(foto della chiesa non presente nell'opuscolo)
L'origine del monastero delle Benedettine di Andria è legata alla decadenza ed all'abolizione di due antichi ospizi. Le claustrali occuparono le case ed ebbero una parte del patrimonio e delle rendite già destinate ai poveri e agli infermi. Autori di questa, diciamo cosi, inversione furono i discendenti stessi dei fondatori di quelle istituzioni, gli amministratori dell'Università, il vescovo. Se la cosa ci sembra ora strana coi nostri criteri, con quelli vigenti allora, a mezzo il secolo XVI, non destava meraviglia ed ebbe la sanzione legale in tre istrumenti del notar Nicola Angelo Facinio dell'1, dell'8 e del 10 febbraio 1563 e in una bolla del Pontefice Pio IV del 7 maggio 1563. Non abbiamo potuto rintracciare i primi due istrumenti, ma dal terzo e dalla bolla ponteficia si ricava una sufficiente informazione di quei fatti [1].
Andria aveva avuto fino a quel tempo per l'assistenza agli esposti, agli infermi, ai feriti e ai pellegrini quattro ospizi: S. Maria della Misericordia, S. Bartolomeo, S. Riccardo, la Trinità. La loro origine, non determinabile con precisione per mancanza di documenti, era molto antica: l'amministrazione era devoluta, per l'ospedale della Misericordia ad una confraternita, e per gli altri tre, sotto la sorveglianza dell’Università, ai discendenti delle cinque famiglie patrizie – De Gammarota, De Madio, Quarti, Fanelli e Superbo – che avevano fondato quei luoghi pii.
Alla metà del Cinquecento questi ospizi erano in grande decadenza, il primo per insufficienza delle rendite e gli altri tre per cattiva amministrazione. Si era giunto al punto che i governatori convertivano in proprio uso i frutti dei beni destinati dai loro antenati alla beneficenza! L'accusa ripetuta anche nella bolla ponteficia non fu contradetta, che ci risulti, dai governatori. Deve anzi argomentarsi una implicita loro confessione nel consenso che diedero nel parlamento universitario e nei pubblici istrumenti al concentramento e alla parziale trasformazione degli antichi ospizi.
Riuniti i patrimoni in uno solo ne fu data l'amministrazione a quattro deputati, due eletti dalla confraternita di S. Maria della Misericordia e due dall' Università, coll'intervento dei rappresentanti delle cinque famiglie. Delle antiche case quella di S. Maria della Misericordia, accanto alla chiesa che poi fu detta di Porta Santa, fu conservata per ospedale e quella di S. Bartolomeo per ricovero di pellegrini [2].
Dove erano stati gli ospizi di S. Riccardo e della SS. Trinità fu istituita la clausura delle Benedettine «per aumento del culto divino, per decoro e ornamento della città, per consolazione dei fedeli», e - la bolla di fondazione non dice, ma è facile sottintendere - per offrire alle famiglie signorili, il modo di collocare le figliuole non destinate al matrimonio.
Per la trasformazione dell'edificio furono tolti mille ducati, una bella somma per quei tempi, al patrimonio ospedaliero; e pel mantenimento delle claustrali fu imposto a quel povero patrimonio di contribuire con cento ducati all'anno. Altre somme diede l'Università, che si era riservato e che ebbe riconosciuto dal Papa il patronato sul nuovo monastero; altre si ricavarono dalla inversione di un legato che il vescovo Angelo Florio (1477-1495) aveva lasciato a favore del l'ospedale di S. Riccardo [3]; altre da pie donazioni, fra le quali quella di Porzia Carafa, vedova da Fabrizio primo feudatario di Andria di questa famiglia [4].
Si aggiunsero poi man mano le doti delle monache, seicento ducati per le forestiere, e quattrocento per le andriesi, che furono esentate da quest’obbligo dopo che il convento ebbe raggiunto un sufficiente patrimonio. Questo già alla fine del seicento comprendeva la vasta tenuta di Palese, alle falde delle Murge, alla quale nel 1704 si aggiunsero quella di Ciminiera [5], e nel 1746 il predio dell'ospedaletto vicino alla città, e dentro di essa un'osteria avuti dall'ospedale della Misericordia in transazione di parecchie annualità arretrate e deI capitale corrispondente a quella rendita perpetua. Al tempo dell'abolizione del monastero, nel 1866, il patrimonio rurale delle Benedettine ascendeva a ottocentoventiquattro ettari [6].
