STABILIMENTO TIPOGRAFICO
Vicoletto Salita a’ Ventaglieri n. 14. – NAPOLI
1857
La disputa che dopo lungo volger di secoli è venuta eccitando il Comune di Andria per aspirare al Patronato della Chiesa denominata Santa Maria di Porta Santa, appartenente con ogni maniera di certezza alla Congrega del Monte di Gesù in quella collocata, ci appresterebbe amplissima materia storica e dottrinale per illustrare e porre in veduta i dritti incontrastabili della Congrega.
Se non che trovandosi dettata una lunga, ragionata ed elaborata memoria a sostegno del Patronato di essa Congrega, confortata da un dotto, coscienzioso e compiuto avviso renduto dal Consiglio degli Ospizi di Bari, ci siamo determinati per servire al debito del nostro ufficio di scrivere con studiata sobrietà, e senza far pompa di sovrabbondanti dottrine e di autorità canoniche, più che l’uopo nol richiegga, affinché questa nostra scrittura apprestasse agli alti lumi della Consulta a maniera di sunto, e come appendice alla memoria della Congrega ed allo avviso del Consiglio degli Ospizi, le ragioni principali, e la più lucida dimostrazione del Patronato in controversia a favore della Congrega.
Per la qual cosa dividiamo il nostro lavoro in cinque Capi, ne’ quali intenderemo partitamente a discorrere:
A chiunque sia versato nelle archeologiche discipline e nella scienza dell’architettura de’ monumenti per conoscerne l’epoca e l’antichità, riesce manifesto agevolmente, che la Chiesa di Porta Santa in Andria sia opera innalzata dalla pietà religiosa di nobili e potenti cittadini, volgendo l’epoca della sveva dinastia. Epperò con buon fondamento lo storico d’Urso lasciò scritto di essere stata fondata nell’anno 1265 (1), comprovandosi fra l’altro da quelle due teste in pietra, sono parole dello storico, che s’incontrano ne’ lati dell’ingresso della Chiesa, ossia ne’ brachettoni della porta maggiore. Le quali rappresentano Corrado e Manfredi, perché la Chiesa fu cominciata a fabbricare sotto Corrado, e terminata sotto Manfredi.
La quale autorità storica è confortata incontrastabilmente dalle prove di fatto. Chè l’architettura del tempio dall’una parte accenna all’epoca remotissima della sua edificazione, essendo tutto quanto di stile e di gusto normanno (2); e dall’altra i malmenati avanzi della vetusta pittura, discoverti non ha guari alle spalle dell’altare maggiore, rivelano senza dubbio que’ dipinti essere l’opera del decadimento della scuola greca, quando verso il 1300, o in quel torno di tempo, restò imbastardita dal gusto capriccioso e dalla nuova foggia dominante nel XII secolo.
Non manca la pruova scritturale per assicurare l’origine antichissima della Chiesa, bastando volger lo sguardo al testamento in atto pubblico di Francesco I del Balzo Duca d’Andria, che arreca l’epoca del 1420, nel quale si legge un legato del tenor seguente: Item lasso alla Chiesa di Santa Maria di Porta Santa once otto per una messa cantanda infra annum dal Spirituale Direttorio, et de passarse la complementatzione (3).
E che la Chiesa in vero esistesse all’epoca della Signoria di Casa del Balzo il rivela pure la Stella, ch’è lo stemma di quella famiglia, scolpita su pietra, e collocata sul muro sinistro della Chiesa a circa otto palmi sopra il frontone dell’altare di S. Giovanni di Dio.
Per le quali autentiche e vetuste prove risulta essere una verità storica evidentissima che la Chiesa di Porta Santa si trovasse edificata in epoca di gran lunga anteriore all’anno 1512, o 1521, o 1522, come che si voglia, epoche che si attribuiscono alla segnata Bolla di Monsignor Lupicino, di cui diremo in seguito. Perciocché lasciando anche da parte l’effigie de’ monarchi Svevi nella porta della Chiesa, e l’architettura normanna, e le pitture del decadimento della scuola greca, certo egli è da ritenere come un documento di prova invincibile il testamento enunciato del feudatario di Andria, Francesco del Balzo, e lo stemma allogato in pietra nella Chiesa.
E di vero, gli storici delle vicende del regno di Napoli ne assicurano, che la Signoria di Casa del Balzo su la città di Andria venne a mancare e cessò affatto verso l'anno 1487, nella cui epoca Pirro del Balzo restò morto con gli altri Baroni congiurati contro Alfonso d'Aragona (4). E per conseguenza lo stemma collocato nella Chiesa non può rapportarsi se non ad un’epoca anteriore all’anzidetto anno 1487, quando cioè la dominazione della famiglia del Balzo non erasi ancora spenta su la città di Andria; e perciò senza menoma dubbiezza la Chiesa di Porta Santa vuol essere riconosciuta come edificata ed esistente, se non in tempo di gran lunga remotissimo da sperdersi nella più lontana ed oscura antichità, almeno in tempo anteriore all’anno 1487; il che è bastevole a sostenere il nostro assunto, e confondere ogni scogitata pretesa del Comune sul Patronato della Chiesa.
Né potrebbe accettarsi che lo stemma fosse stato per avventura posto nella Chiesa da Federico d’Aragona Principe di Altamura e Duca di Andria, successore di Pirro del Balzo nel Ducato, a conforto della moglie Isabella del Balzo, figliuola del morto Pirro, ed a memoria del padre di lei. Sarebbe questa una illusione, priva affatto d’ogni buon fondamento; né le domestiche affezioni avrebbero consentito di porre nella Chiesa un documento storico che accennasse tuttavia ad una Signoria Baronale, che nel defunto Pirro del Balzo era mancata per fellonia.
E conceduta anche in ipotesi cotesta gratuita affermazione, neanche lo stemma sarebbe stato allogato nel 1512, od in qualche anno posteriore, in che si vuole edificata la Chiesa. Perciocché in cotesta epoca la città di Andria trovavasi sotto il dominio del gran Capitano Consalvo di Cordova, che possedevala in titolo di Ducato per dono di Ferdinando il Cattolico, e la cedeva nell’anno 1515 a titolo di dote alla figliuola, che andò a nozze con Aloisio Guevara di Cordova suo parente.
Per le quali cose niente si manifesta più certo ed incontrastabile, quanto il fatto che la Chiesa di Porta Santa fosse stata edificala in tempo della remota antichità; e con storica certezza poi in tempo anteriore all’anno 1487, sì che non poteva non trovarsi esistente e fondata nell’anno 1512, come si ritrae dall’apocrifa Bolla di Monsignor Lupicino.
Intorno poi alla origine della Congrega sistente in detta Chiesa sotto il titolo del Monte di Gesù, o del Santissimo nome di Gesù, e conosciuta in antico sotto il titolo della SS. Annunziata, e poscia sotto l’altro de’ Bianchi, si vuol notare, che abbiasi a reputare contemporanea al nascimento della Chiesa di Porta Santa, posta mente alla tradizione storica, che cotesta Chiesa fosse stata edificata su la Porta per la quale S. Riccardo, protettore di Andria, entrava nella città seguendo il Principe degli Apostoli. Il perché a mantenere la memoria di siffatto religioso avvenimento, e perché al novello tempio non mancasse il culto divino (5) siccome tutti i primi del paese distinti per nobiltà concorsero allo edificamento del tempio, come lasciò scritto lo storico d’Urso così questi medesimi vollero associarsi per fondare la Congregazione in essa Chiesa esistente, secondo è attestato dallo storico medesimo (6).
