Nei due precedenti interventi sono state affrontate le problematiche relative al consolidamento e quelle inerenti la ricostruzione storico filologica, problematiche che sempre accompagnano ii restauro dei complessi monumentali importanti.
Occorre a questo punto affrontare un altro aspetto determinante per la corretta prosecuzione dei lavori, ossia quello che riguarda la riutilizzazione, il riuso dell’intero organismo architettonico.
È necessario precisare che riuso non significa utilizzare in un modo qualsiasi gli spazi disponibili,
una volta ultimati i lavori. In edifici importanti come questo, il riuso deve avvenire secondo
modalità corrette, cercando preferibilmente di restituire i singoli ambienti alle funzioni
per le quali sono stati costruiti originariamente, e qualora questo non fosse possibile
assegnando volta per volta funzioni che rispettino le caratteristiche storiche, costruttive e architettoniche.
D’altra parte occorre prevedere gli impianti adeguati che ogni attività richiede.
Per non correre il rischio, quindi, di sistemare gli ambienti per un uso generico è necessario
a questo punto dei lavori fare una riflessione generale sul riuso dell’intero
complesso architettonico e provvedere per tempo alla realizzazione di opere
ed impianti che faciliteranno e renderanno agevole l’utilizzazione futura.
La nostra proposta muove da queste premesse, a cui si aggiungono ulteriori necessarie considerazioni.
Nell’intervento precedente stato sottolineato come l’insieme chiesa — convento di S. Domenico
abbia costituito nei secoli un grosso polo di interesse cittadino e come il tessuto urbano
del quartiere si sia formato progressivamente intorno ai suoi margini.
Non è possibile quindi pensare ad un riuso che consideri indipendentemente l’uno dagli altri gli elementi che compongono l’insieme.
La proposta deve considerare S. Domenico come un vero e proprio organismo urbano.
Occorre pensare sia al consolidamento e al riuso dell’insieme chiesa - campanile e degli altri ambienti
costruiti, sia al recupero dell’area esterna anticamente occupata da gran parte del convento,
e su cui ancora oggi affacciano parte del primitivo chiostro e delle abitazioni dei frati.
Un atteggiamento di questo genere sarebbe alla base di un progetto che mira a soddisfare
esigenze diverse: quelle che salvaguardano gli interessi espressi dall’interesse
dell’ente proprietario, e quelle più generali del quartiere e dell’intera città.
S. Domenico consente questa possibilità. Questo polo urbano storicamente consolidato
ha ancora oggi le sue potenzialità. Non si tratta certamente di ricostruire quello che
ormai è distrutto. Si tratta di far rivivere l’attitudine, la vocazione di questo luogo
ad essere contemporaneamente centro di interesse religioso, culturale e sociale.
Occorre ricreare quindi le condizioni ottimali, e fare in modo che la cittadinanza
possa fruire di questi spazi in maniera attiva ma rispettosa e consapevole.
Attualmente gran parte della zona esterna è occupata dalla ex cabina elettrica
che fu impiantata qui all’inizio del secolo sui resti dell’antico fabbricato.
Sicuramente l’entusiasmo per la modernità e la mancanza di cultura non fece prestare
grande attenzione alle monumentali preesistenze.
Al di là dei giudizi sulla qualità dell’intervento va detto che questo fabbricato versa in pessimo stato di conservazione; le condizioni statiche generali sono precarie (a causa di dissesti e per la tipologia della costruzione) e la copertura è semidistrutta. Pur rappresentando un volume quantitativamente ragguardevole, non ci sembra auspicabile il suo ripristino, che risulterebbe tra l’altro abbastanza oneroso economicamente. Crediamo d’altronde che neanche i più accaniti sostenitori del principio della conservazione nel restauro possano avere qualcosa da eccepire alla demolizione della ex cabina elettrica, data la sua assoluta estraneità al complesso del convento. Con la sua ubicazione, l’edificio in questione preclude qualsiasi use reale ed efficace dell’area esterna della Chiesa di S. Domenico, modificando totalmente l’originaria armonia dei due chiostri e modificando completamente la percezione del campanile.
L’ipotesi di recupero di quest’area non può prescindere, secondo noi, dalla demolizione di questo edificio, cercando di recuperare per quanto possibile, la sua capacità volumetrica, redistribuendola ai margini del grande spazio ridisegnato.
A questo proposito tale “ridisegno” dovrebbe seguire l’allineamento dei pilastri dell’antico
impianto identificabile mediante opportuni saggi come quelli già effettuati,
che hanno messo in luce il pilastro d’angolo …
Questo non solo per una ricostruzione storica, ma soprattutto perché è difficile immaginare
un andamento planimetrico che si inserisca meglio nel contesto già esistente, perché,
come sottolineato in precedenza, è proprio il quartiere che si è man mano costituito
intorno al convento. Il vecchio impianto potrebbe essere messo in risalto da una semplice
pavimentazione, o preferibilmente mediante la costruzione di un percorso pedonale coperto,
un vero e proprio portico costruito con strutture leggere, ciò che renderebbe sicuramente
meglio la suggestione dello spazio architettonico originario. Il percorso segnerebbe
l’andamento dei portici originari ricreando i due cortili quadrati comunicanti tra loro.
In particolare ricollegherebbe le strutture del chiostro superstite. Poiché una campata
di questo comunica con piazza Manfredi, ecco che emerge la possibilità di ricreare
una sorta di nuovo collegamento urbano. Dal portico si accederebbe alla grande piazza-giardino
interna e attraverso questa si arriverebbe alla piazzetta in cui sfocia via Sant’Angelo dei Meli,
e di qui giù per via S. Chiara o per via Quarto verso il Municipio.
In questi disegni non vi è accenno ad alcuna architettura costruita, e nessun particolare architettonico. È solo uno schema di funzionamento, uno schema distributivo. Sarebbe stato un controsenso predisporre e presentare in questa sede un progetto vero e proprio senza conoscere le intenzioni reali dell’ente proprietario e del Comune di Andria.
Da questo schema si può solo immaginare il risultato di un’ipotesi che, se sostenuta da un accurato accordo sulla gestione economica e di responsabilità, darebbe davvero avvio alla rivitalizzazione e al recupero del Centro Storico di Andria.
[testo tratto dalla relazione presentata in pubblica assemblea al termine di quella prima fase di lavori]