il presbiterio

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il presbiterio    altare maggiore
[il presbiterio il 4/2024, foto di Sabino Di Tommaso - l'altare maggiore con lo stmma della Confraternita nel 2013, foto di Michele Monterisi

Il presbiterio

Al termine della navata due gradini introducono al presbiterio ad impianto semiellittico sormontato da una semicupola nel cui centro c'è un accenno di lanterna cieca.

Due porte laterali immettono in ambienti di servizio; da quella di destra, attraversata la sacrestia, è possibile recarsi nella retrostante via Orsini, scendendo una ripida e stretta scalinata.

Quattro gradini permettono di accedere alla mensa eucaristica in pietra locale, retta da due busti d'angelo terminanti con una voluta.
Questo altare, realizzato nel 1753, reca scolpito nel paliotto lo stemma della Confraternita intitolata al Nome di Gesù, detta poi nell'Ottocento del Pio Monte di Gesù "Nel 1699 [la Confraternita] costruisce il palliotto allo stesso Altare; e dopo cinquantaquattro anni, cioè nel 1753 fa nuovo tutto l’altare medesimo.", ed anche "la Congrega conserva il suo stemma in molte parti della Chiesa, e specialmente sul palliotto dell’Altare maggiore costruito nel 1753." si legge in due documenti, citati in nota, dell'8 gennaio 1855 e del 20 novembre 1856.
Nel 1854 poi l'altare fu demolito "Il dì due Marzo volgente anno [1854], i Confratelli del Monte del Gesù, stabiliti col loro Oratorio nella Chiesa di Porta Santa, di dritto patronato di questo Comune, demolirono l’Altare Maggiore della Chiesa istessa, coll’intendimento, come i medesimi dissero, di ricostruirlo di altra forma", si legge in un documento, anch'esso citato in nota, del 5 novembre 1854.
Nel giugno del 1855 l'altare fu ricostruito con una spesa di 111 ducati e 93 grana "nell’anno ... 1855 i Confratelli a proprie spese avevano ricostruito il novello Altare Maggiore, supplendo alla spesa per ducati 111:93 dalla Cassa della Congrega, come dalla Ministeriale del 23 Giugno 1855" si legge nel suddetto documento del 20 novembre 1856. [1].

Il dossale dell'altare non ha ornamenti; vi è ricavata una nicchia che attualmente (2015) non ospita alcuna statua.

Dal tempo del Concilio Ecumenico Vaticano II al centro del presbiterio è stata innalzata un'altra mensa eucaristica rispondente ai nuovi canoni liturgici.

Per alcune notizie storiche si trascrive quanto scrive il Borsella.

"Nell'altare maggiore spiccano tre quadri con cornici dorate.
La immagine di mezzo riposta in nicchia con cristallo è la Vergine della Pietà, o della Misericordia col bambino al seno, di greco pennello, come mostrano, le tuniche accollate, con ricami in punta, colore scarlatto, e diademi screziati d'oro.
Il dipinto alla vaghezza delle forme unisce la perfezione del disegno, e del pennello che li ritrasse. ...
Il quadro a dritta è l'Annunziata modestamente genuflessa ad uno sgabello, meditando la Bibbia fra le mani.
Quello a sinistra è il Paraninfo [angelo] col giglio alla destra, in atto di annunziarle l'ave redentore delle genti.  ...
In cima dell'altare lo spirito fecondatore in un tondo. "

[tratto da "Porta Santa" in "Andria Sacra" di G. Borsella, Tip. Rossignoli, Andria, 1918, pag.216]

dittico dell'Annunciazione, ora in Cattedrale       cornice-trittico di un organo
[Il dittico dell'Annunciazione (foto Soprintendenza) ora in Cattedrale - lo stemma della Congrega sull'arco del presbiterio - la mostra dell'organo nella cantoria]

Attualmente una cornice somigliante ad un trittico è posto sul muro retrostante il coro (sulla porta d'ingresso) e certamente era la facciata di un  organo; i quadri, di cui parla il Borsella, non ornano più la Chiesa.

