SS. Salvatore in Santa Maria di Trimoggia

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Monografie Andriesi

di Emmanuele Merra, Tipografia e Libreria Pontificia Mareggiani, Bologna, 1906, Vol I, pagg. 279-334
Madonna di Trimoggia, prima dell'ultimo restauro (foto Valerio Iaccarino)

V
V - L’immagine del SS. Salvatore in Santa Maria di Trimoggia

sommario


I. - Antichi villaggi di Andria.

Andria, antica e popolosa città della Puglia nel Barese, sorrisa da un’incantevole bellezza di cielo, siede sopra una dolce collina, tutta lussureggiante di mandorli, di ulivi, di vigneti, e di piante diverse.
In tempi remoti, circa cento e più vichi, borghi, casali e pittoreschi villaggetti, sparsi qua e là per le sue amene, apriche e fertili campagne, le facevano vaga e gentile corona [1].
Alcuni di questi villaggi erano suburbani, come S. Lorenzo, Santa Sabina, San Vito, San Valentino, San Mauro, il Borghello; ed altri più lontani, come San Potito, Santa Lucia, San Candido, San Pietro, San Vittore, San Lizio, San Martino, San Simeone, Santa Terella [2], Santa Barbara, Santa Tomasa, Santa Brigida, San Ciriaco, San Bartolomeo, Sant’Angelo e Santa Maria in Chiancola, San Pantaleone, Sant’Ilario, Cicalia, Muritano, San Nicola della Guardia, Trimoggia, il Quadrone, Cidomola, e via via.
Nei territorii infatti, che ancora ne portano il nome, spesso rinvengonsi ruderi di antichissime fabbriche, monete, sepolcri scavati nel tufo, cadaveri, circondati da vasi fittili di stile ora del tutto rozzo, ed ora romanamente elegante, come lucerne, lagrimali, anfore, ciati, e spade corazze, e quanto il costume dei pagani prima, indi dei primitivi cristiani, poscia dei Goti, dei Longobardi, dei Normanni, dei Greci e dei Saraceni, che successivamente occuparono queste nostre incantevoli contrade, soleva adoperare.
Dei villaggi di Trimoggia, di San Pantaleone di Cicalia avvi una preziosa ed antichissima memoria, scritta in latino barbaro dell’anno 843. In essa si legge come un certo Lazaro, figlio del fu Adriano di Trimoggia, donava per l’anima di suo figlio Datto Giovanni, alla Chiesa di Santa Maria di Trimoggia, nella persona del Diacono Ariovaldo, rettore della Chiesa di San Pantaleone, una vigna, posta nella contrada Arene, e propriamente quella, che giorni prima aveva egli comprato da un tale Giovanni, figlio di Anseleo da Cicalia, e via via. Questa scrittura fu redatta dal Notaio Dauferio, nel Castello di Trani, il mese di giugno del 843, l’anno quarto del principato di Siconolfo [3].
L’istesso documento, con poche varianti, si trova pure nell’antico Registro di Pietro Diacono [4].
Il Pastore, nella sua memoria sulla Chiesa di San Nicola, ricorda il villaggio di Cidomola, quando dice che nel 1385, Monsignor D. Francesco Sorrentino, Vescovo di Andria, assumeva, per suo Attuario un certo Notar Pietro de Issaia di Cidomola, in una vertenza tra la Cattedrale, e la Collegiata di San Nicola [5]. Nell’Archivio della medesima Collegiata vi sono inoltre due documenti in pergamena del 1412, che riguardano Cidomola [6]. Di questo villaggio però si è perduta pure l’ubicazione! Esso secondo le due pergamene di San Nicola sarebbe vicino alle Chiese di San Pietro e di Santa Lucia: «Juxta terras Ecclesiae S. Petri, juxta Ecclesiae S. Luciae».
Non è da far poi le meraviglie che Andria avesse tanti villaggi; imperciocchè prima, e durante la dominazione Normanna, «il regno era pieno di villaggi e casali, che d’ordinario si stabilivano intorno a qualche chiesa o nelle dipendenze di qualche monastero» [7]. Ma le incursioni dei Saraceni e la conquista dei Normanni, e poi le vessazioni fiscali di Carlo I d’Angiò, «mutarono man mano le condizioni delle province, e i villaggi divennero fortezze, e i casali si cambiarono in castelli. I regni infelicissimi delle due Giovanne precipitarono addirittura le sorti, accrescendo a dismisura la tendenza della popolazione ad agglomerarsi in centri di maggiore importanza» [8].
Ai tempi del Normanno Petrone, figlio d’Amico, che nell’anno 1046 dette ad Andria l’essere e le mura di città [9], per cui Guglielmo il Pugliese cantò: «Condidit hic Andrum» [10]; gli abitanti di queste terricciuole cominciarono gli uni dopo gli altri a trasferirsi in Andria, e ad agglomerarsi in essa, come in un centro di maggiore importanza, e crebbe siffattamente che di Petrone facendone il censimento, la trovò di 20,000 abitanti, come rilevasi da un istrumento stipulato nel 1104 [11]. Fra i primi a passare in Andria fu quello di Trimoggia, villaggio di tutti il più popolato, e distante dalla città un miglio circa; ed ultimi quelli di San Vittore, Sant’Ilario, San Lizio, San Candido, Santa Terella, Santa Barbara e Muritano; mentre detti casali con la Contea di Andria si dicono assegnati in dote da Re Carlo II d’Angiò a Beatrice sua figlia, sposata nel 1308 in seconde nozze con Bertrando del Balzo, Conte di Andria [12].
Il Casale poi di Cidomola lo troviamo ancora fuori della città di Andria nel 1412.
NOTE    (Nell'originale la numerazione è di pagina e non progressiva dell'intero argomento)

[1] D. GIOVANNI Prevosto PASTORE, Memoria mss. dell’origine, erezione e stato della Collegiata Parrocchiale Chiesa di San Nicola della città di Andria. — Scrisse pure la Storia di Andria, e morì l’11 aprile 1806, di anni 91, m. 2, g. 21.

[2] Il PRATILLI nella sua Via Appia, Lib. IV, Cap. XIV, pag. 526, chiama questo villaggio Santa Terella, e di esso scrive: «Nel luogo detto a Santa Terella, riconosconsi le reliquie di antiche fabbriche, le quali o a uso di ostelli, o di sepolcri servirono, e presso di esse varii pezzi di selciata della Via (Appia) co’ loro poggiuoli laterali. In questo luogo mi persuado fosse stato l’alloggio, che nell’itinerario Gerosolimitano è chiamato mutatio ad Quintumdecimum dinotante il XV lapide milliario del ponte di Canosa, tuttochè la distanza non sia per verità più che di miglia XIV».

[3] Anno 843. In nomine Domni quarto anno principato domni nostri Siconolfi mense junios sexta indictione ideoque ego Lazaro filius quondam Atriani de tremodie pro mercede anime datti hioannis filius meus tradedit atque offeruit in ecclesia sancte Marie quem fundatam exe videtur ibique in tremodie ractionabilis arrioaldi diaconi rector ecclesie sancii pantaleonis in eorum eiusque potestate hofferuit una vinea loco ubi reni eundem quem da johanne filio Anselei de Cicalio ante hos die erutam habuit, et aba ibso exinde firmata cartula scripta per Alderisi notarii et testibus roborata etc. Acto Castro trane mense et indictione memoratis etc.... Documento II, pag. 24.
ARCANGELO DI GIOACCHINO PROLOGO: Le Carte che si conservano nell’Arch. del Capit. Metrop. della città di Trani, dal secolo IX sino all’anno 1266.

