Gli affreschi si trovano sulla facciata del secondo pilastro della navata destra; San Lorenzo sul plinto, il Beato Urbano V nella parte immediatamente superiore.
[Urbano V, in Santa Croce ad Andria (foto Sabino Di Tommaso)
e nella cripta di S.Francesco ad Irsina - confronto]
Il papa Urbano V (abate dell'ordine di San Benedetto nel monastero di
Marsiglia, dal 1362 papa; visse dal 1310 al 1370, fu proclamato beato da
Pio IX ) è
dipinto seduto non su un trono ma su uno scanno di coro.
è riconoscibile per gli
abiti papali indossati, la tiara e soprattutto per le reliquie delle
teste di San Pietro e di San Paolo portate nella sinistra; tale
iconografia ricorda che poco prima della sua morte, il 16 aprile 1370,
questo papa ritrovò e fece traslare le teste dei due apostoli dalla
cappella del Sancta Sanctorum all'altare maggiore della basilica
di S. Giovanni in Laterano.
Egli fu anche l'artefice del ritorno della sede papale da Avignone a Roma.
Forse Francesco I del Balzo (o un suo discendente) lo fece affrescare sia in Santa Croce ad Andria che in San Francesco ad Irsina,
come segno di riconoscenza per averlo ospitato ad Avignone, quando per dissidi rifuggì dalla regina Giovanna.
Molte. tra l'altro, sono le corrispondenze stilistiche con detto affresco presente nella cripta di San Francesco ad Irsina
(foto sopra a destra), cripta che infatti era una cappella gentilizia dei Del Balzo, molto devoti a questo papa.
Una breve ed essenziale descrizione dell'affresco ci proviene dal Prof. Giuseppe Brescia nel 1982:
"Sulla parete sinistra della navata destra è raffigurato il B. Urbano V, nimbato con triregno e seduto su ricco trono in prospettiva, benedicente con la destra e reggente con la sinistra un calice a navicella, adorno di tre gigli angioini e contenente le teste mozze di S. Pietro e S. Paolo: non privo di vivacità coloristica, per le pennellate azzurre che accennano il panneggio della tunica bianca, mentre altre rosa sottolineano con finezza il ritmo delle pieghe."
[tratto da “Una politica di beni culturali in Andria”, di Giuseppe Brescia, in "ANDRIA FIDELIS - quaderni di storia andriese" di AA. VV. Tip. D. Guglielmi, Andria, 1982, pag. 18]
[S. Lorenzo Martire e resti di affresco - elaborazione elettronica su foto di Sabino Di Tommaso - 2013]
San Lorenzo è qui raffigurato mentre (nel 3° secolo dopo Cristo, probabilmente nel 258
durante l'impero di Valeriano e il papato di Sisto II) subisce il leggendario supplizio di "bruciato
sopra una graticola".
Nell'affresco il Santo è steso sulla graticola circondato da tre torturatori,
uno dei quali lo pungola con un tridente per rigirarlo, un altro dal basso con un piccolo mantice soffia sul fuoco per ravvivarlo.
Condizioni: L'affresco del Papa è in buone condizioni, quello di San Lorenzo è piuttosto deteriorato dall'umidità risalita nel masso tufaceo.
Sullo stesso plinto, nella faccia rivolta verso l'ingresso ci sono tracce di un altro affresco raffigurante una figura umana, probabilmente un altro santo abbigliato nei colori blu e rosso ornati d'oro, comunque di difficile identificazione perché quasi totalmente deteriorato.
L'affresco, collocato sulla parete laterale
della navata destra, è in precarie condizioni;
il personaggio nimbato è affrescato in una elegante cornice
a disegni geometrici, trilobata nella parte superiore
(come San Nicola sulla parete destra dell'abside centrale);
si individuano a stento oggetti (un paio di forbici ed altri che, con un po’ di fantasia,
potrebbero essere un carro in alto a sinistra, una falce sotto il braccio sinistro,
una scure sotto quello destro, un martello, ...) conficcati nel corpo ignudo.
