Dacché la S. Spina trovasi in Andria (1308), è costante tradizione, pervenutaci dai nostri maggiori, che sempre, costantemente, si fosse verificato il prodigio, di vedere, cioè, quelle macchie sbiadite, (che seco porta la S. Spina) riavvivarsi, più o meno, di vivido sangue, ogni volta che il Venerdì Santo coincide colla festività dell'Annunziazione di Maria, 25 Marzo.
Però, nessun documento possediamo, che possa garantire tale tradizione sino all’anno 1633 [1]. Solamente un cenno troviamo nel 3. 4. e 5. verso, dei sedici incisi sul primitivo Reliquiario, che conteneva la S. Spina, là dove è detto: Quando Parasceve et Martis vigesima quinta concurrent veluti majores ore probarunt, tunc hæc (o quam mirum) tota cruenta videtur. Questo cenno solamente potrebbe, in qualche modo, confortare la patria tradizione.
Ma la prima notizia precisa, il primo documento autentico, relativo al prodigio della S. Spina, lo riscontriamo in un rogito del Notar Alfonso Gurgo del dì 25 Marzo 1633, essendo Vescovo di Andria Mons. Franceschini.
Ecco quanto si legge in quel rogito:
Actus pubblicus pro Rev. Clero, et Capitulo Cathedralis Ecclesiæ Andrien. Die 25 mensis Martii primæ indictionis 1633, in Civitate Andrien et … Ob festum Sanctissimæ Annuntiationis Beatæ Virginis, coram Ioanne Petro Conti Indice, Rev. D. Vincentio Meli, Caroto Antonio Quarto V. I. D. Richardo Guadagno etc … …
Adstantibus Ill.mo et Rev.mo Domino Fratre Felice Francischino, Dei et Apostolicæ Sedis gratia Episcopus Andrien, Illustrissimis ac excellentissimis Dominis D. Emilia Carafa Ducissa Laurentiani, suis filiis …,
Ipsi quidem Reverendissimi, Dignitates, et sacerdotes attente nos requisiverunt, ut in scriptis reducereremus id, quod evenit hodie mane in una ex Spinis Majoribus Coronæ Sanctissimi Domini Nostri Iesu Christi, nam eadem Spina apparuit, prout ad præsens evidentissime apparet, sanguinolenta, et cum frequenti variatione Sanguinis prætiosissimi Capitis Christi … …
E che quel prodigio si fosse pure verificato negli anni precedenti (tutte le volte che il venerdì santo coincidesse col 25 Marzo), viene anche assicurato in questo medesimo rogito, nel quale è detto:
… Id, quod evenit hodie mane in una ex Spinis majoribus Coronæ Sanctissimi Domini Nostri Iesu Christi, qua coronatus fuit in die santissimæ suæ Passionis … ex relatione Majorum perceperunt, quod quotiescumque dies Sancti Veneris inciderit in vigesima quinta die mensis Martii, prout est hodie semper apperuit eodem modo. ut supra expressimus, ut modo apparet in Tabernacolo argenteo per iscriptionem circum circa olim factam hujusmondi etc [2].
Queste ultime parole alludono alla iscrizione, che era stata già incisa sull'antico Reliquiario, dove si faceva appunto menzione di questo costante prodigio, che si verificava tutte le volte che il Venerdì Santo coincideva colla festività dell’Annunziata, il 25 Marzo.
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Nel 1644, coincidendo il 25 marzo col venerdì santo, avvenne il solito prodigio, come ne fece fede il Vescovo di quel tempo Monsignor Ascanio Cassiani, in una sua visita Pastorale:
… Cum dicta feria sexta, quæ incidit in festum SS. Annunciationis Deiparæ, Deus fecit mirabilia magna, etenim feria sexta in Spina apparuerunt multæ diversæ guttæ, et maculæ Sanguinis circa oram nonam, et non solum a nobis, et a supradictis, qui nobiscum semper adstiterunt, fuerunt evidentissime visæ, et conspectæ, sed etiam a toto populo, et civitate, et tota etiam exteris per totam diem illam, et circa Solis occasum insensibiliter deficiebant … [3].
A perpetua memoria di questo prodigio il Vescovo Cassiani fe dipingere un affresco sulla parete del Coro, dal medesimo Cassiani fatto costruire poi nel 1650, cioè sei anni dopo il prodigio.
Ciò rilevasi dagli atti della S. Visita del 1656, dove il sullodato Vescovo Cassiani ritorna a far menzione di questo prodigio, e dell'affresco da lui fatto dipingere sulle pareti del Coro. Ecco le sue parole:
Nomen Caruli secondi in Tabernacolo argenteo, ubi in aurea theca gemmis et margaritis ornato, asservatur una ex Spinis majoribus Coronæ D. N. I. C. … Et Deus omnipotens tempore hum.llimi Præsulatus nostri fecit in ea mirabilia sua et nos non modo documento et documentis pubblicis, præsentibus in S. Theologia doctoribus ac magistratis et iure-consulibus. ac medicis; totoque Clero et populo probavimus, et ex instrumentis prædictis; sed etiam ut cunctis pateat, in Choro dipingi mandavimus [4].
Di questo affresco ne fa pure parola il Vescovo Triveri negli atti della Santa Visita, con queste parole:
A latere Evangelii depictum est miraculum S. Spinæ Coronæ D. N. I. C. in qua Anno Domini 1644, die Veneris Sancti, in quo incidit festum Annuntiationis B. V. Mariæ visæ fuerunt quædam guttæ, seu maculæ sanguinis non solum ab Ill.mo et Rev.mo tunc temporis E.po et a pluribus piis et doctis viris, sed a tota pene Civitate, et a multis etiam exteris [5].