[4] De viris illustribus, pag. 40.

[5] Memorie dell’origine ecc.

[6] 1412 XXV del Regno di Ladislao. 31 marzo V.a Ind. in Cidomola. Antonia de Isabella di Cidomola dona inter vivos alla nipote Giuliana, moglie di Mastro Antonello peciam unam terrarum que dicitur de galianis cum puteo uno sitam inpertinentiis Cidomole in loco Aquemene juxta terras Ecclesiae S. Petri juxta Ecclesiae Sancte Lucie juxta viam qua itur Cidomole juxta terras quondam Ritae de Ysaya et alios confines et domum unam sitam in loco placie ditte terre juxta cellarium dop.ni Petri Archipresbiteri juxta domum Petrucci de pascale viam puplicam et alios confines. Scrive il Notajo Grimaldo del giudice Leone de Grimaldo, e sottoscrivono il giudice Antonio de Isaya ed i testimonj D. Pietro Arciprete, D. Antonio detto Spinaccio, e D. Andrea di Lillo, e D. Antonio de Carome. 1412 XXV del regno di Ladislao. 29 apr. V.a Ind. in Cidomola. Presa di possesso della detta donazione. Giudice e Notaro e testimoni gli stessi (Arch. di S. N.).

[7] B. CAPASSO, Memorie sul Catalogo dei feudi e feudatarii delle prov. Nap. sotto la dom. Normanna.

[8] B. CAPASSO, op. cit.

[9] Di MEO, Ann. Critico Diplomatici.

[10] GUIL. APP., Lib. II.

[11] CESARE ORLANDO di Fermo, Scritture delle città d’Italia.

[12] Memorie mss. intorno alla Famiglia dei Del Balzo.

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II.  Il Clero di Santa Maria di Trimoggia si trasferisce in Andria

Un istrumento in pergamena, redatto da un Notaio, che si firma con le iniziali S. A. narra come correndo l’anno del Signore 1104, a causa di frequenti scorrerie di licenziosi soldati, di incursioni e rapino di ladri, di guerre sterminatrici, di penuria di viveri, d’ un Casma, cioè una grande voragine aperta da fortissimi terremoti, e di non pochi altri mali, che grandemente afflissero e desolarono il villaggio di Trimoggia, gli abitanti malvolentieri sopportando questo stato di cose, un dì più che l’altro si videro nella dura necessità di abbandonare la loro terra natale, e ricoverare nella vicina città di Andria. In tale lagrimevole circostanza i preti della Chiesa di Santa Maria di Trimoggia, retta da un Sacerdote, che aveva titolo di Prevosto, rimasti quasi soli col resto del popolo in mezzo alla universale emigrazione, fecero istanza presso il Vescovo di Andria, in allora un certo Monsignor Desidio, di entrare anch’ essi in città. Il Prelato, correva il primo anno del suo Episcopato, dietro il parere del suo Capitolo Cattedrale, di buon grado ne accolse la domanda, e loro concesse di trasferirsi in città, e quivi poter erigere e dedicare, a seconda dei loro desiderii, una Chiesa in onore di San Nicola, Confessore Pontefice, ed assumere un tale titolo.
Loro concesse purè di esercitare unitamente alla sua Chiesa Cattedrale, cui dovevano obbedienza ed ossequio, la cura delle anime. A tal uopo nel settembre del 1104, fu tra il Vescovo Desidio, l’Arcidiacono Antonio, l’Arciprete Desiderio, ed altri Sacerdoti della Cattedrale da una parte, ed il Prevosto di Santa Maria di Trimoggia, il quale aveva nome Tarquinio, ed i suoi preti Raffaele, Paolo, Ladislao ed altri Sacerdoti e Diaconi dall’altro, rogato un pubblico Istrumento, munito con suggello in cera rossa; il quale atto tuttavia conservasi gelosamente nell’Archivio del Capitolo Collegiale di San Nicola.
Intorno all’autenticità di questa Bolla sorgono le seguenti difficoltà. Primamente sarebbe questa l’unica memoria, che si avrebbe dell’Episcopato di monsignor Desidio, il quale non trovasi affatto registrato nei Cataloghi dei Vescovi di Andria, compilati dall’Ughellio, dal Coronelli, dal Cappelletti, dagli annali Camaldolesi, e recentemente dal Gams [13]. Secondariamente questa Bolla sarebbe l’unica carta Capitolare, che dal 1104 sino al 1322 esisterebbe in detto archivio.
Possibile che in duecento diciotto anni, non vi sia stato nessun atto capitolare, o che si siano tutti perduti, ad eccezione di questa Bolla di Desidio? Sembra dunque che sia stata forse una Bolla, inventata dai preti di San Nicola contro quelli della Cattedrale; a quella guisa che i preti della Cattedrale, alla lor volta, inventarono un Decreto del 1126 contro dei Nicolini, creando anch’ essi un nuovo Vescovo di Andria per nome Ilderico. Di che non è capace lo spirito di parte e di litigio? Nell’anno 1899, il bravo paleografo D. Francesco Nitti di Vito, avendo veduto questa pergamena, osservò che sebbene i caratteri semigliassero a quelli del tempo; pure il suggello era certamente di altra epoca; lo che faceva dubitare della sua autenticità. Essa Bolla probabilmente dovette essere formolata nell’anno 1385, quando la troviamo per la prima volta presentata in giudizio nella Curia Vescovile contro del Capitolo Cattedrale [14].
NOTE

[13] Series Episcoporum Ecclesiae Cath. Ratisbona, 1873.