Corsero venti anni dalla bolla di fondazione (1563), dove rimase imprecisato l'ordine al quale doveva appartenere il nuovo monastero, fino all'effettivo impianto d1 esso (1582), con l'assunzione della regola benedettina, modificata secondo le norme stabilite per le clausure femminili dal Concilio di Trento e dai pontefici Pio V e Gregorio XIII, ed applicata al monastero andriese con «ordinationi et constitutioni» dettate dal vescovo Luca Antonio Resta [7]. Con esse era prescritto il solito ordinamento che dava alle suore il dritto di voto nelle elezioni delle «superiori» e negli atti amministrativi più importanti, ma dava nello stesso tempo alla Badessa, e in sua mancanza alla Vicaria, la suprema autorità nella disciplina, a pena attenuata dal Consiglio delle quattro «Discrete» negli affari di amministrazione. Del resto entrando in noviziato le suore erano state informate della «regola, della asperità del vivere, del vestire, delle vigilie, dei digiuni, delle orationi, ed ogni altra asprezza del viver loro». E sapevano che per, le contravvenzioni alla regola erano comminate pene anche corporali: la disciplina, il mangiare a terra, e fino la prigionia ad arbitrio della Badessa.
Con queste norme e con le altre particolarmente espresse nelle «ordinationi» e per merito della vocazione delle recluse, i giorni e i secoli trascorsero tranquillamente nel monastero della Trinità, fino all’abolizione legale del 1866 e quella di fatto avvenuta nel 1914. Nella contemplazione, nella preghiera, nelle rinunzie e … anche nelle piccole gare e nei pettegolezzi claustrali le Benedettine rimasero così ben sepolte in queste mura, che nessuna offrì mai al cronista indiscreto materia da racconto alcun poco interessante.
Le principali vicende della storia cittadina, osservate dalle gelosie delle terrazze e del belvedere o apprese attraverso le solide grate del parlatorio, non toccarono quasi mai le nostre Cassinesi, tranne nell'assalto di Andria de1 23 marzo 1799, quando esse, protette dai legionari di Ettore Carafa cercarono rifugio nel palazzo ducale mentre il convento era saccheggiato dai soldati francesi.
Più delle silenziose abitatrici interessa quella che fu la loro dimora.
Quanta parte delle fabbriche degli antichi ospedali rimase negli adattamenti della fine del secolo XVI richiesti per la clausura non sappiamo. Potremmo far conoscere la pianta e l'esterno del monastero, quale era al principio del ‘700, se riuscissimo a rintracciare nell'archivio romano della Congregazione dei Vescovi e Regolari l'incartamento del clamoroso processo che allora si svolse tra il Vescovo e le Benedettine. Ma ne abbiamo presenti soltanto alcune allegazioni forensi [8].
Monsignor Andrea Ariani, eletto vescovo di Andria nel 1697, aveva intrapreso non appena entrato in residenza, il restauro e l'ampliamento dell'episcopio con rinforzare fra l'altro l'angolo tra settentrione e ponente, dove si legge tuttora la data 1698, e prolungare per breve tratto il lato prospiciente al monastero della Trinità. Le Benedettine ricorsero il 9 luglio 1700 alla Congregazione dei Vescovi contro la nuova opera, asserendo che da una delle finestre di essa si poteva guardare in quella di una delle loro celle e fino penetrarvi, mettendo tra l'una e l'altra una tavola su la via larga soltanto nove palmi. Fu delegato ad istruire monsignor Fabrizio Susanna [9], vescovo di Montepeloso, il quale su piante da lui fatte rilevare diede ragione alle Benedettine.
Ma dimostrati i gravi errori di quelle piante con attestati del Clero e dell'Università di Andria, compilati su perizia di provetti maestri muratori, mons. Ariani ottenne, che fosse disposta una nuova istruzione. Ne fu dato l'incarico ad un pio prelato che era inoltre un letterato e archeologo famoso, a Pompeo Sarnelli, allora vescovo di Bisceglie. Il quale venuto in Andria nei primi giorni di aprile procedè agli accertamenti con le maggiori solennità legali, alla presenza non soltanto dell'avvocato e del procuratore del monastero, ma anche dell'arcidiacono, dell'arciprete e del priore del Capitolo della Cattedrale, degli abati, priori e guardiani dei sette conventi andriesi, del sindaco e degli eletti. Fece eseguire i rilievi da due architetti «dei migliori della provincia», fra Filippo da Molfetta, laico cappuccino, e fra Agostino da Andria, agostiniano, coadiuvati da un esperto e da tre maestri muratori andriesi. Ne risultò il buon dritto del vescovo a completare la costruzione di questo lato del palazzo, facendovi le finestre che volesse, giacchè quelle del monastero erano state aperte abusivamente circa venti anni addietro, e potevano chiudersi senza togliere luce ai dormitori.