Il dittico dell'Annunziata attualmente orna il portale di accesso alla sacrestia nel presbiterio della Cattedrale; come scrive il Borsella un tempo era ai lati dell'altare maggiore della Chiesa di Santa Maria di Porta Santa. I due pannelli sono delle pitture ad olio su tela e misurano cm 172 x 57,8; la Soprintendenza nella sua scheda data il dittico tra il 1590 ed il 1610 (scheda compilata nel 1992 da Ruggiero F., funzionario responsabile Lorusso R.).

Quasi certamente il quadro dell'Annunziata fu voluto dall'arciconfraternita che gestì la chiesa dall'inizio, con impegno incostante, sino al 1634.  Scrive il D'Urso:

"Affinché nel tratto successivo non vi fosse mancata un'assistenza ed un culto, tutt'i primi del luogo distinti per nobiltà corsero a gara a dare i loro nomi; quivi istituendo la Confraternita di S. Maria della Nunziata. ... Essendovi poi nati de' forti disturbi per alcune scortesie ... il Vescovo d'allora Matteo II. ... interdisse le funzioni in quella chiesa ...ordinò, che de' due altari nel mezzo della Chiesa se ne fosse formato uno solo sotto altro titolo. ...
Finalmente nel 1532. essendo venuti a predicare in Andria i RR. PP. Gesuiti Mario Morselli, e Fulvio Butrio, ne promossero l'apertura della dimessa Congrega con gli stessi privilegi, e condizioni di prima, sotto il titolo della santissima Vergine dell'Annunziata, e del Gesù. Quest'Arciconfraternita porta  per primario istituto, che tutti gl'individui a lei appartenenti deggiono prendersi dal Ceto nobile, ed in supplemento dal Civile ... tra gli altri privilegi avvi quello dell'assistenza ai condannati al patibolo, coll'obbligo che i medesimi vestiti di sacco bianco deggiono, dopo l'esecuzione della giustizia, condurre processionalmente il Mortorio per la tumulazione nella loro Chiesa. Le rendite sono pingui, e devolute per legge di fondazione al pubblico sovvenimento de' poveri, e specialmente infermi, non esclusi alcuni determinati annuali maritaggi a favore delle vergini bisognose, etc."

[da "Storia della Città di Andria" di R. D'Urso, Tip. Varana, Napoli, 1842, libro IV, Cap. XI, pagg.77-79]

Fu sul finire del 1568 che nella chiesa di Porta Santa fu istituita la Confraternita del Gesù. Scrive Giuseppe Ceci nel sotto citato testo:
"Si componeva questa [Confraternita] di cittadini andriesi appartenenti al primo e secondo ceto, nobili cioè e civili, nel numero determinato di quarantadue, dei quali non più di sette sacerdoti. Dovevano i confratelli avere almeno 25 anni ed essere «nella vita morigerati et cattolici, talché non conviene, che nella fratellanza ci siano giocatori, concubinarii e biastematori, perché a chi appartiene di esser vero esemplare di bene operare, non conviene che sia manifesto scandalo alla gente» ...
Vi era pure un correttore «sacerdote degno di reverentia, dotto, costumato, et prudente» il quale «habbia non solo a corriger et reprender li vitii et errori della compagnia, ma ammonirne et insegnarne la via che ne conduce al segno ove tutte l’opre dei fratelli si devon drizzare.» Il quale segno era duplice: l’adempimento in comune dei doveri religiosi e la carità verso il prossimo. Doveva questa esercitarsi più specialmente in beneficare i poveri, gl’infermi, i carcerati e i condannati all’estremo supplizio. ... Lo statuto prescriveva, che al Priore spettava nominare due fratelli idonei a tale ufficio, i quali, vestiti col camice bianco e accompagnati processionalmente dagli altri fratelli, dovevano condursi alla prigione. Là passavano la notte in compagnia del condannato per rendergli i conforti opportuni ed esortarlo alla rassegnazione. Il giorno seguente tutta la Confraternita si recava di nuovo alla prigione, per accompagnare il condannato, cantando a voce bassa il miserere, fino al lungo del supplizio. Ivi uno dei due fratelli destinati a confortare il condannato saliva sul patibolo con lui, gli faceva baciare il crocefisso e gli suggeriva le orazioni, mentre gli altri fratelli, inginocchiati all’intorno, cantavano i salmi. Compiuta la giustizia, si raccoglievano elemosine, parte delle quali si spendevano in messe per l’anima del giustiziato, e parte si distribuivano ai poveri. Caduta poi la sera, col consenso del magistrato della città e del Capitolo della Cattedrale, al quale era affidata la cura parrocchiale, i confratelli andavano a raccogliere il cadavere per seppellirlo in una fossa scavata nella chiesa di Portasanta
"
Il Ceci riporta anche l'articolo dello Statuto della Congrega, nel quale si parla diffusamente dell'assistenza al Condannato a morte.