Che la Chiesa però fosse stata sempre nel pieno e pacifico possedimento della Congrega, che trovavasi eretta in essa fin da tempi lontanissimi, si ritrae incontrastabilmente dalle regole antiche della Corporazione, che vennero riformate nell'anno 1568, leggendosi cosi nel proemio:
Hebbe principio questa sancta opera sotto la religione de’ Bianchi col titolo di Iesus nella città di Andria; e si soggiugne indi a poco che la Congrega esisteva nell’Oratorio et Chiesa di Sancta Maria di Porta Sancta.
E nell’art. 14 delle Regole riformate sta scritto: Che si procuri per ciascuno la riconciliazione del suo fratello, che ciascuno di essi almeno tre volte l’anno debba confessarsi, e ricevere il santissimo Sacramento nell’ordinario della Pasca, o del Giovedì Santo, nel giorno della natività di Gesù benedetto, «e nella festa di Santa Maria di Porta Santa, Ecclesia deputata per nostro Oratorio».
E tralasciando di arrecare in mezzo altri argomenti ed altri titoli, comprovanti l’antica origine della Congrega nella Chiesa di Porta Santa, ci teniamo paghi di aggiungere alle regole riformate nell’anno 1568, e di menzionare soltanto il testamento di Francesco Romentizzi del 1571, ed una Bolla di Papa Gregorio XIII del 15 febbraio 1583. Da’ quali titoli appare, che istituendosi col testamento erede universale la Congregazione del SS. nome di Gesù importa che si trovasse in antico siffattamente fondata ed instituita da meritare le largizioni e la fiducia de’ fedeli; e dalla Bolla Pontificia poi si apprende la esistenza nella Chiesa di Santa Maria di Porta Santa di una Congrega, composta promiscuamente di sacerdoti e di laici, che dal Sommo Gerarca veniva arricchita di grazie spirituali e di plenarie indulgenze.
Dalle quali osservazioni consegue, che la Congrega sistente nella Chiesa di Porta Santa abbiasi a reputare di antichissima origine, niente dissimigliante dalla Chiesa medesima; che avesse avuto in detta Chiesa il suo nascimento, e che di essa, volgendo i secoli, fosse stato sempre nel pieno, pacifico ed esclusivo possedimento.
Il Patronato della Chiesa di Porta Santa, che oggidì per la prima volta dopo il decorrimento di secoli vien combattuto e negato alla Congrega del nome di Gesù, e si pretende in vece dal Comune di Andria e dal Priore della Cappella di S. Riccardo, quinta dignità del Capitolo Cattedrale, si fa da questi derivare e fondasi sopra un solo titolo, una pretesa Bolla cioè data da Monsignor Antonio Lupicino, che fu Vescovo di Bisceglie, del dì 8 di marzo 1521, malgrado cotesta epoca sia anche incerta, indicandosi con diversa lettura or del 1512, or del 1522. Per la qual cosa se per avventura cotesto titolo rimanesse affatto serbato, vien manco per conseguenza ogni preteso diritto del Comune e del Priore, ed il vagheggiato Patronato riesce non più né meno che un effimero desiderio ed un sogno d’infermo.
E tal’è davvero. Perciocché niente è più facile quanto il dimostrare e rischiarare, che la citata Bolla sia supposta ed apocrifa; e da siffatta dimostrazione vie meglio sorgerà incontrastabile il Patronato della Congrega, o meglio l’appartenenza a di lei favore della Chiesa di Porta Santa, rimasta finora indisputata, sì che uopo non sarebbe di versare in altre pruove ed in altre indagini, dopo rimosso ed infirmato l’unico titolo, a cui il Comune ha confidato il suo diritto ed ogni sua ragione.
Che la Bolla sia supposta ed apocrifa, siccome è stata ravvisata e ritenuta dal Consiglio degli Ospizi, si fa chiaro dall’analisi che si vuol portare alle sue parti ed al suo intero contesto.
Chiunque sia alquanto versato nella diplomatica, ed abbia avuto per mani l’erudita e profonda opera di Giovanni Clerk intorno all’arte ermeneutica, conosce di leggieri, che lasciando da parte tutti gli altri caratteri e tutti i segni, da’ quali si possa inferire l’autenticità, o la falsità di un titolo, o di una scrittura antica, voglion essere attentamente consultati e studiati i fatti raccontati e le epoche mentovate in siffatte scritture. Perciocché se i fatti e le epoche importano anacronismi e contraddizioni a’ fatti certi e indisputati della storia del tempo, cui il titolo o la scrittura si rapporta, non solo svanisce ogni fede ed ogni autenticità dell’atto in esame, ma vuol essere ritenuto siccome apertamente supposto ed apocrifo.
D’altra parte è pur notissimo a chiunque abbia studiato nelle vicende storiche de’ tempi, ed in Mabillon, in Dufresne, in Ughellio, in Muratori, ne’ Bollandisti, ed in tutti gli scrittori e raccoglitori di diplomatica e di memorie e di scritture antiche, che nei secoli di mezzo, e specialmente in fatto di Bolle Pontificie ed ecclesiastiche, sia stato fatto riprovevole abuso di foggiare Diplomi, e Bolle, e titoli, per guisa che debbe starsi moltissimo in guardia per accettare con piena fiducia e senza esitazione veruna le carte che si rapportano al medio evo, ed a’ tempi in cui per turpe mercato quasi invalse il costume di falsare ogni maniera di autenticità negli atti diplomatici.
Premesse queste verità, occorre dire che la pretesa Bolla è una specie di Decreto dato da Monsignor Antonio Lupicino: che essendo Vescovo di Bisceglia dicesi ad un tempo vicario Generale del Cardinale Fieschi, o de Flisco, com’è detto in latino, e che si asserisce Vescovo titolare di Andria. Contiene la concessione a favore della Università di Andria, richiedente, di voler costruire un tempio d’accanto alle mura della città, e propriamente nel luogo dove trovavasi dipinta una immagine miracolosa della Vergine Santissima, dedicandolo alla medesima sotto il titolo di S. Maria di Porta Santa.
Cominciando l’analisi parziale di questa Bolla, o Decreto, osserviamo innanzi tutto la sua epoca che secondo 1a copia autentica rilasciata dalla Curia Vescovile, leggesi come segue: Datis eadem Civitate Andriæ, die VIII Martii, nonæ Indictionis MDXII, sub Pontificato SS. D. N. Leonis X; anno ejusdem nono, feliciter. Amen.
Or quale fede potrebbesi attribuire ad una carta portatrice del più intransigibile ed evidentissimo anacronismo storico? Chi non sa, che Papa Leone X fu assunto al Pontificato il giorno 11 di marzo 1513? Il perché se l’anno l512, secondo la pretesa Bolla, fosse stato il nono del suo Pontificato, Leone X sarebbe stato Papa dieci anni prima dall’epoca storica e incontrastabile in che venne eletto al Papato.
