Capitolo XV

Contenuto

da "Il Capitolo Cattedrale di Andria ed i suoi tempi" - Vol. I

di Michele Agresti (1852-1916)

Capo XVI

(anni 1790-1831)

Sommario:
— Mons. Lombardi succede al Vescovo Palica nella Sede Vescovile di Andria: Istituzione di 14 Mansionati nella Cattedrale di Andria:
—Provvedimenti del Re Ferdinando IV per rapporto alle Chiese in genere, e per rapporto al Capitolo Cattedrale in ispecie:
—Re Ferdinando punisce il Capitolo Cattedrale per le abusive promozioni di alcuni canonici, fatte secondo gli antichi statuti, e non in conformità delle nuove disposizioni regie:
—Napoleone Buonaparte scende nuovamente in Italia, e vi manda il Generale Murat contro Re Ferdinando di Napoli: Armistizio fra Ferdinando ed il Murat:
—soppressione degli ordini religiosi,
—aggregazione di alcuni ex frati alla Cattedrale ed alle Colleggiate di Andria:
—trasloco della Collegiata dell’Annunziata nella Chiesa di S. Agostino:
—Caduta di Napoleone Buonaparte, la quale trae seco quella di Gioacchino Murat: Ferdinando IV ritorna Re di Napoli e di Sicilia: Gioacchino Murat, fatto prigioniero, vien poscia fucilato:
— Riforme e provvedimenti di Re Ferdinando a vantaggio delle Chiese: Concordato fra Re Ferdinando e Papa Pio VII: Canosa, Minervino e Monteleone, vengono aggregate alla Diocesi di Andria:
— Morte di Mons. Lombardi, cui succede Mons. Bolognese: Progetto di Mons. Bolognese circa l’istituzione dei Vicari Curati, ed opposizione del Capitolo Cattedrale:
— Morte di Mons. Bolognese ed elezione del Vicario Capitolare: venuta in Andria del Re Ferdinando:
— Componenti il Capitolo Cattedrale in questo torno di Tempo.


Avvenuta la morte di Mons. Palica, nel 1790, venne eletto Vicario Capitolare il Canonico Priore D. Antonio Conoscitore.
Al Palica intanto successe Mons. Salvatore M.a Lombardi, preconizzato Vescovo da Papa Pio VI (1773-1799), a dì 27 febbraio 1792 [1].
Il Lombardi fu nativo di Maddaloni, presso Caserta. Versatissimo nelle scienze canoniche, fu Vicario Generale, prima di Cajazzo, indi di Taranto, e finalmente di Matera.
Nulla di rimarchevole possiamo registrare di questo Vescovo, fuorché la istituzione di 14 Mansionarii nella Cattedrale. In virtù di un semplice Dispaccio del Re Ferdinando IV, datato da Napoli a dì 21 settembre 1793 [2], senza alcuna Bolla Pontificia, il Vescovo Lombardi, a dì 25 gennaio 1794, istituiva nella Cattedrale 14 Mansionariati, di puro onore, dando a 14 Sacerdoti del Clero Ricettizio le insegne mansionariali.
Questi Mansionarii venivano prescelti, per concorso, (che versava sul Canto Fermo e sulla Teologia Morale), e non avevano altro onore, se non quello d’intervenire al Coro, nei soli giorni festivi, e di celebrare un determinato numero di Messe, come tutti gli altri Sacerdoti del Clero Ricettizio, e percepirne il relativo stipendio.
Questa nuova Istituzione portò una prima ferita agli antichi Statuti Capitolari, ed alla Bolla di Benedetto XIV, che prescrivevano il solo titolo d’anzianità nel servizio statutario, senza alcun concorso. Per cui un vivo malumore s’iniziò tra il Vescovo Lombardi ed il Capitolo, che era tenace sostenitore dei suoi antichi statuti, riconfermati dalla Bolla di Benedetto XIV.
NOTE    (Nell'originale la numerazione è di pagina e non progressiva)
[1] Cappelletti: Chiese d’Italia.
[2] Archivio Capitolare.

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Nel 1794 Re Ferdinando ordinava a tutti i Capitoli Cattedrali e Chiese del regno, specialmente Vescovili e Parrocchiali, di riparare le fabbriche cadenti, e fornire le Chiese di sacri arredi, minacciando il sequestro delle temporalità ai trasgressori. Il Capitolo Cattedrale, vedendo che l’atrio dell’antica sacrestia, la navata sinistra del Duomo e tutte le Cappelle minacciavano rovina, si rivolse al Vescovo Lombardi, per avere anche la sua contribuzione a quelle riparazioni. Ma il Vescovo si rifiutò di concorrere a quelle spese, adducendo il pretesto d’aver fatto molte spese alla Masseria della Mensa, chiamata la Guardiola [3].
Il Capitolo, ritenendo esser primo dovere del Vescovo quello di curare la propria Chiesa, e poi le sue Masserie, riunitosi in generale assemblea, scelse una Commissione, che fossesi recata dal Vescovo, per indurlo a quell’obbligo; dando alla medesima Commissione la facoltà anche coll’alter ego di ricorrere al Real Trono di S. M. e ad ogni altro Tribunale, luogo e Foro, se il Vescovo si rifiutasse [4]. Difatti, avendo il Vescovo dichiarato di non voler concorrere a quelle spese, il Capitolo dava ai suoi Deputati piena facoltà di recarsi tanto nel tribunale di Napoli, quanto in ogni altro di Foggia, di Trani, alla Corte Ducale ed anche ai piedi di Sua Maestà il Re, erogando qualunque somma occorresse e facendo qualunque prestito in nome del Capitolo [5].
Indispettito il Vescovo Lombardi da questa energica risoluzione del Capitolo, cercò in ogni modo di angariarlo! Amico com’era del Re Ferdinando IV, molte volte si servì del suo appoggio, per umiliare il Capitolo!
NOTE   
[3] Archivio Capitolare, Copia della risposta del Vescovo.
[4] Archivio Capitolare, Libro delle Conclusioni Capitolari del 1794, La Commissione fu composta del Primicerio D. Giuseppe Brudaglio e del Canonici D. Nicola Giordano, D. Riccardo Accetta, D. Michele Marziani, D. Nicola Abbasciano e D. Francesco Vallera.
[5] Dal medesimo libro delle conclusimi capitolari dei 1794.