[14] Pastore, Origine ecc.   La Bolla di Desidio è la seguente:
«Ego Desidius Dei gratia Epus civitatis Andriae: In anno primo nostri Episcopatus admissi supplicationes vestrum Tarquinii praepositi, Rafaelis, Joannis, Pauli, Ladislai, aliorumque presbiterorum, diaconorum nostrae ecclesiae suburbanae S. Mariae de Trimodia, quibus animum aperitis, vestrum populum, aegre sustinere abitationem prosequi in villa Trimodia ob pericula, damna, Casmata passa, belli et caritatis occasione, latronumque incursione, quadicti cives, multi patriam relinquentes ad vicinas civitates, et ad hanc nostram confugisse satis constat, adeo ut populi reliquum commode vivere non valens ad hanc civitatem se recipi deliberavit, et de hoc requisivisse nos ita una simul transferatis vosmetipsos Tarquinius Praepositus, Rafael, Joannes, Ladislaus, Paulus coeterique presbiteri et diaconi S. Mariae de Trimodia, ostendens hanc deliberationem bene sentire, adeoque velle transferri a vestro suburbio ad hanc civitatem: advocatis Antonio archidiacono et Desiderio Archipresbitero coeterique Presbiteris et diaconibus nostrae sedis, de consensu nostri Presbiterii concessi vobis Tarquinio Praeposito, Rafaeli, Joanni, Ladislao, Paulo coetenisque de clero S. Mariae de Trimodia, qui supra in quo degitis ad hanc civitatem nostram, in qua fieri posse et dedicari Ecclesiam sancti Nicolai Confessoris Christi, atque Pontificis sub cuius titulo permanere petitis: quam meam concessionem vobis et successoribus vestris tradidi cum omnibus eidem sanctae vestrae Ecclesiae pertinentibus, iuribus, actionibus, mobilibus et stabilibus, et sine aliqua commutatione status dictae Ecclesiae et nullo tempore in dicta Ecclesia cum omnibus pertinentibus et pertinentiis a nobis, et successoribus nostris aliquo modo exigatur sed sint in potestate vestra et vestrorum praenominatorumque de his quae voluerint ordinare ad utilitatem eiusdem Ecclesiae sine omni nostra, nostrorumque successorum molestatione vel requisitione. Concessi etiam eidem Ecclesiae vobis simul, suisque Clericis communione, animarum curam cum nostra Episcopali, potestatemque baptizandi, ac etiam recipiendi Clericos cum omnimoda permanentia nostrae Ecclesiae; et nec ego, vel mei successores audeamus removere, vel molestare sine probata culpa legis. Quam etiam potestatem habeant Clerici eiusdem Ecclesiae sonare campanas eiusdem Ecclesiae in divinis horis et festivitatibus, omni tempore, antequam sonent in praedicta nostra Episcopali Ecclesia. Potestate, autem habeant sonare campanas eiusdem Ecclesiae pro mortuis, ipsosque in eorum coemeteriis sepelire, crucem ceroferarios et turibulum eiusdem Ecclesiae portare quam et damus Clericis eiusdem Ecclesiae annualis Crisma, et oleum sanctum sine alicuius muneris requisitione; exceptis ut eiusdem nostrae sedi denarios VIII anno quolibet redidant susceptorum gratia, et nostram maiorem Ecclesiam primariam esse agnoscant eidem obedientiam, titulum et obsequia prestent secundum canonum decreta, quae omnia et singula qui supra Episcopus vel quilibet meus successor ut perleguntur adimpleverimus, vel alio modo exinde angustiaverimus vos omnes praenominatos vestrosque successores componamus vobis eisque trecentos obulos. Et praefata nostra concessio firma stabilisque remanebit, quam mei clerici atque Presbiteri nostri Episcopatus Tabellario notandum commisimus.
Anno Incarnationis Dominicae millesimo centesimo quarto mense settembris ind...
   Ego Desidio hoc signo Praesul firmo. Ego Antonius qui supra Archidiaconus. Firmat Desiderius hoc Archipresbiter. Leon presbiter signat. † Virgilius probat dicta sacerdos. † Ego Colatius testis sum. † Ego Lupus testis sum. † Ego Leontius testis sum.»
S. A. Tabularii-Locus sigilli cerae rubrae.

(Arch. Capit. di S. Nicola).

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III.  La Chiesa di S. Nicola.

Del resto prescindendo dall’autenticità o falsità di detta Bolla, è costante tradizione che il Clero di Trimoggia, venuto in Andria, si stanziasse nella Chiesetta di San Nicola, fatta erigere da Riccardo Normanno, secondo Conte di Andria, e che in allora non si estendeva oltre lo spazio dell’attuale presbitero [15].
Coll’andare degli anni il detto Clero, che d’ allora in poi si denominò da San Nicola, essendo cresciuto di numero, ed avendo aumentato le sue rendite, verso il 1389 ingrandì considerevolmente la sua Chiesa.
Bertrando del Balzo, Conte di Andria, a sue spese vi edificò la fabbrica del Coro, ponendovi 15 sedili di noce nell’ordine superiore, e 9 nell’inferiore. Innanzi vi fece erigere una macchina di legno, elegantemente dipinta, con le immagini di San Nicola, di San Riccardo, di San Sabino e di San Ruggiero, e con in mezzo quella di Santa Maria di Trimoggia. Intorno, intorno in dodici nicchie, ornate di cornici dorate, erano dipinti i dodici apostoli, ed in cima della piramide l’eterno Padre, circondato di angeli. A piè di essa si vedevano gli stemmi della Famiglia dei Del Balzo, come pure un altro stemma dei medesimi signori di Andria vi era nell’esterno del Coro ma fu distrutto, quando nel 1748 la Chiesa venne ristaurata [16]. Nel 1399, il Collegio di San Nicola avendo da papa Bonitacio IX ricevuto una Bolla in suo favore, fece, in testimonio di gratitudine, dipingere sulla prospettiva della sua Chiesa lo stemma gentilizio di questo Pontefice [17]. Nel 1657, cessata la peste. che per sei mesi spietatamente desolò la città di Andria, il Duca D. Fabrizio Carafa, grato a San Nicola per averlo scampato con la sua famiglia da un tanto contagio, fece costruire a sue spese una macchina di legno splendidamente dorata, adattandola per altare maggiore, con l’immagine di San Nicola nel mezzo. Costruì pure l’organo con la sua orchestra, ed il soffitto del presbitero [18]. Nel 1748, il Capitolo edificò il nuovo Coro, la di cui fabbrica ebbe termine dopo un anno, ed ottenne da Ettore Carafa, duca di Andria, che l’antico altare di legno si togliesse, per dar luogo ad un nuovo di marmo. In tale occasione venne posta in fondo al Coro, costruito di solida noce dal bravo concittadino Giuseppe Gigli, la seguente lapide marmorea:

D.O.M.
Haector Dominus Familiae Carafae Dux Andriae
et Castri montis, Comes Ruborum, Marchio Corati
Princeps Clusani, utilis Dominus Maschiti, Paterni
Compi-laeti, et Campi-petrae: Magnus Ispaniarum:
perpetuus primae classis: Magnus Regni siniscalcus:
Eques insignis ordinis sancti Ianuarii: utriusque
Siciliae Regis aurae clavis cubicularius:
Mareschallus exercitus et Sicilianae et Catholicae
Majestatis: tribunus Regni militum, et Regiae
Chortis Praefectus. Aram maximam cum sacra
Icone Divo Nicolao Miren, Ecclesiae titulari et
Tutelari dicatam, Quae ad ora Tribunae alter ex
Carapheis Ducibus, summa pietate ac munificentia
Extrui ornari deaurari curavit pro novi chori
Amplitudine, atque ornatu, supplicantis Capituli
Votis annuent, ad extremum parietis prospectum
transferri, salvo iure, indulsit, et ubi ligneum
Ibi marmoreum monumentum locari iussit
Anno Domini 1749

Nel 1750 a spese del legato Ponzio, e sotto la direzione del Primicerio D. Francesco Saverio de Risis, fu lavorato in Napoli l’altare maggiore di finissimi marmi, adorno dei simboli dei quattro Evangelisti, artisticamente scolpiti, e di due teste di Serafini. Ai fianchi dell’Altare, in due scudi, si vede lo stemma del Canonico Ponzio della Real Chiesa di Bari, cioè una sbarra dentata a traverso un campo. Nel Coro vi è questa iscrizione:

D.O.M.
Nicolao Francisco Pontio Regalis Ecclesiae Barensis
Canonico, tum genere, tum virtute clarissimo,
Quod aere ex DC. iugerum redditibus parto, hoc in templo
Divo Nicolao Mirensi dicato Majoris arae
ornatum, cultumque omnem perenni renidentia
comparari mandavit, Quodque amplius atque
venustius Chorus erectus, et ara maxima ex
marmore et hyeroglificis sit sacris extructa, Testem
hunc lapidem, largitatis ex una et obsequii ex altera
Collegiatae, et Curatae Ecclesiae Capitularis PP. Anno r. s.
MDCCL.