Più ancora. L’indizione corrispondente all’anno 1512 non è già la nona, come arreca la Bolla, ma in quell’anno ricorreva in vece la decima quinta. Ond’è che l’epoca della Bolla racchiude un anacronismo storico, ed un errore sfacciato di data.
Il Priore di S. Riccardo però vien correggendo l’epoca della Bolla, e vuole che si abbia a leggere 1522 in vece del 1512. Sia pur così; né per questo sarà rimosso: anzi sarà peggio l’anacronismo e l’errore. Perciocché Papa Leone X, essendo morto il dì primo dicembre 1521, l'anno nono del suo Pontificato sarebbe un anno dopo la sua morte, e quindi la Bolla porterebbe per vivo un Pontefice morto. Ed inoltre l’Indizione corrispondente all’anno 1522, neppur sarebbe la nona, secondo la Bolla, ma sarebbe stata in vece la decima. Epperò sia qual vuolsi la data della Bolla, 1512, o 1522, nell’un caso e nell’altro sta saldo sempre l’anacronismo storico, e l’errore dell’epoca della Indizione corrispondente all’anno.
Secondamente il Cardinale Fieschi è dichiarato dalla Bolla Vescovo di Andria: Episcopo ejusdem civitatis, essendo Vicario Generale di lui il Vescovo di Bisceglie, Monsignor Lupicino, dator del Decreto. La storia resiste alla mendace dichiarazione sotto duplice rapporto e de’ Vescovi di Andria, e del Cardinale Fieschi.
Intorno a’ primi è da sapere, che la cattedra Vescovile di Andria dall’anno 1503 al 1515 fu tenuta da Frate Antonio Roccamoro, di nazione Spagnuolo, nazionale ed amico del Gran Capitano Consalvo di Cordova, allora duca di Andria, dal quale fu proposto a papa Giulio II (7). A Roccamoro successe Andrea Pastore, ed a questo Simone de Nor nel 5 di novembre 1516. La storia non dubbiamente porge fede che non prima del 1517 l’amministrazione della Chiesa di Andria fu conferita ad un cardinale Niccolò Fieschi, e secondo altri Giacomo, de’ Conti di Lavagna, che era Vescovo di Ostia (8). Il quale indi a pochi mesi cedé il Vescovato al suo nipote Giovan Francesco Fieschi, che fu Vescovo di Andria dal 13 di novembre 1517 fino al 1565, né fu giammai Cardinale.
Dalla quale cronologia storica non è chi non vegga quanto sia bugiarda la Bolla in esame, che nel 1512 pone Vescovo di Andria un Cardinale Fieschi, mentre allora reggeva la cattedra il Vescovo Spagnuolo Roccamoro, ovvero se vuolsi la data della Bolla nel 1522 sarebbesi trovato Vescovo titolare di Andria Giovan Francesco Fieschi, che non fu Cardinale, e che non avrebbe tenuto a suo Vicario Generale il Vescovo di Bisceglie Monsignor Lupicino.
Intorno poi al Cardinale Fieschi mentovato nella Bolla si appalesa supposta di per sé stessa, perché incorre nella contraddizione di ritenere il Cardinale Fieschi come Vescovo di Andria, mentre essendo Vescovo di Ostia, secondo i Canoni della Chiesa non poteva riunire in titolo due Vescovati, e se pure per alquanti mesi fu amministratore della Chiesa di Andria, non corrisponde all’epoca della pretesa Bolla la temporanea brevissima amministrazione. Se poi dando alla Bolla in esame l’epoca del 1522, secondo il voluto emendamento del Priore di S. Riccardo, in questo caso il Vescovo di Bisceglie non sarebbe stato il Vicario Generale del Cardinale Fieschi, mentre reggeva la Cattedra di Andria Monsignor Giovan Francesco Fieschi che non fu mai Cardinale, e perciò la Bolla non potrebbesi a lui riferire, sia perché non aveva questa dignità, sia perché governava la Chiesa nel proprio nome.
Ma pur vi ha altro. Nella Bolla in esame si legge: Lupicinus locum tenens pro Reverendissimo Eminentissimo Cardinali de Flisco. Il quale titolo di Eminentissimo, posto in armonia colla data della Bolla, vie meglio rischiara di essere supposta ed apocrifa. Perciocché nel 1500 non davasi ad altri il titolo di Eminentissimo, se non a’ Principi secolari: a’ Consoli, a’ Duchi. Non prima del Concistoro segreto del 10 giugno 1630, Papa Urbano VIII decretò che il titolo di Eminenza e l’Eminentissimo fosse attribuito a’ Cardinali, al Gran maestro dell’Ordine Gerosolomitano, ed a’ tre Arcivescovi Elettori dell’Impero, di Magonza, di Treveri e di Colonia (9). E v’ha pur altri che sostiene che in vece dell’Illustrissimo titolo dato per l’addietro a’ Cardinali, Papa Clemente XII per primo avesse sancito di darsi loro l’Eminentissimo per far maggiore onoranza al terzogenito di Elisabetta Farnese, assunto alla dignità Cardinalizia da quel Pontefice (10).
Oltre de’ notati anacronismi ed errori si vuol aggiungere che la Bolla originale, da cui dicesi estratta quella presentata nella disputa attuale, mancasse affatto della soscrizione del Notaio, o Cancelliere della Curia, la cui firma imprime all’atto la sua autorità. Ed inoltre è da por mente che alla Bolla si attribuisce la data del 1541, ma questa si legge sotto l’altra del 1590. Il che importa che sarebbe avvenuta una doppia presentata, val dire che nel 1590 avrebbesi voluto dar notizia di un’altra precedente avvenuta nel 1541. Ma questa data avrebbe dovuto di necessità precedere, non già seguire l’altra di lunga mano posteriore per quanto di tempo intercede tra il 1541 ed il 1590. Dal che si fa chiaro che amendue le presentate sono false ed apocrife. E si aggiunga, che la Bolla portasi presentata nel 1541 a Giovan Francesco Fieschi, mentre consta storicamente da’ libri cervati nel-l’Archivio del Capitolo Cattedrale, che durante 48 anni di Vescovato quel Prelato dimorò in Diocesi solo dieci mesi, ed in due volte distinte.
Esaminata la pretesa Bolla ne’ suoi caratteri parziali, senza addentrare gli errori della locuzione, e la bassezza dello stile, mentre, secondo l’epoca che adduce, avrebbe dovuto brillare di quella latinità elegante e sublime onde giustamente va encomiato il secolo delle lettere, addimandato il secolo di Leone X, a niuno soffrirà l’animo di reputare autentica e vera una Bolla, portatrice delle maggiori imperfezioni, e che non resiste alle indagini della critica coscienziosa, dalla quale è rivelata e dimostrata splendidamente supposta ed apocrifa per gli anacronismi evidentissimi, e per le contraddizioni a’ fatti storici indisputati del tempo cui si vuol rapportare.
Che poi si manifestasse eziandio pel suo contenuto, e per tutto quello che si vien narrando nel suo contesto, il faremo aperto in seguito or ora che intendiamo a confutare gli assunti del Comune a sostegno del vagheggiato Patronato.