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Acerba fu specialmente la lotta fra questo Vescovo ed il Capitolo Cattedrale nel 1797. Il Vescovo Lombardi, non contento di aver dato un primo strappo agli antichi statuti capitolari, colla istituzione dei 14. Mansionariati, volle darne anche un secondo, richiedendo che, non più il servizio statutario e l’anzianità, fossero i soli requisiti per ammettere alla partecipazione corale quei Sacerdoti ascritti ed incardinati al Clero Ricettizio della Cattedrale, ma che dovesse aggiungersi, anche per questi, il concorso, come per i 14 Mansionarii! Il Capitolo, tenace sostenitore dei suoi antichi Statuti, e del suo diritto di simultanea collazione nella provvista dei beneficii capitolari, il mattino del 26 Aprile del 1796, indipendentemente dal Vescovo, a mezzo dell’Arcidiacono (allora ancora il valoroso D. Michele Marchio) conferì due Canonicati vacanti ai Sacerdoti D. Domenico Losito e D. Francesco Saverio Liso, facendosi forte del Regio Decreto del Luglio 1786, il quale prescriveva, che la sola anzianità nel servizio statutario dovesse essere il titolo unico a dette promozioni nelle Chiese Cattedrali del Regno.
Il Vescovo Lombardi se ne dolse amaramente col Capitolo, e provocò allora dal Re un decreto speciale per la Cattedrale di Andria, col quale si ordinava che, oltre all’anzianità, nel servizio statutario, fosse stato pure richiesto il concorso, nella provvista dei Canonicati. Questo decreto, dato da Napoli a dì 28 Gennaio del 1797, fu, dal Vescovo Lombardi, fatto affiggere nella Sacrestia Capitolare. Ma il Capitolo, neppur temendo l’ira del Re, quando si trattava di sostenere i suoi diritti e preeminenze, fè strappare quel Decreto, dandolo alle fiamme in mezzo alla medesima Sacrestia.
Di quest’atto audace il Vescovo Lombardi se ne querelò presso il Real trono, chiedendo una severa punizione pel Capitolo; e, nel contempo, provocando dal Re, un nuovo Decreto, nel quale ben dichiarasse, se dovesse serbarsi il disposto del 1786, (con cui si prescriveva la sola anzianità nel servizio statutario, per la provvista dei Canonicati) ovvero se si dovesse stare al dispaccio del 1797 (col quale veniva disposto che, oltre all’anzianità nel servizio statutario, fosse richiesto il concorso).
S. M. il Re, con Real Carta del 25 Novembre 1797, rimise l’affare al parere della Real Camera di Santa Chiara.
Mentre l’affare veniva discusso dai Componenti la Real Camera, avvenivano nella Cattedrale altre due vacanze, per la morte dei Canonici D. Nicola Santoro e D. Riccardo Antolini; ed il Capitolo, tenendo fermo al suo preteso diritto, conferì quei due Canonicati, l’uno al Sacerdote D. Riccardo Turi e l’altro a D. Riccardo Del Giudice, col solo requisito dell’anzianità del servizio statutario, ed indipendentemente dal Vescovo.
Intanto la Commissione dei Vescovi, dietro relazione della Camera di S. Chiara, e dopo aver ponderatamente esaminata la relazione del Vescovo Lombardi e quella del Capitolo, tenendo ancora presente gli Statuti Capitolari ed il Dispaccio Reale del 26 Agosto 1797, decideva che le provviste dovessero farsi col requisito dei meriti, valutati per concorso, e non col solo titolo di anzianità, essendo che la Cattedrale di Andria era Chiesa Ricettizia-Curata.
Quanto poi al diritto di simultanea collazione, fra il Vescovo ed il Capitolo, la medesima Commissione dichiarava che, giusta l’antica consuetudine, il diritto del Capitolo era limitato solamente ad attestare l’adempimento dei requisiti statutarii, richiesti nel promovendo, e di concorrere, insieme al Vescovo, alla spedizione delle Bolle, giusta il Real Dispaccio del luglio 1786; non già a conferire da solo il beneficio; per poter autorizzare il partecipante all’uso delle insegne e funzioni capitolari.
Quindi la Commissione dei Vescovi conchiuse, col ritenere colpevole il Capitolo nell’aver conferito i quattro sopra detti canonicati, arrogandosi un diritto, che non gli competeva. Diritto, che non aveva neppure il Vescovo, dovendovi concorrere alla investitura l’uno e l’altro; il Capitolo nell’attestare, il Vescovo nell’approvare.
Quindi la Commissione Vescovile della Real Camera decise, che l’operato del Capitolo, nel conferire quei quattro canonicati, era un attentato punibile, e tanto più poi colpevole, per aver strappate e bruciate in sacrestia le circolari sovrane del 21 e 26 agosto 1797. Perciò, ad evitare ulteriori disordini in prosieguo, la Commissione proponeva al Re i seguenti provvedimenti:
  • «1.) che niuno possa essere ammesso alle partecipazioni, sieno Dignità, sieno Canonici, sieno Mansionari, senza previo esame, che abbia per oggetto la Cura delle anime, giusta l’articolo 5 del Dispaccio Reale del 1797;
  • 2.) che le porzioni debbano conferirsi intiere e non divise e suddivise in quote, once, ecc., giusta l’articolo I;
  • 3.) che l’aspirante alla partecipazione debba presentare l’attestato del Capitolo, per rapporto all’anzianità nel servizio prestato;
  • 4.) che gli esaminatori Sinodali prendano in considerazione tale attestato, e misurino l’idoneità dell’aspirante, per mezzo di rigoroso esame in iscritto sulla dottrina analoga al ministero, cioè alla Cura delle anime;
  • 5.) che, dovendo essere il merito preferito all’anzianità, essendo più gli aspiranti, si scelga il più meritevole;
  • 6.) che finalmente, ottenuto il posto, debba dal Vescovo e dal Capitolo spedirsi il Decreto, in forza del quale sarà messo nel possesso dell’intiera partecipazione e delle insegne, giusta il Dispaccio del 1786» [6].
Dopo tali norme stabilite, la Commissione dei Vescovi proponeva al Re le seguenti pene, da infliggere al Capitolo, per la provvista fatta dei quattro sopradetti canonicati:
  • 1.] Che si cassino dal Cancelliere Vescovile dal libro capitolare tutte le conclusioni riflettenti le provviste fatte dal solo Capitolo dal 1796 sino al 1798;
  • 2.] che il Capitolo faccia nelle forme più solenni una Deliberazione Capitolare, nella quale dichiari di riconoscere il suo torto e ne faccia perciò ammenda, dichiarando pure di osservare in prosieguo scrupolosamente quanto dalla sovrana autorità fu prescritto nel dispaccio del 26 Agosto 1797;
  • 3.] che l’Arcidiacono D. Michele Marchio ed i Deputati del Capitolo, Primicerio D. Giuseppe Brudaglio ed i Canonici Giordano, Acchella, Marziani, Vallera e Morselli vadano pubblicamente a fare le loro scuse al Vescovo, …;
  • 4.] che i quattro investiti Canonici Lo Sito, De Liso, De Turi e Del Giudice debbano rimanere sospesi per sei mesi dalla partecipazione, dall’uso delle Insegne e dall’accesso in Coro;
  • 5.] che la rendita, che sarebbe ai medesimi spettata, per i sei mesi di sospensione, vada distribuita ai poveri della città;
  • 6.] che, elassi i sei mesi di sospensione, i sopradetti quattro investiti si presentino al Vescovo con i relativi attestati del Capitolo, e poi si sottomettano all’esame, dal quale, se risulteranno idonei, loro si spediscano gratis le Bolle del Vescovo, unitamente al Capitolo, per essere ammessi alla partecipazione, all’uso delle insegne, ed all’accesso nel Coro, dovendo computarsi l’anzianità nelle funzioni corali e nelle altre precedenze dal giorno in cui avranno ottenuto questo secondo decreto e possesso [7].
Dietro tale relazione della Commissione dei Vescovi, il Re Ferdinando IV, in data 14 luglio 1798, dava ordine alla Real Camera di S. Chiara di mettere in esecuzione quanto dalla medesima Commissione veniva proposto. E la R. Camera, a dì 16 luglio del detto anno 1798, comunicava al Vescovo ed al Capitolo le sovrane disposizioni.
Così il Capitolo si vide umiliato; e gli antichi statuti subirono un colpo mortale, per opera del Vescovo Lombardi, il quale, schiavo del regalismo invadente, non si peritò di mettere in non cale le disposizioni della Curia Romana e quelle, in particolare, della Bolla Benedettina, per ciò che riguardava il Capitolo Cattedrale di Andria!
Intanto, avvenuti i torbidi del 1799, di cui è fatto parola nel Capo precedente, il Vescovo Lombardi rifuggiò a Napoli, dove restò sino a che non tornò la calma nel Regno.
NOTE   
[6] Archivio Capitolare.
[7] Questa relazione al Re è firmata dai tre Vescovi componenti la Real Commissione, Domenico di Caserta, Andrea di Coltri e Bernardo di Lettere e Gragnano, datata da Napoli a dì 18 giugno 1798 (Archivio Capitolare).

