La Porta Santa

Contenuto

Andria

Escursione nella città dall’anno Mille al Milleseicento


La Porta Santa

Ing. Riccardo Ruotolo


Trattando della Chiesa di Santa Maria di Porta Santa (Figura -10-) gli storici andriesi asseriscono che sull’esistenza della Porta Santa dobbiamo prestare fede alla tradizione, cioè è la tradizione che ci narra dell’esistenza di questa Porta, tradizione legata alla leggenda che vuole e racconta che San Riccardo, nominato Vescovo dal Pontefice Gelasio Primo (come narra il D’Urso nella sua “Storia di Andria”), venne in Andria nell’anno 492 e: pose piede in città, entrando per quella porta, la quale era stata onorata dal Principe degli Apostoli. Il D’Urso amplia la leggenda e fa venire in Andria anche il Principe degli Apostoli, cioè San Pietro, e dice che entrò da quella stessa Porta, per cui la santità di quel luogo si rafforza.


Fig. -10- Rilievo planimetrico della Chiesa di S. Maria di Porta Santa.

Ormai è stato documentato che la venuta di San Riccardo in Andria, giusta ultima ricerca fatta dallo storico dott. Antonio Di Gioia, avvenne nel XII secolo, al tempo del Pontefice Adriano IV; c’è un documento che lo vuole in Terra Santa in quel secolo e che, dopo il suo ritorno in Italia, venne ad Andria.

L’Ughelli (33), nella sua storia dei Vescovi e Diocesi, riferisce che Richardus, vescovo inglese, certamente visse negli anni 1179-1196, ma non è poi tanto sicuro che quel Riccardo vissuto in quel tempo fosse proprio il Vescovo Riccardo di Andria perché in quel periodo diversi erano i Vescovi di nome Richardus. La leggenda, invece, vuole San Riccardo contemporaneo di San Sabino (che è del V secolo) patrono di Canosa di Puglia e San Ruggero patrono di Barletta.

Se San Riccardo è del XII secolo e venne in Andria dopo essere stato in Terra Santa ed essere sbarcato a Brindisi, come mai entrò in città da una Porta diametralmente opposta a quella detta del Castello che invece si trovava proprio difronte al mare adriatico, vicinissima alla strada litoranea proveniente da Brindisi e che passava per Trani e Barletta? Per giustificare l’aggettivo Santa ad una Porta, si fa giungere San Riccardo dalla via Traiana che, provenendo da Brindisi, già prima di Bari si porta nell’interno del nostro territorio passando per Ruvo, Corato e a circa quattro chilometri a Sud di Andria. Ma nel secolo XII la via Traiana era ormai un rudere di strada perché i paesi interni erano piccoli e poveri e non c’era per essi un gran traffico né di merci né di passeggeri, mentre, i paesi della costa adriatica, per via dei porti di Siponto, Barletta, Trani, Bari, Brindisi ed Otranto erano attivi nel commercio e avevano la strada litoranea in buone condizioni.

La risposta al quesito del perché San Riccardo sia entrato in Andria dalla cosiddetta Porta Santa, è da ricercare nell’altra leggenda che vuole che da questa Porta sia entrato nella nostra città San Pietro nel primo secolo; qualcuno afferma anche che il Principe degli Apostoli venne in Andria insieme a Sant’Andrea, e si giustifica questo loro ingresso alla città da quella Porta detta Santa perché essa trovasi difronte alla via Traiana che corre poco all’interno. In questo modo, la presenza della via Consolare Traiana, dà una giustificazione a tutto, però si entra nella favola: com’è possibile che nel primo secolo Andria esistesse come città, fosse cinta di Mura ed avesse delle Porte? Inoltre, gli storici dell’Ottocento affermavano che il luogo dove c’era la Porta Santa era difronte al tracciato della via Traiana, che però, nel primo secolo non esisteva perché questa fu sistemata ed in parte realizzata dall’Imperatore Traiano nel secondo secolo d.C., intorno all’anno 109; esisteva invece il vecchio tracciato della via Minucia, quella percorsa dal poeta latino Orazio quando fece il suo viaggio da Roma a Brindisi, ma nel nostro territorio non è mai stato individuato il suo tracciato.