Tolta di mezzo l’apocrifa Bolla, dalla quale principalmente il Comune ed il Priore di S. Riccardo fan derivare il sospirato Patronato su la Chiesa di S. Maria di Porta Santa; non rimane che il possesso immemorabile, in che trovasi la Congrega che nacque, come avanti è detto, contemporanea allo edificamento della Chiesa medesima; e perciò non potrebbe rivocarsi in dubbio di essere assolutamente di sua pacifica appartenenza.
Ma non vogliamo confidare il buon diritto della Congrega a questo solo argomento, che potrebbe sembrare ad alcuno piuttosto d’illazione, anzi che di una dimostrazione positiva diretta. Le pruove dell’appartenenza della Chiesa sono svariate e molte: e tutte trovano nelle leggi canoniche il più saldo appoggio ed il maggior favore.
E da prima rileverebbe meno un oltraggio alle leggi ed alla giustizia, quanto un’ingiuria alla buona ragione l’assentire alla teorica, che altri si abbia di una cosa il Patronato, l’appartenenza, il dominio, ed altri abbia a mantenerla senza pro e gratuitamente alle proprie spese, e fornirla di tutto quanto faceva d’uopo alla sua conservazione materiale, ed al decoro, al lustro, all’uso, cui fosse addetta e destinata. Sarebbe questa una teorica affatto nuova nella scienza delle leggi canoniche e civili, ed esiziale all’esercizio di qualsiasi diritto di proprietà.
Se dunque è vero che il mantenimento e la conservazione della cosa appartenga esclusivamente al proprietario di essa, la Chiesa di Porla Santa non richiamò giammai l’attenzione, le cure, gli esiti del Comune, ovvero del Beneficiato, come oggi si vien qualificando il Priore di S. Riccardo. La Chiesa fu sempre mantenuta e conservata a sole spese della Congrega, la quale venne per questo imprimendo nella parte materiale di essa i segni incancellabili, ed i documenti più sicuri del Patronato, e della sua esclusiva appartenenza.
E di fatto, malgrado un incendio avvenuto nel 25 di marzo 1799 avesse renduto poverissimo di antiche carte l’Archivio de1la Congrega, non di meno da un gran numero di conclusioni di superiori autorizzazioni del Tribunale misto e del Consiglio degli Ospizi, e di altri atti prodotti nell’attuale contestazione, e che si leggono ordinatamente enunciati nella memoria presentata dalla Congrega al Consiglio degli Ospizi, che cominciando dal 5 novembre 1699 arrivano fino allo stato discusso approvato a 30 novembre 1854, si rilevano man mano le ingenti spese che in ogni tempo sono state portate dalla Congrega non che per la materiale conservazione della Chiesa, ma ben ancora per quanto faccia mestieri per lo culto divino con ogni maniera di decoro e di splendido apparato.
Né questo soltanto. La vetustà dell’edificio, ed il decorrimento de’ secoli avevano trattata siffattamente la Chiesa che non era più conveniente al decoro della religione ed alla maestà di Dio; ed in parte era pure addivenuta ruinosa e crollante. La Congrega nel 1803 accorse a ristorarla, ad abbellirla, a ridurla in belle forme ed in isplendido stato, erogando vistosissime somme. Ed a memoria di questo fatto veniva allogando una lapide, che con apposita leggenda ricordasse ai posteri l’avvenuto rifacimento.
Né la restaurazione attestata dalla lapide depone della sua appartenenza alla Congrega, ma il rivelano eziandio gli stemmi della Congrega medesima allogati nella Chiesa, e due specialmente di antica fattura, scolpiti a rilievo su pietra, l’uno a mezzo del frontone dell’altare maggiore, e l’altro scolpito sul palliotto dello stesso altare.
I quali segni non sono argomenti, ma in vece pruove saldissime e documenti irrecusabili, dichiarati e consentiti da tutti i canonisti a dimostrazione del Patronato. Così intorno a’ rifacimenti ed alla riedificazione della Chiesa, il de Roye, celebrato Canonista, insegnò: Cum dicitur ædificatione Ecclesiæ jus patronatus acquiri, forte verius est ædificationis nomine contineri etiam reædificationem collapsæ, ut nempe qui dirutam Ecclesiam innovaverit, ut loquitur Vigilius Summus Pontifex, ejus etiam habeatur Patronatus (11). Ed il Barbosa soggiunge: Hinc etiam reædificatione seu refectione Ecclesiæ acquiritur jus patronatus (12).
Per le iscrizioni lapidarie è bastevole ricordare la conforme dottrina del Lambertini e del Mascardi: Probatur juspatronatus ex epitaphiis, aut lileris scriptis in lapidibus Ecclesiæ, vel ex inscriptione il marmoribus, lapidibus, vel lignis positis in Ecclesia (13).
E per gli stemmi da ultimo il citato Lambertini, il Menocbio, il Borbosa concordemente insegnarono: Probatur juspatronatus per insignia sculpta in Ecclesia (14).
Dopo discorse queste pruove non vorremo rimanerci dal toccarne altre, egualmente visibili, ed anche più positive di quelle arrecate. Egli è un fatto notissimo all’universale, che la Congrega da’ suoi primordi tiene a sua principalissima titolare la Beata Vergine sotto il titolo dell’Annunziata. E bene; cotesta immagine dell’Annunziata è collocata da tempo immemorabile sul maggiore altare della Chiesa unitamente all’altra di S. Maria di Porta Santa. Quale potrebbesi più di questo ricercare documento splendidissimo dell’appartenenza della Chiesa alla Congrega?
Si aggiunga che a’ piedi del maggiore altare trovasi posta anche da tempo immemorabile la sepoltura pe’ confratelli. La quale situazione del sepolcro, siccome la più onorifica, depone senza dubbio del Patronato della Chiesa, secondo è prescritto nella ragion Canonica; ché al Patrono è dovuto il sepolcro nel sito più onorevole della Chiesa; sepulcrum in loco intra Ecclesiam honoratiori (15).
Sono da ultimo notevoli due altri segni dell’appartenenza della Chiesa alla Congrega. L’uno quello è, che pria delle nuove leggi, che avessero prescritta la tumulazione ne’ Camposanti, nella Chiesa di Porta Santa trovavasi il sepolcro, nel quale portavansi a seppellimento i disgraziati percossi dall’ultimo supplizio. Né altrove in altra Chiesa esisteva simigliante sepoltura, per lo motivo che la Congrega in forza dell’art. 24 delle Regole riformate nel 1568, e roborate poscia di Regio Assenso, avea l’obbligo di confortare e di tumulare nella propria Chiesa i giustiziati. L’altro indizio del patronato appartenente alla Congrega è l’unica campana sistente sul campanile della Chiesa. La quale campana tiene incisa d’intorno la epigrafe: Tempore Prior. U. J. D. Ioannis Iannuzzi F. A. D. 1785.
Tralasciando di vagare in altre indagini; se una verità di fatto costantissimo ed inalterato ne accerta, che la Congrega fin dal suo nascimento in epoca contemporanea alla edificazione della Chiesa di Porta Santa, od almeno senza dubbiezza alcuna in epoca anteriore al 1568, in che vennero riformate le sue Regole, si ebbe il pacifico ed esclusivo possesso della Chiesa, senza veruna immiscenza, e senza soggezione né al Comune di Andria, né al Priore di S. Riccardo, indarno potrebbesi di presente impugnare il suo Patronato, e la libera appartenenza della Chiesa medesima.
