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Castel del Monte ai primi del Novecento

Castel del Monte

presso Andria

di mons. Emanuele Merra


XI
I figli di Manfredi prigionieri in Castel del Monte

Non appena, il 28 febbraio 1266, giungeva alla sventurata Elena degli Angioli, l’infausta notizia che suo marito Manfredi, crivellato di ferite, era restato sepolto sotto un mucchio d’uccisi presso Benevento (1); l’infelice, che difesa dal Saraceni era in Lucera, con i figliuoli, e con Costanza già imperatrice di Costantinopoli, e sorella di Manfredi (2), restò priva di consiglio ed in preda alla più grande disperazione che mai! Al funesto annunzio baroni e nobili abbandonarono vilmente la desolata figliuola di Micalicio, despota d’Arta e d’Epiro, restandole fedeli messer Monualdo di Trani colla sua moglie Amundilla, e messer Amerusio! Questi con parole calde di affetto fecero animo alla greca sventurata, e pietosamente si adoperarono per metterla in sicuro coi figliuoli. Pertanto usciti nascostamente da Lucera, che era stretta d’assedio dall’Angioino vittorioso, giunsero in Trani.

La notte del 3 di marzo 1266, la vedova di Manfredi con i suoi figliuoletti, e con quei tre suoi fedeli prendeva la fuga sopra una galea, che allestita le avea certo messer Lupone (3), intimo amico dell'Amerusio, per salvarsi presso i congiunti in Epiro (4). Ma per l’infelice famiglia di re Manfredi era fatalmente suonata l’ora della sua suprema rovina! Una orribile tempesta, scatenatasi d’improvviso sul mare, impedì loro la uscita dal porto, e la infelice regina coi suoi figliuoli dovette affidarsi al castellano di Trani (5), il quale, nel 4 marzo, per paura, la consegnò alla gente del conquistatore francese, che la inseguiva (6)! In tal modo Elena col tesoro, che seco aveva menato in Trani, e coi quattro figli, Beatrice di anni sei, Enrico di quattro, ed i più piccoli Federico ed Enzo, venne miseramente arrestata! (7).

Il 2 giugno 1259, quando la bella Elena dall’Epiro venne sposa al biondo figliuolo di Federico e di Bianca Lancia, e nel Castello di Trani ebbe luogo il suo splendido e sfarzoso ricevimento; chi mai avrebbe potuto pensare che ivi stesso, dopo sette anni, in una orrenda notte, doveva proditoriamente coi cari suoi figliuoletti trovare le catene?

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In un diploma di Carlo I, dato presso la Torre di Sant’Erasmo in Capua, nel 14 aprile, sesta Indizione (1278), in cui è riportato il conto reso dal giustiziere di Terra di Bari, Pandolfo di Fasanella, dal 12 marzo sino al 15 decembre 1266, fra le al tre cose si fa menzione della partenza della infelice Elena da Trani alla presenza dell’Angioino in Lagopesole e della spesa a tal uopo occorsa (8). Il Forges-Davanzati ed il Minieri-Riccio pensano che con Elena andassero pure i figli, parlandosi nel diploma di famiglia. Ma il chiarissimo Giuseppe Del Giudice la pensa diversamente: «La voce famiglia, egli dice, nei diplomi Angioini è per lo più usata per famigliari, anziché per figliuoli. In tutte le lettere pel vitto di Elena, non si nominano mai i figliuoli, ma la famiglia; e si avverta pure che quando trattasi di consegna al nuovo castellano, si nomina solo Elena, perché la sola Elena era prigione, non la famiglia … Inoltre in un altro documento leggesi, che morta Elena, si diede libertà alle damicelle ed alla famiglia, cioè ai famigliari di poter uscire dal castello. Dunque sembra certo che Elena fu chiusa nel castello di Nocera senza i figliuoli, ma con alcuni famigliari, cui dallo stesso re si corrispondeva il vitto» (9). Sebbene il cuore fortemente raccapricciasse a tale opinione, che sa di troppa crudeltà; sebbene vi si levasse contro la tenera ed innocente età di quelle quattro sventurate creaturine, che facevano tanto bisogno delle cure materne; pure è da credere che i poveri figliuoli di Manfredi fossero con essi di altissima inumanità e per crudele ragione di Stato divelti dalle braccia amorosissime della sventurata madre fin dai primi giorni di marzo, quando le genti di re Carlo giunsero in Trani, e, come dice l’Anonimo Tranese, «di notte se li portarono, e non si seppe dove». Infelici! Li accoglieva segretamente il carcere di Castel del Monte (10).

