di mons. Emanuele Merra
Il 26 febbraio 1266 l’esercito di re Manfredi era fatalmente sconfitto presso il ponte di Benevento dai soldati di Carlo I d’Angiò,
e lui stesso, cacciatosi disperatamente tra le spade nemiche, cadeva crivellato di ferite, finché restò sepolto sotto un mucchio d’uccisi!
Fu allora che la contea di Andria e Castel del Monte passarono sotto il dominio degli Angioini.
Se non che la Puglia, afflitta e travagliata da Guglielmo Landa da Parigi, che la governava, come seppe della venuta di Corradino, si ribellò.
I primi a prendere le armi furono i Saraceni di Lucera, indi Andria, Potenza, Matera,
Venosa e tutte le altre terre, che non avevano castelli con presidio di Francesi
(1).
Questa ribellione crebbe dopo il 24 luglio 1268 quando Carlo si partì da Foggia per andare incontro a Corradino;
poiché allora si ribellarono pure Canosa, Minervino il Guaragnone, Corato, Ruvo, Lecce e Lavello
(2).
Intanto ai 15 giugno del 1268 Francesco Di Loffredo, giustiziere di Terra di Bari e di Otranto,
mentre veniva a ritirarsi in Andria, seppe per via che questa città si era ribellata a re Carlo d’Angiò,
ed aveva innalzata la bandiera di Corradino di Svevia, che con diecimila combattenti era già disceso in Italia,
ed invadeva il reame. Poco dopo, essendosi il giustiziere incontrato col capitano di Andria, Boffilo Caracciolo,
il quale fuggiva innanzi agli insorti Andriesi, che dalla loro città l’avevano cacciato,
ricoverò nel Castello del Monte in compagnia di Matteo Spinelli da Giovinazzo, l’autore dei Diurnali, e con quindici cavalli.
In questa rocca non vi era allora provvisione se non per quattro compagnie, e niente pei cavalli;
e poiché i massari avevano sparse le biade per le aje, essi dovettero dormire sulla nuda terra.
Il giorno di Santa Maria delle Grazie il conte di Tricarico, che parteggiava per Corradino,
volendo assalire il Loffredo in Castel del Monte, gl’intimò la resa per mezzo d’un trombetto;
ma quegli rispose: Va, e dì al conte, che meglio sarebbe per lui se della bandiera di Corradino
se ne servisse per gualdrappa dei cavalli, ed invece alzasse la bandiera di re Carlo, legittimo e vero re,
ed approvato dalla Santa Madre Chiesa. Nel medesimo giorno alle ore quattro di notte
venne al castello Pietro delle Trotteglie, e loro fece sapere come Falconetto Cotugno di Napoli
e gli altri capitani dell’esercito di Carlo, i quali già erano entrati in Bitonto, fossero in grandi discordie tra loro.
Per cui la notte seguente, nel primo sonno, Di Loffredo mandò a Bitonto Marco Ferramonte, suo figliuolo primogenito, in unione di Paolo d’Aversa.
Ai 13 luglio ebbe lettere da Barletta, che Ruggiero di San Severino avea rotto Roberto di Pietro Palumbo, e gran numero di ribelli, ed aveva fatto molti prigionieri. Nel medesimo giorno tornò da Bitonto a Castel del Monte il figlio di Di Loffredo con centoquattordici cavalli e cinquecento pedoni, quasi tutti alabardieri, ed ai 6 di agosto Di Loffredo uscì dal castello per portarsi ad affrontare il conte di Tricarico, che stava alla Lionessa. Ma glielo vietarono i sindaci di Andria, i quali avendo dato a Boffilo Caracciolo tutta la colpa della insurrezione della loro città, lo pregarono di venire in Andria, ove giunto la sera, riacquistò la città, che di bel nuovo fece sventolare dagli spalti del suo castello la bandiera degli Angioini (3).
[Tratto da: Emanuele Merra, "Castel del Monte - presso Andria", 3ª edizione, Scuola Tip. Istituto Apicella per Sordomuti, Molfetta, 1964, pp. 47-50.]
NOTE - (Nell'originale la numerazione è di pagina e non progressiva dell'intero capitolo)
(1) Capecelatro, Storia del regno di Napoli, lib. VIII. pag. 324. Napoli, Borel e Bompard, 1840.
(2)
«Karolus etc. Majestati nostre fuit humiliter supplicatum. quod cun occasione. turbationis nuper preterite.
et rebellionis sarracenorun lucerie. et aliorum proditorum et terrarum vicinarum Baroli. ac Galearum Brundusii
que eodem tempore contra fidem nostri nominis permanebant. hominibus eiusdem terre Baroli,
et Cabellotis eisdem in devotione nostri culminis tempore existentibus fideliter et constanter damifìcati fuerint.
de capitali unciarum auri mille duecentarum. septuaginta. pro quibus Cabellam emerunt eamdem.
Cum a discessu nostro de Fogia. usque per totum mensem Augusti lndictionis eiusdem undecime,
fundici Baroli clausi fuerint sic quuod de cabella predieta nullos proventus percipere potuerunt.
cum mercatores ad terram ipsam occasione huiusmodi non venissent. nec homines et mercatores Baroli
de eadem terra exire potuerunt cum pro infortio et eius custodia eiusdem terre. in terra ipsa morari oporteret.
… f. v. p. m. quantenus eosdem olim cabellotos. de predictis uncis auri sexagiuta sex quas eis excomputari volumus,
ob causam predictam nullatenus molestetis. nec molestari aliquatenus faciatis. Quantitatem vero predictam a terris
Canusii. Mynerbini. Guaranioni. Caurati et Rubi. que eodem tempore a' fìde nostri nominis deviarunt,
per Justitiarium terre Bari fidelem nostrum ad opus nostre Curie exigi et recolligi pro parte nostre Curie
volumus et mandamus. Datum in obsidione Lucerie XXVIII. Madii XII. Indictionis». Reg. n . 4, 1269 B, fol. 167.
«Karolus, etc. Ex parte Roberti de Martano, militis nostri fidelis fuit expositum coram nobis
quod cum ipse preterite turbationis tempore pro fide et devotione erga maestatem nostram servanda
de civitate licii in qua proprium incolatum habebat que tunc a fìdelitate nostri culminis deviarat etc.
Datum in obsidione Lucerie VIII. Junii XII. Ind.». Detto Reg., fol. 89.
«Karolus etc. Ex parte Universitatis hominum Melfìe. nostris fìdelibus fuit expositum coram nobis
quod licet ipsi tamquam fideles et devoti. ac nostri zelatores honoris ante felicem victoriam nostram
in campo palentino de Conradino habitam muniti equis et armis ad terram
Lavelli, que tunc in rebellione manebat etc.
Datum in obsidione Lucerie XXX Junii XII. Ind.» Detto Reg., fol. 25. – Del Giudice, Cod. dipl., vol, II, pag. 176-77-78, nota l.
(3) Spinelli, I diurnali, pag. 57. Napoli, ediz. di Dura, 1872.