Dalla relazione del Sarnelli e dalle perizie annesse si desume che al principio del Settecento il monastero della Trinità era ancora un aggregato non bene ordinato di vecchie e nuove fabbriche dominate nel mezzo da una torre quadrata «donde le monache possono vedere in giro il mare e la campagna ed il largo dove sogliono farsi i fuochi». Finestre munite di grate e una loggia erano nel prospetto al largo della cattedrale per osservare le processioni e le altre feste che si svolgevano ivi, e nella contigua piazza del palazzo ducale.
Un ventennio dopo quel litigio, e precisamente nel 1723, si intraprese la demolizione di tutte le precedenti fabbriche per riedificare convento e chiesa secondo un unico ed organico disegno, nel modo in cui sono giunti fino al nostro tempo e che ora va scomparendo nella demolizione. L'opera procedè lentamente. Si cominciò a metà circa del lato orientale, dove è evidente l'innesto di due costruzioni, e proseguì fino all'angolo a settentrione nel cui spigolo si legge quella data. Nel 1741 si erano completati i lati di settentrione e di ponente, secondo attestano le date segnate agli spigoli del basamento. Posteriormente si costruì il prospetto sulla piazza della cattedrale e in ultimo la chiesa la cui decorazione fu completata nel 1774 giusta l'epigrafe incisa sulla porta [10].
Intorno all'unico chiostro sorgeva l'edificio, isolato tra le vie della cattedrale, De Anellis e Gammarota, e la piazza della cattedrale. Su di questa sporgevano i prospetti della chiesa e del convento, mentre sulle vie le pareti degli altri lati si elevavano nude, con rare piccole finestre circolari fino al ben proporzionato cornicione, e finivano in un terrazzo circondato da pilastri e gelosie. All'angolo tra settentrione ed oriente era il caratteristico belvedere. L'ornamento del portone è in pietra, formato da pilastri fiancheggiati da volute che circondano anche la nicchia sovrastante che contiene una statuetta di S. Benedetto sobriamente scolpita. Tutto è attribuito a Nicola Antonio Brudaglio, vissuto intorno alla metà del sec. XVIII, capostipite di una famiglia di scultori andriesi [11].
A sinistra, sull'architrave è incastrato lo stemma del vescovo Angelo Florio – una vacca con un fiore -, e a destra quello del Comune – un leone rampante su di una giovane quercia – col motto Andria non minus fidelis quam benigna, qui riportati dalle antiche fabbriche del monastero. Più in alto nel prospetto si aprono un primo ordine di finestre quadrate, un secondo ad arco ribassato e sul cornicione un terzo a forma di anfore. Il grazioso ornamento di queste fu rilevato con grande perizia sul tufo duro e scheggioso delle Murge, nel quale furono altresì lavorati i pilastri del terrazzo e del belvedere, e per quest' ultimo le piccole cuspidi, le volute e i trafori.
Un maggior interesse desta la chiesa pel suo felice organismo dove la notevole altezza è tuttavia ben proporzionata all'interno con la pianta.
Ad evitare che la snellezza apparisse soverchia nel prospetto lo si è diviso orizzontalmente in due piani sormontati da un alto frontone, e verticalmente in tre corpi, dando un lieve aggetto al centrale, dove è la porta e l'unica finestra a foggia di anfora, e incurvando i laterali. Di fianco si eleva snello ed elegante il campanile a tre piani sormontati da cuspide.
Il rettangolo dell'unica nave si restringe a semicerchio sull'altare maggiore dietro al quale in alto è il coro delle claustrali. Le pareti, incavate per ciascun lato in un'arcata a racchiudere gli altari minori, sono tutte scompartite in riquadri a stucco modellati con finezza che armonizzano con il cornicione e con i riquadri della volta arcuata.
