di Antonia Musaico Guglielmi
I nostri nonni spesso erano succubi di gnomi, folletti, geni o esseri di questo genere che addirittura condizionavano la loro vita. Una povera donna cercò di liberarsi da un folletto pensando di cambiare casa, ma non ci riuscì e si rassegnò a vivere in sua compagnia.
Indә na chèisә steivә na femmәna saulә, nu picchә vәcchiareddә, i pә tanda ué indә la chèipә. Vәlèivә sté sembә cittә, i ni vәlèivә scioiә a rә casәrә dә l’oltә, ni vәlèivә l’oltә a la chèisa sauә.
Ma chedda pavәreddә na mbassèivә mé na doiә chәndendә pә colpә dә nu scazzamәriddә.
Chәssә lә facèivә tanda dәspittә: dә nottә sә mәttèivә saupә a la vocchә dә l’almә i na lә facèivә trè fièitә; cert’oltә voltә aprèivә all’anzәchәrdiunә la portә i lә facèivә bәgghié friddә, u lә scәttèivә d’ugghiә quannә stèivә a chәnzé, u lә sciascianèivә lә capiddә, u lә scәttèivә rә stirchә.
Chedda femmәnә na u pәtèivә sәppәrté chiuә, ièivә gé assé ca l’avivә sәppәrtèitә pә tand’annә. Pavәreddә! L’avivvә fattә, pәcché mmèinә a la mamma sauә i a lә babbunnә, l’avevәnә dittә ca rә casәrә ièvәnә guardèitә da lә scazzamәriddә, da rә faitә, da iә mèighә ca ièvәnә lә prәtәttiurә dә la chèisә.
Pә sté a cheddә ca l’avevәnә nzәgnèitә, piurә ieddә s’avivvә tәniutә u scazzamәriddә, ma mouә na u vәlèivә vәdaiә chiuә. Doppә ca pәnzé i pәnzé, dicisә dә cangé chèisә. Ma la maravigghiә fu ca na doiә su vәdoiә nandә pә la scaupa mmèinә i abballèivә attәrnә ad eddә candannә: “Sciamanninnә a la chèisa nouvә, sciamanninnә a la chèisa nouvә!”.
A chәssә pәndә chedda pavәreddә sә sbulté i dәcioiә: “Quannә na n’agghia passé fәrtiunә, è megghiә ca restә a du staichә. Ci lassә la voia vecchiә i pigghiә la voia nouvә, sèipә ci lassә ma na nzèipә ci trouvә. Stammenә douә, scazzamәrì”. I na scasé chiuә.
In una casa viveva una donna sola, di mezza età, ma con tante preoccupazioni.
Amava stare sempre in silenzio, non voleva andare in casa d’altri, né tantomeno desiderava che l’andassero a visitare.
Quella poverina non trascorreva un giorno in pace a causa di un folletto.
Questi le faceva tanti dispetti: di notte le si metteva sullo stomaco e non la taceva respirare. Altre volte apriva all’improvviso la porta e l’esponeva alle correnti, o le gettava l’olio quando stava a condire la minestra o le scompigliava i capelli, o le sparpagliava l’immondizia.
Quella donna non lo poteva sopportare più era già molto per lei averlo sopportato per tanti anni. Poverina! Lo aveva fatto, perché dai suoi genitori e dai suoi nonni aveva saputo che le case erano sotto la protezione di folletti, di maghi, di fate che erano i geni protettori della casa.
Per seguire gli insegnamenti dei suoi, pure lei si era tenuto il folletto, ma ora non voleva vederlo più. Dopo aver tanto riflettuto, decise di cambiare casa. Ma quale fu la sua meraviglia quando un giorno se lo vide avanti con la scopa in mano e le ballava intorno cantando: “Andiamocene alla casa nuova, andiamocene alla casa nuova!”.
Allora la donna infuriata disse: “Se non devo cambiare fortuna, è meglio che resti dove sto. Chi lascia la via vecchia e prende la via nuova, sa che cosa lascia ma non sa che cosa trova. Stiamocene qui, folletto!”. E non sloggiò più.
[tratto da “narrativa popolare – accanto al fuoco con i nostri nonni”, di Antonia Musaico Guglielmi, tip. D. Guglielmi & C. s.n.c., Andria, 1985, pp. 196-197]
Il dialetto è trascritto così come l’autrice l’ha pubblicato;
solo il grafema “ë” è stato sostituito da quello che rappresenta
una “e” ruotata di 180°, lo schwa “ә”.
Tale simbolo fonetico “ә” rappresenta nella pronunzia della parola
dialettale in cui è inserito una “e chiusa ed
incerta, evanescente, inconsistente, senza precisa specificità”
e la si emette tenendo la bocca in posizione rilassata e semiaperta, risultandone un suono situabile al centro dell'insieme vocalico.