Il Settecento è il secolo delle grandi trasformazioni all’interno delle chiese, comprese quelle andriesi, dovuto al gusto rococò dell’epoca ed ai dettami del Concilio di Trento (1545 - 1563). Così anche in riferimento alla nostra ricchissima chiesa di S. Francesco in Andria si apprende, sfogliando tutti i testi di storia andriese, che nel 1700 la chiesa fu arricchita di magnifici stucchi in stile barocco, comprendenti cornici, angeli e riquadri vari. Ma non si sa più nulla circa i valenti artefici che si dedicarono alla ristrutturazione interna di questa chiesa. Così per studio e per passione in una ricerca d’ar¬chivio ho scoperto preziose fonti documentarie che fanno luce sulla storia della nostra chiesa.
Nel 1749 comincia ad attuarsi il progetto dei Padri Francescani circa l’ammodernamento della Chiesa e perciò contattano i maestri Savino Raimondo della città di Andria e Nicolo e Giovanni de Mangarella, padre e figlio, della città di Barletta, per “Modernare con nuove fabbriche interiori la Chiesa di detto venerabile convento, ed alzare sopra le vecchie altre nuove fabbriche, per poi partire cappelle, presbiterio ed altro; e situarci con finimento di stucco” secondo un disegno - progetto preparato a Napoli dall’ing. Martino Buonocore.
All’interno della chiesa si può ammirare anche un coro in noce costruito nel 1699 (data incisa nel legno) da autore ignoto, probabilmente discepolo di Bolognese Infante di Bagnuoli (1659).
Analizzando sempre il ricco interno della chiesa di S. Francesco la nostra attenzione si sofferma ora sugli arredi marmorei e precisamente sull’altare maggiore e la balaustra che separa la zona presbiteriale dall’aula unica della chiesa.
Pochissime e frammentarie, se non rare e molto generali, sono le notizie
riguardanti questo stupendo altare sito nella chiesa di S. Francesco ad Andria,
e ciò è dovuto certamente al fatto che documenti vari e i registri di contabilità
del Settecento andarono perduti in seguito ad un incendio che divampò nell’Ottocento
nei locali attigui alla chiesa, ivi compreso l’archivio. Inoltre aggiungiamo che nulla
è emerso dalla consultazione dei registri notarili di tutti i notai, anno per anno,
che rogavano ad Andria nel Settecento. Al contrario ho ritrovato documenti notarili
riguardanti gli autori del campanile (il più bello di Andria, insieme a quello del duomo
e della chiesa di S. Domenico) e delle campane della chiesa di S. Francesco,
e gli architetti e i muratori che provvidero alla ristrutturazione totale della chiesa nel 1749.
Le prime notizie di questo artistico altare maggiore, ricco sfondo di una chiesa ad una sola navata con copertura a volta tutta ornata di fine stucco, si ritrovano nel testo del Borsella risalente al 1850. “La costruzione è magnifica o si guardano i lavori, o la forma, o le diverse qualità dei marmi che lo compongono" (1). Il Borsella stesso precisa che la chiesa subì un totale ammodernamento negli anni 1750-1770 rifacendo gli stucchi e ordinando nuovi arredi, ivi compreso l’altare.
Una ricca ed artistica balaustra di marmo divide la chiesa dal presbiterio, nel quale è appunto collocato il magnifico altare maggiore di marmo pregevolissimo e ricco di lapislazzuli. È evidente che stilisticamente la detta balaustra di marmo bianco e africano (alta cm. 86 e lunga cm. 655) è stata costruita in ambito napoletano nella seconda metà del XVIII secolo. Ho ritrovato a proposito di questa balaustra solo un riferimento indiretto in un altro atto notarile, recuperato in archivio del 1793 in cui si fa riferimento alla costruzione di una balaustra marmorea nella chiesa di S. Sebastiano in Andria, e l’artista contattato, Andrea Scala, s’impegna a realizzarla sull’esempio di quella di S. Francesco: «… essa balagustrata larga oncie tre, e l’altezza di esso gradino oncie otto, cioè sei l’altezza del sottogrado di bordiglia, e due il bastone; nella suddetta imboccatura vi deve cadere un altro gradino, tutto di marmo bianco di altezza di oncie quattro con fiaccola, o sia smocciatura simile a quella della balagustrata di questo convento di S. Francesco». Questa costituisce un’importante data che ci fa intuire l’esistenza della balaustra di S. Francesco già prima del 1793. Essa, come l’altare, è in marmo policromo intagliato ed intarsiato ed è divisa in quattro settori, due a destra e due a sinistra del cancello centrale in ferro e ognuno di esso presenta due testine di cherubini lievemente aggettanti nel gioco delle volute, uno di spalle all’altro. Questa balaustra come manifattura è contemporanea all’altare e opera di quello stesso omonimo autore artefice di tutto l’intero complesso marmoreo.
L’altare maggiore, superbo per la sua bellezza e preziosità, è situato
al centro del presbiterio ed è realizzato in marmo policromo scolpito e commesso
(alto cm. 311, lungo cm. 480, profondo cm. 280). È un prodotto della scuola napoletana,
sicuramente della seconda metà del XVIII secolo.