Dopo il misterioso colloquio di Elena con Carlo in Lagopesole, la sventurata non tornò più nel Castello di Trani; ma fu menata prigioniera in quello di Nocera dei Cristiani! Infatti ai 14 marzo del 1267 l’Angioino, sostituendo all’antico castellano di Nocera un milite francese della contea di d’Angiò, Rodolfo de la Faye, scriveva da Capua: «Noi vogliamo che al milite Rodolfo si consegni la rocca di Nocera con tutte le armi, e gli altri guernimenti, e con Elena, vedova di Manfredi» (11). In tal modo passarono circa cinque anni di stretta e sconsolata prigionia per la desolatissima Elena, che nel giorno 11 marzo del 1271, a trent’anni, lontana dalla dolce patria, senza il tenero conforto dei cari figli suoi, moriva di crepacuore in quella rocca dolorosa, rimanendone persino ignota la tomba!

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Morta Elena, troviamo nell’istesso anno la figliuola Beatrice, carcerata nel Castello di S. Salvatore a Mare, o dell’Uovo, avendo a compagne di sventura la figlia del conte Giordano d’Anglano, discendente della famiglia dei Lancia, fatto prigioniero nella battaglia di Benevento, a cui nelle carceri di Provenza per ordine del re Carlo erano stati inumanamente cavati gli occhi, e mozze le mani ed i piedi (12); e la figlia di Filippo Chinardo, capitano generale e vicario di Corfù. Rilevasi ciò da un documento del mese di settembre, o di ottobre del 1271, tratto dal manoscritto del De Lellis, esso contiene l’ordine di pagarsi al castellano del Castello dell’Uovo once trentaquattro per le spese della figliuola del principe di Taranto e di una sua damigella, della figliuola del conte Giordano e di una sua damigella, e della figliuola di Chinardo (13). Lo stesso rilevasi pure da un diploma di Carlo del 5 marzo 1272; ma in questo documento non si fa menzione della figlia del Chinardo, che dovette forse acquistare la libertà. Da questo Castello, dopo diciotto anni di prigionia, avendone passati cinque in Nocera, e tredici in questa rocca, con l’assegnamento di due tarì al giorno, il 5 giugno 1284, dopo la disfatta dell’armata Angioina, e la cattura del principe di Salerno, Ruggiero di Loria, veniva pietosamente a liberare la sventurata Bice, ed a portarla in trionfo in Sicilia tra le amate braccia di Costanza, sua sorella maggiore, moglie di re Pietro d’Aragona (14). Ma i piccoli fratelli di lei restavano crudelmente rinchiusi nel Castello di Santa Maria del Monte, e di essi non si ricordò nessuno!

