Un attento studio di Nicola Montepulciano (storico e ambientalista, ed esponente di rilievo della sezione WWF di Andria), pubblicato nel n.2 della "Rivista Diocesana Andriese", Maggio/Agosto 2011, pagg.140-145: “ Nuove ricerche sul santuario della Madonna d’Andria”, inquadra storicamente l'affresco e ne interpreta la didascalia.
“Quando, nel Gennaio 1998, dalla parete che fronteggia la grotta con l’immagine della Vergine fu rimossa la tela raffigurante la Regina di Saba alla corte di Re Salomone, per essere sottoposta a restauro, venne alla luce un affresco del quale s’ignorava l’esistenza (Fig. 6). Il dipinto, di chiara impronta secentesca, raffigura l’episodio del salvataggio di San Placido dall’annegamento, derivante dall’agiografia del santo, e costituisce la conferma che le pareti della chiesa inferiore, verso la fine del XVII secolo erano tutte dipinte (32). L’affresco, che è racchiuso in una cornice dipinta ed è inquadrato in un’architettura, anch’essa dipinta, formata da una balaustra sorretta da colonne con capitelli ai due lati, si presenta parzialmente mutilo sia per i danni subiti dal supporto sia perché in parte coperto dalla cornice di gesso curvilinea che conteneva la tela rimossa.Al momento resta ignoto l’autore del dipinto per la mancanza di documentazione dovuta alla distruzione dell’archivio del santuario, avvenuta dopo la confisca effettuata nel 1806.L’affresco presenta alla base un’estesa didascalia latina, distribuita su tre righi, che descrive la scena rappresentata nel dipinto (Fig. 7). Si tratta di una particolarità piuttosto inconsueta nella nostra città, dal momento che l’unico altro caso di affresco con epigrafe si trova nel Cristo Pantocratore presente nella cripta della Cattedrale di Andria, dove sul libro che Cristo regge con la mano sinistra si legge la frase “Lux ego sum”, Io sono la luce, ovvero la salvezza.Purtroppo l’epigrafe è mutila sia perché in parte coperta dalla cornice in gesso e sia perché alcune lettere sono scolorite e, quindi, poco visibili. Addirittura il terzo rigo è quasi integralmente ricoperto dalla cornice di gesso. Le parole integre che si possono leggere ad occhio nudo sono soltanto sei: DVM, PLACIDVS, IN, IMPETV, JVSSV, AQVAS. Altre quattro parole sono incomplete: RAPERET, VPER, INCEDF, ATTRAY. Le lacune sono quindi talmente gravi da rendere l’epigrafe quasi incomprensibile.Con l’aiuto di un binocolo si leggono meglio altre lettere ma per la soluzione del testo è stata determinante la decisione di effettuare delle foto digitali da esaminare, opportunamente ingrandite, al computer (nota 33: Devo l’esecuzione delle foto a Michele Monterisi il cui contributo in questa ricerca è stato determinante). Dall’esame delle foto si possono leggere più chiaramente le parole RAPERETVR, (che da terra si legge “RAPERET”), parola “IN-CEDENS”, (che da terra si legge “INCEDF”). Quindi, le parole intelligibili diventano 8, alle quali si possono aggiungere tracce di altre lettere che, successivamente, risultano molto utili alla comprensione del testo.Tutto questo, però, non è sufficiente per comprendere la didascalia. Poiché le ricerche sui testi nelle varie biblioteche non hanno dato alcun esito, si è pensato di eseguire una ricerca su Internet di una estrapolazione certa del testo (nota 34: Anche questa intuizione la devo a Michele Monterisi). Inserite quindi alcune parole della didascalia e precisamente “Dum Placidus monachus”, è venuto fuori l’intero testo originario dal quale era stata estratta l’epigrafe.La didascalia è un adattamento di una frase tratta dal Divinum officium matutinum S. Pauli primi Eremitae et Confessoris scriptura: feria VI (sexta) infra Hebdomadam I post Epiphaniam (lectio 9) – Commemoratio St. Mauri, Abbati., cioè dalla nona lettura dell’Ufficio divino mattutino di S. Paolo, primo