[da " Le Istituzioni di Beneficenza della Città di Andria", di G. Ceci, estratto da “RASSEGNA PUGLIESE di Scienze, Lettere ed Arti”, ed. V. Vecchi, vol. VIII, 1891]

La Confraternita per i propri fratelli aveva nel presbiterio un suo sepolcreto chiuso con la seguente lapide, rifatta nel 1803:

QUOD
CALIGINOSUM AC DETURPATUM
TOT JAM LABENTIBUS ANNIS
MEMORANDÆ POSTERITATI
REVIVIXIT SPLENDIDISSIME
RESTAURATUM EXORNATUMQUE
AERE SUO
ARCHI-SODALITII HUJUS
SANCTISSIMO NOMINE JESU
DICATI
SACRARIUM VETUSTISSIMUM
ANNO MDCCCIII
NUNC ADMINISTRATORUM
REL1GIO PIETAS THEMIS
QUIETEM IMMUTABILEM
DEO MISERANTE
EXPECTANT


Affreschi Scoperti il 2 marzo 1854

Tra la fine di febbraio e il 2 marzo 1854 la Confraternita del Nome di Gesù rimuove l’altare maggiore per restaurarlo liberandolo degli stucchi; scopre nella parete dietro di esso un arco e diversi dipinti, così come racconta nel documento sotto citato.

“Era l’altare collocato in mezzo alle due colonne di pietra, che quivi tutt’ora si veggono; e con il suo dorso poggiava al muro del Sacro Tempio. Fattane la demolizione si scorse che il muro dietro posto non era di pietra siccome tutto il sacro edificio, ma di tufi neppure ben connessi tra loro, d’onde si rinnovellò nella mente degli astanti Confratelli la vetusta tradizione, che di sotto si nascondessero davvero memorie antiche. Fu consiglio di ciascuno che si rimuovesse quella parete, e si esplorasse là fin dove ne giungesse. E dopo un doppio ordine di tufi, si discovrì l’arco di pietra che or vedesi sull’altare maggiore, somigliante all’arco dei due altarini [laterali].

Il fondo dell’arco, o sia la parete che lo chiude, offriva vari dipinti ad acquerella, di spregevole pennello, rappresentanti varie sacre effigie, siccome qui appresso è detto.

Alla sommità eravi l’Eterno Padre cinto di aureola triangolare, dorata a secco, ed in atteggiamento stranamente concepito, da dare l’idea della fecondazione di una chioccia, come se con ciò si volesse indicare l’atto solenne della creazione. Seguiva di sotto una schiera di serafini, la quale pareva che sovrastasse a foggia di corona ad altro sacro dipinto; ma quivi invece la parete era scontinuata, e per sorregerla eravi a puntello un muro di tufi a secco; e rimossi alquanti di questi, si vide uno sfondato scavato a forza nella pienezza della parete del Tempio, il quale aveva l’altezza di palmi sei [cm 160~], la larghezza di quattro [cm 105~], e la profondità di circa tre palmi [cm 80~].