La grande anomalia di questa leggenda sta nel fatto che nel primo secolo Andria forse non esisteva neppure come Villaggio di una certa importanza, tanto meno come città murata.

Non si tratta di demolire le leggende e le tradizioni fortemente radicate nell’animo del popolo andriese, ma è solo un voler fare distinzione tra leggenda, tradizione e storia; e se per quest’ultima non si riescono a trovare documenti incontrovertibili, non credo sia corretto ritenere storia una tradizione o una leggenda.

Anche il Fellecchia nella seconda metà del Seicento parlando della venuta di S. Pietro in Andria, fa riferimento nell’ottava strofa del sesto canto alla Porta attraverso cui il Santo fece il suo ingresso in città:

Quella Porta bensì, per dove entrasse
Pietro, ove pria le sue sant’orme impresse,
Fu convertita in Chiesa, ed oggi vanta
Titol ben degno ancor di Porta Santa.

È evidente che il Fellecchia sposa in pieno la tradizione popolare che vuole che, dove ora sorge la Chiesa di Porta Santa, prima c’era una porta di ingresso alla città, chiamata Santa perché da lì entrò in Andria S. Pietro. La Porta Santa, quindi, per Fellecchia era una delle prime porte di Andria la cui esistenza, pertanto, sempre secondo il Fellecchia, deve farsi risalire al tempo di Cristo.

Tutto ciò è comprensibile in un componimento poetico del Seicento, però, lo stesso medico poeta si riscatta quando afferma che San Riccardo venne dal mare Adriatico ed entro nella città dalla Porta detta del Castello, e questo è molto plausibile.

Pertanto, a mio avviso, è molto probabile che la Porta Santa non sia mai esistita se non nell’immaginario collettivo, alimentato dalla fede religiosa che può fare miracoli, né i toponimi del luogo possono essere assunti come storia vera perché anch’essi fanno capo alla leggenda dell’ingresso in città da quel punto di S. Pietro, Sant’Andrea e San Riccardo: fino a quando si è nel campo della tradizione, questo ricordo può essere accettato, non certo quando si entra nella storia che, per essere tale, deve poter essere accertata da documenti.

Per il D’Urso e per tutti gli altri storici andriesi, compreso Vincenzo Zito e Antonio Di Gioia, la Chiesa della Porta Santa fu costruita sul luogo dove sorgeva la Porta e, come afferma V. Zito, fu costruita in due tempi, prima quella anteriore e poi quella posteriore.

Ritengo però che i fatti stiano diversamente e che si possa affermare che in quel luogo non sia mai esistita una Porta ma solo una piccola Chiesa, molto antica, che in epoca normanna fu inglobata nelle mura e che successivamente, nel XVI secolo, fu ingrandita sia posteriormente che anteriormente, assumendo la forma attuale.

Una indagine circa la vetustà della Chiesa di Porta Santa, o meglio, della Chiesa più antica che in quel luogo doveva esistere, è contenuta in un manoscritto dell’Ottocento intitolato “Atti della causa del Patronato della Chiesa di Santa Maria di Porta Santa sostenuta in possessorio ed in petitorio nella Reverenda Curia Vescovile di Andria e nella Consulta del Regno dall’Arciconfraternita de’ Bianchi sotto il titolo del SS. Nome di Gesù contro il Priore di San Riccardo, ed il Comune di Andria”, vol. 1° - n° d’ordine 10 – Andria 1857 (Figura -11-).


Fig. -11- Copertina e frontespizio del manoscritto dell’Arciconfraternita dei Bianchi.

Questo documento, che è nella mia disponibilità, di cui Sabino di Tommaso di Andriarte ha curato la traslitterazione, e che ho donato alla Biblioteca Diocesana S. Tommaso D’Aquino, è composto da 130 pagine manoscritte, tra testo e documenti allegati. Al capitolo secondo, intitolato “Cenno storico”, si parla del desiderio dell’Arciconfraternita de’ Bianchi sotto il titolo di Santa Maria di Porta Santa e del Santissimo Nome di Gesù, avente sede nella Chiesa di Santa Maria di Porta Santa, di restaurare l’altare maggiore della Chiesa, anzi di demolirlo perché fatiscente e realizzarne uno nuovo per farlo più adatto al culto divino.

I confratelli, ottenuta l’approvazione della spesa da parte del Consiglio Generale degli Ospizi della Provincia, mossi da santo zelo volentierosi offerirono la propria moneta.