La stessa interpretazione è stata esposta dalla Dott.ssa Rosa Lorusso, storico dell'arte,
nella sua relazione del 9 marzo 2013, tenuta nella Sala delle conferenze
del Chiostro San Francesco ad Andria, sul tema “La Chiesa Rupestre di Santa Croce
di Andria un patrimonio da restituire alla comunità - Storia e restauri”.
Nella sua doviziosa esposizione la relatrice commentando
questo affresco comunicava inoltre che in Puglia non esistono
altre immagini con identico soggetto;
le rinveniamo alcune nell'Italia settentrionale e oltralpe.
A proposito di questa interpretazione Franco Cardini, professore ordinario di Storia medievale presso l'Università di Firenze, nel suo saggio edito da UTET nel 2016 “I giorni del sacro, i riti e le feste del calendario dall'antichità ad oggi” scrive:
«La Chiesa medievale era rimasta in materia ben salda sul principio che il lavoro fosse necessario all'uomo e doveroso in quanto conseguenza del peccato originale e come tale mezzo di redenzione, ma aveva tutelato la sacralità della festa: e tale atteggiamento si era semmai irrigidito quando, a partire dal XIV secolo, le esigenze della produzione e con quelle l'impulso all'accumulo di capitali si erano fatti più forti.
Se il lavoro domenicale profanava il giorno del Signore, quando esso era motivato non da stretta necessità (e quello dei campi, a differenza di quello artigiano o manifatturiero, poteva esserlo sovente: le colture vanno curate nella loro stagione, le bestie debbono pur mangiare) ma soltanto per sete di guadagno, diventava qualcosa di simile alla simonia per non dire all'apostasia, qualcosa che ricordava il mercimonio di Giuda.
Il culto del “Cristo della domenica”, raffigurato come martirizzato dagli strumenti di lavoro, aveva il preciso ruolo d'ispirare orrore per il lavoro festivo, ma al tempo stesso di ribadire che la festa - e soprattutto quella settimanale - era non tanto un'occasione di riposo o di svago quanto un momento che apparteneva al Signore e doveva esser consacrato al culto.»
Con una ricerca di altri dipinti raffiguranti il “Cristo della Domenica” ho potuto constatare che in quei pochi trovati
c’è un affollamento esasperato di attrezzi da lavoro ai quali sembra
assegnato un adeguato spazio; per contro elevata è la sobrietà esistente in quello affrescato in Santa Croce ad Andria,
dove gli attrezzi appaiono quasi aggiunti nel poco spazio dello sfondo tra
soggetto e cornice.
Un esempio a confronto è proposto nella foto a sinistra: è un dipinto del Quattrocento presente in una cappella del Duomo di Biella;
un altro "Cristo della Domenica" è presente a San Pietro di
Feletto (TV), ma non ho trovato raffigurazioni simili in alcun luogo
dell'ex Regno di Napoli.
Tale immediata impressione insieme
ad altre caratteristiche di seguito espresse induce a dubitare che il nostro
inizialmente sia stato dipinto per raffigure un "Cristo martirizzato dal lavoro
festivo"; a tal fine forse è stato modificato
successivamente. Infatti si osserva inoltre:
- l'uomo raffigurato evidenzia una acerba giovinezza nei lineamenti, un'acconciatura di capelli incoerenti
sia con le classiche raffigurazioni del Cristo che con tutte quelle coeve
presenti nel nostro territorio, una chiara difformità nel caratteristico perizoma neppure accennato
(oppure andato del tutto distrutto);
- questo modello iconografico del Cristo "della Domenica" si diffuse tra il Trecento e il Cinquecento
(e, di certo, non nel nostro Meridione) e non fu più dipinto dopo il Concilio di Trento che impose una rigida disciplina nell'uso delle immagini sacre,
ordinando conseguentemente la distruzione di quelle esistenti; questa si sarebbe salvata come le poche altre ancora oggi osservabili.