Però quell’affresco, in seguito, venne distrutto, quando il Coro venne adornato di stucchi, e, al luogo di quell’affresco e degli altri affreschi, che adornavano il Coro, vennero sostituite le grandi tele del Porta, tuttora esistenti.
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Un altro prodigio viene documentato da un pubblico atto del Notar De Micco del 25 Marzo 1701, sotto il Vescovato di Mons. Ariani, essendo Vicario Generale il Rev. D. Domenico Antonio Massafra, il quale, coll’assistenza di molti ecclesiastici e di persone cospicue della città [6], il giorno precedente erasi recato ad osservare diligentemente la Santa Spina, trovandola, come al solito,
di color cenerizio, così dalla sommità, che fino all’estremo; ma la mattina poi del Venerdì Santo, precedute le più fervide preghiere e dirotte lacrime dei fedeli, verso l’ora sesta cominciò palpabilmente a vedersi comparire alla superficie della Spina alcune macchie di sangue, e quindi poiché fu trasportata dalla Cappella di S. Riccardo sulla Tribuna del maggiore altare, esponendola alla vista di tutti i fedeli, si vide di molte macchie di sangue dalla sommità al basso, siccome continuò ad osservarsi fino all’ora di nona, quando le suddette macchie di sangue cominciarono ad andare chiaramente sparendo [7].
Di questo prodigio fa pure menzione Mons. Sarnelli (Vescovo di Bisceglie) nelle lezioni scritturali [Lezione XCIII cap. CLXVIII. pag. 123] e nelle sue lettere ecclesiastiche (Tom. III. lett. XXXVIII).
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Nel 1712, coincidendo il 25 Marzo col Venerdì Santo, il prodigio si rinnovò, essendo Vescovo di Andria Mons. Adinolfi.
Di questo prodigio non si riscontra alcun documento, né nell’Archivio Capitolare, né nella Curia Vescovile, e neppure nelle schede notarili. Però di esso fa menzione il Vescovo successore Giovanni Paolo Torti (1718-24) negli Atti della Santa Visita Pastorale del 1722, dove si leggono le seguenti parole:
Decimo quarto (numero degli oggetti visitati) fuit visitatum Vas, sive Tabernaculum in quo asservatur una ex Spinis Coronæ D. N. I. C. in cujus mucrone adsunt quædam maculæ violaceæ, quas asseruerunt et testificaverunt adstantes propris oculis observasse [8] in die Parasceves, quando incidit in dicto die Festum SS.mæ Annunciationis B. Virginis 25 Martii, dictum colorem violaceum mutari in sanguineum de recenti effusum, quod vas fuit clausum et sigillatum sigillo prædicto; et in fidem etc. … D. Joannes Maria Marchio sanctæ visitationis Visitator. … etc. …
(Extracta est præsens Copia ex Actis Pastoralis Visitationis quondam Ill.mi et Rev.mi Ioannis Pauli Torti E.pi Andriensis anno 1722) [9].
Nell’anno 1737 il Capitolo Cattedrale, a maggiormente onorare quella preziosa Reliquia, che costantemente aveva operato il prodigio in ogni coincidenza del Venerdì Santo col 25 marzo, chiese ed ottenne dalla S. Congregazione dei Riti il Decreto di poter recitare l’Ufficio proprio e la Messa della Sacratissima Corona di Spine, in uno dei Venerdì di marzo. Ecco quel Decreto, in data 4 novembre 1737:
Asserentibus Episcopo, Capitulo et Clero Civitatis Andriæ, in Ecclesia Cathedrali ejusdem Civitatis, maximo cum populi concursu, unam ex S. Spinis Coronæ D. N. I. C. venerari, et humillime S. Rit. Congregationi supplicantibus quatenus Clero sæculari præfatæ Civitatis facultatem recitandi Officium Coronæ Domini, alias prout assertum fuit, Capitulo Ecclesiæ Metropolitanæ Civitatis Neapolis, recitari concessum benigne impertiri dignaretur. Sacra Congregatio (citra tamen approbationem assertæ S. Spinæ) Oratoribus gratiam petitam in una de Feriis Sextis Mensis Martii benigne indulsit, atque concessit.
Ottenuta tale concessione, il Capitolo destinò la feria sesta post cineres per recitare l’Ufficio e la Messa propria della Corona di Spine [10], nel qual giorno si suole esporre, lungo la giornata, la S. Spina alla venerazione dei fedeli sull’altare maggiore della Cappella di San Riccardo, chiudendo la festa col canto solenne del Te Deum.