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Ritornando ora agli avvenimenti politici (nel precedente Capo sospesi col ritorno di Re Ferdinando IV, e colla condanna di Ettore Carafa), il governo di Napoli restò affidato al Cardinal Ruffo, mentre, Ferdinando IV, su d’un vascello, comandato dall’ammiraglio Nelson, il dì 5 Agosto del medesimo anno 1799, partiva per Palermo.
Costretto però il Cardinale Ruffo di recarsi a Venezia, per la elezione del nuovo Pontefice [8], essendo morto a dì 29 Agosto di quell’anno Pio VI, il governo di Napoli venne affidato al Principe del Cassero.
Ma, nel Maggio dell’anno successivo 1800, il generale Buonaparte nuovamente scendeva con poderoso esercito in Italia; e, nel Giugno seguente, riportava la famosa vittoria di Marengo.
Per la protezione dell’Imperatore di Russia, Paolo I, fu, per quel momento, scongiurato il pericolo per Napoli, dove il Buonaparte avea spedito il Generale Murat contro Re Ferdinando IV!
Fu, però, segnato un armistizio, a Foligno, fra il Murat e Ferdinando; e, poscia, conclusa la pace, nel Maggio del 1801, a Firenze, ove si stipulò un trattato, nel quale si stabiliva che, durante la guerra della Francia con la Porta Ottomana e con la gran Bretagna, dovessero stanziare 16 mila Francesi dal Tronto al Bradano; e che Re Ferdinando dovesse fornire il frumento a tutto il presidio, e pagare 500 mila franchi al mese per gli stipendii! … Ma, in virtù del trattato di Amiens, il Regno di Napoli fu poscia sgombrato dalle soldatesche francesi, e Re Ferdinando, nel 1802 dalla Sicilia, si condusse a Napoli, dove, dopo due mesi, lo raggiunse la Regina da Vienna.
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Tornata la calma nel Regno, il nostro Capitolo, dopo d’aver ottenuto dalla Università di Andria il sito adiacente alla Chiesa [9], pensò di ricostruire ed ingrandire la Sacrestia, già distrutta dall’incendio, dato dai francesi nel 1799. Per sopperire alle ingenti spese, che sarebbero occorse, il Capitolo fece dimanda al Re, perché non venissero provvisti, temporaneamente, i beneficii vacati per la morte dei 14 capitolari, uccisi nell’assedio della città; e che, da quella rendita, si fosse provveduto alle spese occorrenti per la ricostruzione della Sacrestia. Il Re, a mezzo del suo Ministro Plenipotenziario, il Cardinal Ruffo, ordinò che, per sei anni, si sequestrassero le rendite dei partecipanti defunti del Capitolo, senza provvedere i posti vacanti; e che quelle rendite fossero state impiegate alla ricostruzione della nuova Sacrestia [10]. Nel 1805, trascorsi i detti sei anni, e trovandosi al termine i lavori della Sacrestia, le partecipazioni vacanti spettarono, jure accrescendi, al Capitolo.
A causa del medesimo incendio, il Capitolo si trovò pure sprovvisto di sacri arredi e di suppellettili. Fu fatta, perciò, istanza al Re Ferdinando IV, e questi, generosamente, fe’ elargire un sussidio di Ducati 200, a tale scopo. Altri Ducati 426 e grana 6o spese pure il Capitolo per l’acquisto di 26 pianete di Damasco (6 di color rosso, 6 bianche, 6 nere, 4 verde e 4 violacee), e di quattro calici d’argento [11].
Per riparare anche ai danni morali, cagionati dai Repubblicani al Clero ed alle Chiese, in quei tristi tempi, Re Ferdinando IV, fra i più saggi provvedimenti, prese anche quello di allontanare dai sacri ordini quei Chierici, che si rendevano immeritevoli pel mal costume, e per difetto della scienza, necessaria al sacro ministero, specialmente nel tempo delle Sedi vacanti, quando era facile ad essi l’esser promossi agli ordini sacri dai Vicarii Capitolari. A tale effetto inviò suo Real Dispaccio, in data 26 Settembre 1801, nel quale, dopo aver inteso il parere della Giunta Ecclesiastica, ordinava a tutti i Vicarii Capitolari del Regno di non spedire testimoniali e dimissorie, dopo l’anno del lutto, (richiesto dal giure canonico, per la morte del Vescovo pro tempore), a tutti quei Chierici, che fossero stati riprovati dai Vescovi ancor viventi; e, per gli altri, da richiedersi il voto segreto dei Capitoli Cattedrali, i quali, in maggioranza, attestassero sulla buona condotta dei Chierici aspiranti, e sulla dottrina analoga al loro ministero, sperimentata precedentemente da gli Esaminatori Sinodali.
Tal savio provvedimento fu comunicato al nostro Capitolo, a dì 8 Ottobre di detto anno 1801, dal Segretario della Reggenza di Trani D’Addosio [12].
Nel 1803, vedendo il Re che dai Vicarii Capitolari, durante la sede vacante, si faceva mal governo della Diocesi, per la prevaricazione dei Cleri e dei Popoli, con grave perturbamento della Religione e dello Stato, con altro Dispaccio del 29 Gennaio 1803, ordinava a tutti i Vicarii Capitolari del Regno, d’invitare i Vescovi viciniori ad amministrare solamente la Cresima nelle Sedi vacanti, ed astenersi assolutamente dal conferire gli ordini sacri, sia per non dare trapazzo e far sopportare dispendio agli ordinandi, sia perché le ordinazioni si facciano dai proprii Vescovi, presente il popolo ed il Clero della propria Diocesi; ingiungendo pure, ai Vicarii Capitolari, d’invitare i medesimi Vescovi viciniori a fare una ispezione nelle sedi vacanti, senza però uso di giurisdizione, ma solamente coll’invigilare e attendere animati dallo spirito della carità e di zelo apostolico, perché i Vicarii Capitolari adempiano ai loro doveri secondo le regole della Chiesa e la polizia del Regno, prestando loro dei consigli e facendo le convenienti insinuazioni, per togliere gli abusi ed i disordini, e soprattutto per allontanare dai Capitoli lo spirito di partito e di privato interesse ecc. [13].
Molti altri savii provvedimenti furono presi da questo ottimo Re a vantaggio del Clero e della Religione, non che dei popoli, affidati al suo governo.
NOTE   
[8] Da quel Concistoro riuscì eletto Papa Pio VII, il dì 14 Marzo 1800.
[9] Caduta la Sacrestia, per l’incendio dato dai Francesi nel 1799, anche le fabbriche dell’attiguo Seminario minacciavano il crollo. Il Capitolo fece perciò istanza a questa Università, ed ottenne a favore della Chiesa e del Seminario il sito attiguo alla caduta Sacrestia.
[10] La vecchia Sacrestia, distrutta dai Francesi nel 1799, era sita nel piano sottostante al vecchio Seminario. L’area superiore di essa, di proprietà del Capitolo, fu benignamente concessa per uso del Seminario il quale, a proprie spese, vi costruì quelle grandi sale, ad uso di Camerate. Nel 1843, essendosi traslocato il Seminario nel Convento, già appartenuto ai Carmelitani, il Capitolo reclamò a se il locale abbandonato del Seminario, obbligandosi di pagare al Seminario un censo annuo per le fabbriche dal medesimo costruite. A tale oggetto furono delegati i Canonici Camaggio e Brudaglio, per trattare la cosa (Archivio Capit.)
[11] Per fare anche una qualche economia fu pure deciso capitolarmente che ciascun Capitolare provvedesse de proprio il vino, la cera e tutto l’occorrente per la celebrazione delle messe piane, mentre anticamente soleva il Capitolo somministrare tutto l’occorrente per la celebrazione delle messe.
[12] Archivio Capit.
[13] Archivio Capit.