Se consta in fatto per pruove invincibili, e per documenti secolari, che la Chiesa venne restaurata e crollante e vetusta com’era rifatta nella forma come oggi si vede alle spese esclusive della Congrega; se il mantenimento materiale, e le spese di culto di qualsiasi maniera sono state sempre tollerate ed erogate dalla Congrega soltanto, se dal Tribunale Misto e dal Consiglio degli Ospizi fu autorizzata agli esiti annuali e bisognevoli per la Chiesa, reputata sempre di appartenenza di essa Congrega; se da ultimo, in armonia delle Canoniche dottrine, pruove senza fine depongono del suo patronato, e le lapidi, e gli stemmi, e l’onore della sepoltura, e l'Immagine della sua titolare, la Beatissima Annunziata, collocata sul maggiore altare, e la sepoltura pe’ giustiziati, e la campana, tutta la somma di questi segni permanenti non possono in vero restare scancellati e perdere la loro autorità ed ogni valore legale a cagione dell’ipotetico Patronato, cui con mal fermo consiglio aspirano oggidì il Comune ed il Priore di S. Riccardo.
Ma quali sono le ragioni nelle quali essi confidano? Vediamo quanto esse sieno non pertinenti e mal fondate.
Mentre dall’una parte il Consiglio degli Ospizi, convinto della giustizia ond’è assistita la Congrega, facevasi egregio sostenitore della sua ragione, dall’altra il Consiglio d’Intendenza inclinava ad avvisare favorevolmente agli assunti arrecati in mezzo dal Comune e dal Priore di S. Riccardo. La confutazione quindi, alla quale intendiamo, mira a combattere benanche siffatto avviso del Consiglio d’Intendenza.
Vedemmo innanzi, come il Comune rivocando a vita la Bolla degli 8 di marzo 1521 di Monsignor Lupicino, estratta in copia dalla Curia Vescovile, in questo titolo precipuamente lasciasse di vedere il preteso diritto del suo Patronato. Dimostrammo col soccorso de1'ermeneutica e della più semplice ed assennata critica di essere cotesta Bolla supposta ed apocrifa, disaminata nelle sue parti. Qui ci rimane a disaminarla nel suo contesto, e si farà chiaro di essere vie meglio non solo apocrifa, ma eziandio niente autorevole ed efficace a sostenere e documentare il Patronato del Comune.
Dal contesto della Bolla si apprende, che l’Università di Andria per la massima sua devozione alla Immagine della Vergine, nuperrime inventam in mœnibus ipsius civitatis, ubi modo dicitur Ecclesia Porta Sancta, domandava di edificare un tempio, ed il Prelato decrevit in eodem loco fundare Ecclesiam. Epperò la università venne assegnando il suolo per lo futuro edificamento. Il quale suolo leggesi nella Bolla medesima descritto cosi: dederunt (i cittadini) solum ipsivs valli, quod est circum circa dictam Imaginem hujusmodi finibus designatum, videlicet juxta venerandam Ecclesiam Beatæ Mariæ de Misericordia, et juxta mœnia ipsius Civitatis, et alios fines.
Fermandoci ad illustrare questa prima parte della Bolla, egli è chiaro che si ritraggono tre idee: la prima che l’Immagine della Vergine Beatissima fosse stata ritrovata poco innanzi all’anno 1512, o 1522, epoche che si attribuiscono alla Bolla; nuperrime inventam. La seconda che l’Immagine fosse stata rinvenuta presso alle mura della città, e proprio nel luogo dove allora esisteva, e dicevasi la Chiesa Porta Santa; ubi modo dicitur Ecclesia Porta Sancta. La terza che l’Università non dava altro, se non il suolo presso le fossate delle mura, dove poscia i cittadini avrebbero dovuto edificare la nuora Chiesa; dederunt solum ipsius valli, che era anche vicino alla Chiesa di S. Maria della Misericordia; juxta venerandam Ecclesiam Beatæ Mariæ de Misericordia.
Da queste tre idee, tre conseguenze che manifestano supposta ed apocrifa cotesta Bolla. L’Immagine della Vergine sarebbe stata trovata poco innanzi all’anno 1512, o 1521, val dire tutto al più intorno al 1500. Ma questa conseguenza urta di fronte la tradizione religiosa tramandata per secoli di padre in figlio; distrugge l’autorità storica che vuolsi dare alla tradizione costante nel difetto della storia scritturale. Se l’invenzione della Vergine si ritiene avvenuta nell’anno 1265, od anche in epoca da questa non gran fatto lontana, ma sempre però volgendo il secolo XIII, come aggiustar fede alla Bolla, che fa ritrovarla due secoli dopo? Prima erronea e menzognera conseguenza.
La Chiesa di Porta Santa, secondo attesta la Bolla, era esistente nell’epoca del preteso ritrovamento della sacra Immagine, che fu ritrovata in quel luogo che dicevasi Chiesa Porta Santa. Come adunque il Comune avrebbe edificata l’attuale Chiesa di Porta Santa dopo l’epoca della Bolla, cioè negli anni posteriori al 1512, o 1521, mentre in cotesti anni la Chiesa trovavasi innalzata? Come accordare l’architettura normanna, le pitture del tempo della decadenza della scuola greca, esistenti nella Chiesa Cattedrale, con l’epoca posteriore al 1500; in cui era spento affatto ogni gusto di quella maniera di architettura e di quella foggia di pitture? Seconda erronea conseguenza.
L’Università di Andria, come attesta la Bolla, designava il suolo in sul quale la novella Chiesa si sarebbe edificata presso alle due altre allora esistenti; la Chiesa cioè di Porta Santa, e la Chiesa della Misericordia. Dunque se concedeva il suolo, non può dirsi che avesse per almeno riedificata l’attuale Chiesa di Porta Santa, sì perché il suolo conceduto dicesi presso alla Chiesa, il che importa che la Chiesa esistesse; sì perché la concessione del suolo non è la stessa cosa della riedificazione, né rileva un rifacimento, un riedificamento, ma invece l’innalzamento di un edificio, di un tempio dalle sue fondamenta. Terza erronea conseguenza.
A dir breve, il Comune di Andria ed il Priore di S. Riccardo, invaghiti del Patronato preteso sull'’attuale Chiesa di Porta Santa, si studiano di vagheggiare un equivoco, e s’infingono di credere che altri nol possa ravvisare. Il quale equivoco consiste nel dare a divedere che l’attuale Chiesa di Porta Santa sia quella medesima che dalle fondamenta avesse il Comune edificata dopo l’anno 1512 per effetto della Bolla di Monsignor Lupicino, senza avvedersi che se anche alla Bolla volesse aggiustarsi piena fede, il Comune prometteva di edificare, ma non aveva edificata, né edificò mai la Chiesa votiva della quale ripromettevasi. Perciocché posta l’esistenza dell’attuale Chiesa di Porta Santa e della Chiesa della Misericordia, amendue menzionate nella Bolla, presso a queste due Chiese farebbe uopo di trovarne una terza, che sarebbe appunto la Chiesa votiva che il Comune prometteva di edificare. ma certamente non sarebbe mai quella attuale di Porta Santa.