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Copertina

In quella favorevole circostanza perché il Loria non mise ancora in libertà i figliuoli maschi di Manfredi? Alcuni opinano che re Don Pietro d’Aragona non volle chiedere la libertà di coloro, che vantavano sul regno di Sicilia un diritto migliore di sua moglie Costanza. Altri pensano che l’ammiraglio della regina li credesse già estinti nelle carceri di Carlo, avendo questi fatto spargere ad arte la voce della loro morte (15). Infatti in tutto il tempo del regno di Carlo I non si trova fatta menzione degli sventurati figli di Manfredi, se non una volta sola, come si rileva del Sommario di De Lellis in un diploma un dì esistente nel registro del 1272 D, fol. 75, ed ora disperso. In esso si fa parola la prima volta di due figli di Manfredi, essendo stato omesso il terzo per sbaglio, carcerati in Castel del Monte, insieme con altri prigionieri, cioè Enrico e Federico, figli del fu Manfredi, principe di Taranto, Iacobino figlio del fu conte Bartolomeo, e Roberto di Carciniaco (16). Sotto il governo di Carlo II si comincia a far menzione di essi la prima volta nel 1291 o 1292, come si rileva dal sunto d’un documento, tratto dal Repertorio di [Sigismondo] Sicola, assegnandosi loro tre tarì al giorno per il vitto (17). In un altro rescritto del medesimo Sovrano, del 13 giugno 1294, datato da Barletta, si ordina, che si dia a ciascuno dei figliuoli di Manfredi, prigioni di Santa Maria del Monte, un tarì d’oro al giorno pel vitto, ingiungendo ai segretari di Puglia di soddisfare senza più a questo pagamento; e due oncie e mezzo di oro del peso generale per i vestimenti (18). Nonostante però tale ordine, i segretari di Puglia avevano negato di soddisfare ai figli di Manfredi ed al conte di Caserta, ivi pure incatenato, l’assegno giornaliero, perché con un altro mandato regio erasi loro ingiunto di non soddisfarsi a nessuno qualunque sussidio, o pagamento, se prima non s’inviassero ai regii graffieri (19) mille once d’oro. Per questo quei miseri prigionieri, dal carcere di Castel del Monte, dovettero umilmente supplicare il re a voler ordinare ai segretari, che nonostante quel regio mandato di sospensione, si eseguissero a loro favore i sussidi giornalieri pei loro alimenti e per le loro vesti. Il Re accolse la loro supplica, ed a tale scopo, ai 9 gennaio 1295, da Sant’Erasmo presso Capua, scrisse ad Enrico d’Ervilla segretario, maestro, portolano e procuratore della Puglia, perché si desse a quei prigionieri l’assegno stabilito (20).

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Nel 1295 parve per poco che l’avversa sorte di quegli sventurati volesse finalmente mutarsi. Ai 18 giugno, il re, trovandosi in Anagni con papa Bonifacio, spedì a Carlo Martello, re d’Ungheria e suo vicario generale nel reame, un mandato del seguente tenore: «Da ragione certa siamo al presente sospinti a liberare dalle carceri Enrico, Federico, ed Enzio, figli del fu Manfredi, già principe di Taranto, i quali nel nostro Castello di Santa Maria del Monte sono imprigionati. Però vogliamo e ti comandiamo che Enrico ed i fratelli facendo subito liberare da quelle carceri, sotto fedele e sicura scorta, devi inviare a noi. Abbiamo poi con un altro mandato ingiunto a Stormito di Guagnovilla, castellano milite di detto Castello, di consegnare quei prigionieri ad un nostro nuncio colà diretto» (21). Infatti nel medesimo giorno spediva al suddetto castellano un altro mandato scritto in questi termini: «Vogliamo e ti comandiamo che a richiesta del nostro carissimo primogenito Carlo, re d’Ungheria, principe di Salerno e dell’onore di Monte Sant’Angelo, e vicario generale del regno di Sicilia, consegni senza alcuna difficoltà al nuncio, che egli ti manderà con la presente lettera i figli del fu Manfredi, Enrico, Federico, ed Enzio, i quali da detto nuncio condotti con sicurezza presso il principe, saranno da costui liberati nel modo, che gli abbiamo ingiunto. Della consegna di detti prigionieri farai per tua cautela una competente scrittura» (22). Sventuratamente però da nessun documento appare che tale ordine abbia avuto esecuzione; anzi da due mandati, del 26 aprile e del 1° giugno 1297, si rileva che gli infelicissimi figli di Manfredi erano ancora prigionieri e con le catene ai piedi, nel carcere di Castel del Monte! (23). Roberto infatti, duca di Calabria, e vicario generale nel reame, avendo dovuto manifestare a re Carlo II, che allora era in Roma, gli ardenti desiderii di Costanza, regina di Sicilia, perché si usasse maggiore mitezza verso dei poveri figli di Manfredi, e suoi fratelli; il 26 aprile 1267, indirizzò al castellano di Santa Maria del Monte il seguente mandato: «È nostra volontà, e ti comandiamo, che Errico, Federico, ed Azzolino, i quali in codeste carceri sono tenuti stretti in catene, immantinente dai ceppi sieno sciolti, e trattati onorevolmente come si conviene. E siccome dicesi che uno di essi travasi infermo, fa che alcuno venga a visitarlo ed a curarlo. Permetterai pure a frate Matteo da Matera dell’Ordine dei Minori di potere senza Impedimento alcuno entrare nel loro carcere (24). Non pertanto non trascurerai per essi ogni più diligente custodia (25).