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Ma, mentre tutto faceva sperare, che questo stato di cose sarebbe a lungo durato, ecco che la Francia novellamente muove a sconvolgere la pace, che erasi stipulata fra il Murat e Re Ferdinando, coi trattati di Firenze e di Amiens.
Nel 1803 l’Inghilterra, ingelosita del primato, che la Francia teneva sul Continente, volle muoverle guerra; e, nel 1804, le Puglie furono nuovamente inondate da soldatesche francesi a difesa dei loro pretesi diritti contro l’Inghilterra. A dì 9 ottobre del 1805 Re Ferdinando, a scongiurare nuovi pericoli, ratificava un trattato con Napoleone Buonaparte (già divenuto Imperatore di Francia), nel quale si obbligava di restar neutrale nella guerra coll’Inghilterra, mentre Napoleone si obbligava dall’altra parte di sgombrare, fra 3o giorni, le sue truppe dal Reame di Napoli.
Ma, a dì 26 di quello stesso mese, Re Ferdinando venne meno a quel trattato, legandosi all’Inghiterra, all’Austria, alla Russia ed alla Svezia, a danno della Francia. Napoleone fortemente corrucciato contro Re Ferdinando, dopo aver vinto, in Germania, Austriaci e Russi, con la famosa battaglia di Austerlitz, e dopo d’aver imposto ad essi la pace di Presburgo del 26 Dicembre 1805, inviava suo fratello Giuseppe Napoleone, con 37 mila combattenti, capitanati dal maresciallo Massena, contro Napoli. Re Ferdinando, dopo lunga trepidazione, vedendosi abbandonato dai suoi alleati, costretti a curare le loro piaghe in casa propria, e disanimato dai suoi regnicoli, i quali avean gran paura del Napoleone, a dì 23 Gennaio 18o6, fuggiva a Palermo, abbandonando il governo del Regno nelle mani del Principe ereditario Francesco I.
Il dì 14 Febbraio di quel medesimo anno i Francesi entravano novellamente in Napoli, senza resistenza alcuna; e Giuseppe Buonaparte, con decreto imperiale di suo fratello Napoleone, a dì 3o Marzo del medesimo anno, assumeva il Governo delle due Sicilie.
Nel 1807 Giuseppe Buonaparte visitava le Puglie, mostrandosi dovunque benefico e liberale. A dì 26 Marzo di detto anno venne a Barletta, dove tutte le Autorità provinciali, ed anche una rappresentanza di Ecclesiastici di Andria e di Trani recaronsi a fargli omaggio.
Molte riforme apportò nel Reame di Napoli Giuseppe Buonaparte. Con la legge del 22 Maggio 18o8 abolì gli statuti, che eran detti della Bagliva, della Portolania di terra, della Catapania, della Zecca, dei pesi e misure, introducendo, invece, la legislazione napoleonica, con le funzioni ordinarie della polizia municipale e rurale di ciascun comune.
Giuseppe Buonaparte durò poco tempo sul trono di Napoli [14].
Chiamato da suo fratello l’Imperatore Napoleone I al trono di Spagna e delle Indie, a Giuseppe Buonaparte successe sul trono di Napoli, per ordine di Napoleone, Gioacchino Murat [15], il quale venne a prenderne il possesso a dì 6 Settembre 1808.
Primo suo atto fu quello di sopprimere tutti gli ordini religiosi, prima nelle provincie italiane, aggiunte all’impero francese, e poscia in tutto il rimanente d’Italia.
NOTE   
[14] Durò poco più di due anni (dal 30 Marzo 1806 al 6 Settembre 1808).
[15] Gioacchino Napoleone Murat, gran Duca di Berge e di Cleves, era cognato a Napoleone Buonaparte, avendo sposata una sorella dell’Imperatore, Maria Annunziata Carolina.

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Soppressi gli ordini religiosi, venti Sacerdoti, già monaci, si ritirarono in Andria, loro patria. Il Vescovo Lombardi, per provvedere al sostenimento di questi poveri frati, espulsi dai loro conventi, tredici ne aggregò alle due Collegiate, e sette al Capitolo della Cattedrale.
Le due Collegiate, di buon grado, li accolsero. Non così il Capitolo della Cattedrale, il quale, non volendo derogare ai suoi antichi Statuti (che richiedevano un servizio di 12 anni, prima di ammettere qualsiasi Sacerdote alla partecipazione corale), oppose viva resistenza. Ma il Vescovo Lombardi (risedente ancora in Napoli) per contradire sempre il Capitolo, tenendo pure conto dei meriti di quei frati, nonché della loro avanzata età; e trovando sconveniente che vecchi Sacerdoti dovessero prestare il servizio da Chierici, nel servire le messe, nel suonare le campane, ed altro, tenne duro, ammettendo quei poveri frati ai Canonicati della Cattedrale.
Il Capitolo ricorse alla Real Camera; e questa, ritenendo che gli ex frati, dopo la soppressione, erano rientrati nel secolo, acquistando il jus nativitatis, tanto più che, nel decreto di soppressione, era detto che, tornando al secolo dovevano essere ascritti alle Chiese loro native e godere tutti i diritti alle medesime annessi, rigettò il ricorso del Capitolo, ordinando che si eseguisse quanto dal Vescovo Lombardi erasi disposto. Cosi i sette frati furono aggregati al Capitolo della Cattedrale, senza prestare il voluto servizio statutario.
Fra questi sette frati si distinsero D. Giovanni Frascolla e D. Mariano Cocco, che fu poi penitenziere della Cattedrale, alla quale tanto lustro apportò per il suo forte ingegno e per la straordinaria sua dottrina.