A chi si dovè l'architettura del convento e della chiesa? Secondo Giacinto Borsella (1770-1850), un colto magistrato che scrisse l'Andria Sacra intorno al 1850 tutto fu costruito con la direzione dell'andriese Saverio Raimondo [12]. Ma questi nacque nel 1729, sei anni dopo da che si era iniziata la riedificazione del convento e aveva solo dodici anni nel 1741 quando fu completata [13]. Può aver disegnata la chiesa, ma per attribuirgliela sicuramente non abbiamo da indicare a confronto altre opere sue né in questa città né altrove. Può il Raimondo aver soprainteso all'esecuzione di disegni inviati da altri, forse da un monaco che esercitava l'arte nel silenzio, pago del vantaggio che ne veniva al suo ordine. Abbiamo visto, a proposito della lite fra il Vescovo e le Benedettine, che ve ne erano parecchi nei conventi della provincia, tuttora nell'età barocca come ve ne erano stati nelle precedenti.
La bella decorazione a stucco fu ideata ed eseguita da un artista pugliese che segnò il suo nome sull’arco dell’ingresso: Dominico Cocatride di Monopoli f. 1775.
Restano ignoti i valenti artefici che in pregiati marmi policromi distesero sotto le arcate laterali i ricchi panneggi e scolpirono gli altari minori e quello maggiore più sontuoso ed ornato.
Nel paliotto a mezzo rilievo è la immagine di S. Benedetto col corvo, e sui pilastrini laterali sono gli stemmi di monsignor Domenico De Anellis, un braccio con la mano che regge un anello. Vescovo di Andria dal 1744 lasciò morendo nel 1756 erede la sorella Aurelia ultima discendente di quella nobile famiglia; e costei, monaca nella Trinità destinò le rendite del cospicuo patrimonio alla riedificazione e decorazione della chiesa [14].
Furono eseguiti anche allora i dipinti che sono disposti negli ovali della volta e sugli altari, tranne quello dell'altare maggiore - la Trinità adorata da S. Riccardo e S. Nicola - che è opera di un ignoto seicentista. Gli altri rappresentano, sull'altare a sinistra: la Deposizione di N. S. dalla Croce tra le Marie e S. Giovanni, e nell'ovale superiore, S. Francesca Romana; sull'altare a destra: S. Benedetto e S. Scolastica in alto, e in basso S. Mauro, tra S. Geltrude, S. Edita figlia di Edgardo re d'Inghilterra, S. Placido, e nell'ovale superiore: S. Sebastiano; negli ovali minori della volta: S. Benedetto che insegna la regola ai discepoli, e che siede, a modesto desco insieme colla sorella; e nel più grande centrale lo stesso santo che nel sacrificio della mensa distribuisce l'Eucaristia ai discepoli. Sono lavori mediocri, che pur attirano per una certa ingenuità di espressione, di un pittore pugliese che segnò il suo nome a piedi della tela centrale della volta: Vitus Calò inv. ct pinr. 1774. Ad un andriese, Nunzio Morano, si deve il pulpito elegantemente scolpito in legno (1793) [NDR].
Completano la decorazione, delicati intagli delle gelosie e i graziosi ornati dipinti sul fondo dorato degli usci.
Questo buon esemplare dell'architettura claustrale settecentesca meritava che si conservasse integralmente, dopo che, sgombrato dalle ultime monache, l'edificio era stato rivendicato dal Comune. Man mano vi furono allogate benefiche istituzioni: l'asilo di infanzia, sin dall' inizio della guerra, e poi la congregazione di carità, il refettorio per l'opera nazionale di maternità ed infanzia, la scuola femminile di lavoro, il dispensario oftalmico. Pareva che l'utilità pratica venisse in aiuto all'applicazione della legge per la custodia del patrimonio artistico nazionale. E invece … Nessuno s'era accorto di ciò che era avvenuto e che avveniva nel sottosuolo svuotato qua e là da cisterne e cantine in abbandono, attraversato da passaggi sotterranei che vanno oltre le strade a mezzogiorno e a settentrione; nessuno s’era accorto delle infiltrazioni d’acqua e dei conseguenti cedimenti di terreno che vi si producevano e che minavano le fondazioni.
Il disfacimento deve esser cominciato nel quarantennio in cui il convento rimase in uso delle ultime monache, che in seguito all’incameramento statale del loro patrimonio vivevano con pensioni appena sufficienti ai bisogni personali. Non avevano mezzi per le riparazioni necessarie, alle quali per altro non erano obbligate.
Quelle che finalmente furono eseguite dal Comune, dopo che entrò in potere dell'edificio, riuscirono inadeguate, perché non rispondenti ad un piano integrale di restauro, formato in base all'esame di tutte le cause dei danni. Così le condizioni statiche sono peggiorate al punto da imporre la demolizione del convento. Si potrà almeno salvare la chiesa?