Afferma l’estensore del testo: Era l’altare collocato in mezzo alle due colonne di pietra, che quivi tutt’ora si veggono; … . Fattane la demolizione si scorse che il muro dietro posto non era di pietra siccome tutto il sacro edificio, ma di tufi neppure ben connessi tra loro, d’onde si rinnovellò nella mente degli astanti Confratelli la vetusta tradizione, che di sotto si nascondessero davvero memorie antiche. Fu consiglio di ciascuno che si rimuovesse quella parete, e si esplorasse là fin dove ne giungesse. E dopo un doppio ordine di tufi, si discovrì l’arco di pietra che or vedesi sull’altare maggiore, somigliante all’arco dei due altarini.

Il fondo dell’arco, o sia la parete che lo chiude, offriva vari dipinti ad acquerella, di spregevole pennello, rappresentanti varie sacre effigie, siccome qui appresso è detto.

Alla sommità eravi l’Eterno Padre cinto di aureola triangolare, dorata a secco, … . Seguiva di sotto una schiera di serafini, la quale pareva che sovrastasse a foggia di corona ad altro sacro dipinto; ma quivi invece la parete era scontinuata, e per sorregerla eravi a puntello un muro di tufi a secco; e rimossi alquanti di questi, si vide uno sfondato scavato a forza nella pienezza della parete del Tempio, il quale aveva l’altezza di palmi sei, la larghezza di quattro, e la profondità di circa tre palmi (34).

Ai lati del sovradetto sfondato eranvi due altre sacre immagini, una rappresentante San Pietro, post’a destra, e l’altra San Riccardo a sinistra; le quali perché di forme colossali ed intere giungevano con i loro piedi sino al pavimento della Chiesa. Quello era vestito di abiti da Apostolo; questo di piviale con mitra e pastorale, tenente le prime tre dita della mano destra in estensione, e le altre due flesse, e sulla mano sinistra la Città, e per il resto offrivasi nella stessa guisa come tutt’ora si rappresenta quella santa immagine nei dipinti e nelle litografie.

Su i muri dell’arco, una per ciascun lato, a livello delle due immagini testé menzionate, eranvi altre due effigie, che rappresentavano due Sante Vergini.

Alla vista degli esposti dipinti e dello sfondato di mezzo allo schiuso arco, per tutta la Città corse forte il grido che nella Chiesa di Porta Santa i Confratelli con maturo disegno avessero diseppelliti antichi monumenti; che i dipinti fossero a fresco e di egregio pennello, che avessero trovato antiche lapidi ed oggetti di gran pregio e valore. La gente vi accorreva in folla spinta da santa curiosità di ammirare quanto si fosse discoperto, e soprattutto dal cristiano zelo di riverire le antiche immagini del Principe degli Apostoli e del Glorioso Protettore, cui in quell’avventurato Tempio si ligavano tante felici memorie della primitiva fede dei nostri progenitori, con che ribadivano il gentilesimo.

Si affrettò pure il Municipio a visitare il Sacro Tempio, più con il pensiero di esercitarvi giurisdizione, per l’idea di un preteso diritto di patronato che opinava vantare sulla nostra Chiesa, e per prendere contezza de’ monumenti che dicevansi rinvenuti, ed assicurarli, o invigilarvene come autorità pubblica, che per altro migliore e pio intendimento; perocché il secondo Eletto D. Vincenzo D’Urso si ebbe dai Confratelli risposte convenienti e dignitose.

Ma questi fermo nel proposito di volere far valere in fatto ciò che era un desiderio del Municipio, o meglio di alquanti suoi uffiziali per rivalità piuttosto di altra corporazione laicale, richiese le pretese lapidi; e siccome sospettavasi che esse riguardassero diritti comunali, e segnatamente il vagheggiato patronato sulla nostra Chiesa, capì dicevasi, che a bello studio si fossero esse nascoste dai confratelli. Si rispondeva precisamente che nulla si fosse ritrovato. E ritenendo ciò quell’Uffiziale comunale per formale ripulsa alla sua autorità delegò a deputati due Decurioni, che furono Don Giuseppe Ceci, nostro con- fratello, e Don Nicola Fasoli, affinché vegliassero su gli ulteriori lavori che si eseguissero nella Chiesa. Ciò dispiacque ai Confratelli, i quali vedendo che con la demolizione di tutto il muro che serviva di chiusura all’arco sopra esposto, sotto l’enunciato sfondato, davasi adito dall’esterno nell’interno della Chiesa, per un vuoto giacente sotto la così detta scarpa degli antichi muraglioni della Città, che rivestiva inferiormente il muro esterno del Tempio, guardante mezzogiorno, d’onde potevasi dare agio a furti, reputarono savio consiglio di sospendere i lavori; e per impedire ancora che più vi affollasse popolo chiusero la Chiesa.