Ai lati del sovradetto sfondato eranvi due altre sacre immagini, una rappresentante San Pietro, post’a destra, e l’altra San Riccardo a sinistra; le quali perché di forme colossali ed intere giungevano con i loro piedi sino al pavimento della Chiesa. Quello era vestito di abiti da Apostolo; questo di piviale con mitra e pastorale, tenente le prime tre dita della mano destra in estensione, e le altre due flesse, e sulla mano sinistra la Città, e per il resto offrivasi nella stessa guisa come tutt’ora si rappresenta quella santa immagine nei dipinti e nelle litografie.

Su i muri dell’arco, una per ciascun lato, a livello delle due immagini testé menzionate, eranvi altre due effigie, che rappresentavano due Sante Vergini.

… vedendo che con la demolizione di tutto il muro che serviva di chiusura all’arco sopra esposto, sotto l’enunciato sfondato, davasi adito dall’esterno nell’interno della Chiesa, per un vuoto giacente sotto la così detta scarpa degli antichi muraglioni della Città, che rivestiva inferiormente il muro esterno del Tempio, guardante mezzogiorno, d’onde potevasi dare agio a furti, reputarono savio consiglio di sospendere i lavori” (2)

Dell’arco e di tali dipinti allora (il 1854) non se ne aveva memoria e di essi non c’era traccia nei documenti; inoltre non ne parlano neppure gli storici locali, sia precedenti che del tempo. Ciò fa supporre che facessero parte dell’antica chiesa di Santa Maria di Porta Santa, soppiantata dalla nuova nel Cinquecento, e “oscurati” da strutture murarie davanti e su di essa erette (come accaduto col Pantocratore in S. Angelo de’ Meli).

La parete di fondo dello sfondato corrispondeva con la controfacciata degli antichi muraglioni e l’insieme dei dipinti rinvenuti fanno ipotizzare che ivi (da essi ornata in ossequio alla tradizione che vedeva S. Pietro e S. Riccardo entrare in Città per questa Santa Porta) era affrescata la Madonna della Grazia, Eleousa Galaktotrophusa, asportata e collocata sul 1° altare di sinistra nella costruzione della Chiesa Cinquecentesca col nuovo nome di S. Maria della neve. Dubito, ahimè, che tali affreschi esistano ancora, “oscurati” dalle attuali strutture murarie, in quanto si intendeva eliminarli già allora!

Il seguente disegno intende riprodurre simbolicamente quanto scoperto quel 2 marzo 1854.

disegno riproducente simbolicamente quanto scoperto quel 2 marzo 1854    disegno riproducente simbolicamente quanto scoperto quel 2 marzo 1854
[disegno riproducente simbolicamente quanto scoperto quel 2 marzo 1854 - stralcio del documento manoscritto]


NOTE

[1] CFR. "Conclusione della Università di Andria sul preteso diritto di patronato della Chiesa di Porta Santa" e "Avviso del Consiglio degli Ospizii di Bari Sul Patronato della Chiesa di Porta Santa a favore del Pio Monte di Gesù" in "Atti della causa di Patronato Della Chiesa di Santa Maria di Porta Santa ...", Volume 1.° N° d’ordine 10. Andria 1857, ff. 33r; 51v; 102r; 104r."

[2] CFR. " Cenno storico Dei fatti che furono cagione Della causa del Patronato della Chiesa di Porta Santa ...", in "Atti della causa di Patronato Della Chiesa di Santa Maria di Porta Santa ...", Volume 1.° N° d’ordine 10. Andria 1857, ff. 05r e seg.