Bolla del Pontefice Pio IV del 7 maggio 1563
Pius Episcopus servus servoruum Dei ad perpetuam rei memoriam. Superna dispositione cuius inscrutabili providentia ordinem suscipiunt universa in supereminenti apostolice dignitatis specula meritis licet costituti ad ea per que monasteria monialium et alia pia loca cum religionis propagatione et animarum salute ubilibet construantur ac constructa salubriter dirigantur personeque omnipotenti Deo et apostolice sedi devote et ferventius exoptantes et ad id opportuna auxilia exhibentes se a nobis gratias et favores reportasse letentur libenter intendimus ac in hiis nostri pastoralis officii partes favorabiliter impartimur et hiis que proinde gesta fuisse dicuntur ut firma perpetuo et illibata permaneant cum a nobis petitur apostolicis muniminis adiicimus firmitatem. Sane exhibita nobis nuper pro parte dilectorum filiorum comunitatis et hominum civitatis andrien petitio continebat quod alias ipsi attendentes hedificium Beate Marie de la misericordia nuncupatum in quo hospitalitas etiam tunc exercebatur sed ob illius hedificiorum angustias et fructuum et reddituum et pro ventuum tenuitatem cetera que ei incubebant onera non facile persolvebantur, et que licet hospitalia et de jure patronatus laicorum esse dicuntur ac hospitalitas alias in eis exerceri consueverit privata tum loca ac per patronos gubernari solita sunt successuque temporis cum eorum patroni illorum fructus redditus et proventus in proprios usus converterent prout in presentiarum convertunt hospitalitas in ipsis servari desiit Sancti Richardi et Sanctissime Trinitatis ac Sancti Bartholomei hospitalia; nullum vero monasterium monialium in dicta civitate existere, et propterea divini cutltus augumento dicteque civitatis decori et ornamento nec non Christi fidelium spirituali consolationi consulere volentes, dilectorum filiorum patronorum Sancti Richardi et Sanctissime Trinitatis ac Sancti Bartholomei hospitalium predictorum consensu, ac Vicarii venerabilis fratris nostri Episcopi Andriensis in spiritualibus generalis auctoritate ad id intervenientibus, decreverunt statuerunt et ordinarunt, quod in hospitali Sancti Richardi prefato unum monasterium monialium clausum construeretur ac pro illius constructione summa mille scutorum vel circa ab eis esponeretur nec non illi pro eius dote centum ducati ex fructibus redditibus et proventibus Sancti Richardi et Sanctissime Trinitatis ac Sancti Bartholomei hospitalium predictorum annuatim applicarentur ac pro amplatione dicti hospitalis beate Marie trecentorum ducatorum summa ab eis similiter exponeretur, illique reliqui fructus redditus et proventus Sancti Richardi Sanctissime Trinitatis et Sancti Bartholomei huiusmodi applicarentur, ac pro meliori fructuum hospitalis beate Marie hujusmodi administratione predicta comunitas duos procuratores qui coniunctim cum dilectis filiis confratribus confraternitatis dudum in ecclesia dicti hospitalis beate Marie rite institute seu illorum procuratoribus curam et administrationem hospitalis ac fructuum et reddituum predictorum haberent annuatim eligere et deputare possent, et in hujusmodi procuratorum electione ac deputatione Sancti Bartholomei unam et sanctissime Trinitatis hospitalium predictorum huiusmodi aliam voces perpertuo haberent, et alia fecerunt prout in pluribus publicis desuper confectis instrumentis plenius dicitiur contineri. Quare pro parte communitatis predictorum statutum et ordinationem predicta in divini cultus et religionis augumentum cedere nec non fructus redditus et proventus Sancti Richardi et Sanctissime Trinitatis ac Sancti Bartholomei hospitalium predictorum ducentorum ducatorum auri de camera secundum communem extimationem valorem annuum non excedere asserentium, nobis fuit humiliter supplicatum ut eisdem statuto et ordinationi robur apostolice confirmationis adiicere ac hospitalitatem et illius exercitium ab hospitalibus Sancti Richardí Sanctissime Trinitatis et Santi Bartholomei ad hospitalem beate Marie transferre illorumque trium hospitalitate destitutorum fructus redditus et proventus huiusmodi ab eis separare et ex illis centum ducatos predicto erigendo monasterio ex nunc prout ex tunc postquam erectum fuerit reliquos vero omnes fructus redditus et proventus hospitali beate Marie huiusmodi applicare nec non eidem communitati unum