Proseguendo l’analisi del contesto della Bolla, si legge conceduto all’Università il diritto di presentazione del Rettore della Chiesa che sarebbe stata edificata, assegnandogli la dotazione di annuali ducati quindici su la gabella del vino mosto. Al quale Rettore veniva imposto il nome di Priore, qui ipsi Rectori dignatur imponere nomen Prioris, e perciò l'Università acquisivit juspatronatus et præsentare Priorem. Da ultimo l’Università in quella Bolla medesima volle presentare per primo Priore della novella Chiesa, un presbitero della Cattedrale di Andria, Sansonetto Spolitino.
Di qui si genera l’altro equivoco, onde credono giovarsi il Comune ed il Priore di S. Riccardo. Perciocché è da sapere, che il Comune vanta e gode il diritto di presentazione per la nomina del Priore della Cappella di S. Riccardo posta nella Chiesa Cattedrale. Il quale Priore per Bolla Pontificia di Paolo III e di Clemente XII fu elevato a quinta dignità del Capitolo Cattedrale. Or che cosa han di comune fra loro il Priore della Cappella di S. Riccardo nella Cattedrale col Priore della Chiesa di Porta Santa, che sarebbe stato, secondo la Bolla, il Rettore del nuovo tempio da edificarsi? Dalla denominazione identica vorrebbesi inferire che fossero una cosa medesima il Priore di S. Riccardo ed il Priore di Porta Santa. Ma no. Abbiasi pure il Comune il diritto di presentazione pel primo, ma questi non è certamente il Rettore della Chiesa di Porta Santa, designato dalla Bolla colla denominazione stessa di Priore. Il Rettore di Porta Santa, o il Priore della Bolla non sarebbe già stato, siccome non è, il Priore della Cappella di S. Riccardo. I nomi sono gli stessi, ma le persone sono diverse, le dignità distinte e separate.
Né giova punto al Comune l’obbiettare, che il Priore della Cappella di S. Riccardo, beneficiato di sua presentazione, togliesse l’investitura od il possesso del Beneficio nella Chiesa di Porta Santa. Perciocché è da por mente che cotesto possesso non viene celebrato sul maggiore altare, od in qualche altro della suddetta Chiesa, ma in vece sull’altare di S. Maria della Neve, che trovasi collocato nella medesima Chiesa di Porta Santa; sul quale altare, stando a fede dello storico d’Urso, più volte citato, è infisso il Patronato della Università di Andria, e che consiste nel far prendere sul medesimo il possesso al Priore della Cappella di S. Riccardo (16). Dal che segue, che il Priore di S. Riccardo potrà forse esercitare sua giurisdizione, signantemente su questo solo altare, che forse il Comune avrebbe potuto edificare e dotare con addirlo a favore del Priore di S. Riccardo, ma non mai un atto di formalità del possesso di un altare può tramutarsi ed estendersi al Patronato di tutta quanta la Chiesa, su la quale, volgendo i secoli, né il Comune, né il Priore di S. Riccardo han tenuta, o presa giammai veruna immiscenza, o esercitata veruna giurisdizione.
E di fatto, in quanto al Comune non riuscirà a poter dimostrare che in qualsiasi epoca o congiuntura avesse mai erogata una menoma somma, o avesse atteso al mantenimento materiale, e del sacro culto, e delle chiesastiche liturgie de’ sacri arredi nella Chiesa di Porta Santa, siccome avanti è chiarito che la Congrega avesse tutto il bisognevole provveduto. Chi non sa le prescrizioni delle leggi canoniche, che pongono a carico esclusivo de’ Patroni il mantenimento materiale e del culto divino delle Chiese tenute in Patronato?
Ed in quanto al Priore di S. Riccardo, tranne il possesso, o l’investitura del Beneficio della Cappella di S. Riccardo che viene a togliere su l’altare di S. Maria della Neve nella Chiesa di Porta Santa, non mai per tutti i secoli decorsi ha egli esercitato qualsiasi menomo atto di giurisdizione, qualunque menoma facoltà su cotesta Chiesa. Son pur notissime le prescrizioni dei Canoni, che impongono al Beneficiato, sotto pena di censura e di decadimento dal Beneficio, la residenza, l’assistenza, l’esercizio della qualità beneficiata nel luogo e nella Chiesa dove trovasi annesso il Beneficio.
Da’ toccati argomenti di fatto e di diritto lucidamente rimane rischiarato non solo che la Bolla di Monsignor Lupicino, anche nel suo contesto si rivelasse supposta ed apocrifa, ma ben ancora che cotesto titolo sia mancante di ogni forza ed autorità per documentare e sorreggere il Patronato del Comune.
Né vorremo fermarci a confutare le osservazioni del Consiglio d’Intendenza, che si è indotto a ravvisare autentica la Bolla in esame, perché il titolo di Eminentissimo si trovasse dato per attestare una maggiore venerazione al Cardinale, appartenente alla nobile famiglia de’ Conti di Lavagna, quasi i Principi di Santa Chiesa non fossero per loro stessi abbastanza nobilissimi; perché niente rilevasse l’equivoco della dote, non leggendosi con chiarezza nelle scritture antiche; perché da ultimo la mancanza della firma del Cancelliere non fosse motivo sufficiente per l’autenticità dell’atto. Cotali argomenti sono siffattamente claudicanti da non richiamare veruna seria confutazione.
Passando a toccare gli assunti del Comune, non ci fermiamo su la visita di Monsignor Adinolfi del 22 settembre 1711, dove leggeri che fosse stato ricevuto dal Priore della Cappella di S. Riccardo venendo il Prelato a visitare la Chiesa di Porta Santa, esercitando il Beneficiato giurisdizione come di propria Chiesa. Cotesta unica visita che accenna a questo fatto non trovasi in armonia con tutte le altre antecedenti e susseguenti de’ Vescovi di Andria, e con ispecialità le sante visite di Monsignor Bolognese nel 1830, e di Monsignor Cosenza, ora Eminentissimo Arcivescovo di Capua, del 1835, le quali bastano esse sole a rimuovere qualunque dubbiezza su l’appartenenza della Chiesa alla Congrega. Né poi dall’unico atto della visita di Monsignor Adinolfi s’inferisce il preteso Patronato del Comune che né punto, né poco è menzionato, ma la Chiesa si porta come di appartenenza del solo Priore di S. Riccardo; il che contraddice a quanto sostiene il Comune, non che lo stesso Priore.
Accenna inoltre il Comune agli stemmi scolpiti sulle basi degli stipiti della porta d’ingresso della Chiesa, che raffigurano i leoni, che diconsi esprimere lo stemma comunale, come anche ancora ad una lapide accanto all’altare dedicato alla Vergine SS. Addolorata, portante l’iscrizione: Jus Patronatus Universitatis Civitatis Andriæ. A. D. 1573.