Il   21 luglio 1784 il Capitolo dava facoltà al Prevosto Conoscitore, al Cantore Pastore ed ai Reverendi Brunetti, Frascolla e Marziani di far costruire in Napoli per uso del maggiore altare un parato di argento, cioè una magnifica Croce, sei candelieri, quattro giarre e due giarroni con le tre carte di gloria [19].
La Chiesa fu pure ristaurata ed abbellita negli anni 1796 e 1804, ed i quadri furono dipinti dal pittore Calò di Molfetta. Finalmente nel 1856 per cura del Canonico Cantore D. Francesco Latilla, il presbiterio fu ornato di lastre di marmo, e di una elegante e solida balaustrata.
NOTE

[15] Can.co D. LORENZO TROYA. Mem. Istor, della città di Andria. Mss. che si conserva dal dott. Leonetti Troya.

[16] Pastore, Memorie dell’origine ecc.

[17] Pastore, Memorie dell’origine ecc.

[18] Pastore, Memorie dell’origine ecc.

[19] Lib. Delle Concl. Cap. della Coll. Chiesa di S. Nicolò Trymodien, dal 16 agosto 1772 al 31 luglio 1790.

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IV.  L’antica Chiesa di Santa Maria di Trimoggia.

Sebbene il Clero di Trimoggia fosse addetto al culto di Dio e del suo celeste Patrono sotto le aeree volte d’un tanto magnifico tempio; ciò non ostante l’antichissima Chiesa di Santa Maria non fu da esso messa in oblio, nè lasciata del tutto in abbandono. Ne affidò gelosamente la custodia ad un eremita, che abitava alcune camere contigue alla Chiesa. Nel 1453 troviamo che un certo Fra Antonio da Vico era eremita di Santa Maria di Trimoggia, e che comprava ordini 30 di terra vuota in Gurgo [20]. Il 26 dicembre 1736 troviamo che l’eremita Fra Oronzio Maccagnano di Nardò fu rinvenuto miseramente ucciso nella camera vicino alla Chiesa [21]! In queste camere D. Antonio Carafa, Duca di Andria, nel 1606, teneva appostata una compagnia di briganti per catturare o togliere la vita al Vescovo di questa città Mons. Antonio Franco [22]. Nel febbraio del 1780 il giudice della Corte Ducale proibiva, sotto pena d’un mese di carcere, al Romito della Chiesa di Trimoggia, un certo Fra Giovanni Battista Sarchi da Genova di andare questuando per la città con la cassetta, su cui erano dipinte le imagini del SS. Salvatore e della SS. Vergine. Il Capitolo saputo ciò elesse per deputati i Reverendi D. Paolo Leonetti e D. Antonio Palombella, perchè esponessero il fatto al signor D. Giovanni Iannuzzi, Amministratore delle rendite della Congregazione laicale della Chiesa di Trimoggia [23].
Nei giorni festivi e massime nei venerdì di marzo, si continuò sempre a celebrare la messa, ed ogni anno, nell’ottava di Pasqua, giorno sacro a Santa Maria di Trimoggia, il Capitolo eleggeva, come tutt’ora elegge, otto Sacerdoti per solennizzare la festa, che fu sempre molto devota e Popolare. Imperciocchè gli Andriesi, dopo di avere soddisfatto alla loro pietà e devozione verso della Santa Madre di Dio e degli uomini; costumavano trattenersi in lieta conversazione ai tepidi soli di primavera, ed all’aria aperta, imbalsamata dalla fragranza dei mandorli fioriti, e dei vigneti, che cominciano a metter su le loro gemme. Come pure erano soliti fare un’allegra merenda lungo i pittoreschi dirupi d’una immensa cavità quasi imbutiforma, detta Gurgo. La quale merenda, perchè per lo più consisteva in una frittata; in mezzo al popolo Andriese rimane ancora l’adagio comune: Fare Trimoggio, cioè mangiarsi una frittata; come pure l’ottava di Pasqua viene da esso per antonomasia chiamata Trimoggia.
NOTE

[20] 1453 – 31 agosto in Andria. Cobello di Mastro Meolo fabricatore di Andria vende a Fra Antonio da Vico, commorante in Eccl. Santa Maria de trymodia Ord. 30 di terra vuota, in luogo Gurgi, tra i vignali della Chiesa di S. Nicola, di Giovanni de Miano, la via pubblica ed altri confini per 12 tarreni di carlini. Scrive il not. Fr. Caputo e sottoscr. il giudice Nicola de Flamine di Padula, abitante in Andria, e tre testimoni. (Arch. di S. Nicola).

[21] S. Congreg. Concilii R. P. D. Furietto Secret. Andrien, pro Rev.mo Capit. Eccl. Cath. civit. Andriae Summarium. Tip. Barnabò, 1758. (Arch. della Catt.)

[22] Relazione Mss. della persecuzione patita da Monsignor Antonio Franco. Vescovo di Andria. (Archivio della Catt.).

[23] Lib. delle Concl. Capit. ecc. dal 16 agosto 1772 ai 31 luglio 1790.

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V.  Gurgo.