monasterium monialium ordinis et invocationibus de quibus eis videbitur cum ecclesia campanili campanis dormitorio et aliis necessariis in eodem hospitali sancti Richardi construendi et edificandi ac erigi et institui faciendi licentiam concedere, aliisque in premissis opportune providere de benignitate apostolica dignaremur nos igitur qui religionem et pia loca ubique propagari nostris potissime temporibus sinceris excoptamus affectibus predictas communitatem et eorum singulas personas a quibusvis excomunicationibus suspensionibus et interdictis aliisque ecclesiasticis sententiis censuris et penis a jure ab omne quavis occasione vel causa latis, si quibus quomodolibet innodati existunt ad affectum presentium dumtaxat consequendum, harum serie absolventes et absolutos fore censentes nec non decreti statuti et ordinationis ac instrumentorum predictorum veriores tenores presentibus pro expressis habentes huiusmodi supplicationibus inclinati dummodo dictorum patronum ad infrascripta omnia accedat assensus, decretum statutum et ordinationem prefata nec non prout illa concernunt alia in dictis instrumentis contenta ac inde secuta quecumque licita tamen et honesta auctoritate apostolica tenore presentium approbamus et confirmamus, illisque perpetue et inviolabilis firmitatis robur adiicimus ac omnes et singulas tam juris quam facti et sollemnitatum etiam substantialium omissarum ac quoscumque alios defectus si qui forsan quomodolibet intervenerint in iisdem supplemus illaque perpetuo valida et efficacia fore ac suos plenarios effectus sortiri et ab omnibus inviolabiliter observari sicque per quoscumque judices et commissarios quacumque auctoritate fungentes ac etiam ipsamet ordinarium sublata eis quavis utitur iudicandi et interpetrandi facultate et auctoritate judicari et diffiniri debere ac quicquid secus super eis a quoque quavis auctoritate scienter vel ignoranter attentari contingerit irritum et inane decernimus. Et nihilominus hospitalitatem illiusque exercitium ac omnes et singulos fructus redditus et proventus a Sancti Richardi et Sanctissime Trinitatis ac Sancti Bartholomei hospitalibus hujusmodi etiam dictis auctoritate et tenore perpetuo separamus ac hospitalitatem et illius exercitium ad hospitalem beate Marie transferimus ac ex eisdem fructibus redditibus et proventibus portionem annuam centum ducatorum similium ac alia quacumque res et bona illi pro tempore relicto monasterio ex nunc prout ex tunc postquam erectum fuerit pro eius dote ac residuum eorundem fructuum reddituum et proventuum hospitali beate Marie prefatis etiam perpetuo applicamus appropriamus nec non Comunitati prefate ut in loco dicti hospitalis Sancti Richardi unum monasterium clausum ordine et invocatione de quibus sibi videbitur cum ecclesia campanili humili campana dormitorio refectorio et convenienti claustro ac aliis membris et partibus requisitis juxta ritum et morem sive statuta dicti ordinis sive alicuius preterquam dictorum patronorum preiudicio construi erigi institui et edificari facere nec non quatuor aut quinque moniales per eandem communitatem eligendas a quibusvis monasteriis monialium ipsius ordinis una cum dotibus aliisque rebus et bonis ad eas spectantibus de inibi presidendum licentia extrahere illasque ad dictum erigendum monasterium pro introducendi ibi religioni trasportare, nec non monialibus ipsis ab earum monasteriis etiam una cum suis dotibus rebus et bonis huiusmodi que postmodum in augumentum reddituum ejusdem monasterii erigendi cedere debeant de simili licentia exire seque ad monasterium sic erigendum transferri nec non ibidem stare et permanere ac juxta regulam ordinis huiusmodi vivere ac tam illis quam aliis pro tempore existentibus ejusdem monasterii erigendi monialibus ut omnibus et singulis priviiegiis indulgentiis exemptionibus et indultis dicto ordine illiusque prelatis et personis quibuscumque pro tempore concessis uti frui et gaudere, ac quacumque statuta ordinationes et decreta salubre dicti erigendi monasterii regimem concernenda ab ordine tamen eligendi prefato non recedentia sed regularibus illius institutis consona ac alios licita et honesta sacrisque canonibus non contraria condere, illaque postquam condita fuerint corrigere et alterare et penitus cassare, nec non illorum loco alia edere statuere et ordinare ejusdem ordinarii