Il racconto del rinvenimento dei dipinti finisce in questo punto, mentre il manoscritto continua narrando la controversia che si accese tra la Confraternita ed il Priore di San Riccardo della Cattedrale riguardo i diritti di Patronato da questi vantato. La relazione è datata: Gennaro (gennaio) 1858, ed è a firma di Francesco Senisi Priore.

Anche se nel 1858 era già in uso il sistema metrico decimale, in Italia meridionale si usava ancora come unità di misura il palmo napoletano che, come detto nella nota (34), era pari a circa 26,45 centimetri.

Il Priore di San Riccardo della Chiesa Cattedrale sosteneva che la Chiesa di Porta Santa era stata sempre dell’Università, e non mai della Congrega del Gesù, per titoli materiali esistenti, che essa Chiesa è fregiata de’ leoni rampanti la quercia nelle basi de’ pilastri, che ornano la porta di entrata, e similmente altri due stemmi Comunali stanno nel secondo cupolone a destra, ed a sinistra, ove sta l’epigrafe Ius Patronatus Universitatis Civitatis Andriæ, A.D.1573. (Figure-12-13-14-15-16-17-).


Fig. -12- Portale di accesso alla Chiesa di Porta Santa, con gli stemmi della città sulle basi dei pilastri d’ingresso.


Fig. -13- Scalinata di accesso alla Chiesa di Porta Santa.


Fig. -14- Gli stemmi della città di Andria scolpiti alla base dei pilastri del portale d’ingresso.


Fig. -15- Incisione di Victor Baltard del 1836 secondo il quale le due immagini scolpite
al centro dei pilastri del portale d’ingresso raffigurano Federico II e suo figlio Manfredi.

     
Fig. -16 e 17- Stemmi della città di Andria infissi in alto sulle pareti laterali
nell’interno della Chiesa di S. Maria di Porta Santa.

Il manoscritto così continua: Il Priore di San Riccardo della Chiesa Cattedrale si atteneva a quanto riportato nella «Bolla di fondazione di Mons. D. Antonio Lupicino Andriese, Vescovo di Bisceglie, e Vicario Generale dell’Eminentissimo Cardinale D. Nicola Flisco”», in data degli 8 marzo 1512, di cui l’originale esiste nel fascicolo, come sopra, con l’epigrafe, «Andria 1739 Acta Prioratus S. Richardi cum altero eidem adnesco Sanctæ Mariæ de Porta Sancta». Di detta Bolla furono estratte diverse copie legali li 12 aprile 1847 pel Cancelliere D. Michele Leone, delle quali una esiste in Roma, un’altra nel processo del mio Priorato, ed un’altra è presso di me. Fra le altre espressioni si leggono le seguenti a soste-gno dell’antecedente proposizione, che avendo il Comune canonicamente dotata, edificata, e fondata detta Chiesa; Acquisivit Jus Patronatus … … et præsentare Priorem ad illam jam constructam.

Pertanto, stando alle dichiarazioni del Priore di San Riccardo, la Chiesa di Porta Santa fu canonicamente dotata, edificata, e fondata dall’Università, cioè dal Comune di Andria, e l’epoca della costruzione era da porre tra il Quattrocento e l’inizio del Cinquecento. Questo è credibile considerato lo stile archi- tettonico della Chiesa, soprattutto della facciata d’ingresso.

In quel sito, però, esisteva una più vecchia Chiesa la cui struttura in parte fu inglobata nella parte posteriore della nuova grande Chiesa.