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Soppressi gli ordini religiosi in Andria, il Capitolo Collegiale dell’Annunziata, nel dicembre e 1809, pensò di volersi istallare nella Chiesa del soppresso Convento di S. Agostino, abbandonando la primitiva sua residenza nella Chiesa dell’Annunziata (allora Chiesa messa extra moenia). Ne fece perciò istanza al Sindaco della città, per ottenere il consenso della Università, essendo i conventi, dopo la soppressione, passati in dominio delle Università. Il Sindaco, non volendo ledere i diritti del Capitolo Cattedrale, ne chiese il suo parere. Ed il Capitolo, dopo non poche difficoltà, accordò il suo beneplacito, per tale trasloco, concordando de bono et æquo, le seguenti condizioni:
  • 1) che il Capitolo dell’Annunziata, dopo d’essersi istallato nella Chiesa di S. Agostino, perdeva ogni diritto sulla Chiesa dell’Annunziata, la quale doveva, d’allora in poi, dipendere esclusivamente dalla Cattedrale, qual Chiesa figliale, rispetto alla Matrice;
  • 2) che il Capitolo della Cattedrale doveva destinare a Rettore di questa Chiesa un Sacerdote de suo gremio, in tutto dipendente dal Capitolo della Cattedrale;
  • 3) che il Capitolo della Cattedrale non doveva impedire ai Preti di S. Agostino di potersi recare nella Chiesa dell’Annunziata a celebrare le messe piane, assegnate ad alcuni altari di questa Chiesa, ed avere la libertà di mantenere, in detta Chiesa, tutto ciò che ad essi si apparteneva (come l’organo, le campane, gli armadii, gli arredi sacri, ed altro), e di goderne l’uso e la proprietà, sino a che non facesse loro comodo di trasportare altrove ogni cosa, che alla Collegiata si apparteneva;
  • 4) finalmente che, volendo la Collegiata far ritorno nella sua primitiva residenza, ogni contratto restava sciolto, ed i Preti della Collegiata ne riprendevano l’antico dominio sulla Chiesa dell’Annunziata [16].
Uscito il Capitolo Collegiale dalla Chiesa dell’Annunziata, il Capitolo Cattedrale nominò tre Cappellani de suo gremio, nelle persone dei Canonici D. Vito Antonio Infante, D. Saverio Ieva e D. Riccardo Turi.
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Dopo l’uscita dei Frati dai Conventi [17], il Re Gioacchjno Murat, per soddisfare alle richieste delle parrocchie povere del Regno, concedeva loro arredi sacri, campane, suppellettili, ed ogni altro oggetto, già appartenuto ai Conventi soppressi. Così la Cattedrale di Bisceglie ottenne lo stupendo Coro della Chiesa di S. Maria dei Miracoli di Andria, appartenuto ai Benedettini Cassinesi, e la Cattedrale di Grumo l’apparato di ottone, appartenuto alla medesima Chiesa dei Benedettini!
Nel Marzo del 1810 anche Bitonto fece domanda al Murat di ottenere i pregevolissimi altari di marmo, appartenenti alla medesima Chiesa dei Benedettini; e già la direzione governativa avea accolta quella domanda. Ma il Capitolo della Cattedrale delegò alcuni canonici, i quali si fossero recati a Barletta dal Ricevitore Lovero, per interporlo a far richiamare quella disposizione data. Ed il Lovero consigliò i Deputati del Capitolo a muovere istanza al Re Murat, anche da parte della Università, perché non venisse spogliato quel Santuario dei suoi pregevolissimi altari di marmo.
Il consiglio del Lovero fu efficace, giacché il Re Gioacchino Murat, tenuto conto delle ragioni del Capitolo, lasciò ogni cosa al suo posto. Però, dopo pochi anni, una comitiva di barlettani, di notte tempo, tentò rapirci quei preziosi altari di marmo; e già, ne avevano praticate delle grosse fessure, avendo in pronto una quantità di carri, per trasportarli a Barletta! Avvertiti in tempo i cittadini andriesi, numerosi accorsero al Santuario, armati in tutto punto, mettendo in fuga quei sconsigliati barlettani!
Molte altre innovazioni apportò nel regno di Napoli il Murat. Principale fu l’abolizione del feudalismo [18], che suonava dispotismo! Per cui il Re Gioacchino Murat ordinò che tutte le città e terre del Regno, soggette ai Baroni, dovessero essere governate con le medesime leggi della corona, senza differenza di trattamenti fra città e città. Così cadevano tutti gli statuti speciali, le consuetudini singolari delle diverse città del napoletano. Colla caduta del feudalismo, restavano pure abolite tutte le prerogative del ceto dei nobili; e tutti venivano livellati ad un medesimo trattamento.
Così Andria si liberava per sempre dalla schiavitù dei Baroni, e si vedeva prosciolta da quelle catene, che si era comprate con i suoi stessi denari, consentendo che la Duchea d’Andria passasse nelle mani di Casa Carafa [19].
NOTE   
[16] Archivio Capit.
[17] Esistevano allora in Andria otto Comunità Religiose maschili e due femminili. Le maschili erano: i Domenicani, i Minori Conventuali, gli Agostiniani scalzi, i Fate-bene fratelli, i Cappuccini, i Minori osservanti, i Benedettini ed i Carmelitani. Le femminili erano le Benedettine ed il Conservatorio.
Tutto ciò fu stipulato in un pubblico istrumento, del quale conservasi copia nell’Archivio Capitolare della Cattedrale.
[18] Il feudalismo fu il tarlo, anzi il cancro della povera Italia! Fatta eccezione di pochi, quei Baroni, quei Conti, quei Duchi furono i tiranni delle città, gli oppressori dei popoli! I ponti levatoi, le balestriere, le saracinesche, i trabocchetti sono nomi, che ricordano con orrore l’epoca del feudalismo! Ed in ciò, va data lode al Murat. Ed ora quei castelli, una volta baluardi della potenza baronale, sono ricettacoli dei gufi, ricovero di pecore, asilo di briganti Giusta punizione di Dio!
[19] L’ultimo Duca di Andria fu Carlo Carafa, il quale, costretto ad abbandonare la sua Duchea. si ritirò in Napoli, e vendeva il suo palazzo ducale ai signori fratelli Pasquale ed Onofrio Spagnoletti-Zeuli, come è detto innanzi.

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Intanto, dopo tante vittorie, riportate da Napoleone Buonaparte, pareva che il suo regno dovesse restare incrollabile, per tutta l’eternità! Eppure non fu così. La stella napoleonica già cominciava ad impallidire, e Gioacchino Murat, nel 1813, veniva in Puglia ad animare i popoli in favore dei Buonaparte. Vana impresa! La Divina Provvi-denza aveva già segnato il termine alla rivoluzione francese, che aveva fatto traboccare la coppa dei suoi delitti, delle sue iniquità! …
Dopo la funesta campagna del 1813, Napoleone si vide sopraffatto da tutte le corone d’Europa unite insieme, e che egli aveva, ad una ad una, pria sfrondate. Sorse per Napoleone l’alba del 1814 tinta di sangue!
La Metropoli dell’Impero era caduta nelle mani degli alleati! E quell’uomo, che aveva fatto tremare tutt’Europa, si vide finalmente navigare prigioniero all’isola d’Elba.
La caduta di Napoleone trasse seco quella di Gioacchino Murat.
Avendo questi mosso guerra all’Austria, sotto il pretesto della indipendenza italiana, ne portò la peggio. A dì 21 Maggio del 1815, Gioacchino Murat dové abbandonare Napoli, già invasa dalle truppe austriache.
Uscito di Napoli il Murat, a dì 19 Giugno del medesimo anno 1815 vi rientrava Ferdinando IV di Borbone.
Re Ferdinando [IV nel Regno di Napoli, e III in quello di Sicilia] assunse, allora, il nome di Ferdinando I, nel regno riunito.
Il Murat, però, tentò di riprendere il governo del Regno perduto; ma, fatto prigioniero, nell’Ottobre di quel medesimo anno fu fucilato!