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Nell’anno 1785, coincidendo il 25 marzo col Venerdì Santo, il Capitolo della Cattedrale ed il Vescovo Mons. Palica delegarono l’Arcidiacono D. Michele Marchio, l’Arciprete Mons. D. Giuseppe Ceci, il Canonico D. Domenico Noia ed il Sacerdote D. Michele Marziani d’invitare il dì 24 di detto anno il Notar Vincenzo Tedesco, unitamente al Regio Giudice a contratti il Signor Nicolò Conti, di recarsi in compagnia d’un gran numero di testimoni ragguardevoli [11], ad ispezionare la S. Spina, che conservavasi chiusa in Teca d’oro, nella Cappella di S. Riccardo, onde redigere un pubblico atto, attestante lo stato in cui trovavasi la Santa Spina, per poi redigere un secondo atto pubblico dello stato, in cui si sarebbe trovata il dì seguente 25 marzo, se il Signore si fosse compiaciuto operare il solito miracolo. Difatti i sopradetti Notaio e Regio Giudice, unitamente ai numerosi testimoni, ai quali vollero aggiungersi il Duca e la Duchessa d’Andria, Riccardo Carafa e Margherita Pignatelli, il Colonnello delle Guardie Svizzere Carlo Tschoudy, il Governatore Giuseppe Antonio D’Ambrosio, il Giudice Michele Buontempo, il Sindaco Riccardo Colavecchia, gli eletti Carlo Friuli, Riccardo Spagnoletti, Vincenzo Borsella, Francesco Saverio Venitucci e Benedetto Ursi, il Cancelliere Carlantonio Antolini ed i Dottori Giovanni Iannuzzi Erario e Matteo Tamanzi Agente di Casa Carafa, si recarono ad ispezionare la S. Spina, e redissero il seguente rogito, dove è detto:
«che il fondo della S. Spina era di color cinerino col finimento obscuro, e quasi violaceo, della lunghezza di 4. dita circa, della grossezza di un filo di spago o sia di una spina naturale, aver un segno bianco nella punta, come una punta di ago, sicché sembrava un pò spuntata; indi nella stessa punta potentemente si osservò nell’altra parte, da dove la Spina s’incurva alla via d’innanzi, una macchia oscura, che si accosta al color suboscuro, qual macchia seguita dalla sinistra della Teca, cioè dalla punta macchiata fino al piede di detta Spina, dell’istesso colore suboscuro; nel mezzo di detta Spina dallo stesso lato chiaramente si vedono in confuso, che non si possono numerare; dall’altra parte della Teca, egualmente che si osservò nella prima, non si trovò nella punta alcun segno bianco, come era nella prima parte, ma si osservò, come sopra di colore suboscuro, che continua fino alla metà di detta Spina, e fino al termine comparisce tutta macchiata, ma non così carica come sopra».
Questo fu il processo rogato il dì 24 marzo di quell’anno, giorno precedente al miracolo. Nella mattina del dì seguente (Venerdì Santo e 25 Marzo), il medesimo Notaio e tutti gli Attestanti, intervenuti il dì precedente, recaronsi nella Cappella di S. Riccardo e, dalle ore 12 del mattino sino alle ore 16 nessun mutamento avevano notato nella S. Spina, da quello del dì precedente [12].
Se non che verso le ore 16 e cinque minuti da tutti gli astanti, che stavano in rigorosa osservazione in quella Cappella, si cominciò ad osservare qualche mutamento nelle macchie di quella Spina, le quali, da suboscure e quasi violacee, che erano apparse fin’allora, sensibilmente andavano dilatandosi e facendosi sempre più vivide, e ciò sino alle ore 21 e mezza di quel giorno, ritornando poi allo stato primitivo [13]. Di ciò fu redatto regolare processo, firmato con giuramento tactis pectoribus et scripturis da tutti gli Assistenti sopra nominati, non solamente innanzi al Notaio Tedesco, ed ai Notai Giuseppe e Donato Sinisi, Gaetano e Leonardo Frisardi, Pasquale Cannone, Francesco Paolo Cristiani di Andria, ma anche alla presenza dei notai Emmanuele Lopani di Trani, Vincenzo Tedesco di Bisceglie, Domenico Nicola Frascola di Corato e D. Vincenzo Tedesco di Corato [14].
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Nel 1796 avvenne il miracolo, quasi nelle identiche circostanze testé descritte, cioè dalle ore 16 del mattino sino alle ore 21,30 della sera.
Era Vescovo di Andria in quell’anno Mons. Lombardi e suo Vicario l’Arciprete Mons. D. Giuseppe Ceci. Il processo fu rogato dal Regio Notaio Francesco Paolo Cristiani di Andria e da molti altri notai forestieri.
Dal rogito del Notar Francesco Paolo Cristiani del 25 marzo 1796, risulta che, dalle ore 16 sino alle 21,30,
la S. Spina si osservò con varie mutazioni, specialmente con strisce vivide e dilatate; e dal prelodato R.mo Mons. Lombardi, e da Mons. Arciprete D. Giuseppe Ceci, Pro - Vicario Generale, si fece trasportare la S. Spina nel supportico della Cattedrale, che sporge nel largo chiamato della Corte [15], ove si era accomodato un Tosello, e si espose alla pubblica osservazione e venerazione di tutto il popolo con un gran concorso di forastieri; nel Tosello durò l’apparizione suddetta sino alle ore 21 e mezzo [16].
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Tre anni dopo da questo prodigio, la S. Spina, una alla preziosa Teca, che 14 anni prima aveano fatto costruire i Duchi Riccardo e Margherita Pignatelli, ci venne derubata (1799) da quei briganti repubblicani francesi, che dettero il sacco e fuoco alla nostra città, portando via tutto ciò che di prezioso esisteva nelle Chiese e nelle case di Andria ! … Per ben 38 anni la S. Spina restò esiliata da Andria, cioè dal 23 marzo 1799 al 28 ottobre 1837, quando si ebbe la lieta notizia del suo ricupero.
E qui fa duopo narrare brevemente come avvenne il ricupero di questa preziosa Reliquia.