L’ala del tempo ha coperto d’oblio l’origine di questo vasto Gorgo, aperto senza dubbio da forti scosse di terremoto. Il Prevosto Pastore in una sua risposta alla Gazzetta Civica Napolitana, in data 17 novembre 1786, la quale negava l’esistenza del villaggio di Trimoggia, e voleva che questo sprofondamento fosse prodotto dalla natura, dice: «Un tremuoto fu la cagione del Casma, avvenuto a canto del Villaggio di Trimoggia, dove non mai da uomo vivente erasi veduto. Egli fa d’uopo dire, che non avvenne tutto ad un tratto, ma che prima per tal tremuoto si fossero aperte in quello spazio di terra molte voragini, rilevandosi dal monumento, che ce lo attesta: “Oh Casmata passa„ , in numero del più, ed indi poi successivamente per altri replicati scuotimenti della terra ridotti si fosse all’ampiezza o forma, che oggi apparisce, causando molti danni agli abitatori del vicino villaggio, per la perdita di tutto quel terreno, che rimase ingojato nell’aperta voragine, e per il dirupo di tutte quelle sotterranee caverne in essa» [24]. Sicchè Gurgo un tempo fa altro non doveva essere che, un aggregato di grotte sotterranee, e vastissime, con molti cunicoli laterali, e grotticelle di varie dimensioni ancora visibili, simili a quelle del Canale della Veltrina presso Montecarafa.
Questa voragine è cosi descritta dal medesimo Pastore: «Il Casma di Trimoggia dal volgo chiamato Gurgo, situato in un campo piano, distante dalla città di Andria mille passi a libeccio di essa, si stende nell’ampiezza e circonferenza di circa passi seicento, in forma quasi sferica, sebbene irregolare, e si abbassa nella profondità circa passi sessanta, e dall’orlo sino al fondo va restringendosi in forma conica, non però da ogni lato; talchè scendendosi nel predetto fondo per quelle parti declive, facili al cammino, si rinviene nel termine un piano, che forma esso fondo, e che misurato nella sua circonferenza adegua lo spazio di passi ducento e più, ingombro di grossi, mezzani, e minuti sassi, e di alcuni grossissimi macigni in alcuni siti. Le coste, che van situate al libeccio, al nord ed al greco, sebbene in parte sassose, e che contengono alcune piccole grotte, incavate nei medesimi sassi, in parte mantengono terreno alquanto mobile, e per dove si facilita il cammino, si trafica senza pericolo, e si scende agevolmente in esso. Quelle coste poi che si adattano alla volta del ponente, dell’ostro e sino al levante, sono rapidissime, formate tutte dall’imo al sommo, di smisurati macigni, inaccessibili, perpendicolari, e piene di gran sassi distaccati dalle pendici, e piombati giù a piedi di esse, e sbalzati altrove in distanze vicine. In quella parte situata all’ostro, ove si vede il maggiore ammasso, e crollo di macigni, si sale per alcune viottole, aperte dall’arte, e giunto alla metà di essa costa, si entra per un’ampia apertura in un antro, formato intieramente di duri macigni, che lo cuoprono come volta a guisa di punto gotico, lungo circa passi otto, ed in larghezza circa cinque, ed avanti ed ai lati di essa apertura si osservano prima grossissime moli di macigni, distaccati da quelli, che in alto, al di fuori di essa si sporgono arcuati, eccetto tanti altri, che si veggono impiantati nel suolo di questa ripa di egual mole spezzati e infranti.
»In questa caverna si osservano alcune pitture, ritratte nella superficie dei lati, alla greca maniera, una delle quali rappresenta l’Arcangelo San Michele, e le altre altri Santi; ma oggi sfigurate in modo, che non fa distinguere quai personaggi rappresentar vogliono: opere posteriori al tempo della formazione del Casma, sebbene non vada a memoria d’uomo, e dal volgo viene appellato Sant’Angelo in Gurgo. Volgendoti a destra di quest’antro, che gira da ostro all’oriente, ed a sinistra di esso dall’ostro all’occidente, non ti si presentano alla veduta, che ripe di smisurati sassi, erte a perpendicolo, con picciol declivio a piedi, dove osservansi accatastate alla rinfusa smisurate macchine di sassi, fra le quali non vi ha facile accesso, né per esse puoi rampicarsi senza pericolo, frequentati soltanto dalle volpi, per ove spesso si vedono traficare, a guisa che le alte ripe sassose si osservano abitate da sparvieri, civette e barbagianni. Sino a questo secolo, chi ha posseduto questo Casma, l’ha serbato alpestre ed inculto per pascolo di capre e di castrati; ma da circa anni dieci in qua, per industria dei campagnoli si è adattato a coltivo di ulivi, fichi, mandorli e viti in quei siti ove si è ritrovato terra mobile, e nel fondo, in buona parte purgato dai sassi, si è gittato frumento, che fertilmente ha prodotto il suo frutto. Non tralascio d’avvertire che circa anni trenta innanzi, in un sito del fondo verso le coste, site tra l’ostro ed il ponente, si vedeva una buca del diametro di due palmi, otturata bensì da sassi e da letami, intorno alla quale quelle acque, che ivi si congregavano nelle grandi piove, e formavano spazioso lago, per essa venivano assorbite, e fra poco tempo il suolo si vedeva asciugato; segno che al disotto si contiene cavità e voragine; e tal buca dai contadini chiamavisi Capovento, da me più volte osservato con attenzione. Oggi però tal buca più non si vede; ma non per ciò le acque che vi scorrono, non rimangono assorte come prima, ed il suolo asciutto. Questa è la descrizione del Casma al di dentro» [25].
NOTE

[24] PASTORE, Risposta alla Gazzetta Civica Napolitana del 17 novembre 1786. Mss. presso Matteo Dottor Leonetti Troya.

[25] PASTORE. Risposta alla Gazzetta ecc.

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VI.  L’Immagine di Santa Maria di Trimoggia.

Alla distanza di circa cinquanta passi da questa voraggine, «si rinviene eretta quell’antica Chiesa, non molto grande, nè tanto piccola quanto si rappresenta, fabbricata alla gotica maniera, in cui si venera l’Immagine di Maria Santissima sotto il titolo di Trimoggia, nell’altare principale» [26]. Entro una vaga cornice dorata vedesi l’Immagine veneranda della Vergine, con il Bambino Gesù, seduto in seno. Questa Immagine fu ridipinta sopra una effigie del Crocifisso, in tempi posteriori, e precisamente nel 1776, quando fu rifatta la Cappella. Ciò ci viene assicurato dal Prevosto Pastore, il quale dice: «fu rinnovata la predetta Immagine della SS. Vergine, già consunta e sfigurata per l’antichità dei secoli» [27].
L’antichissima Imagine aveva richiamata l’attenzione di Mons. D. Luca Antonio Fieschi dei Conti di Lavagna nel Genovesato, Vescovo di Andria, il quale quattrocento anni dopo il trasferimento in città dei Trimodiesi, in testimonio di sua vivissima e specialissima devozione verso di tale effigie benedetta volle ristaurarne a proprie spese l’altare, come si rileva dalla lapide del 1776.
La Collegiata di San Nicola dal canto suo curò sempre diligentemente il decoro di questa Chiesa antichissima, che fu come la veneranda ed amata sua culla, ed in onore della sua vetusta titolare istituì pure una Confraternita laicale, sotto il titolo di Santa Maria di Trimoggia, residente però in Andria. Di detta Congregazione si fa parola negli Atti di Santa Visita, fatta da Mons. Triveri, nel 1694. In essi si dice che la Confraternita era governata ed amministrata da due Priori, l’uno ecclesiastico, e l’altro laico: che nella Chiesa di S. Nicola aveva il suo sepolcro ed il suo vessillo, e che ivi pure si congregava per le elezioni degli ufficiali, e per altre occorrenze [28]. Nel 1797 la rendita annua di questa Confraternita ascendeva a L. 36.07 ½. I suoi beni stabili erano: una Casa a basso le Grotti: una mezza versura di terra seminatoriale, ed il terzo d’una peschiera, dietro il Parco di Spadavecchia: il resto della rendita provenivale da parecchi Censi e Canoni [29]. Posteriormente questo Sodalizio fu unito a quello di Santa Croce, ed entrambi erano retti simultaneamente ora da uno, ed ora da due Priori; ma nel principio del secolo passato furono aboliti [30].
Ai 22 gennaio 1775 il Rev.do D. Felice Frisardi, uno dei procuratori del Capitolo di San Nicola, faceva sapere ai Capitolari come: «i voluti Confratelli della irregolare ed illegittima Confrateria detta di Trimoggia, e fra questi mastro Savino Martinelli appellato Priore, mastro Giuseppe Martinelli ed altri, nei passati giorni avessero ardito, coll’idea di escavar tesoro o antico riposto d’oro, o d’argento portarsi di nottetempo e più notti per scavo e rovina del pavimento della Chiesa ... e ciò avessero ardito fare in pregiudizio principalmente della riverenza dovuta al luogo sacro di detta Chiesa, e violazione di un antico sepolcro, ove è tradizione starci sepolto un buon Romita» [31].
Coll’andare degli anni la vetusta Cappella di S. Maria di Trimoggia trovandosi ormai consunta dal tempo, il Capitolo nel 1776, demolita l’antica, una nuova ne eresse, sotto la vigilanza e la direzione dei Rev. D. Giuseppe Scamarcio, e D. Riccardo Raimondi, i quali curarono di porre a destra della porta d’ingresso, la seguente epigrafe:

D O M •
QUOD • TEMPLI • HUIUS • S • MARIAE • TRIMODIEN
SAECULI XII • ANNO IV • TARQUINIUS • PROPOSITUS • CLERUS
ET • OPPIDANI • OMNES • OB • BELLI • PASSA • PERICULA
LATRONUMQUE • INCURSIONES • AEDIBUS • DERELICTIS
ANDRIAM • MIGRARUT
QUODQUE • ARAM • SUB • HAC • FORNICE • ERECTAM
CONTINENTEM • B • VIRGINIS • ICONEM • GRAECONICE • DEPICTAM
LUCAS • ANTONIUS • FLISCO • DICTAE • URBIS • EPISCOPUS
POST • ANNOS • QUADRINGENTOS • RESTAURARIT
UT • FACTI • MEMORIA • A • POSTERUM • OBLIVIONE • VINDICETUR
COLLEGIUM • DIVI • NICOLAJ • UTI • DOMINUS • ORIGINARIUS
DEMOLITO • SACELLO • JAM • VETUSTATE • CONSUMPTO
NOVOQUE • EXCITATO • MON • H • PP
CURANTIBUS
RR • DD • JOSEPHO • SCAMARCIO • ET • RICHARDO • RAIMONDI
MDCCLXXVI

NOTE

[26] PASTORE. Risposta alla Gazzetta ecc.