Allora quando Federico II scacciava dai chiostri i figli di Francesco d’Assisi, ed a quanti frati cogliea faceva in capo una croce col ferro rovente, ed alcuni bruciava, ed altri annegava, dopo di averli fatti trascinare a coda di cavalli; altri mandava in esilio, ed altri affogava nelle acque (26); poteva egli pensare mai che un povero frate doveva essere l’angelo consolatore dei suoi infelici nepoti, incatenati in Castel del Monte? Giudizii imperscrutabili di Dio!

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Colla data del 12 e 14 dicembre 1297 leggonsi altri due rescritti del duca Roberto, spediti da Napoli, e riguardanti miseranda condizione, in cui i figli di Manfredi si trovavano nel Castello di Santa Maria del Monte. Dopo di avere Roberto trascritto il mandato del 1294 del re suo padre, rivolge altissime lagnanze al segretario ed al maestro portolano e procuratore di Puglia per aver conosciuto che quel mandato per le tante difficoltà, che si mettevano innanzi, non era stato affatto eseguito; mentre fino allora non erasi corrisposto ai figli di Manfredi né il tarì al giorno pel vitto, né somma alcuna pei vestimenti. Per questo ordina, che l’assegno, nel modo stabilito dal re suo padre, venga subito soddisfatto cosi pel passato, come per l’avvenire (27). Il secondo mandato è dell’istesso tenore (28). Ma pare che neppure queste forti e pressanti ingiunzioni del vicario del re abbiano avuto il loro effetto. Poiché lo stesso duca Roberto, ai 6 di maggio del 1298, indirizza ad Enrico di Ervilla, segretario dl Puglia quest’ordine: «È cosa indecorosa per l’onore regio di far perire per mancanza di alimenti, che da te per ordine della Curia devono ricevere i figliuoli di Manfredi, ed il conte di Caserta, imprigionati in Castel del Monte, bastando che siano macerati dalla lunga prigionia. Pertanto ordiniamo e severamente comandiamo che si dieno subito gli alimenti loro assegnati, secondo gli ordini sovrani (29).

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In data del 25 giugno 1299 trovansi altri due mandati del principe, sottoscritti da Pietro de Ferrariis.

Col primo egli dà a Giovanni Picicco, castellano milite del Castello di Santa Maria del Monte il seguente ordine: «Vogliamo e col tenore delle presenti espressamente ti comandiamo che, dietro richiesta del milite Guglielmo di Ponziaco, maestro razionale della nostra Magna Curia, nostro diletto tesoriere, e familiare e fedele, a cui andiamo a scrivere, Enrico, Federico ed Azzolino, figli del fu Manfredi già principe di Taranto, i quali nel detto nostro Castello sono carcerati, subito senza perder tempo, senza alcun ostacolo o difficoltà, liberi da esso carcere, e così liberi li consegni al sopraddetto Guglielmo, perché li meni a noi, secondo che a lui per mezzo di nostre speciali lettere è stato comandato, non ostante alcuna cosa a questa contraria» (30).

Col secondo rescritto, nel medesimo giorno, diretto al cavaliere Guglielmo di Ponciac, il principe dice: «Con altro rescritto abbiamo comandato al cavaliere Giovanni Picicco, nostro castellano a Santa Maria del Monte, di liberare senz’altro, dietro tua requisizione, i figli di Manfredi, fu principe di Taranto, incarcerati nel detto castello, e di liberamente consegnarli a te. Epperò ti ordiniamo, al ricevere della presente, di richiedere a quel castellano di rilasciare i prigionieri. A ciascun di essi farai fare un vestito conveniente, e poi sotto la scorta d’un milite, o di altra persona adatta, li manderai a noi, dopo averli forniti di cavalli su dei quali verranno cavalcando, condotti però per la briglia, e provvisti del denaro necessario, perché giungano sino a noi, qui in Napoli» (31).

Se questi rescritti sieno stati trasmessi al castellano ed al Poncy, non si sa; è certo però che un mese dopo, trovansi altri rescritti, spediti dall’Angioino. Con uno di essi del 25 luglio, dato da Napoli, re Carlo scrive al milite Giovanni Picicco, castellano di Santa Maria del Monte: «Ecco che ti mandiamo il fedele e diletto nostro milite Giovanni Di Nonno di Napoli, il quale ti esibirà le presenti lettere per ricevere da te i figli del fu principe Manfredi, che sono rinchiusi nel nostro carcere, e menarli prigionieri alla nostra presenza. Vogliamo ancora ed ordiniamo che, appena ricevute le presenti lettere, dietro sua richiesta, consegni all’istesso Giovanni i predetti prigionieri, perché a noi li conduca» (32).