Il manoscritto fornisce un resoconto che permette di chiarire alcuni concetti, primo fra tutti, quello della posizione della scarpata delle antiche mura della città che in quel luogo si trovava proprio dietro al muro esterno della Chiesetta, infatti, il documento riferisce che, gli antichi muraglioni della Città, rivestivano inferiormente il muro esterno del Tempio, guardante mezzogiorno.

La Chiesa antica era, quindi, addossata alle mura della città e quando la stessa fu ampliata, la nuova costruzione fu realizzata sul suo davanti, inglobandola; pertanto, la parte più antica dell’attuale chiesa è quella posteriore e l’attuale Chiesa, realizzata nel Quattrocento/Cinquecento, aveva conservato l’antico muro esterno della primitiva Chiesetta che era addossato alle mura della città.

A questo punto si può senz’altro ipotizzare con buona certezza che il circuito murario primitivo della città passasse subito a ridosso della Chiesetta in modo che la stessa fosse chiusa verso l’esterno ed accessibile solo dalla città; inoltre, è ipotizzabile che la nascita della leggenda popolare che vuole che l’Apostolo San Pietro e il Vescovo protettore della città San Riccardo fossero entrati in città da quel punto è dovuta proprio alla presenza dei dipinti dei due Santi sulla parete di fondo dell’antica Chiesetta.

Questa tradizione popolare per essere credibile aveva necessità di ipotizzare la presenza di una Porta di accesso alla città in quel punto e, poiché si trattava di due Santi, tale accesso non poteva che essere chiamato Porta Santa. Però le leggende, per la loro credibilità hanno bisogno che non ci siano elementi in contrasto tra loro, ad esempio: come sarebbero potuti entrare in città i due Santi tramite una Porta aperta nelle mura se in quel punto c’era una Chiesetta? Ricordiamo che San Pietro è del primo secolo e San Riccardo fino a tutto l’Ottocento era, per la tradizione popolare ed anche per gli storici, un Vescovo inglese venuto in Andria nel quinto secolo; pertanto, per la leggenda era più plausibile ipotizzare in quel punto la presenza di una Porta e, quindi, di un circuito murario già esistente nel primo millennio; la stessa Porta poi, con i normanni, fu abbattuta per costruire nello stesso punto una Chiesetta sulla cui muratura di fondo furono dipinte le immagini dei due Santi.

In questo modo la leggenda, o favola popolare che dir si voglia, diventa credibile per il popolo, ed essa si completa affermando che a poca distanza, in direzione della campagna, passava un’antica strada romana che collegava i porti del Sud della Puglia con Roma, quindi San Pietro che veniva dall’Oriente e San Riccardo che si pensava venisse da Roma, dove era stato consacrato Vescovo dal Papa Gelasio I, tramite questa strada erano giunti in Andria. Infine, la circostanza che di tale Porta non ci fosse traccia, era dovuta al fatto che fu abbattuta per erigervi in quel punto una Chiesa. E come poteva il tutto essere racchiuso in un solo concetto? Al popolo non è mai mancata la fantasia: la Chiesa fu chiamata Santa Maria di Porta Santa e i due Santi, a dimostrazione che erano entrati in Andria da quel punto, erano stati dipinti proprio dietro l’altare, sul muro di confine con le mura della città.

Quando fu realizzata la primitiva antica Chiesa e perché sulla parete di fondo ci fossero i dipinti di San Pietro e San Riccardo, è ancora tutto da chiarire, scoprire e documentare. Se i dipinti scoperti nell’Ottocento non furono distrutti ma nuovamente ricoperti o da intonaco o da nuova muratura, sarà ancora possibile riscoprirli e ricercare, a mezzo di una loro attenta analisi effettuata da esperti, l’epoca in cui furono realizzati.

A questo punto dell’indagine sull’esistenza o meno della Porta Santa, è lecito porsi questa domanda: il ricordo di un passaggio di due Santi, quali San Pietro e San Riccardo, è più rappresentato da una Porta attraverso la quale sarebbero entrati nella città di Andria o è più rappresentato da una Chiesetta per costruire la quale si abbatte la Porta?

È certamente la Porta il segno più eloquente per un passaggio, e se da quel passaggio fossero entrati veramente i due Santi come il popolo credeva, la Porta assumerebbe un altissimo significato simbolico. Ed allora, quale logica giustifica l’abbattimento del simbolo dell’ingresso per costruire al suo posto una Chiesetta? Perché invece non costruirla accanto alla Porta lasciando intatto il simbolo per eccellenza del passaggio dall’esterno all’interno?