[27] Idem.

[28] TRIVERI, Acta S. Vi[si]t., an. 1694. (Curia Vesc.).

[29] Libro d’Introito ed Es. delle V. Gonfr. di Santa Maria di Trimoggia e di S. Croce dal 1729 al 1764. (Arc. di S. Nicola).

[30] Arch. della Coll. di S. Nicola.

[31] Lib. delle Concl. Cap. della Coll. Par. Ch. di San Nicola Trymodien, dai 16 agosto 1772 ai 31 luglio 1790.

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miracolosa tela del SS. Salvatore
[tela del SS. Salvatore]

VII.  L’Immagine del Santissimo Salvatore.

È in questa antica Chiesa, che il buon popolo Andriese, da secoli si porta frequente e devoto a venerare una pia Imagine in tela, rappresentante il Santissimo Salvatore, in atteggiamento tutto diverso da quello, in cui si vede dipinto nelle Catacombe. Mentre nelle antiche imagini il Salvatore vedesi di fronte, col libro nella sinistra e con la destra alzata in atto di benedire; qui si scorge di fronte sì, ma coronato di spine, col capestro del condannato al collo, e con le mani legate ad un’alta colonna, che le sta dinanzi. L’uso di dipingere Cristo straziato rimonta al VII ed VIII secolo; come la pittura su tela cominciò in Italia verso il 1300, con Giotto e con i suoi contemporanei.
Intorno all’epoca, di questa Effigie, che ha una tal quale somiglianza con quella del Salvatore, che si vede nell’affresco della Madonna della Pietà, nella SS. Annunziata, non si rinvengono memorie anteriori agli Atti di Santa Visita di Mons. D. Andrea Ariano, Vescovo di Andria. In essi si legge come, nel 1691, essendosi il detto Vescovo portato a visitare la Chiesa di Santa Maria di Trimoggia, osservò in un lato di essa una Cappella, in cui veneravasi una devota Immagine del Salvatore, dipinta su tela; e perchè rinvenne la Cappella di sacri arredi sfornita, comandò che ne fosse provveduta, ed ornata, e vi si ponesse la mensa di pietra, che stava già nell’altare da doversi demolire [32].
Monsignor Triveri, nella Santa Visita, fatta nel 1694, a questa Chiesa, dice che dal lato dell’Epistola vi era un’altra navata, in fondo alla quale si trovava l’altare del Salvatore, con l’Imagine del medesimo, assai devota [33]. Nel 1711, Mons. D. Nicola Adinolfi trovò questa pia Imagine in varii punti guasta dal tempo, e con un decreto di Santa Visita ordinò che si facesse ristaurare [34].
Il Prevosto Pastore, nelle sue Memorie manoscritte intorno alla città di Andria, parlando della Chiesa di S. Maria di Trimoggia, dice «Il Collegio di S. Nicola in ogni giorno festivo non ha mancato, nè manca di mandarvi uno dei suoi preti per celebrare il Sacrificio a commodo dei divoti, che vi concorrono, e dei campagnoli, che accorrono a venerare un’antica devotissima Imagine del SS. Salvatore» [35]. Nella risposta alla Gazzetta di Napoli, scrive: «L’Imagine del SS. Salvatore, legato ad una colonna, di antichissimo pennello, è di un disegno, che dà molto al naturale» [36]. Ad eccezione di questi documenti, che sono i più antichi, che abbiamo, e della tradizione popolare, altri non ve ne abbiamo. Nè di ciò possiamo incolpare gl’incendii, le guerre, e le pesti, che hanno frequentemente desolata questa nostra città, ed hanno distrutti i patrii archivii, perché fortunatamente l’archivio di S. Nicola, dal 1322 sino ad oggi, non è andato mai soggetto a simili sventure. Bisogna piuttosto incolpare l’incuria degli addetti ai nostri venerandi Santuarii, nei quali non dovrebbe mai mancare un libro, in cui accuratamente registrare quanto ivi avviene di rimarchevole; ne vantaggerebbe molto la storia patria, e la pietà cristiana.
Sebbene di questa Imagine del SS. Salvatore non si trovino notizie anteriori alle già dette; pure si trovano due antichissime memorie, riguardanti la Chiesa del Salvatore in Gurgo, a meno però che queste memorie non fossero apocrife. In una Bolla di Papa Callisto II, datata da Benevento, il 10 ottobre 1120, si legge che in quell’epoca vi era in Andria una Chiesa dedicata a San Nicola, ed in Gurgo un’altra dedicata a San Salvatore, e che entrambe con tale Bolla venivano da quel Pontefice donate a Manso, Abate del Monastero di San Pietro al Vulture [convento poi dedicato a S. Ippolito, sito tra i due laghi di Monticchio] [37].
Che la Chiesa del Salvatore, esistente in Gurgo, fosse stata donata all’Abate Manso, non fa meraviglia; mentre dopo l’emigrazione del Villaggio di Trimoggia in Andria, restò sempre a cura del Clero la Chiesa madre, appellata Santa Maria di Trimoggia; quindi poteva bene la Chiesa del Santo Salvatore, come Chiesa secondaria, venire donata ad altri.
Ma non così per la Chiesa di S. Nicola in Andria, la quale, fabbricata dal Conte Normanno, Riccardo, e donata al Clero di Trimoggia, sempre a questo si appartenne. Dunque bisognerà dire che in Andria, oltre della Chiesa del Clero di Trimoggia, ve ne fosse stata un’altra dedicata al gran Vescovo di Mira, o che ha dovuto essere la Chiesa del Villaggio di San Nicola della Guardia, o quella del Villaggio di Muritano, in cui vi doveva stare anche una Chiesa in onore del detto Santo, mentre vi era una campana a quello dedicata, e che attualmente trovasi ancora sul campanile della nostra Cattedrale, sotto il titolo di San Giuseppe [38].
Si parla pure di Gurgo in un’altra Bolla di Papa Alessandro III, il quale, ai 2 aprile 1175, da Forenza confermava a Filippo Abate del medesimo monastero di San Pietro al Vulture tutti i possedimenti della Badia di Monticchio. Tra gli altri possedimenti parla d’una Chiesa di San Salvatore in Andria, e d’una Chiesa di San Nicola in Gurgo [39]. Però si vede chiaro che in questa Bolla sia stata scambiata la topografia delle due Chiese, dando ad Andria la Chiesa di San Salvatore, che Papa Callisto II diceva stare in Gurgo, ed a Gurgo quella di San Nicola, che si trovava in Andria.
NOTE

[32] A latere adest Cappella cum devota Imagine Salvatoris ad tabulam ligneam, caret omnibus … mandavit provideri et ornari, et in ea collocare altare lapideum, quod est in altari demoliendo. — Acta S. Visit. Ep. And. Ariani, anno 1691 (Curia Vesc.).