loci aut ordinis superioris vel aliorum quorumcumque licentia desuper minime requisita libere et licite valeant neque quisquam predictum monasterium nisi in casu necessitatis parentes et affines monialium ibidem degentium idque de expressa eiusdem ordinarii seu eius in spiritualibus vicarii generalis licentia ingredi possit auctoritate et tenore predictis concedimus et indulgemus, nec non eisdem Communitati jus patronatus honorarium ipsius monasterii jusque toties quoties sibi videbitur costituendi et deputandi procuratores..... et alios officiales pro salubri eiusdem monasterii directione, eius vero monialibus atque conventui ius eligendi illius abbatissam seu priorissam per ipsum ordinarium seu eius vicarium confirmandum et instituendum, alias iuxta iura et instituta auctoritate et tenore predictis reservavimus et concedimus et insuper ex nunc prout ex tunc et e contra postquam dictum monasterium erectum fuerit et illius ecclesia in debita veneratione habeatur et a Christi fidelibus congruis prosequeretur honoribus ipsique Christifideles eo libentius devotionis causa ad eandem ecclesiam confluant quo exinde pro animarum suarum salute maiora munera spiritualia se adipisci posse cognoverint de omnipotentis Dei misericordia ac Sanctorum Petri et Pauli apostolorum eius auctoritate confisi omnibus et singulis utriusque sexus Christifidelibus vere penitentibus et confessis seu statutis a jure temporibus firmum confidendi prepositum habentibus, qui dictam ecclesiam in festo Sanctissime Trinitatis a primis vesperis usque et per totam octavam ejusdem festi inclusive devote visitaverint et inibi ad Deum preces pro Sante Romane Ecclesie prospero statu et conservatione aut alias iuxta devotionem suam effunderint quoties id fecerint toties plenariam omnium et singulorum peccatorum et deictorum suorum remissionem indulgentiam et absolutionem in forma juxta prefatis auctoritate et tenore etiam perpetuo misericordier in Deo concedimus et elargimur. Et ut ipsi Christifideles indulgentiarum huiusmodi Deo propizio facilius efficiantur participes sibi semel quolibet anno presbiteros seculares vel regulares quos maluerint in suos eligere confessores gratia illarum confexionibus diligenter auditis ipsos et eorum quemlibet ab omnibus et singulis eorum predictis excessibus et delictis non tamen illis que in Bulla in die Coene Domini legi consueta continentur eadem auctoritate absolvere ac eis pro commissis penitentiam salutarem iniungere nec non vota quecumque ultra marine visitationis liminum eorundem beatorum apostolorum Petri et Pauli se urbe ac sancti Iacobi in Campostella nec non castitatis religionis votis dumtaxat exceptis in alia pietatis opera commutare et licita valeant paribus auctoritate et tenore de speciali gratia indulgemus non obstantibus premissis ac quibusvis apostolicis nec non in provincialibus et synodalibus conciliis editis generalibus vel specialibus constitutionibus et ordinationibus ac ordinis et monasteriorum predictorum iuramento confirmatione apostolica vel quavis firmitate alia roboratis statutis et consuetudinibus ceterisque contrariis quibascumque. Nulli ergo omnimo hominum liceat hanc paginam nostre absolutionis approbationis confirmationis adiectionis suppletionis decreti separationis translationis et elargitionis infringere vel ei ausu temerario contraire. Si qui autem hoc attemptare presumpserit indignationis omnipotentis Dei et beatorum Petri et Pauli apostolorum se noverit incursurum. Datum Rome apud sanctum Petrum anno incarnationis dominici 1563 mensis maii die septimo, pontificatus nostri anno quarto.
[1] Gli istrumenti dell'1 e dell'8 febbraio 1563 sono citati nell'istrumento di notar Gian Lorenzo Topputi del 15 giugno 1746 (del quale una copia è nell'Archivio di Stato di Napoli, Giustizia, pandetta nuova seconda, n. 345) e nella Storia e descrizione della città di Andria di Giovanni Pastore, parte II,cap. IX (ms. presso di me). Il terzo, del quale posseggo l'originale in pergamena, è stato pubblicato in «Rassegna pugliese», VIII (1891), p. 214. La bolla pontificia, che si conserva ora nell'archivio della curia vescovile di Andria, si pubblica in appendice a questo articolo.
[2] G. Ceci, Le istituzioni di beneficenza della città di Andria, Trani, Vecchi, 1891, p. 3 e seg.
[3] R. Durso, Storia di Andria, Napoli, 1890, p. 133.