Inoltre il 30 luglio faceva noto a tutti i suoi fedeli del regno di Sicilia come: «Egli inviava Giovanni di Nonno Napoletano a Castel del Monte per ricevere da quel castellano i figli del fu principe Manfredi colà imprigionati, e condurli prigionieri alla sua presenza. Però ordinava loro che per la diurna e notturna custodia di quei prigionieri, prestassero al Di Nonno aiuto, consiglio e favore» (33).

Finalmente nell’istesso giorno dirige un altro suo mandato del medesimo tenore al milite Guglielmo di Poncy, ad Andrea d’Isernia professore di dritto civile, ed ai suoi fedeli consiglieri e maestri razionali della sua Magna Curia, per le spese del viaggio: «Mandando noi, egli dice, di persona Giovanni Di Nonno di Napoli, fedele nostro milite, al Castellano di Santa Maria del Monte, per portare a noi di là i figli del fu Manfredi principe di Taranto, prigionieri; vogliamo ed ordiniamo che per gli animali, e le cose necessarie al viaggio degli stessi carcerati, e per qualche somaro, che debba trasportare i loro arnesi, se ne hanno da cercare e da portare; subito si assegni da voi al detto milite l’occorrente somma di qualsivoglia danaro fiscale, ed in mancanza si cerchi ovunque, in modo che in ciò non vi sia difetto alcuno» (34).

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Gli sventurati figli di Manfredi, cresciuti fin dalla fanciullezza tra le catene; nell’uscire dalla prigione di Castel del Monte, avranno senza dubbio sperato di riacquistare finalmente quella libertà per tanti anni sospirata invano. Ma gli infelici, giunti in Napoli, invece della libertà trovarono novello carcere e novelle catene! Re Carlo verso la fine del 1299, o al principio del 1300, li fece inumanamente rinchiudere nella famosa rocca del Castel dell’Uovo, consegnandoli al castellano Goffredo de Rumiliaco, sotto l’immediata custodia di Pagano de Vitro! (35). Il lungo viaggio a cavallo da Castel del Monte a Napoli, ed il noioso tramutamento di carcere, dopo trentaquattro anni di scarsissimo cibo, di catene, e di dura prigionia; non è a dire quanto sian riusciti funesti ai poveri figli di Manfredi; tanto che l’ultimogenito Enzio miseramente, dopo pochi mesi, mori in quel carcere! (36). A Federico però riuscì felicemente evadere dalla prigione. Infatti Eduardo re d’Inghilterra, ai 17 luglio 1308, scrivendo a papa Clemente, che allora trovavasi a Poitiers, interessava la pietà del pontefice in favore di questo sventurato, il quale dopo di essere andato accattando per le corti d’Europa (37), finalmente moriva in Egitto! (38).

Solo rimase in prigione il primogenito Errico, al quale, diventato cieco, furono assegnate dal re Roberto, per gli alimenti, annue oncie sei, ossia grana dieci al giorno! (39). Poveretto; nato il 30 aprile 1262 nella sontuosa reggia del Castel dell’Uovo; il 31 ottobre 1318, dopo cinquantadue anni di carcere duro, cessava di vivere nell’orrida prigione del medesimo castello (40). Coincidenza dolorosissima!

Fu questo il troppo crudele e lagrimevole destino degli sventurati figliuoli di re Manfredi!!!