Dal processo, fatto dal Vescovo Cosenza, che ebbe la fortuna di ricuperare la S. Spina, risulta, che un tale Michele Miseo di Spinazzola erasi portato in Andria a fare acquisto di una parte degli oggetti quivi rubati dai francesi, e, fra gli altri, la S. Spina (non risulta se colla Teca o senza). Solo si sa che, venuto a morte il Miseo, nel 1807, la S. Spina passò a sua moglie Angela Saccino. Morta la Saccino, nel 1815, la S. Spina passò al Canonico D. Vincenzo Spada di Spinazzola, il quale la donò poi a suo nipote D. Raffaele Spada. Lo Spada a sua volta la donò a Mons. D. Federico Guarino, Vescovo di Venosa. Venuto a morte Mons. Guarino, nel 1836, affidò la preziosa reliquia al suo fido cameriere Gaetano Montedoro, il quale la custodiva gelosamente nell’Oratorio del defunto Vescovo Guarino. Intanto, in questo periodo di tempo, correva voce in Andria che la S. Spina trovavasi in Spinazzola.
Avvenne però che un tale Giuseppe Luigi Casiero, di Canosa, domiciliato in Venosa, avendo disposata una nostra concittadina, seppe da costei della perdita della S. Spina, e del lutto che opprimeva la nostra città per tale perdita, descrivendo anche al marito tutti i particolari di quella Spina, ed i prodigi che aveva operati nel corso dei secoli.
Senonché, essendosi recato un bel dì, per suoi affari, il Casiero in casa del Montedoro; e, non avendolo trovato, si trattenne per qualche tempo con la di costui figlia, la quale si fece un pregio fargli vedere diverse Reliquie di Santi, che suo padre aveva ricevuto in dono dal defunto Vescovo Guarino, scusandosi poi di non potergli far vedere un’urna di argento, contenente altre reliquie, che il padre non voleva si mostrassero a chicchesia. Ma, dietro le vive insistenze del Casiero, la ingenua fanciulla, s’indusse a mostrare al Casiero anche l’urna, che conteneva due Spine ed un pezzo del legno della Croce di Cristo. Allibì il Casiero, il quale, in una di quelle Spine (la più grande) gli parve di ravvisare la S. Spina, della quale più volte gli aveva fatto parola la moglie. Tacque per allora. Ma, venuto in Andria, si fece un dovere di tenerne informato il Vescovo Cosenza, pregandolo però vivamente a tacere il suo nome. Il santo Vescovo, senza porvi indugio alcuno, chiama a sé il noto ed esperto Canonico della Cattedrale D. Antonio Lomuscio, ed a lui confida il segreto, dandogli l’incarico di recarsi tosto a Venosa, ed ivi fare le opportune pratiche per ricuperare la S. Spina. Il Lomuscio ben volentieri accettò il difficile mandato, ed uni tosi a suo fratello Giuseppe ed al medesimo Casiero, corse alla volta di Melfi, per informare quel Sottointentente (Onofrio Bonchi), il quale, stando alla relazione del Lomuscio ed alle informazioni avute per lettera dal Vescovo Cosenza, il 22 ottobre di quell’anno 1837, mandava un ufficio al Montedoro, ingiungendo che tosto si recasse da lui in Melfi, per affari d’alta importanza. A quell’ufficio il Montedoro rispondeva di non potersi muovere da Venosa, perché affetto di ostalmia.
Ed era veramente infermo. Allora il Lomuscio, fornitosi d’altro ufficio del Sottointendente, pel Regio Giudice di Venosa, e pel medesimo Montedoro, unitamente al fratello ed al Casiero, si recò Venosa, dove giunto, dopo averne avvisato il Regio Giudice, consegnandogli l’ufficio del Sottointendente, e dopo d’aver conosciuta la casa del Montedoro, accomiatatosi dal Casiero, solo col fratello Giuseppe si presentò dal Montedoro, al quale, con modi cortesi, fece conoscere lo scopo di quella visita, consegnandogli la lettera del Sottointendente. Allibì il Montedoro, e si pose sulla negativa, asserendo di non aver mai posseduta la richiesta S. Spina. Ma, alla replica del Lomuscio, il quale mostravasi informato che quella Reliquia gli era stata donata dal suo padrone Mons. Guarino, il Montedoro, con disinvoltura, rispose che non a lui, ma al fratello del Vescovo, che trovavasi a Lecce, erano state donate tutte le Reliquie, che egli, provvisoriamente custodiva nell’Oratorio del defunto Vescovo. Fu allora che il Lomuscio, prendendo le mosse d’un ispirato (aveva avuto minute informazioni dal Casiero del luogo e dell’armadio che chiudeva l’Oratorio del Vescovo), cominciò a profetizzare, ed a parlare di celesti rivelazioni; e, coi pugni stretti, avviarsi alla stanza dove trovavasi la Cappella con la sacra Reliquia, minacciando, da parte di Dio, flagelli e sventure al bugiardo e sacrilego dententore della S. Spina di Andria. Impallidi il povero cameriere, ed intimorito dalle invocate minacce divine, chiama suo figlio, e gli ordina di accendere alquante candele, presentando al Lomuscio un’urna di argento nella quale conservavansi due Spine ed un pezzo del legno della Croce di Cristo. Un grido di gioia ruppe dal petto del Lomuscio, mentre il suo ciglio si bagnava di lacrime, nel riconoscere in quelle due Spine, la Sacra Spina di Andria, di gran lunga più grande dell’altra.