*

Secondo il grande stagirita Aristotele (384-332 a.C.): La storia non è affatto scienza, perché non ricerca l’universale, ma la contingente operazione dell’uomo; invece, Mons. Giuseppe Ruotolo in un suo saggio afferma che: nei tempi moderni, la storia non è solo narrazione, cronaca o contingente operazione dell’uomo, ma ha raggiunto il valore di vera scienza; e così conclude: La Storia consiste in uno studio accurato dei fatti umani in relazione alla società nella quale si verificano, come accertati dai documenti.

È chiaro che nella storia è molto importante la testimonianza umana di chi era presente quando gli avvenimenti accadevano. Non è credibile una storia fondata su leggende e/o favole, senza riscontri oggettivi.

La memoria e la tradizione sono proprie delle religioni e, per lungo tempo, hanno avuto presa sul popolo che le ha considerate Storia cui credere per non mettere in discussione la parola dei Profeti e dei Santoni.

Padre Antonino Maria Di Jorio (35), Agostiniano, dottore in Sacra Teologia, nella sua opera “Vita di San Riccardo, descritta ed illustrata”, Napoli 1870, a proposito della memoria popolare afferma: Questa è una virtù universale ed immutabile nella Storia. Le tradizioni, tanto religiose che patrie, sono state sempre riputate un deposito sacro presso tutte le Nazioni.

Già alla fine dell’Alto Medioevo ormai il sistema viario della via Traiana romano in Puglia era decaduto per due principali motivi: il primo era dovuto al fatto che le città dell’interno della Regione stavano a poco a poco perdendo importanza perché le città costiere quali Siponto, Barletta, Trani, Molfetta, Bari, Monopoli, Brindisi ed Otranto con i loro porti potevano offrire servizi di trasporto molto più veloci e sicuri, non fosse altro per la mancanza dei predoni e dei dissesti idrogeologici cui erano soggette le zone interne della Puglia; il secondo motivo fu la scarsa manutenzione del fondo stradale dopo la caduta dell’impero romano che fece diventare quasi inagibili, soprattutto d’inverno, lunghi tratti della via con conseguenti disagi per i viaggiatori che li costringevano o stare fermi per diversi giorni o ad utilizzare piste alternative a volte sconosciute e pericolose.

Pertanto, la via litoranea da Siponto a Barletta, Bari, Egnazia per raggiungere Brindisi diventò l’arteria stradale principale per i pellegrini che si recavano in Terrasanta, anche perché, dopo la città di Troia, il percorso poteva raggiungere la grotta di San Michele sul Gargano per poi, scendendo a Siponto, raggiungere Brindisi restando lungo la costa.

All’inizio del Basso Medioevo, secoli XI-XIII, la via litoranea dalla città di Siponto fino a Brindisi, fu la strada più frequentata; anche l’Imperatore Federico II per i suoi spostamenti utilizzò questa via nel 1226 e nel 1235, come hanno verificato gli storici Renato Stopani e Pietro Dalena attenti studiosi della viabilità del Medioevo nell’Italia meridionale e, in particolare, in Puglia.

Come riferisce lo Stopani, Direttore del Centro Studi Romei di Firenze, nel 1154 l’Abate Nikulos del Munkathvera si recò in pellegrinaggio in Terrasanta partendo da Roma e, dopo Benevento, arriva a Siponto e da qui a Barl (Barletta), Tran (Trani), Binenubrg (Molfetta), Juvent (Giovinazzo), Bar (Bari), Monupl (Monopoli), arrivando a Brandeis (Brindisi) dove si imbarcò per raggiungere la Palestina.

Anche il Re di Francia Filippo Augusto nel 1191, dopo essere stato in Terrasanta, ritornò in Francia percorrendo la Puglia e passando per Bar civitatem episcopalem (Bari), Trane (Trani), Barlet (Barletta), Troia e Benevento.

Pertanto, tornando al nostro patrono San Riccardo, che lo studioso andriese Di Gioia lo colloca in Terrasanta negli anni 1158-1160-1164 e poi, da qui, venne in Andria perché nominato Vescovo della nostra città da Papa Adriano IV, il suo viaggio non poté che svolgersi lungo la via litoranea: la Traiana da Brindisi ad Egnazia e lungo la costa da Bari a Trani, e da qui giunse ad Andria entrando in città, con molta probabilità e logica, dalla Porta detta del Castello.