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Il Forges-Davanzati, nella sua Dissertazione intorno alla seconda moglie di re Manfredi, pensa che Azzolino e Federico morissero nel carcere del Castel del Monte, e che di là fossero portati a seppellire nella chiesa di San Sabino in Canosa; infatti in un inventario di quella chiesa, formato nel 1511 dal prevosto D. Gianfrancesco Orsini, stava scritto essere tradizione che ivi fossero sepolti i figliuoli di Manfredi (41). Questa opinione accolta dal De Cesare, dal Buchon, dal Saint Priest, o da altri sembra improbabile. Primo perché l’abate Damadeno nel suo opuscolo: Aes redivivum Canusinum, fa credere che la tradizione di quel sarcofago riguardasse la tomba di re Manfredi, non quella dei figli (42); la quale tradizione è falsa, perché Manfredi fu sepolto sulla riva del fiume Verde, sotto un cumulo di pietre in capo del ponte di Benevento, e non già in Canosa (43). Secondi, se i figli di Manfredi, Enzio ed Enrico e· non già Federico, come dice il Davanzati, morirono in Napoli nel carcere del Castello dell’Uovo; come mai potevano avere un sepolcro nella chiesa di San Sabino in Canosa? Ed anche ad ammettersi che fossero morti in Castel del Monte, perché seppellirli a Canosa e non piuttosto in Andria, città più vicina al castello; città in cui erano le tombe di due regine sveve? Pertanto a non volere del tutto disprezzare una tale tradizione, e ritenerla come erronea, è necessario dire con l’egregio ed erudito Giuseppe Del Giudice che: «Se Carlo I d’Angiò volle far credere universalmente estinta la prole maschile di Manfredi, si potrebbe congetturare che a confermare sempre più questa fama, avesse voluto fingere che i cadaveri di quei fanciulli fossero stati trasportati nella chiesa di Canosa, facendo costruire un avello, ed ivi riporre degli scheletri. A quei tempi di difficili comunicazioni tutto è credibile (44)». Intanto è da ritenere che non la chiesa di San Sabino in Canosa, ma quella del Castello dell’Uovo accogliesse le ceneri illagrimate degli infelici figliuoli di re Manfredi!

[Tratto da: Emanuele Merra, "Castel del Monte - presso Andria", 3ª edizione, Scuola Tip. Istituto Apicella per Sordomuti, Molfetta, 1964, pp. 54-69.]


NOTE - (Nell'originale la numerazione è di pagina e non progressiva dell'intero capitolo)

(1) «Repertum est Manfredi corpus perfossum vulneribus, quod ecclesiasticæ sepulturæ honore caruit, cum anathemate devinctus periisset». Raynald, Ann. Eccl., 110. 1266, tom. XIV. Contin. ad Baronium.

(2) «Et pochi dì appresso la moglie di re Manfredi et la suora et fìgliuoli i quali erano in Nocera dei Saraceni di Puglia (Lucera) furono renduti presso re Carlo ecc.». Villani, lib. VII, cap. IX.

(3) Re Carlo dall’assedio di Lucera, il 26 luglio 1269, assegnava la pensione di un tarì e mezzo per ogni oncia a Bellangiola moglie di Lupone di Trani, che chiamava suo proditore. Reg. n. 4, fol. 115.

(4) «Uxor autem Manfredi quæ fìlia erat Cumani magni Principis Græcorum, capta fuit dum anxie disponeret, audita morte mariti, cum suis filiis in Graeciam transfretare». Cronic. del monaco di Padova, Muratori e Pertz.

(5) Pare che il castellano, il quale tradì la sventurata Elena, sia stato un certo Gerardo di Marsiglia, morto in quell’istesso anno; laonde re Carlo, il 25 gennaio 1267, da Capua, commetteva la custodia del Castello di Trani a Guglielmo di Villaria clerico, ed a Guglielmo Tourne-Espec milite: «Karolus etc. Universis etc. Cum sicut intelleximus quondam Gerardus de Massilia Castellanus Castri Trani viam sit universe carnis ingressus, nosque magistrum Guillelmum de Vilaria clericum et Guillelmum Tounre-Espec militem dilectos familiares nostros ad predictum Castrum specialiter destinemus f. v. p. t. q. eisdem clerico et militi in hiis que vobis super ipsius Castri et rerum in eo existentium cura ex parte nostra iniunxerint pareatis et efficaciter intendatis. Datum Capue XX Januarii etc. (1267)». Del Giudice, Codice Diplomatico, vol. I, pag. 213, nota l.

(6) «Uxor vero Manfredi cum liberis a Tranensibus infra Castrum tenebatur inclusu, nec evadere poterat manus Regis». Marténe et Durant, Thesaur, anecdot. II, pag. 301.

(7) Vedi Documento XIII.