Al 1754 risale secondo la tradizione poi la porticina in argento del tabernacolo
(datata) e probabilmente i parati in ottone che completano l’altare.
Quindi successivamente nel 1754 furono ordinati i parati in ottone di questo e degli altri
altari che completano la chiesa ad aula unica. Per inciso accenniamo a questi altari
che sono sei, tutti di marmo e disposti simmetricamente. Ognuno di essi è dedicato
ad un santo e sono tutti lavorati a Napoli alla fine del sec. XIX con finissimi marmi,
come anche di stampo partenopeo sono le statue che li sovrastano
(2).
Databili agli stessi anni dell’altare maggiore, inoltre, possono considerarsi le due mense marmoree laterali in marmo di Carrara e rosso africano, e le acquasantiere in bardiglio, marmo nero e rosso d’Africa.
Ritornando a parlare dell’altare maggiore, esso è concluso ai due lati
da due angeli adulti reggifiaccola. Questi serafini capialtare a figura intera
sono molto simili, per fattezza e mano scultorea, a tanti altri ritrovati
con frequenza in altari settecenteschi nel Regno di Napoli, molti soprattutto in Puglia.
È sorprendente la somiglianza di tutti questi angeli fra loro anche perchè è davvero
unica questa originale soluzione di conclusione laterale degli altari. Esempi vistosi
sono l’altare maggiore della Cattedrale di Foggia (con angelo capoaltare a destra
firmato Sanmartino e datato 1767) e l’altare maggiore della chiesa di S. Benedetto
a Massafra, attribuiti allo scultore Giuseppe Sanmartino
(3).
Proprio con questi ultimi è possibile dare un puntuale confronto che ci consente
di poterli riferire all’ambito della bottega del Sanmartino
che riscosse notevole fortuna proprio in Puglia.
L’altare maggiore di S. Francesco si eleva su quattro gradini di marmo bianco
con intarsi di marmo rosso d’Africa listati di marmo nero. La mensa, unica nel suo genere,
è sostenuta da piedistalli incorniciati a vari colori con ricche volute.
Una greca superiore, data dalla ripetizione ritmica di tasselli semiovali
in marmo giallo di Siena, delimita superiormente il paliotto che reca un vistoso
medaglione circolare in lapislazzuli dell’Afghanistan
(4) con al centro una stella
di Similoro (5)
infissa in detto cerchio e circondata da una corona di pietre dure.
Accanto, agli estremi laterali dell’urna, sporgono due teste di angeli a tutto tondo.
Il postergale, costituito da due gradini largamente profusi di decorazione,
reca nel primo sei coretti lunati come scudi, aventi nel centro cerchi di marmo giallo;
il secondo gradino è abbellito di foglie bianche ricurve ad intaglio e sovrapposte
ad un fondo di marmo verde Alpi cipollino, con ornamenti vari, ancora ad intaglio,
di piccole fronde. I gradini dell’altare, ricchi di marmi variegati,
sono superiormente conclusi da fasce di marmo giallo e nero di Calabria.
Al centro del ciborio campeggia una raggiera sagomata in un pezzo unico di marmo giallo
di Siena con ai lati due cherubini che iconograficamente richiamano
gli angeli della Cattedrale di Andria attribuiti a Giacomo Colombo,
pezzi pregevoli di un altare settecentesco completamente distrutto.
Al centro della raggiera è collocata la porticina di forma ellittica del tabernacolo
in argento sbalzato (altezza cm. 28.6) che rappresenta l’Ultima Cena.
Questo argento scolpito risale sicuramente al secolo XVIII, ed è anch’esso
di ambito napoletano e raffigura con chiarezza Gesù che distribuisce agli Apostoli il Pane Eucaristico.
Altre notizie inedite sono state rintracciate riguardanti la vicenda della realizzazione del campanile. In un documento del 1760 appaiono per la prima volta i nomi di Vito e domenico Ieva della città di Andria convocati dai frati del convento per completare i lavori di ammodernamento della chiesa iniziati nel 1749-51, con la realizzazione di un nuovo campanile. Il disegno-progetto del nuovo campanile dei maestri Ieva fu accettato dai frati; quindi il campanile doveva sorgere nel piccolo giardino annesso alla sagrestia di detto convento. In questo primo contratto del 1760 si stabiliscono le clausole:
Sempre da fonti documentarie apprendiamo il nome degli autori delle campane del suddetto campanile; essi sono Gerardo Bruno e Gerardo Olita “della terra di Vignola Provincia di Basilicata” che nel 1782 erano presenti in Andria. Ad essi si commissiona la realizzazione di due campane, da eseguire su loro stesso disegno, con l’impegno da parte del convento di fornire tutto l’occorrente per l’esecuzione del lavoro, come creta, ferri filati, cera, lana, carboni, legna e mattoni per la fornace, rame e stagno. Il prezzo pattuito per le due campane fu di nove ducati in moneta d’argento da pagarsi ai due maestri che avrebbero lavorato in Andria ed ai quali il convento, come consuetudine, si impegnava ad offrire vitto e alloggio per tutto il tempo necessario al lavoro che doveva essere ultimato nell’arco di un anno, cioè nel 1783.