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Ritornato il Regno sotto il dominio di Re Ferdinando I di Borbone, un’aura di pace si vide aleggiare per le città, tanto ammorbate dalla corrente pestifera dei repubblicani francesi!
La Chiesa, più di tutti, ne fu avvantaggiata.
Fra i tanti provvedimenti presi, a riparare i danni arrecati alla Religione, Re Ferdinando, a dì 14 Ottobre 1815, mandava una Circolare a tutti gl’Intendenti del Regno, nella quale si ordinava ai medesimi, di mettersi di accordo con i Rev.mi Ordinarii di ciascuna diocesi, perché fossero prontamente aboliti gli usi indecenti e sordidi, ai quali erano state adibite le Chiese, profanate nelle vicende politiche; ingiungendo ancora ai medesimi, che, qualora l’utile della Religione richiedesse la restituzione delle medesime al culto divino, riferissero sull’oggetto, proponendo anche i mezzi come provvedere al loro mantenimento. E difatti molte Chiese furono restituite al culto e provviste dell’occorrente.
Nel 1817 il medesimo Re Ferdinando I, per provvedere anche alla igiene del Regno, compromessa dalla putrefazione dei cadaveri (che seppelivansi allora nelle Chiese, o nei pressi di esse), emanò reale decreto, nel quale si ordinava a tutti i Comuni del Regno di aprire dei Camposanti fuori dell’abitato, da sistemarsi alla distanza di un chilometro.
Però, a causa dei pregiudizii, circa la remozione dei cadaveri dalle Chiese, e per i varii intoppi, incontrati circa la scelta dei siti (per costruire i nuovi Camposanti) molte città ritardarono l’esecuzione di quel decreto.
Fra queste, Andria, la quale costruì il suo Camposanto verso il 1840, e le tumulazioni vi cominciarono nel 1842. Il Municipio vi costruì pure una Chiesetta nel centro di esso, e varie Cappelle private ebbero anche, in quell’anno, la loro costruzione.
Il nostro Capitolo, di accordo col Municipio, formò uno scavo sotterraneo nella Chiesetta municipale del Camposanto. per la tumulazione dei defunti suoi capitolari [20].
Nel 1818 Re Ferdinando I, dopo alquante controversie, formò pure un Concordato con la S. Sede, auspice Pio VII [1800-1823].
Dopo i tanti abusi del regalismo, che fu pure una delle cause, che trascinarono poi le popolazioni a rivolgersi contro del medesimo Re Ferdinando, questi, ritornato sul trono di Napoli, pensò a mettere riparo al mal fatto, non più arrogandosi diritti di regalia in affari ecclesiastici, ma rimettendosi alla legittima autorità della S. Sede, in quel che concerneva gli affari ecclesiastici. Nominò a tal uopo a suo plenipotenziario l’Eccellentissimo signor Luigi Dei Medici, Segretario di Stato e Ministro delle Finanze, il quale, d’accordo col plenipotenziario di Sua Santità Papa Pio VII [l’Eminentissimo Cardinal Ercole Consalvi, Segretario di Stato del Papa], venne alla formazione del celebre Concordato, composto di 35 articoli, riguardanti la polizia ecclesiastica del Regno.
In virtù di quel Concordato, o Convenzione, molti vantaggi vennero alle Chiese del Napoletano. Fra gli altri, furono riaperti i Conventi (soppressi nel 1808); riordinate le Diocesi del Regno; stabilite le norme per le parrocchie, ecc. … Per quel che riguarda i Capitoli, all’articolo X e XI fu stabilito: che i canonicati, tanto delle Cattedrali, quanto delle Collegiate fossero di collazione della S. Sede e dei Vescovi, appartenendo alla S. Sede la provvista dei canonicati vacati nei primi sei mesi dell’anno, ed al Vescovo quelli vacati negli altri sei mesi; ad eccezione delle prime Dignità, tanto nelle Cattedrali, che nelle Collegiate, da conferirsi sempre dalla S. Sede. Quanto alle Parrocchie, fu convenuto, che dovessero essere di libera collazione dei Vescovi, ad eccezione di quelle che vacassero in Curia, o per promozione a qualche Dignità o Canonicato fatta dalla S. Sede.
Quanto alle Chiese minori o ricettizie, nulla fu stabilito in quel Concordato del 1818, giacché ivi fu trattato solamente delle Cattedrali e delle vere Collegiate, aventi canonica erezione. A supplire, però, tale omissione, Re Ferdinando I ottenne dal medesimo Papa Pio VII il Breve Impensa, promulgato a dì 13 agosto 1819, che, in sostanza, legalizzava la Prammatica reale del 1797, da noi riportata innanzi.
In virtù di detto Breve Impensa, nessuno poteva essere ammesso, come per lo innanzi, a partecipare nelle Chiese Ricettizie, se non fosse stato prima ritenuto idoneo dal proprio Ordinario, dietro esperimento, dato per esame, coram Ordinariis ipsis, vel coram Vicariis Generalibus, et tribus saltem ex Synodalibus Examinatoribus.
Cosi dopo il Concordato del 1818, ed il Breve Impensa del 1819, tutti i beneficii canonicali della Chiesa Cattedrale di Andria restarono di libera collazione della S. Sede e del Vescovo, secondo i rispettivi mesi dell’anno. Quindi vennero aboliti i requisiti dell’anzianità e del servizio statutario, che tante lotte avevan suscitate per lo passato!
Quanto poi al Clero Ricettizio, aggregato alla medesima Cattedrale, venne abolita anche la incardinazione dei Chierici ed il servizio statutario, restando solamente 14 Mansionariati, che allora cominciarono ad essere provvisti a base del detto Breve Impensa, cioè per concorso.
Quindi, abolito il servizio statutario e l’incardinazione dei chierici, il Clero Ricettizio, nella nostra Cattedrale, non fu più innumerato (come era per lo passato), ma cominciò ad essere numerato nei 14 voluti Mansionarii, di puro onore.
Quanto alla sistemazione delle Diocesi del Regno, in virtù di detto Concordato, Pio VII, con Bolla De utiliori Dominicæ del 27 Giugno 1818, aggregava le Chiese di Minervino [21] di Montemilone [22] e di Canosa [23] alla Sede Vescovile di Andria, formando così una sola Diocesi Andria, Canosa, Minervino, Montemilone.
Però, per quel che riguarda le provviste ai beneficii capitolari, ad onta del Concordato del 1818, e del Breve Impensa del 1819, il nostro Capitolo, tenace sempre ai suoi statuti ed alle antiche consuetudini, profittando anche della decrepitezza del Vescovo Lombardi (resosi inconsciente di tutto), nulla volle innovare nella sua Chiesa. E le provviste venivano fatte, ora in conformità della Bolla Benedettina, ora in conformità della Prammatica del 1799, e talvolta ancora in conformità dei decreti dell’occupazione francese, emanati sotto il Governo di Giuseppe Buonaparte e Gioacchino Murat.
Intanto, a dì 27 Gennaio 1821, carico di anni (ne contava circa 93), moriva in Napoli il Vescovo Lombardi.
Fu tumulato nella Cappella di S. Restituta (messa dentro quella Cattedrale), nel Sepolcro dei Canonici.
NOTE   
[20] Da una deliberazione capitolare del 31 Luglio 1842 risulta, che quello scavo e la costruzione delle tombe, in quella Chiesetta, furon fatti a tutte spese del Capitolo, erogando la somma di ducati 450. Per la estinzione di quella somma, il Capitolo ottenne dalla S Sale la facoltà di poter riscuotere da ciascun capitolare, allora vivente, a dai futuri, la somma di carlini 15 (pari a L. 6,32), da prelevarsi dalla prima partecipazione dei legati di messe.
Tale obbligo doveva cessar con la estinzione dei ducati 450, erogati per la sepoltura capitolare (Archivio Capitolare).
[21] Minervino, al dire del Cappelletti, par che abbia avuta origine dall’antica città di Canusio rovinata, Minervino era una ramificazione del vicino Monte Grosso. Secondo il medesimo Cappelletti, Minervino ebbe la sua sede vescovile sin dalla metà del secolo XI ed ebbe, in tutto, 31 Vescovi, a cominciare da Innacio, (che, nel 1071, fu alla consacrazione della Chiesa di Monte Cassino), sino a Pietro II Mancini, che fu l’ultimo. L’Ughelli, invece, dice che il primo Vescovo di Minervino fu un tal Bisanzio. Ma, però, il suo annotatore (Lucenzio) dice che Bisanzio fu Vescovo di Lavello, e non di Minervino. La mensa vescovile, al dire del Moroni (Dizionario), consisteva in annui scudi 600, con 40 fiorini di tassa ad ogni nuovo Vescovo. Minervino ha dato alla Chiesa il Papa Innocenzo XII, ed al sacro Collegio molti Cardinali, fra i quali Francesco Antonio Fini.
[22] Montemilone ha pure una origine antica, Di essa si ha notizie nel 1063 in un documento dell’archivio di Trani, pubblicato dal Prologo (pag. 56), laddove si parla di alcune pertinenze dell’Arcivescovo di Trani, fra le quali comparisce anche Montemilone (Montem Milonem).
[23] Canosa (Canousium); città, memoranda della Magna Grecia, da taluni messa nella Puglia Peucezia, da altri nella Daunia. Strabone dice, che la Puglia Daunia, confinando con la Peucezia al di là, terminava con l’Ofanto; laonde l’opinione più accreditata è che Canosa appartenga alla Puglia Peucezia, di cui era villaggio Canne, famosa per la guerra punica di Annibale contro i Romani. La fondazione di Canosa par che fosse più antica di Roma. Strabone e Plinio la fanno rimontare a Diomede, ciò che conferma Orazio nel verso 92 della satira 5. Quis locus (Canusium) a forti Diomede est conditus olim. La sua antica estensione era immensa; il suo perimetro, secondo Polibio, abbracciava 16 miglia italiane, estendendosi il suo territorio dalla Peucezia alla Daunia. A causa delle continue guerre fra Greci e Romani, Canosa, per aver voluto restar sempre fedele alla Repubblica Romana, subì gravi calamità, ad onta che Annibale l’avesse più volte incitata a seguire la sua parte (Tito Livio, libro 27). Canosa restò quasi intieramente distrutta al tempo delle guerre fra Greci, Longobardi e Saraceni. La Chiesa di Canosa nel settimo secolo, fu affidata all’Arcivescovo di Bari. Nel medio evo fu ricostruita la presente città di Canosa, assai più modesta dell’antica. Il suo duomo fu edificato sulle rovine di un antico tempio pagano. Papa Pasquale II (1089-1118) ritornò la Chiesa Canosina all’antico splendore, nominando un Vicario Capitolare, col titolo di Preposto, rivestito delle onoreficenze di Prelato inferiore, sotto la dipendenza dell’Arcivescovo di Bari. In questo frattempo avvenne l’invenzione delle ossa di S. Sabino, I. Vescovo di Canosa, il quale occupò quella sede dal 514 al 559. Questa invenzione dal Baronio è riportata sotto l’anno 1091. I Bollandisti ne fanno ancora menzione. L’Ughelli dice, che il corpo di S. Sabino, nascosto dall’Arcivescovo di Bari, Angelario (che governò anche la sede di Canosa dal 855 sino all’876), era rimasto celato per circa 240 anni (Hist. Transl, S. Sabini. Italia sacra; Tom. VII, de Archiep. Barens.)