[33] A latere Epistolae adest alia navis Ecclesiae, cujus capite reperitur Altare Salvatoris, in cujus tabula depicta est Imago Salvatoris D. N. J. C. satis devota (Curia Vescovile).

[34] Altare est sub invocatione SS. D. N. Salvatoris a quadam Imagine eiusdem ibidem devote depicta, in quo solitum fuit celebrari nedum in die festivitatis SS. Salvatoris, sed quoque in singulis sextis feriis mensis martii cuiuslibet anni, factaque itaque per Ill. Dom. prodicti altaris visitatione, fuit demandatum refici Iconem in partibus defectuosis etc. — Acta S. Visit. D. Nic. Adinolfi Ep. Andriae, anni 1711 (Curia Vesc.).

[35] PASTORE, parte I, cap. XII, Mss, di Leonetti Troya.

[36] PASTORE, Risposta alla Gazzetta Napolitana. Mss. di Leonetti Troya.

[37] In Andro Ecclesiam Sancti Nicolai. — In Gurgo Ecclesiam Sancti Salvatoris (Ulysse ROBERT, Bullaire du pape Calixte II (1119-1124)), Paris, 1891).

[38] Intorno alla detta campana si legge questa iscrizione: «Christus vincit. Christus regnat. Christus imperat. Verbum caro factum est, et habitavit in nobis. Ora pro nobis Beate Nicolae. A. D. MCCCX. Hoc opus factum est».

[39] In Andro Ecclesiam sancti Salvatoris, Ecclesiam sancti Nicolaj in Gurgo. Bibliot. Naz. di Napoli, Ms., AA. 39. Conf. G. FORTUNATO, S. Maria di Vitalba, con 50 Doc. ined. pag. 35. Trani, V. Vecchi, 1898.

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VIII.  La siccità ed il SS. Salvatore.

È un fatto incontrastabile che la Chiesa di Santa Maria di Trimoggia, in tutti i venerdì dell’anno, e specie in quelli di Quaresima, viene sempre frequentata da gran numero di devoti, che si portano a pregare ed a piangere innanzi alla devota Imagine del SS. Salvatore, il quale con quella sua fisonomia grave insieme e placida, con quel suo sguardo dolcemente melanconico e spirante una soavità tutta di cielo, eloquentemente loro parla al cuore, e ad essi promette consolazioni, ed invita tutti a riporre la più illimitata confidenza nella sua misericordia infinita, dicendo loro: Venite a me, o sventurati, perciocchè io sono il Dio che redime e che salva! … Ed il popolo Andriese alla vista di tale Immagine pare che dica alla sua volta: Ecco Dio, ecco il mio Salvatore, farò a fidanza con lui e non temerò, perocchè mia fortezza e mia gloria è il Signore, ed egli è la mia salute!
Sopratutto poi questa Immagine è per gli Andriesi il loro sacro palladio nei tempi di siccità, tanto frequente nelle nostre Puglie, e nei quali Andria, nominatamente, per mancanza di sorgive, più che le limitrofe città, sente tutto l’immano peso d’un sì tremendo flagello di Dio!
Anticamente in tempo di simili calamità si era solito menare in devota processione una Immagine della SS. Annunziata, che si venerava assai dalla pietà degli Andriesi, nella Cappella della Chiesa omonima, posta fuori le mura della città; di poi si fu solito portare processionalmente l’Immagine della Madonna della Nascita, che tutt’ora si venera nella Cattedrale [40]. In sul principio del 1700, o poco prima, pare che siasi cominciato a portare in processione ed invocare a tal uopo questa del Santissimo Salvatore!
Ed oh! è uno spettacolo quant’altro mai commoventissimo il vedere in tali distrette il Reverendo Capitolo di San Nicola, le Congreghe laicali di detta Chiesa, ed un numero sconfinato di popolo, e d’innocenti fanciulletti d’ambo i sessi, coronati di spine, mesti e gravi muovere al Santuario del Salvatore, ed ivi, dopo avere tra le lagrime, i gemiti ed i sospiri effuso l’addolorato loro cuore innanzi a questa Immagine prodigiosa; menarla processionalmente in città, nella Chiesa di San Nicola. Quivi dallo spuntare del giorno, sino a notte avanzata, è un accorrere non interrotto di gente devota, è un piangere non consolabile, è un baciare e ribaciare questa Immagine benedetta da lasciarvi su il cuore, è un domandare istantemente sulle aduste e squallide campagne la pioggia sospirata. E mirabile a dire! in tutte le siccità, che si di frequente hanno afflitta la città nostra, e desolate queste nostre campagne, tanto vagamente sorrise dalla natura e benedette da Dio, ora più presto ed ora più tardi la misericordia sconfinata del divin Salvatore ha sempre benignamente esaudito i voti cocentissimi del tribolato popolo suo! Il cielo, che addivenuto di bronzo, non mandava più rugiada nè pioggia, si è visto d’improvviso coperto di nubi consolatrici, e le acque del refrigerio sono scese copiose ed esilaranti su queste arse campagne, che sibilando le bevvero! Ed Andria, lieta per tale singolare beneficio, non ha rifinito nella ebrezza della gioia di rendere grazie affettuosissime al suo misericordioso Salvatore, di festeggiarlo solennemente nei trasporti più sentiti della pietà e dell’amore, della gratitudine e della riconoscenza, e di ripetere commossa sino alle lagrime: Dio quanto è buono !
Troppo andrei per le lunghe se partitamente volessi narrare di questi segnalati beneficii del divin Salvatore. Fra tanti ricorderò solo la lagrimevole siccità del 1844, che facea temere assai un infaustissimo ricolto!
Dall’Ill.mo e Rev.mo Mons. Don Giuseppe Cosenza, in allora Vescovo di Andria, si ordinarono pubbliche supplicazioni; il popolo si abbracciò confidente agli altari dei suoi santi Protettori; stancò il cielo con le sue preghiere e con le sue lagrime; invano chè il cielo di Andria, come quello di Samaria ai tempi dei profeta Elia, era sordo ai sospiri, alle preci, alle lagrime dei tribulati! In tali distretto gl’infelici ed assetati Andriesi, memori che i loro maggiori in simili calamità, specie in quelle del 1820, 1831, 1840, e 1841 erano stati soliti andare a prendere processionalmente dal suo Santuario l’antica Immagine del SS. Salvatore e menarlo, in mezzo alle lagrime ed ai sospiri, in città, ed erano stati esauditi; supplicarono istantemente il Vescovo, e questi ben volentieri loro permise di seguire un tanto lodevolissimo costume. Era il mese di aprile, e dall’antica Chiesa di Santa Maria di Trimoggia si vedeva muovere mestamente grave un’onda immensa di popolo devoto, che tra lagrime dirotte, tra cocentissimi sospiri, ed altri guai, menava processionalmente in città la veneranda Immagine, portata sulle spalle da quattro Reverendi Mansionarii, vestiti di stole violacee, cioè D. Domenico Caggiano, D. Francesco Lorusso, D. Vincenzo Pietrangelo e D. Antonio Regano. Sostenevano le aste del Baldacchino il Sindaco ed i Decurioni, preceduti dal Reverendo Capitolo Collegiale di San Nicola, dalle Confraternite, e da un numero sterminato d’ingenui fanciulli e giovinette, che coi capelli scarmigliati, con corone di spine sul capo, con funi al collo, colle lagrime sugli occhi, a piè scalzi, con altissimi e strazianti gemiti di dolore, commovevano profondamente tutti. Un’onda di popolo innumerevole seguiva dolente e speranzoso il sacro corteo!
Arrivata appena in Chiesa la mestissima processione, fu uno scoppio universale di pianto, fu un affocatissimo invocare l’acqua per tanto tempo desiderata invano, fu uno sperare fiducioso nella misericordia grande di Dio Salvatore, che altre volte aveva benignamente consolato quest’Andria devota e penitente. Nè restarono deluse le loro speranze. Si diè principio ad una solenne novena di preghiere, e mirabile a dire, nel corso di esse il cielo si coperse improvvisamente di nubi, e la pioggia scese copiosissima. Si riempirono le diseccate cisterne, e rinverdirono le aduste e squallide campagne, le quali in quell’anno più che mai furono ubertose ed abbondarono di frumento. Per tale singolarissimo beneficio venne con molta pompa religiosa e civile celebrata una festa solenne in omaggio della infinita pietà del divinissimo Salvatore [41].
Simili scene di pianto e di gioia si ripetettero pure negli anni 1853, 1876, 1878, 1879, 1888, ed ultimamente nel 1898, in cui dopo una ostinatissima siccità, dopo di avere pietosamente gli Andriesi per molto tempo supplicato inutilmente il cielo; un giorno di maggio, perchè non si voleva permettere che si fosse portata in città l’Imagine del Salvatore, uomini e donne tumultuariamente corsero in Trimoggia, presero a viva forza l’effigie benedetta, e tra grida e lagrime e preghiere e sospiri la portarono nella Chiesa di San Nicola. Furono innalzate fervide preghiere a Dio; fu fatta una imponentissima processione di penitenza, con l’intervento di tutto il Clero ed il popolo, che devotamente pregando seguiva la sacra Immagine; ma Dio era sordo! Dopo di avere per così dire stancato il cielo con tante preghiere rivolte ora a San Riccardo, ora alla Vergine sotto il titolo dei Miracoli d’Andria, della Pietà e dell’Altomare, dopo di avere interposto il valido patrocinio delle anime del Purgatorio; finalmente il SS. Salvatore si compiacque esaudire le preci del popolo suo, e fece cadere copiosissima pioggia, che il lutto mutò in festa.
In rendimento di grazie per un tanto singolare beneficio, fu celebrata una splendidissima festa, con solenne processione alla quale, oltre del Capitolo Collegiale di S. Nicolò, e le confraternite laicali, straordinariamente prese pure parte il Rev.mo Capitolo Cattedrale, che da privato segui la Santa Immagine, nonchè l’Eccellentissimo ed Ill.mo Mons. D. Stefano Porro, Vescovo titolare di Cesaropoli, ed ausiliare del Vescovo di Andria, Mons. Don Federico Maria Galdi.
A dir breve ogni qualvolta Andria è stata miseramente afflitta dal terribile flagello della siccità; tante volte essa nella cara e benedetta Immagine del SS. Salvatore ha trovato un valido e presentissimo patrocinio. Laonde a perenne monumento di sentita gratitudine il Reverendo Can.co D. Antonio Noya, ex Domenicano, e Cappellano della Chiesa di Trimoggia, colle liberalità dell’Insigne Collegio di S. Nicola, e del popolo, nel quale con le sue prediche aveva saputo destare una grande devozione verso della benedetta Immagine; nel 1816 gli rizzò l’attuale Cappella, e vi fece scolpire la seguente epigrafe, perchè dei tanti beneficii concessi agli Andriesi, in tempi di siccità, restasse nei posteri memoria perenne.