Nel contempo arrivava il Regio Giudice (avvisato dal fratello del Lomuscio), il quale faceva chiamare il Pro - Vicario Generale di Venosa, l’Arcidiacono D. Vincenzo Calvini, al quale consegnava l’urna, per la legale costatazione, se fosse veramente quella la S. Spina, rubata ad Andria dai repubblicani francesi. Il Provicario, in data 24 Ottobre, ne scriveva al Vescovo Cosenza, pregandolo di attendere la venuta del novello Vescovo di Venosa, onde dissuggellare l’urna, e rimettergli la S. Spina, dopo verificatane l’autenticità. Ma il Vescovo Cosenza, che non vedeva il momento di riscattare quel prezioso tesoro, il dì 26 di quel mese, unitosi ai Canonici della Cattedrale D. Giovanni Pastina, D. Riccardo Montaruli, D. Riccardo Brudaglio e D. Giuseppe Camaggio, tosto recossi a Venosa, ove prese ospitalità, con tutto il seguito, in casa del Teologo di quel Capitolo, D. Domenico Rapolla, il quale tanto gentilmente si adoperò anche alla consegna della Reliquia, dopo che il Vescovo Cosenza, coi processi alla mano, (rogati nei vari prodigi, avvenuti nei secoli precedenti e che descrivevano, in tutte le parti, la S. Spina), ebbe dimostrato esser quella veramente la S. Spina, che possedeva Andria. Innanzi all’evidenza dei fatti, fu allora la S. Spina trasportata in casa del Teologo Rapolla.
All’indomani [17], il Santo Vescovo, avvolta nella bambace la S. Spina, la chiuse in una piccola teca di argento, che seco aveva portato a Venosa, e faceva ritorno in Andria, fra le più entusiastiche accoglienze dell’intiera cittadinanza.
Dopo aver indossati gli abiti pontificali nella Chiesa dell’Annunziata, il buon Vescovo, circondato dal Capitolo della Cattedrale, da tutto il Clero Secolare e Regolare, seguito da un popolo immenso di persone d’ogni condizione sociale, sesso ed età, fra il suono delle campane, tra il fragore degli spari, fra le grida entusiaste di gioia e commozione, sotto una pioggia di fiori, si avvia al Duomo, colla sacra Reliquia stretta tra le braccia, versando lagrime di commozione. Giunti nel Duomo, il Canonico Teologo D. Antonio Regano salì il pergamo, improvvisando un commovente discorso, terminato il quale, il Vescovo intonò un solenne Te Deum, e chiuse la bellissima festa colla benedizione della sacra Reliquia!
Cosi Andria, dopo 38 anni di lutto, riacquisto la S. Spina, che i repubblicani francesi ci avevano involata il 23 marzo 1799.
In memoria di tale avvenimento, furono composti i seguenti esametri, da incidersi sulla nuova Teca, unitamente ai sedici incisi sulla Teca involataci.
Quam cernis Spinam hinc peregrina in littora traxit
Dextera rapax, ferro quum sterneret omnia Gallus;
Iosephi intemerata manus, pietasque verenda
Antiquam in sedem Venusina ex urbe reduxit.
Inclytus ah vivat Praesul per saecula sospes!
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Intanto, a soddisfare il desiderio della cittadinanza, che anelava rivedere la S. Spina e venerarla, ed anche in riparazione del sagrilego furto, il Vescovo Cosenza ordinò che restasse esposta per parecchi giorni sull’altare maggiore del Duomo. Mirabil cosa ! … Il dì I. novembre, verso le ore 22, le macchie di sangue suboscure della S. Spina si videro rosseggiare di vivo sangue, come soleva accadere nelle coincidenze del Venerdì Santo col 25 marzo. Alla nuova di questo straordinario prodigio, tutti i cittadini accorsero in Chiesa a verificare il grande portento. Sparsasi la notizia nei paesi circonvicini, fra gli altri, corsero in Andria quanti, specialmente del Clero, avevano osservata la S. Spina in Venosa ed in Canosa, e tutti confermarono lo straordinario prodigio, notando in quella Spina le macchie di vivo sangue, che essi avevano prima viste sbiadite.
Con questo straordinario prodigio, che durò per un mese intiero, Nostro Signore volle anche confermare, da sé che era veramente quella la Spina rubataci. e poi restituitaci e, nel contempo, rimunerare il Vescovo e la cittadinanza della devozione addimostrata alla Sua Reliquia.
Di questo straordinario avvenimento ne fa fede il medesimo Vescovo Cosenza, come risulta dal seguente attestato, che riscontrasi nella Curia Vescovile di Andria:
«L’anno 1837, il giorno 2 dicembre in Andria, Noi Monsignore Giuseppe Cosenza, Vescovo di Andria, avendo osservato nel primo giorno del prossimo spirato novembre lo straordinario ravvivamento delle macchie della Sacrosanta Spina, ricuperata, la Dio mercé, da questa nostra Chiesa, dopo la perdita fatta nel saccheggio del 1799, giusta il nostro verbale della data del I. novembre, siamo stati col nostro Clero e popolazione intenti ad osservare ogni giorno il suddetto sacro pegno della incoronazione di Nostro Signore, per vedere la durata del detto miracolo, e sempre più magnificare la speciale grazia. che in tale occasione riceviamo da Dio. E, facendo le anzidette osservazioni, abbiamo conosciuto che insino alla giornata di ieri, primo del corrente dicembre, il descritto ravvivamento delle macchie siasi costantemente conservato, senza alcuna varietà lungo lo stelo di essa Santa Spina. Questa mattina poi essendo al solito esposto I’ Ostensorio in discorso, sull’altare maggiore di nostra Chicsa, abbiamo chiaramente ravvisato che la Santa Spina ha ripigliato il suo natural colorito, essendo le macchie ritornate ad avere il colore cinerino suboscuro di prima. Locchè si è ben anche constatato da tutti gli astanti intervenuti in detta Chiesa» [19].