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Al Lombardi successe, a dì 20 Aprile 1822, Mons. Giambattista Bolognese, già Canonico della Cattedrale di Chieti, sua patria, e Vescovo di Termoli. Versatissimo nell’uno e l’altro dritto, non che nelle filosofiche e teologiche discipline, il Bolognese curò molto gli studii dei giovani Chierici, a vantaggio dei quali ampliò anche le fabbriche dell’antico Seminario, adiacente al Palazzo Vescovile.
Fin dal primo suo giungere in Andria Mons. Bolognese ebbe gran pensiero della cura delle anime, allora residente presso il Capitolo della Cattedrale, avente a coadiutrice la Collegiata di S. Nicola. Perciò, a troncare i secolari litigi fra questi due Capitoli, nel 1823, nella sua relazione ad sacra limina, proponeva alla S. Sede (Papa Pio VII) di fare la divisione dell’antica parrocchialità, in tre determinati circondarii, costituendo tre Curati, secondo le forme canoniche, il primo nella Chiesa Cattedrale, il secondo nella Collegiata di S. Nicola, il terzo nella Collegiata della SS. Annunziata, esercitando, i tre sopradetti Curati, la cura delle anime sotto l’unica dipendenza dell’Ordinario. Quanto poi alla Congrua, dovuta ai tre Curati, Egli proponeva alla S. Sede, che fosse assegnata dalla massa comune corale dei tre rispetti Capitoli, secondo le norme proposte nell’ultimo Concordato del 1818 [24].
Ad attuare più facilmente poi il suo progetto, Mons. Bolognese ne informava anche il Regio Ministro degli affari ecclesiastici di Napoli, al quale esponeva alquanti dubbi sull’attuazione. Il Ministro, rimettendo la detta informazione alla Commissione dei Vescovi, presieduta dal Nunzio Apostolico di Napoli, ed udito il suo parere, con lettera del 18 dicembre 1824, ne dava quindi la sua approvazione, invitando il Vescovo Bolognese di venire presto alla divisione dei tre circandarii, ed affiggere gli editti pel concorso, onde istallare canonicamente i nuovi Curati [25].
A questa deliberazione i tre Capitoli produssero ricorso al Re [26], perché non andasse ad effetto il progetto del Vescovo Bolognese.
Ma la Real Consulta, dopo d’aver esaminata diligentemente ogni cosa, in data 23 luglio 1827, rassegnava al Re la seguente deliberazione:
  • «1.) La Commissione della Consulta, d’accordo con quella dei Vescovi, riconosce nella Cattedrale di Andria la qualità di unica Parrocchiale di tutta la città e suo territorio;
  • 2.) La stessa Commissione … ha per vero e per giusto, che la qualità di unica parrocchiale si debba considerare nella Cattedrale come un titolo di reale esercizio, e se le debba conservare la qualità di Matrice
  • 3.) Opina similmente la Commissione della Consulta, d’accordo con quella dei Vescovi, che abolendosi la promiscuità della cura, e dandosi luogo alla divisione effettiva del territorio quoad exercitium, come fu giudicato dalla S. Congregazione del Concilio, si facciano dell’antica diocesi di Andria tre Ottine [o Quartieri], come l’attuale Vescovo ha proposto, costituendovisi tre Curati, secondo le forme canoniche, la prima da curarsi dal Capitolo Cattedrale per mezzo di un Arciprete Curato, la seconda dalla Chiesa già Curata di S. Nicola, la terza dalla Chiesa ora non Curata dell’Annunziata …
  • 4.) Opina la stessa Commissione che la destinazione dei Curati si debba fare canonicamente, previi Editti pel concorso;
  • 5.) Finalmente è di avviso la Commissione della Consulta, che convenga ordinarsi la sollecita esecuzione della proposta Divisione di territorio nelle tre indicate Chiese.»
«Firmati: Principe di Cardito, Presidente; Monsignor Rosini, vice Presidente; Belvedere, Canofari, Colajanni, Criteni; il Segretario Bisogni» [27].
Però, ad onta delle insistenze della Commissione dei Vescovi e del Nunzio Apostolico; ad onta della deliberazione della Reale Consulta, la proposta del Vescovo Bolognese non sortì il suo effetto, a causa dei ricorsi, avanzati alla S. Sede ed al Re, direttamente dal Capitolo Cattedrale, il quale, avendo ottenuto dalla S. Congregazione del Concilio, sin dal 10 febbraio 1759, un Rescritto, esecutoriato, con regio beneplacito del 29 ottobre 1765, nel quale la Chiesa Cattedrale veniva solennemente dichiarata l’UNICA PARROCCHIALE di tutta la città e territorio, non poteva perciò consentire che fosse spogliata di tal diritto e privilegio acquisito. Per cui il Vescovo Bolognese, per non dispiacere al Capitolo, ne smise ogni pensiero, vigilando, invece, sull’esatto adem-pimento dei doveri parrocchiali, esercitati esclusivamente dal Capitolo Cattedrale.
Gran premura ebbe pure il Vescovo Bolognese per l’applicazione del Concordato, che, a causa della cronica infermità del predecessore Vescovo Lombardi, non aveva avuta la sua applicazione nel nostro Capitolo, il quale continuava ancora coi vecchi sistemi di anzianità, nelle promozioni ai canonicati. Volle quindi, che i canonicati della Cattedrale si conferissero di libera collazione della S. Sede e del Vescovo, secondo i rispettivi mesi dell’anno, e che i Canonicati delle Collegiate, ed i Mansionariati della Cattedrale e delle medesime Collegiate, si provvedessero a norma del Breve Impensa, cioè per concorso.
NOTE   
[24] Le norme proposte nel Concordato, per riguardo alla Congrua parrocchiale, sono le seguenti, segnate sotto l’articolo VII. Le Parrocchie, le quali non hanno una sufficiente congrua, avranno un supplemento di dote in tale proporzione che le cure al di sotto di duemila anime, non abbiano meno di ducati cento annui; quelle al disotto di cinquemila anime, ducati centocinquanta; le altre finalmente di cinquemila anime in sopra, non meno di ducati dugento annui.
Sarà a carico dei rispetti comuni il mantenimento della Chiesa parrocchiale, e del sottoparroco, qualora non vi sieno rendite addette a questo fine, e per la sicurezza se ne assegneranno i fondi. o tassa privilegiata nel pagamento.
[25] Archivio Capitolare.
[26] Era Re di Napoli Francesco I, succeduto a Ferdinando I, morto improvvisamente il 3 gennaio 1825.
[27] Archivio Capitolare: COMMISSIONE DI GIUSTIZIA ED ECCLESIASTICA. Sessione del 35 luglio 1827. Verbale N. 137, Spedito 10 agosto 1827, N. 468.

