercettibile e continuo verso nord-ovest, dove si erge una montagna talmente alta che la sua presenza sfugge al nostro occhio e la sua cima si confonde con le nubi. Il sole, mosso dagli angeli - a cui si debbono anche le piogge, i terremoti e tutti gli altri fenomeni atmosferici - passa al mattino da oriente verso il meridione, davanti alla montagna, e illumina il mondo, e alla sera risale a occidente e scompare dietro la montagna. Il ciclo inverso viene compiuto dalla luna e dalle stelle. Il viaggio per percorrere la base del Tabernacolo in lungo è di quattrocento giorni, in largo duecento. Ai confini esterni di questi quattro mari si erigono massicce mura che chiudono l’intera struttura e tengono in alto il firmamento o volta celeste, i cui estremi sono incollati alle mura. Queste mura racchiudono la terra e tutti i corpi celesti.
Nelle varie rappresentazioni del “mondo-tabernacolo” le stelle sono disegnate geometricamente, in maniera ordinata all’interno del semi cilindro della volta, organizzandosi attorno al volto del Cristo che ricorda quello sul Mandylion (greco “μανδύλιον”), in arabo: منديل, mandīl, lett. “panno, fazzoletto” o immagine di Edessa era un telo, venerato dalle comunità cristiane orientali, sul quale era raffigurato il volto di Gesù. L’immagine era ritenuta di origine miracolosa ed era quindi detta acheropita, cioè “non fatta da mano umana” della Scala Celeste di Giovanni Climaco che la tradizione definisce espressamente rappresentazioni “pneumatiche”, cioè “spirituali”. Il Tabernacolo biblico di Mosè è il riferimento originario della rappresentazione di Cosma che diventerà un riferimento costante per la composizione architettonica delle chiese a navata longitudinale voltate a botte con intradosso cassettonato, ove i cassettoni rappresentano l’interpretazione della geometria celeste e perfetta delle stelle fisse.
Il tema della spazialità sacra di ogni chiesa fa dunque riferimento al modello interpretativo del cosmo, con la delimitazione muraria della terra conosciuta sotto la cupola del cielo, che a sua volta prende in prestito il modello spaziale del primigenio atto del recingere e coprire cui la tenda domestica assolve.
Nel modello cosmologico le pelli e drappi della tenda primigenia sono il velo del cielo chiamato in greco Stereoma da cui deriverà successivamente la mirabile tecnica del taglio delle pietre per la costruzione di sistemi voltati chiamata Stereotomia. Il vocabolo firmamentum venne utilizzato per la prima volta in senso astronomico nel IV secolo dalla vulgata per tradurre il termine greco stereoma, utilizzato dai Septuaginta nel libro della Genesi 1,6. La parola deriva dal latino firmamentum, che significa appunto “appoggio”, “sostegno” e a sua volta deriva dal latino firmus, che significa “solido”, “stabile”. Nell’età moderna, con la scomparsa di questa concezione cosmografica, il termine cominciò ad essere utilizzato come sinonimo della volta del cielo. Nella Genesi la funzione del firmamento è sia di sostegno alle stelle sia di separazione delle acque superiori da quelle inferiori.
Alcune aperture nel firmamento erano utilizzate da Dio per far scendere le precipitazioni atmosferiche, come la pioggia e la grandine (per esempio in Genesi 7,11). Con il termine firmamento si indicava il cielo considerato come una cupola solida, alla quale erano rigidamente collegate le stelle; una concezione condivisa da tutti i popoli antichi di tutti i continenti.
Anche nella tradizione rabbinica le “stelle fisse” pendono dal firmamento, simili a lampade, tutte equamente distanti dalla Terra, e la loro luminosità dipende unicamente dalle relative dimensioni (Mishnah tradizione orale ebraica raccolta nel 1° secolo d.C.). Se passassimo in disamina la storia dell’arte e dell’architettura dall’origine della formazione degli spazi sacri ebraico-cristiani sino ai nostri giorni, sarebbe possibile osservare che in ogni momento e epoca è possibile rinvenire la radice comune della tenda primigenia in ogni edificio sacro reinterpretata con tecniche e stili differenti. La tenda è l’imprinting di ogni spazio sacro.
I progettisti della nuova chiesa dedicata alla “Madonna della Grazia” di Andria, l’architetto Marco Stigliano e l’ingegnere Riccardo Ruotolo, sicuramente consci del racconto sulle origini dello spazio sacro, hanno costruito il “cielo” dell’aula liturgica sotto forma di tenda lignea e leggera (bellissimo controsoffitto ligneo con le giunture simili a cuciture dei drappi che convergono alla parte apicale della tenda) verso cui volgere lo sguardo in contemplazione. La sua forma è quella del drappo sfrangiato alla base e tirato, da un palo immaginario piantato nella sabbia del deserto che, nella sua parte apicale è forato, per lasciare passare il fumo del braciere della dimora nomade del deserto, e soprattutto per lasciare spazio alla visione di un frammento del firmamento celeste che ci consente di guardare oltre e interrogarci sui limiti della piccolezza umana nei confronti dell’ampiezza del creato. Oggi come più di 3500 anni fa continua a ripetersi, prima di chiudere gli occhi, il costante rito della contemplazione del creato al disotto di una tenda piantata nella sabbia del deserto per immaginare il di sopra dell’universo e restare in contatto con Dio.