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Al fortunato Vescovo Cosenza, dopo cinque anni dal ricupero della S. Spina, toccò anche la consolazione di vedere un secondo prodigio, più straordinario del primo, quello cioè dei fiorellini!
Nel 1842, coincidendo il Venerdì Santo col 25 marzo, tutti attendevano il solito prodigio del ravvivamento delle macchie nella S. Spina. Secondo risulta dal rogito del Notar Michele Cristiani di Andria, Mons. Cosenza, unitamente al Vescovo di Molfetta, Mons. D. Giovanni Costantini, ai più distinti personaggi del Clero e del laicato della città, e a tutte le autorità civili e militari, erasi recato nella Cappella di S. Riccardo, dove, sull’altare maggiore di essa, trovavasi esposta la S. Spina alla venerazione di tutti, nell’aspettativa che avvenisse il solito prodigio. Ma, sino al cader della sera, nessun cambiamento si verificava su quella Spina. Furono raddoppiate le preghiere, si dette sfogo alle lacrime, alle grida di dolore e d’invocazione per la sospirata grazia, ma tutto fu inutile. Il prodigio non avveniva! … Scorati tutti, e, più di tutti, il Vescovo Cosenza, colle lacrime agli occhi, ma colla fede nel cuore, tolta la sacra Reliquia, e stringendola al petto, Egli si avvia all’Episcopio, seguito da una folla piangente, per depositare la S. Spina nella sua privata Cappella. Ma il Dio della misericordia non seppe resistere a tanta fede e pietà; ed un più stupendo prodigio preparava alla consolazione del Santo Vescovo e dei buoni fedeli, come alla confusione dei nemici della fede, che già menavan trionfo pet mancato prodigio. …
Ed ecco che alcune macchie della S. Spina si vedono rigonfiare, e sbucciare in vaghi fiorellini bianchi, simili a quelli delle spine nella primaverile fioritura. Un grido di gioia si sprigionò dal petto degli astanti, i quali, prostrati al suolo, adorarono quel sacro pegno del Divin Riscatto. Quel prodigio durò tutta la notte. Il seguente Sabato Santo, esaminata la S. Spina, con maggior diligenza, facendo anche uso delle lenti d’ingrandimento, altri fiorellini più piccoli si videro sbocciare su quello stelo.
Ecco come descrive questo prodigio il Canonico D. Bernardino Frascolla, testimone oculare, che fu poi Vescovo di Foggia,
« quelle piccole gemmette (che, dopo diciassette giorni dalla sua relazione ancora duravano) erano sostenute da due esilissimi gambi, e, ad occhio nudo, sembravano due lenticolari funghetti di colore bianco - giallognolo, chinati in vaghissima guisa su loro steli bianchi e meno che capillari, quasi due fiorellini al declinare del sole … Fatto uso del microscopio [al dire del Frascolla], la più grossa gemmetta apparve fiore di figura presso che circolare, avendo il diametro quasi di un pollice e mezzo, tutto formato di un gruppo folto e leggiadrissimo di fili d’argento, sulla sommità dei quali luccicavano si in bella ordinanza strette preziosissime perle; che le une alle altre vicine in convessa superficie da magistero angelico sembravano ordinate. E l’orlo argenteo del fiore si vide da neri e violetti puntini screziato, e tre neri puntini, degli altri più grossi, elevavansi nel centro del fiore, quasi piuoli da candide filacciche sostenuti. Il gambo apparve triplicato filo granelloso d’argento, che, all’altezza di due centesimi dal piè della Spina, cominciava a ritto elevarsi come animato da rigogliosa vegetazione, e poi soavemente chinavasi là ove s’addentrava nel calice. Né diversa apparve la struttura del secondo fiore, se non che più piccolo mostrossi del maggiore fratello, poiché avente il diametro di circa mezzo pollice. Ma bello a paro dell’altro, splendente a paro del vicino, ed in meraviglie rivale al vago germano. Ed entrambi naturale germoglio della madre loro» [20].
Di questo straordinario prodigio dei fiorellini, a dì 31marzo 1842, fu redatto regolare processo (che conservasi nella Curia Vescovile) firmato dal Vescovo Cosenza, dal suo Vicario Generale D. Giangiuseppe Torti, dal Cancelliere vescovile D. Giovanni Pastina, dall’Arcidiacono della Cattedrale D. Lorenzo Marchio, dall’Arciprete Santacroce, dal Cantore D. Riccardo Brudaglio, dal Primicerio D. Giuseppe Troia, dal Penitenziere D. Mariano Cocco, dal Teologo D. Antonio Regano, dai Canonici della Cattedrale Giuseppe lannuzzi, Riccardo Montaruli, Nicolantonio Brudaglio, Giuseppe Zinni, Bernardino Frascolla, Michele Borsella, dal Prevosto di S. Nicola Vincenzo Noja, dal Cantore e Primicerio della medesima Chiesa Franc. Antolini e Riccardo Dell’Olio, dal Provinciale dei Minori Osservanti Fra Luigi Maddaloni, non che dai borghesi Carlo Carafa Duca di Andria, Vincenzo Cotreman, Annibale Accetta Regio Giudice supp., dal Sindaco Pasquale Fasoli, dagli eletti della città, dai Dottori fisici e chimici, e da molti altri cittadini.