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Mons. Bolognese fu molto caritatevole verso i poveri, pei quali impiegava gran parte delle sue rendite.
A tutte sue spese fe’ costruire la bellissima balaustra di fino marmo, che divide il Presbiterio dal resto della Chiesa Cattedrale. Fe pure trasferire l’altare del SS. Sacramento, dall’antica cappella [28] in quella del Crocifisso (sotto l’organo), e, poscia nell’attuale cappella.
Il Vescovo Bolognese fece dono al Capitolo di un prezioso calice d’argento dorato, di varii arredi sacri, di un pastorale, tutto di argento, e di altro. Lasciò alla Statua di S. Riccardo il suo prezioso anello vescovile, e Ducati 300 ai poveri della città.
Mons. Bolognese morì il dì 13 Settembre del 1830, compianto da tutti, dopo otto anni di savio governo dalla Diocesi, ed ottantaquattro di vita. La sua salma fu tumulata nella Cattedrale, di fronte alla Cappella del Sacramento, dal medesimo destinata a quell’uso, e dove i suoi amati nepoti fecero erigere un tumulo marmoreo, su cui è scolpita, a rilievo, l’effigie dell’ottimo Vescovo, portante la seguente iscrizione, dettata dal valoroso Sacerdote D. Gaetano Ruggiano di Napoli.

Ioanni Baptistæ Bolognesio
Ioanni Haverii Patritii Teatini F.
Religione Iustitia Morum Suavitate
Et Prolixa In Pauperes Beneficentia
Spectatissimo
Qui Divini Humanique Iuris Consutissimus
Thermularum Primum Autistes Renunciatus
Inde Ad Andriensem Translatus Ecclesiam
Fidem Constatiam Prudentiam
Et Admirabilem Tam In Adversis
Quam In Secundis Rebus
Animi Æquabilitatem
Omnibus Cumulatissime Comprobovit
Evangelicæ Virtutis Cultoribus
Exemplar Factus Ad Imitandum
Vixit Annos LXXXIV, M. II. D. IX
In Episcopali Sacerdotio An. P. M. XII
Obiit Idibus Septembris An. MDCCCXXX.
In Pace
Viro Incomparabili
Patruo Benemerentissimo
Haverius Et Joseph Bolognesii
Fl. M. PP. [29]

Alla morte del Vescovo Bolognese, venne eletto Vicario Capitolare il Canonico D. Felice Regano, che fu poi Arcivescovo di Catania.
Durante il Vicariato di Regano, il palazzo vescovile ebbe l’onore di alloggiare il Re Ferdinando II, giunto in Andria alle ore 24 del dì 6 Maggio 1831 (anno primo di suo governo) per un giro nel Regno, essendo succeduto al padre Francesco I.
NOTE   
[28] L’antica cappella del Santissimo era sita sul Presbiterio, e, propriamente, in quella adibita, ora, per la S. Spina.
[29] Uno dei nepoti di Mons. Bolognese, attratto dalla dolcezza della dimora in Andria, stabilì quivi sua residenza, sposando una gentile signorina di Casa Ceci; per cui oggi la famiglia Bolognese appartiene ad Andria, imparentatasi con la nobile famiglia Ceci.

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Erano componenti il Capitolo della Cattedrale, in questo torno di tempo (1790 - 183o) i seguenti Canonici e Partecipanti:
Arcidiacono: Michele Marchio, cui successe, il 13 Marzo 1800, Giuseppe Ceci, ed a questi, D. Lorenzo Marchio, nel 1819.
Arciprete: D. Giuseppe Ceci, cui successe, nel 1800, D. Paolo Colavecchia; indi nel 1801, D. Michele Marziani, cui successe, nel 1812, D. Nicola Abbasciano; e nel 1828, D. Riccardo Santacroce.
Cantore: D. Riccardo Tomaso Mila, cui successe, nel 1795, D. Paolo Colavecchia; indi D. Michele Marziani, cui successe, nel 1801, D. Vincenzo Vespa Martinez [30], al quale successe, nel 1828, D. Domenico Friuli.
Primicerio: D. Paolo Colavecchia, cui successe, nel 1795, D. Giuseppe Brudaglio, al quale successe nel 1828, D. Domenico Friuli; e, nel 1828 D. Michele Cocco.
Priore: D. Antonio Conoscitore, cui successe nel 1795, D. Riccardo Accetta; indi, nel 18o6, D. Paolo Mita, cui successe, nel 1830, D. Giuseppe lannuzzi.
Teologo: D. Giuseppe Raimondi, cui successe D. Riccardo Ieva, indi D. Antonio Regano.
Penitenziere: D. Giuseppe Laborea, cui successe D. Mariano Cocco.
Canonici e Chierici partecipanti:
Riccardo Montanaro, Giuseppe Giordano, Raffaele Marchese. Filippo Antolini, Fabrizio Mita, Riccardo Cristiano, Tommaso Scoccia, Riccardo Mininni, Giuseppe Ajello, Domenico Losito, Saverio Calvi, Felice Regano, Francesco Conti, Francesco Abbasciano. Sav. Bevilacqua, Dom. Friuli, Franc. Paolo Ieva, Michele Inghingolo, Gius. Antonio Martignano, Fel. Sinisi, Domenico Matera, Vito Antonio Infante, Raffaele Tucci, Franc. Saverio Liso, Ricc. Brudaglio, Giuseppe Riccardo Pastina, Leopoldo Cotreman, Franc. Paolo Paradies, Savino Ieva, Giov. Porro, Savino Ieva, Giuseppe Porro, Nicola Camaggio, Ricc. Tucci, Leonardo Samele, Ricc. Bisceglie, Sav. Calvi, Giuseppe Leonetti, Nic. Antolini, Giuseppe Camaggio, Vincenzo Porro, Michele Marchio [31], Franc. Paolo Giordano, Sav. Montanaro, Nic. Tom. Mininni, Nicola Campanile, Lorenzo Troia, Giov. Pastina. Nicola Avolio, Ettore Colelli, Riccardo Acquaviva, Michele Ieva, Nicola Antonio Brudaglio, Ricc. Montaruli, Francesco Latina, Raff. Tucci, Domenico Frascolla, Franc. Sav. Santacroce, Rocco Grimaldi, Vito Barletta, Giuseppe Iannuzzi (nipote del Priore, che fu poscia Vescovo di Lucera), Rocco Avolio, Vincenzo Borsello, Antonio Guantario, Domenico Del Giudice, Felice Suriano, Paolo Sgaramella, Giuseppe Zotti, Riccardo D’Urso (autore della Storia di Andria), Partemio Accetta, Giuseppe Troja, Francesco Zinni, Giuseppe Pastina, Nicola Fortunato, Fabio Troja, Nicola Porro.
NOTE   
[30] Cantore Martinez apparteneva a nobile famiglia andriese, oggi estinta. Detto Cantore morì nel 1828, facendo erede di tutti i suoi beni il Capitolo Cattedrale.
[31] Nipote del valoroso Arcidiacono Michele Marchio Per riguardo al defunto zio, questo Michele fu ammesso al Canonicato, vivente il fratello Canonico D. Lorenzo: mentre, per consuetudine, non potevano essere contemporaneamente, Canonici della medesima Chiesa, due fratelli.

[tratto da “Il Capitolo Cattedrale di Andria e i suoi tempi” di M. Agresti, tipi Rosignoli, Andria, 1912, Vol.I, cap.XVI, pagg.373-392]