eremita e confessore, venerdì della I settimana dopo l’epifania - commemorazione di S. Mauro Abate.Viene qui riportata quella parte della commemorazione della vita di S. Mauro, nel testo originale in latino e relativa traduzione, che più ci interessa, perché da questa l’autore dell’affresco ha tratto la didascalia:Maurus nobilis Romanus puer a patre Eutichio Deo sub sancti Benedicti disciplina oblatus, brevi tantum divina gratia profecit, ut ipsi magistro admirationi esset: qui illum saepe veluti regularis observantiae, et virtutem omnium specimen, ceteris discipulis ad imitandum proponebat. Cujus adhuc adolescentis illud admirabilis obedentiae exemplum a sancto Gregorio Papa commemoratur. Nam cum Placidus monachus in lacum prolapsus, aquarum impetu raperetur, sancti Patris jussu accurrens Maurus, et super aquas incedens, socium capillis apprehensum, ad terram attraxit (35).Traduzione:Mauro nobile fanciullo romano, consacrato a Dio dal padre Eutichio sotto la guida di San Benedetto, in breve tempo crebbe tanto in divina grazia, da essere ammirato dallo stesso maestro, che spesso lo proponeva (lo indicava) agli altri discepoli come esempio di costante (zelante) obbedienza, e modello di ogni virtù da imitare. L’esempio di ammirabile obbedienza di quel giovane viene anche ricordato da San Gregorio Papa. Infatti quando il monaco Placido caduto nel lago, stava per essere portato via dall’impeto delle acque, Mauro accorrendo su comando del santo Padre e camminando sulle acque, preso il confratello per capelli, lo trasse a riva.La didascalia è stata ricavata dall’ultimo periodo del brano, quello, cioè, sottolineato. Il periodo non fu riportato fedelmente, ma adattato con alcune varianti per renderlo autonomo dal contesto e comprensibile. Qui si riporta l’intero periodo variato e la relativa traduzione (Fig. 8).Dum Placidus in lacum prolapsus, aquarum impetu raperetur, sancti Benedicti jussu accurrens Maurus, et super aquas incedens, socium capillis apprehensum, ad terram attraxit.Mentre Placido, caduto nel lago, veniva travolto dall’impeto delle acque, accorrendo Mauro su comando di San Benedetto, camminando sulle acque, preso il confratello per capelli, lo trasse a riva.... ... ...L’affresco trova una giusta collocazione nella chiesa inferiore dove vi sono le immagini affrescate di S. Margherita e S. Nicola, che sono due santi “sauroctoni”, capaci, cioè, di sconfiggere ed esorcizzare il diavolo sotto forma di drago, al pari di S. Silvestro, di S. Giorgio, di S. Michele(36). ... ... ...A questo punto viene naturale chiedersi il perché sia stato scelto questo soggetto per decorare l’aula della chiesa inferiore. Si possono fare due ipotesi che non si escludono a vicenda.Prima ipotesi. Il santuario era retto dai monaci benedettini e la storia dell’affresco aveva come protagonisti due monaci, San Mauro e San Placido che appartenevano all’Ordine.Seconda ipotesi. Dato l’enorme afflusso di pellegrini nel nostro santuario, provenienti da ogni parte della Italia Meridionale, si voleva dare grande risalto all’Ordine dei Benedettini. Per far questo i Cassinesi fecero dipingere l’affresco di fronte alla grotta, in modo da colpire il pellegrino, che scendeva verso questa. Era come un manifesto dell’Ordine. In base alle mie ricerche, sebbene non approfondite, non risulta in nessuna chiesa o monastero benedettino della provincia di Bari un dipinto raffigurante il salvataggio di San Placido che, probabilmente, era ritenuto in tempi passati uno dei miracoli più sensazionali di San Benedetto.”
NOTE
[testo originale latino] | [traduzione] |
---|---|
IN LIBER SECUNDUS
|
Dal Libro Secondo
|
[Il testo latino è tratto da “ Rerum Italicarum Scriptores”, tomus IV, Ludovicus Antonius Muratorius, Mediolani, ex Typographia Societatis Palatinæ in Regia Curia, MDCCXXIII, p. 195-196]