Dicendo da prima degli stemmi, quando anche volessero ritenersi que’ leoni scolpiti come stemma del Comune, sarebbero quivi allogati non a segno di patronato, si bene per costumanza, come si veggono nelle parti di molte antiche città, come ad esempio, trovansi nella antica porta di Trani, e si veggono nella porta d’ingresso di Castel del Monte. Se fossero stati gli stemmi allogati a dinotare il Patronato del Comune, si vedrebbero nel luogo più eminente, mentre gli scudi col leone si trovano sottoposti allo stemma della Casa del Balzo; ed è pur da notare che uno dei pretesi stemmi sormontato da un cappello prelatizio; il che farebbe credere che il leone non sia lo stemma del Comune. In quanto poi alla iscrizione, essa può deporre forse del Patronato su la Cappella, accanto alla quale vedesi collocata la lapide, ma non potrebbe in vero adattarsi ed estendersi al Patronato su tutta quanta la Chiesa. Ella è questa una illazione che sfugge ad ogni illustrazione.
Il Comune afferma da vantaggio, che la Università nell’anno 1642 accordato avesse a’ frati di S. Giovanni di Dio l’uso della Chiesa di Porta Santa; e che nel 1711 il Priore Pincerna avesse impedito a’ suddetti frati di solennizzare la festa del loro Santo fondatore, chiudendo la Chiesa, a motivo che l’eseguissero senza il di lui permesso.
I quali due fatti non possono richiamare veruna seria attenzione, tra perché costituiscono due semplici affermazioni del Comune, svestite d’ogni pruova documentata, tra perché, se pur fossero veri, sarebbero di lunga meno anteriori, né efficaci ad infirmare il secolare pacifico possesso della Congrega; ond’è generata la più lunga prescrizione, siccome diremo nel seguente Capo.
Il Comune viene inoltre accennando alla Bolla di Papa Paolo III spedita il 27 di giugno, anno decimo terzo del suo Pontificato. Dal quale documento anzi che restare rischiarato il preteso Patronato su la Chiesa di Porta Santa, si raccoglie in sua pruova luminosa che il diritto di Patronato del Comune venne conceduto sulla Cappella di S. Riccardo nella Chiesa Cattedrale, col diritto di presentare il Priore di cotesta Cappella.
Le ragioni ed i titoli finora disaminati costituiscono l’insieme degli assunti del Comune e del Priore di S. Riccardo, consentiti ed accettati dal Consiglio d’Intendenza, e respinti ed egregiamente confutati dal Consiglio degli Ospizi. Quale de’ due Collegi si fosse pronunziato in conformità de’ fatti, delle leggi, della giustizia, il deciderà la Consulta nell’altezza de’ suoi lumi, e nella sua notissima sapienza. Con quella brevità che ci siamo studiati di mantenere discorrendo una vasta materia in controversia, portiamo fondata speranza di aver tratteggiata con ogni evidenza la ragione della Congrega a sostenere l’appartenenza della Chiesa a suo favore. Che se di altro appoggio pur fosse d’uopo, il troveremo nella legge, invocando a pro nostro la più lunga prescrizione, come mezzo legittimo ad acquistare il Patronato, né ci sarà malagevole il dimostrarlo.
Reputiamo conveniente cosa di accennare ad alquante dottrine intorno alla prescrizione nella materia del Patronato per farne alla specie giusta ed adeguata applicazione.
Per veneranda autorità de' Concili (17), e signantemente del Tridentino (18); per dottrina concorde di tutti i Canonisti, e per indisputato insegnamento della scienza canonica non risguardandosi il Patronato come un diritto meramente spirituale, ma in vece come un diritto temporale, del quale i laici non sono incapaci, ed è trasmissibile agli eredi, perciò parve giustissima conseguenza il decidere, che niente dissimigliante da ogni altro diritto, potesse anche il Patronato acquistarsi col mezzo della prescrizione. Di qui restò fermata da’ piú valorosi canonisti la massima, che acquiritur juspatronatus præscriptione contra Ecclesiam, sicuti præscribi possunt alla jura et bona immobilia contra privatos (19).
La prescrizione, sia che derivi dal possesso immemorabile, sia dal possesso di data certa, fu ravvisata da’ Pubblicisti essere conseguente dal diritto naturale, onde per essa potesse incontrastabilmente raffermarsi il dominio delle cose. Hinc conficitur præscriptionem esse juris naturalis. È dottrina del Wolfio (20). Ed il Grozio la stabilì come principio derivato dal Diritto internazionale volontario o positivo, ed efficace a trasferire del tutto il dominio delle cose: Possessio memoriam excedens, omnino dominium transferret (21).
Della prescrizione e del possesso immemorabile sono degne di nota due conseguenze. La prima, che la prescrizione di cento anni, a malgrado dissimigliante in certa guisa da quella assolutamente immemorabile, non di meno in ambo i casi non abbisogna né titolo, né pruova alcuna di buona fede. Dappoiché non solo per decorrimento di tempo sì lungo il titolo e la buona fede andassero presunti, ma la stessa antichità tenesse luogo di buona fede (22). La seconda conseguenza quella è, che per dottrina ricevuta nel Diritto Feudale la prescrizione immemorabile corra in tutte quante le cose, e tenga luogo di titolo e privilegio non presunto, bensì vero: Præscriptio immemorabilis procedit in omnibus, et habetur pro titulo et privilegio non præsumpto, sed vero (23).
Da queste dottrine non si diparte punto la scienza canonica. Epperò il Patronato a simiglianza di ogni altro diritto si acquista per prescrizione derivata dal possesso immemorabile, che si verifica col decorrimento di cento anni. Dappoiché il pacifico possesso per tempo sì lungo sta in luogo del titolo per forza di presunzione, giusta, legittima, recepta jure pubblico. Possessio immemorialis verificatur in centum annis; centenaria possessio inducit præsumptionem tituli, come insegna il Barbosa (24).
Siccome però per teorica non controversa, e per la nota Costituzione Quadragenalem intorno alle Regalie, i diritti e le cose del Fisco, le patrimoniali del Principe, le cose della Chiesa e della Città si prescrivessero col decorrimento di quaranta anni; quadraginta annis præscribuntur res fìscales, et patrimoniales Principis, res Ecclesiarum, et res civitatum (25); così a dimostrare il tempo immemorabile è bastevole per canonica dottrina la memoria di quaranta anni, potendo supplire la pruova testimoniale a raffermare il tempo che manca per raggiungere i cento anni: Ad probandum hoc tempus immemoriale suffìcit memoria quadraginta annorum, et quod de reliquo tempore testis deponet secundum auditum et famam (26).
Applichiamo alla specie le sparse dottrine. Certamente che al Comune di Andria ed al Priore di S. Riccardo non soffrirà l’animo, dopo le vicende storiche e la serie degli avvenimenti avanti narrati, d’impugnare e contraddire che la Congrega del Monte di Gesù avesse tenuto il possesso della Chiesa di Porta Santa, accompagnato da tutti i caratteri richiesti dal diritto comune, e dalle leggi canoniche, un possesso cioè solenne pubblico, pacifico, non equivoco, ed a titolo di proprietà, per guisa che fosse efficace a generare la prescrizione. Fu per certo in conseguenza di cotesto pacifico possesso, non turbato giammai per l’addietro da chicchessia, e dall’universale riconosciuto, che la Congrega, volgendo i lunghi secoli, attese al mantenimento materiale della Chiesa, al suo rifacimento ruinosa e crollante com’era nel 1803, a provvederla dei sacri arredi, a mantenervi con ogni maniera di lustro e di decoro il culto divino, esercitando in essa tutti gli atti di pieno ed esclusivo dominio, ed imprimendovi segni incancellabili e durevoli del suo assoluto Patronato, come inscrizioni, stemmi, sepolcreto, leggende, ed altri simiglianti competenti a’ Patroni.