Una divota e solenne processione fu fatta il 5 Maggio [giorno dell’Ascensione di Nostro Signore], portando in trionfo per la città, la S. Reliquia, fra la commozione dei cittadini e dei forestieri, accorsi qui in Andria, ad ammirare lo straordinario prodigio, che durò circa un mese.
Così Nostro Signore Gesù Cristo volle premiare, per la seconda volta, lo zelo del Santo Vescovo Cosenza, per aver riscattato quella Sacra Reliquia, e la devozione dei nostri Padri, che l’ebbero in tanta venerazione.
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All’approssimarsi dell’anno 1853, il giorno in cui coincideva nuovamente il Venerdì Santo ed il 25 Marzo, tutti erano in attesa del prodigio, rammentando quello straordinario dei fiorellini del 1842. Era Vescovo di Andria Monsignor Longobardi. L’Arcidiacono D. Nicolantonio Brudaglio ed i Canonici Decani D. Riccardo Bisceglie e D. Nicola Campanile, delegati dal Capitolo Cattedrale, il dì 13 marzo invitarono il Notar Michele Cristiani a redigere un atto pubblico, descrivendo lo stato normale, in cui trovavasi allora la S. Spina, per poi redigere un secondo rogito, se il Signore si fosse compiaciuto di rinnovare il desiderato prodigio.
In quell’atto pubblico si costituirono molti del Clero e del laicato, tra i quali il Pro - Vicario Generale Mons. D. Giovanni Pastina, Arciprete della Cattedrale, il Primicerio D. Giuseppe Troja, il Priore Don Vincenzo Latilla, il M. R. P. Luigi da Maddaloni dei minori osservanti, il Giudice Ferdinando Pionati, il Sindaco Riccardo Iannuzzi, ed i Dottori Fisici Tobia Bisceglie, Francesco De Giorgio, Vincenzo Ieva, Giuseppe Chicco, Vincenzo Camaggio ed il notar Giovanni Latilla.
Fu quindi, il dì 13 di quell’anno, rilevata la Santa Reliquia dal Palazzo Vescovile, ove trovavasi depositata, e traslocata processionalmente nella Cappella di S. Riccardo, con l’intervento del Capitolo Cattedrale, del Seminario, e dei Signori costituiti in quell’atto pubblico, i quali, dopo d’aver fatto la ricognizione dello stato normale, in cui trovavasi allora la S. Spina, ne fecero minuta descrizione in quel processo, che, per brevità omettiamo, essendo quasi conforme agli altri riportati sopra.
Il dì 25 poi, giorno tanto aspettato pel miracolo, i Signori costituiti, unitamente all’Arcidiacono D. Nicolantonio Brudaglio, al Rev. D. Sozio Porretti (che trovavasi a predicare la quaresima di quell’anno), a tutte le Autorità civili del paese ed a tutti i dottori fisici, si unirono nella Cappella di S. Riccardo, in osservazione dell’avvenimento, mentre il resto del Clero, seguito dal popolo, dopo aver trasportata la Statua della Vergine Addolorata sull’altare maggiore della Chiesa, si profondeva in devote preci e cantici. Indi il Vescovo Longobardi, asceso il Pergamo, disse un commovente discorso, eccitando tutti alla penitenza ed alla confidenza nel cuore Santissimo di Maria Addolorata, perché affrettasse, con la sua intercessione, il sospirato momento di veder quella Spina intrisa del sangue del divin suo Figlio. Dopo aver cantato il salmo Miserere, il buon Vescovo recitò un altro commovente discorso, terminato il quale, fu recitata la coroncina dei sette dolori di Maria. Terminata la coroncina, mentre dal Clero s’intuonava il canto dello Stabat Mater, cominciò a notarsi, dagli osservatori, un cambiamento nella parte estrema della Sacra Spina. Proseguendosi le preghiere, ed intonata la Litanie dei Santi, verso l’ora di sesta, diventava sempre più sensibile il mutamento della macchia, sino ad apparire la punta della Spina come di fresco intrisa nel preziosissimo Sangue di Cristo, marcandosi specialmente la lucidezza, che l’accompagnava, ed un cerchio suboscuro, che principiava ove appunto terminava la macchia del preziosissimo sangue. Dopo poco tempo si vide ancora la macchia del lato destro della Spina ancor rosseggiare di sangue. Erano le ore 19, quando fu dato l’avviso dell’avvenuto prodigio! …
Un grido di gioia e di commozione scoppiò dal cuore di tutti i fedeli, che stivavano la Chiesa. Il Vescovo Longobardi, pel primo, sceso dal Pergamo, cosperso di cenere, con una fune al collo venne a prostrarsi ai piedi di quella Santa Spina, seguito dal Clero, da tutti i notabili della città; e, dopo aver innalzato inni di ringraziamento, tolta l’Urna tra le mani, la diè a vedere e baciare a molti [21].