[4] R. Durso, op. cit., p. 29, Su Porzia Carafa dei conti di Policastro, sposata nel 1533 a Fabrizio Carafa conte di Ruvo e signore di Andria, vedova nel 1554 e rimaritatasi nel 1558 con Marcello Caracciolo, vedi, nella nuova serie delle Famiglie celebri del Litta, la tav. XVI della Famiglia Caracciolo di C. Fabris, e la tav. XXI della Famiglia Carafa di F. Scandone.
[5] M. Agresti, Il capitolo cattedrale di Andria, Andria, Rossignoli, 1912, vol. I, p. 201, n. 4.
[6] Ceci, op. cit., p. 53.
[7] Furono pubblicate nei cap. XC e XCI, pp. 140-162 del Directorium visitatorum ac visitandorum cum praxi ef formula generalis visitationis omnium et quarumcumque ecclesiarum, monasteriorum, regularium monialium piorum locorum et personarum auctore R. P. D. Luca Ant. Resta messapiense Episcopo Andrien, Romae, ex typ. Gulielmi Facciotti, 1593.
[8] Alla Sagra Congregatione dei Vescovi e Regolari, ponente l'e.mo e r.mo sig. Cardinale Colloredi, Per mons: Ariani Vescovo di Andria, Sommario, Roma, stamperia della R. Camera Apostolica, 1701. Per Mr. Ariani contro le Monache Cassinesi di Andria, memoriale, Ivi, 1701.
[9] Conf. se di lui M. Ianora, Memorie storiche critiche diplomatiche della città di Montepeloso (oggi Irsina), Matera, Conti, 1911. p. 462.
[11] Nell'archivio provinciale di Bari è il Catasto di Andria compilato nel 1799 in esecuzione del decreto 2 marzo 1798. Vi sono iscritti Vito Brudaglio, figlio di Nicola, e Riccardo, probabilmente suo cugino, entrambi scultori. Dal primo era nato nel 1793 un secondo Nicola. Modellarono statue in legno per le chiese di Andria.
[12] GIACINTO BORSELLA, Andria Sacra, a cura del dott. RAFFAELE SGARRA, Napoli, Rossignoli, 1918, p. 236
[13] Catasto cit., p. 2180.
[14] G. PASTORE, Storia e descrizione della città di Andria, Manoscritto citato, parte II, cap. XII, e XIII, e penultimo capitolo non numerato, § 304 e 309. R. DURSO, op. cit., p. 164.
"Sull’asse della volta vi sono numero quattro pitture riguardanti la vita di S.° Benedetto. Quella centrale porta l’iscrizione: Calò 1822 pittore Molfettese ch’ebbe grido di buon artefice ed infatti i dipinti hanno eccellenti qualità pittoriche, di disegno e di composizione, e mostrano tutte le qualità ed i caratteri di quella schiera di pittori pugliesi, che con il Nicola Porta, il Giaquinto ecc, si accostarono alla pittura spagnola, divenuta italiana in Napoli, a cagione di quelle tinte a contrasto, di forti chiari, e di forti scuri, ossia luce ed ombre tangenti, che conferiscono ai dipinti energia e mistero che tanto predilessero il Ribera, il Fracanzano, il Caravaggio, Paolo de Matteis, Mattia Prete ed il Finoglia."
Il sottoscritto pensa che sia errata la data scritta dal Ceci, forse confusa con quella dell'epigrafe incisa sulla porta,
che (di norma) indica quando la costruzione della Chiesa fu terminata (e non quando fu successivamente rifinita negli arredi);
errata anche perché l'epigrafe posta sopra la (stessa) porta sulla controfacciata "Io Domenico Catedra della / Città Monopolite˜ / A.D. 1775"
dimostra che nel 1774 non erano stati ancora eseguiti gli stucchi
(contrattati con lo stuccatore napoletano Domenico Catedra con atto
del 15/03/1774) nei quali successivamente sarebbero state realizzate, nelle forme polilobate
ivi disegnate, le tele.
Comunque anche la data affermata dall'ispettore Pantaleo viene posta in
dubbio dalla epigrafe, affissa su un'acquasantiera
dell'ingresso, che
commemorava la consacrazione della Chiesa, nella quale era scritto
"Templum hoc ... Ad hoc fastigium erectum ... testudine picturis exornata ... IV nonas iunias MDCCLXXVI",
cioè "Questo tempio ... così magnificamente eretto ... ornato nella volta con dipinti ... 2 giugno 1776";
questa indicazione, per contro, potrebbe riferirsi alle due tele della Trinità poste nel presbiterio, sul dossale e calotta superiore,
provenienti dalla precedente chiesa demolita ed ivi immediatamente adattate.