(8) «Ad mandatum nostrum per licteras Responsales Excellentie nostre sibi directas de mictenda Elena relicta quondam Manfridi Principis a Trano usque ad Lacumpensilem dd presentiam nostram, et pro deferendis arnesiis et rebus suis ostendit solvisse diversis vectuariis deferentibus ipsam cum familia et rebus suis et pro cotidianis expensis eiusdem molieris et familie sue, sicut constat per opodixas ipsorum unc. XXVI tar. XX et grana X et ad mandatum nostrum datum Trani XXIX martii none Indictionis (1266)». Reg. Ang. n. 32, 1278 D, fol. 296 e 297. – Del Giudice, La famiglia di re Manfredi, note illustrative ecc., pag. L.

(9) Don Arrigo Infante di Castiglia, p. 15, nota I. La famiglia di re Manfredi, pag. 185.

(10) «Arrigo, Federico ed Anselmo … vissero lungamente tutti tre in prigione nel Castello di S. Maria del Monte in Terra di Bari presso la città di Andria». Capecelatro, Storia del regno di Napoli, lib. VII, pag. 312.

(11) «Scribitur Rodulpho de fayello militi et commictitur arcis de Nucheria cura et custodia. Datum Capue per manus R. XIII martii. Item scribitur Castellano eiusdem archis quod assignet dicto Rodulpho dictum castrum cum armis et ceteris garnimentis et Helena relicta Manfredi. Datum ut supra. An. 1267, marzo 14, Ind. X, Capua». Reg. 1278 A, fol. 16 a t ., n. 29. — Del Giudice, Cod. Dipl., vol. 1, pag. 296.

(12) Ricob. Ferrariens, in Muratori, IX.

(13) «Rodulfo militi Castellano Castri nostri Salvatoris ad mare provisio pro solutione unc. 34 pro expensis filie quondam Manfredi Principis Tarentini et damicelle sue et filie quondam Comitis Jordanis et damicelle sue et filie quondam Philippi Chinardi». Del Giudice, La famiglia di re Manfredi ecc., pag. 215, nota 2.

(14) Ruggiero si ritirò all'isola di Capri, cd ottenne dal Principe che Beatrice ultima figlia di re Manfredi, che era stata prigione quindici anni, fosse liberata, e se ne ritornò in Sicilia con grandissimo fasto e grand'allegrezza di tutti i siciliani, e presentò alla regina Costanza la sorella libera. Di Costanzo, Storia del Regno di Napoli, lib. II, pag. 64.

(15) Credeansi allora che i figli maschi di Manfredi fossero morti, perché Carlo d'Angiò li tenea in carcere, forse con grandissimo segreto, accreditando la voce della morte, per togliere qualunque speranza ai partigiani di casa Sveva. Amari, Guerra del Vespro.

(16) Vedi Documento XIV.

(17) «Henrico, Federico et Anselmo fìliis quondam principis Manfredi detentis in Castro Sancte Marie de Monte assignantur tarenos tres pro victu qualibet die». Vol. III, n. 9, pag. 99, Grande Arch. di Napoli.

(18) Vedi Documento XV.

(19) Il graffiere era il prefetto della casa del re. Nel 1298 un certo Saducio d'Andria era graffiere di re Carlo II d'Angiò. Reg. 96, f. 183. Nel 1299 il medesimo ebbe dall'Angioino l'incarico di raccogliere la sovvengione generale. Reg. 1299 A, f. 25. Archivio Storico per le Provincie Napoletane, anno XVII, fasc. I.

(20) Vedi Documento XVI.

(21) Vedi Documento XVII.

(22) Vedi Documento XVIII.

(23) «Henrico, Federico et Anselmo filiis, quondam Manfredi principis Tarentini qui in Castro S. Marie de Monte carcerati detinentur, provisio pro expensis eorum. Sub die I junii X Indict. (1297)». Alitto, Ms. vetusta Reg. Neap. Monumenta.

(24) Pare che questo frate doveva essere in allora il cappellano del Castello di S. Maria del Monte, mentre ogni castello aveva la sua chiesa, il suo cappellano ed i suoi chierici come rilevasi dallo Statuto per le castella del regno di Napoli. Reg. Ang. 1269 B, fol. 74 t. n. 4. Del Giudice, Cod. Dipl., vol. l, app. II, p. 81.

(25) Vedi Documento XIX.