In definitiva, attraverso la cosiddetta Porta Santa non entrarono né San Pietro, né Sant’Andrea, né San Riccardo. Perché allora la tradizione la vuole esistente e per giunta la chiama Santa?

Prova a dare una spiegazione, perché propende per la sua esistenza, lo storico Di Gioia nella sua opera “Andria, il castello e le mura”, ipotizzando che questa Porta poteva essere stato il punto di partenza dei pellegrini e dei Templari verso Gerusalemme.

Abbiamo riferito che quasi sicuramente all’inizio del Basso Medioevo nel nostro territorio la via Traiana era pochissimo frequentata dai viaggiatori e che San Riccardo entrò in Andria dalla Porta Castello, e siamo nella seconda metà del secolo XII: perché i pellegrini e i Templari in questi secoli avrebbero preferito uscire dalla Porta Santa e raggiungere la Traiana per recarsi a Brindisi e non utilizzare Porta Castello e dirigersi verso Trani e percorrere la via litoranea, più sicura e più veloce?

Certo, vicino al luogo dove si ipotizza esistesse la Porta Santa erano sorte strutture assistenziali per i pellegrini, c’erano luoghi dell’accoglienza quali taverne e ospedali e, inoltre, era vicino alla Chiesa di Sant’Agostino dove diversi storici collocano una sede dei Templari, ma tutto questo, potrebbe avallare l’ipotesi del Di Gioia? Perché, poi, si demolisce questo simbolo così denso di significato: la Porta che conduce a Gerusalemme?

Penso di poter concludere che dell’esistenza della Porta Santa si parla solo nella tradizione, che poi è diventata storia, ma che nella realtà questa Porta forse non è mai esistita.

Anche il Fellecchia è dell’avviso che questa Porta esiste soltanto nella tradizione e, pertanto, ipotizza che l’ingresso in città di San Riccardo sia avvenuto dalla Porta detta del Castello (canto VI,11):

Entrò RICCARDO, e da qual Porta entrasse,
Certezza tal non v’è, ch’arguir si possa;
Potriasi dir, un che dal Mar sbarcasse,
Al luogo più vicin drizzar la mossa.
Se là dal Mare il suo camin ritrasse
Del Brittanico Eroe l’ardente possa,
Del Castello a la Porta il Mar guardante,
Dritt’è che lui drizzasse ancor le piante.


NOTE    _

(33) Ughelli
Ferdinando Ughelli, Monaco dell’Ordine Cistercense (1595–1670), Abate dell’Abazia delle Tre Fontane di Roma e storico. È ricordato soprattutto per la sua corposa opera “Italia Sacra” in cui, per primo, registra in modo accurato tutti i Vescovi italiani e le Diocesi che hanno retto, riportando per ciascuno di essi i dati riguardanti le biografie oltre ai cenni storici delle Chiese (le Diocesi) da loro rette.

(34) Palmo napoletano
Il “Palmo” è una unità di misura usata nel Regno di Napoli, ufficialmente in vigore fino all’anno 1840 (quando fu adottato il sistema metrico decimale che oggi usiamo); precisamente, è una unità di misura della lunghezza. Ogni Provincia, però, aveva una sua misura per il “Palmo” ma ciò creava grande confusione e non mancavano le liti e le controverse. Quando si decise di adottare un unico valore, questo fu stabilito pari a 0,264550 metri. Sette palmi costituivano il “Passo napoletano itinerante” che corrisponde a circa 185,185 centimetri, o più semplicemente, 1,85 metri. Pertanto, la nicchia scavata nella parete di fondo dietro l’altare aveva queste dimensioni: altezza cm. 159 circa, larghezza cm. 106 circa e profondità cm. 79 circa.

(35) Di Jorio Antonino Maria
Padre Antonino Maria Di Jorio, Agostiniano e Dottore in Sacra Teologia, scrisse una corposa opera intitolata “Vita di S. Riccardo primo Vescovo di Andria”, pubblicata in Napoli dalla Tipografia di Stanislao De Lella – anno 1870.