Dell’avvenuto prodigio fu quindi redatto un secondo atto pubblico pel medesimo Notar Cristiani, firmato dai costituiti Signori sopra notati. La Sacra Spina fu intanto esposta alla venerazione sull’altare maggiore della Cappella di S. Riccardo, ed il miracolo, questa volta, durò sino al giorno di Pasqua, con questa sola differenza che, laddove la Sacra Spina, nel Venerdì Santo presentava macchie sanguigne in tutta la circonferenza della punta, nel Sabato Santo poi, e nel giorno di Pasqua, ciò si notava solamente nel lato destro della stessa. Tutto ciò venne attestato con altro atto pubblico anche dai Signori Pasquale Fasoli, Pasquale Cafaro, Nicola Ceci, Riccardo Porro, Nicola Fasoli, tutti notabili della città, e dal Predicatore quaresimalista D. Sozio Porretti e dal P. Definitore dei Minori Osservanti fra Michele da Valenzano. A compimento delle feste, il Lunedì di Pasqua ebbe luogo una solenne processione di ringraziamento, ed il Vescovo Longobardi volle portar Lui fra le sue braccia il grande Ostensorio, contenente la Sacra Reliquia.
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Alla distanza di undici anni, cioè nel 1864, coincidendo il Venerdì Santo colla festività dell’Annunziata, il prodigio si rinnovò, essendo ancora Vescovo di Andria Mons. Longobardi, il quale, per i torbidi politici del 1860, era lontano dalla Diocesi, e non poté, perciò, trovarsi presente a quest’altro prodigioso avvenimento.
Risparmiandoci dal ripetere quanto abbiamo narrato nei precedenti casi, circa le constatazioni rigorose, fatte su quella Spina da periti e da numerosi testimoni oculari [22], di qualunque grado e condizione, prima e dopo l’avvenuto portento, ci limitiamo solamente a rammentare, come, in quest’anno, il miracolo, giusta gli atti del processo, avvenne alle ore 20 e tre quarti, nella qual ora le macchie della S. Spina si videro più cariche. Però, alle ore 21, quelle macchie, benché più rilevanti, non offrivano alcun rigonfiamento, né lucidezza, meno che nella parte concava della punta, dove la naturale macchia presentava la tinta d’un pavonazzo più scuro, ed alquanto più esteso di quello ch’erasi prima osservato. I periti sanitarii, i chimici, e tutte le Autorità locali, ivi intervenute, non esitarono dall’annunziare allora l’avvenuto prodigio, che produsse nel popolo tanta commozione, da sciogliere a Dio inni di ringraziamento, fra singhiozzi e lacrime dl vera compunzione. Fu quindi da sacerdoti quella Sacra Teca, dalla Cappella di S. Riccardo, trasportata sull’altare maggiore del Duomo, dando così, accesso a tutti a baciare ed osservare quella preziosa Reliquia, bagnata del sangue preziosissimo del Divin Redentore.
Assisteva a questo prodigio Mons. D. Giuseppe Iannuzzi, nostro concittadino e Vescovo di Lucera, rifugiatosi in Andria, per i torbidi politici del 1860.
Di questo prodigio fu redatto un pubblico rogito dal Notar Francesco Cristiani, la di cui copia conservasi nella Curia Vescovile. Un mese dopo l’avvenuto prodigio, il Seminario Diocesano, allora molto in auge, solennizzò il grande avvenimento con una solenne Accademia poetico-musicale, i di cui componimenti furono poscia dati alle stampe, raccolti in un bel volumetto intitolato: Andria e la S. Spina. Reggeva allora il Seminario il Canonico della Cattedrale D. Giuseppe Dottore Marziani, che poscia fu Primicerio del nostro Capitolo. Concorsero alla riuscita di quell’Accademia il Canonico Teologo della Cattedrale, D. Alessandro Parlati (che poi fu Arcidiacono) con i suoi geniali versi, recitati dai più piccini Seminaristi, ed il valoroso letterato D. Leopoldo Barbarossa di Minervino Murge, che, in quel tempo, insegnava nel Seminario l’alta letteratura. Il Rettore Marziani ed il Professore Barbarossa lessero due splendidi discorsi accademici, mentre 16 Seminaristi dei più grandi gareggiarono coi loro poetici componimenti [23].
Ci piace chiudere questo Capo con le ultime due strofe della Cantica, che compose e recitò in quel Accademia un giovane Seminarista, poeta gentile, filosofo e teologo profondo, morto a venti anni, il dì 19 novembre 1863, dopo un anno e mezzo da quell’accademia [24].
Ecco i versi:
Penisola gentil, tu, che contempli
Coll’estatico sguardo i tuoi campioni
Ed i trofei della grandezza avita,
O bella Italia, all’andriana terra
Deh ! piega il ciglio — e nell’ augusta Spina,
Ch’ella ti serba fra i suoi sacri colli,
Deh ! pur vi ammira la maggior tua gloria
E i fasti eterni degli antichi Eroi!E se fia mai, che la superba Donna
Dell’ Adria spieghi all’Oriental paese
Le antiche vele, e a vendicar risorga
De’ suoi campioni la dispersa polve
E l’urne loro scelerate e infrante
Dall’empio Musulman, per Dio, deh! venga
A questi santi altari — e qui s’inspiri,
E nel suo petto la virtù riaccenda,
Priachè l’immondo Saracen fia domo
Pel braccio invitto dei suoi forti Eroi [25].
NOTE (Nell'originale la numerazione è di pagina e non progressiva)
[testo tratto da "Il Capitolo Cattedrale di Andria ed i suoi tempi" di Michele Agresti, tipi Rossignoli, Andria, 1912, Vol II, pag. 135-151]