E si aggiunga che il possesso della Chiesa a favore della Congrega è stato canonicamente riconosciuto legittimo ed incrollabile in contraddizione dello stesso Comune. Perciocché nella disputa in esame la Curia Vescovile di Andria con sentenza renduta a dì [10 aprile 1854] ha mantenuto la Congrega nel possesso della Chiesa di Porta Santa, né il Comune, od il Priore di S. Riccardo avendo osato di produrre verun gravame avverso di quella sentenza, costituisce ormai contra di essi un giudicato irrevocabile nel possessorio.
Dalle quali cose consegue, che ammettendo generosamente ogni bizzarra ipotesi scogitata dal Comune e dal Priore di S. Riccardo; concedendo ogni maggior fede alla pretesa Bolla di Monsignor Lupicino, siccome titolo originario del Patronato a favore del Comune; ritenendo vero e ben fondato in fatto ed in diritto qualsiasi altro assunto, cui il Comune è ricorso; qual pro potrebbe mai tornarne al Comune medesimo onde sostenere il suo Patronato? Niente può tornargli di bene, giacché il suo Patronato sarebbe spento, infìrmato, scrollato, e sarebbesi in vece tramutato in legittimo Patronato della Congrega per effetto della prescrizione consumata la più lunga ed immemorabile, eccedendo i cento anni, se si attende alle Regole riformate nel 1568, ed alla quadragenale, sufficiente a prescrivere le cose delle Chiese e delle Università; se si attende al rifacimento della Chiesa di Porta Santa fatto eseguire alle spese della Congrega nell’anno 1803.
Laonde il Comune ed il Priore di S. Riccardo si abbiano essi dall’una parte la somma di tutte le ragioni, e sieno possessori de’ più sicuri titoli che loro attribuiscono il Patronato della Chiesa di Porta Santa, e dall’altra la Congrega mancasse pure di ogni titolo e di qualsiasi argomento che sostenesse a di lei favore il Patronato, non per questo i primi l’avrebbero perduto, la seconda l’avrebbe incontrastabilmente acquistato. Ché la più lunga prescrizione trovasi consumata, e per essa la Congrega è addivenuta legittimamente Patrona della Chiesa di Porta Santa, senza che faccia duopo di titolo, di pruova, di buona fede. Nel possesso generatore della prescrizione si racchiude il titolo più invitto del Patronato.
Che se per canonica dottrina è bastevole l’esercizio di un solo degli atti a’ Patroni competenti per acquistare col mezzo della prescrizione il Patronato, egli è certissimo, che la Congrega non già un solo, ma tutti gli atti avesse per lunghi secoli esercitati, standosi nel più pacifico ed indisputato possesso della Chiesa: Per exercitium ac usum unius actus dumtaxat ex competentibus Patrono acquiritur possessio in jure Patronatus (27).
Le quali teoriche relative alla prescrizione come mezzo legale e legittimo per acquistare il Patronato sono state plaudite, ritenute, ed applicate dalla Consulta ne’ casi ricorrenti, e specialmente nella disputa intorno al Patronato della maggior Chiesa di Foggia tra quel Comune ed il Capitolo, essendosi degnata S. M. di approvarne l’avviso con Real Rescritto degli 8 gennaio 1845.
Togliendo ad ausilio l’autorità delle Leggi Ecclesiastiche e Civili, de’ Concili, de’ Canonisti, de’ fatti inalterati e sicuri che nella specie ricorrono, abbiamo rischiarato ogni diritto della Congrega del Monte di Gesù per convincersi di appartenerle la Chiesa di Porta Santa; siccome d’altra parte non può rivocarsi in dubbio che ogni assunto del Comune e del Priore della Cappella di S. Riccardo mancasse di ogni legal fondamento nelle leggi e nella giustizia per aspirare dopo il volgimento di secoli al Patronato della Chiesa medesima.
Restandoci quindi fiduciosi nell’alta sapienza e nella giustizia della Consulta, ci conforta la speranza che faccia degna di accoglimento la buona ragione ond’è assistita la Congrega, e che il Patronato della Chiesa di Porta Santa sia ravvisato e dichiarato a di lei favore, rilevandola da una molestia ingiustamente inferitale dal Comune di Andria, che con animo inconsulto si è cacciato a promuovere una quistione, nella quale il maggior torto consiste di averla eccitata contra i propri concittadini.
Febbraio 1857.
Francesco Durelli
NOTE
(1) Riccardo d’Urso — Storia della Città di Andria, pag. 77.
(2) Oper. cit. pag. 79.
(3) D’Urso. Oper. cit. pag. 110.
(4) D’Urso. Oper. cit. pag. 115.
(5) D’Urso. Oper. cit. pag. 77.
(6) Luog. cit.
(7) D’Urso. Oper. cit. pag. 121.
(8) Oper. cit. pag. 123.
(9) Devolli. De Cardinalibus, art. 7. Sez. 2.
(10) Cantù. Storia de’ cento anni, vol. 4.
(11) Tit. de Jurepat. Prol. cap. 14.
(12) Jur. Eccles. univ. Lib. 3. cap. 12.
(13) Lambert. De Jurepat. Quæst. X, Mascard. De Probat. conclus 958.
(14) Lambert. de Jurep. lib. 3. quæest. 5. - Menoch. de Præsump. lib. 3, - Barbosa, Jus Eccl. univ. cap. 12, §. 93.
(15) Gagliardi - De Jurep. Cap. 2. n. 8. Cavallari - de Jurep. §. 18.
(16) Oper. cit. pag. 78.
(17) Concilio Toletano 1; di Chalon 11, di Oranges 1.
(18) Sess. 14 e 29 - Sess. 25 cap. 2, de Reform.
(19) Cavarruv. in Reg. Poss. Par. 2. Molina - Disput. 70. Wan-Espen - Jus Eccl. Univ. Part. 2. Sec. 3. §. XVI.
(20) Instit. Jur. riatur. §. 463.
(21) Lib. 2. cap. 4. §. 9.
(22) Fabr. Cod. Lib. 7. Tit. 13.
(23) Sorge - Juris. Feud. de Bar. cap. 14. Magliani - Juris, Feud. Lib. 2. Tit. 14.
(24) Jur. Eccles. Univ. Lib. 3. cap. 12.
(25) Heinn. Instit.
(26) Barbosa loc. cit. §. 75.
(27) Joan. Andr. In cap. quod alieni.
[dall'opuscolo originale di Francesco Durelli, “ Per la quistione del Patronato della Chiesa di Porta Santa tra la Congrega del Monte di Gesù e la Università di Andria”, Napoli, 1857, Stab. Tip. Vicoletto Salita a' Ventaglieri n.14, 39 pagine]