(26) «Quosdam comburere non metuit tam patres minores quam alios Domini Sacerdotes tractos prius ad caudas equorum, alios vero relegando, non paucos etiam submergendos». Bréholles, Hist. Dipl. Fed. II.

(27) Vedi Documento XX.

(28) Fasc. Ang. n. 76, fol. 170.

(29) Vedi Documento XXI.

(30) Vedi Documento XXII.

(31) Vedi Documento XXIII.

(32) Vedi Documento XXIV.

(33) Vedi Documento XXV.

(34) Vedi Documento XXVI.

(35) «Manfredi fìlii commictuntur custodiæ Castellani Castri Ovi». Sicula, Reper, dei Reg. Ang., Reg. 1299-1300 D, 13 Ind., vol. III, n. 9, fol. 157. «Fuit soluta quantitas pecunie Pagano De Vitro deputato ad custodiam Filiorum trium quondam Principis Manfredi captivorum in Castro Ovi Neapolis pro expensis eorum in anno XIII Indictionis». De Lellis, Fase. Ang., n. 57, il 2. fol. 67 ora disperso. Minieri-Riccio, Fasc. Ang., fol. 33.

(36) In un documento di Carlo II del 10 ottobre 1301, si fa menzione d’un solo fglio di Manfredi; dunque degli altri due uno era morto in Castel dell'Uovo e l’altro era evaso. «Eodem die octavo octobris XV Ind. pro indumentis Filii Princ. Manfredi uncias quatuor, tarenos viginti quatuor». Reg. n. 119, 1300-1301 A, fol. 186. — Del Giudice, La famiglia ecc., pag. 306.

(37) Vedi Documento XXVII.

(38) «Fridericus qui per fugæ subsidium carcerem Caroli regis evaserat in Egypto, Henricus quidam in eodem carcere non relictis liberis obierunt». Speciale, Hist. Sic.

(39) «Auctoritate unius mandati ducalis predictis Thesaurariis directi sub data Neapoli die XVI. Julii VII. Ind. (1309) seriose notati in rationihus ipsius mensis Julii de solvendis Dño Goffrido de Rumiliaco Castellano Castri Ovi de Neapoli nomine et pro parte Henrici fìlii quondam Principis Manfredi detenti captivi in eodem Castro annuis unciis sex provsis per Dominum Regem eidem Henrico pro vita et substentacione sua usque ad eiusdem Domini Regis beneplacitum et mandatum». Reg. Ang. n. 196, 1310 D, fol. 97 t. — Del Giudice, La famiglia etc., pag. 315.

(40) Vedi Documento XXVIII.

(41) «In lo lato sinistro vi è un luogo vacuo cum uno sepulcro antiquo obturato da duo grandi lapidi formato senza nessuna inscriptione: ne lo quale sepulchro se dize che siano sepulti li figliuoli de lo re Manfredi». Forges·Davanzati, Dis. sulla seconda moglie di re Manfredi, pag. 69.

(42) «Ecclesia ... duplici regali tumba, ut rumor est, exornatur ... Una Manfredi Regis arca, opere erecta magnifico varioque ditata marmore in aerem elevatur. Altera alterius Regis (ut creditur), in eodem loco priori contigua, sed inferiori parumper ornatu insignita. consistit». Tortora, Relat. Status S. Primat. Eccl. Canusiæ, pag. 9.

(43) Il Damasceno qui confonde, come dice il medesimo Tortora, la tomba di Boemondo sepolto in Canosa, con quella di Manfredi, che non ebbe sepoltura ecclesiastica. «Boamundus, non Manfredus fuit sepultus Canusii, immo iste caret Ecclesiastica sepultura», p. 9 (a). Laonde Manfredi, a Dante che in Purgatorio lo trovava, diceva dolente:
Se il pastor di Cosenza che alla caccia
    Di me fu messo per Clemente allora,
    Avesse in Dio ben letta questa faccia;
L’ossa del corpo mio sarieno ancora
   In co’ del ponte presso a Benevento,
   Sotto la guardia della grave mora.
Or le bagna la pioggia e muove il vento
   Di fuor del regno, quasi lungo il Verde,
   Ove le trasmutò a lume spento.
Purgatorio, Canto III.

(44) La famiglia di re Manfredi, pag. 308, nota l.