D • O • M
PRO
TANTIS • BENEFICIIS
EX • HACCE • SACRA • DOMINI • SALVATORIS • NOSTRI
EFFICIE • COMULATE • ACCEPTIS
AROQUE • PLUVIA
OMNI • ARITUDINIS • TEMPORE DIVINITUS • HABITA
PIETATE • CLERI • S • NICOLAI • POPULIQUE
SACELLUM • HOC
DILIGENTIA • AC • SEDULITATE
REV.DI • ANTONII • NOYA
ERECTUM • ORNATUMQUE
A • D • MDCCCXVI

NOTE

[40] Acta S. Visit. Ep. Cassiani. An. 1644. (Curia Vescovile).

[41] Da una notizia scritta dal Mans. D. Vincenzo Pietrangelo dietro una pagina delle Lezioni Scritturali di Mons. D. Pompeo Sarnelli, Vescovo di Bisceglie, e che si conserva presso Mons. E. Merra, Vescovo di San Severo.

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IX.  L’attuale devozione a Gesù Salvatore.

Col correre degli anni la devozione popolare verso l’Immagine del SS. Salvatore è andata svolgendosi di giorno in giorno più fervente, e massime in questi ultimi tempi, ha spiegato ed ognora più spiega larghe proporzioni. Con pubbliche e private largizioni, nel 1872, venne ristaurata ed ingrandita la Chiesa, e largamente provveduta di eleganti arredi sacri. Fu innalzata una Cappella ed un altare di marmo all’Addolorata, una elegante nicchia marmorea per la veneranda Immagine del Salvatore, ed una cornice d’argento, che l’adorna nelle feste principali. Continuamente poi a questa Sacra Effigie, nelle ore del giorno, e nei silenzi della notte, lampeggiano votive lampade d’argento, simboli eloquenti delle cocentissime fiamme della celeste carità, di che divampano i cuori degli Andriesi, che a modo d’innamorati stanno sempre intorno a quella Immagine, e si beano del suo cospetto. A mantenere ed accrescere sempre più il concorso e la devozione del popolo a questo vetusto santuario, conferiscono mirabilmente la frequenza e la pompa delle sacre funzioni: le feste splendidissime, che in ogni anno, col massimo decoro vi si celebrano, l’una più modesta nel giorno 6 agosto, sacra alla Trasfigurazione di nostro Signore sul monte Tabor, e l’altra più solenne nel mese di Settembre: nonchè la Confraternita laicale, quivi canonicamente eretta, sotto il titolo del SS. Salvatore, dall’Ill.mo e Rev.mo Monsignor D. Federico Maria Galdi, Vescovo di Andria, il dì 27 marzo 1877.
Nel 20 gennaio 1878 questa Congregazione, essendo stata ascritta alla Venerabile Arciconfraternita del SS. Sacramento di San Giovanni in Laterano, presso le Scale sante in Roma, venne d’un gran tesoro d’Indulgenze splendidamente arricchita. Ne fu primo Rettore il Canonico D. Francesco Sgamella, passato a miglior vita l’anno 1897. I Confratelli nelle sacre funzioni vestono il sacco rosso, col cappuccio e la mozzetta bianca, fregiata d’un nastro dorato: portano per emblema sul petto una Imaginetta del Salvatore: hanno regole proprie, e sono sotto la immediata direzione spirituale d’un Rettore, appartenente al Rev. Capitolo Collegiale insigne di S. Nicola, cui fu sempre sommamente a cuore il culto d’una tanto prodigiosa Immagine, sua massima cura e delizia. Il medesimo Collegio elegge pure il Cappellano per mantenere il culto ed il decoro dell’antichissima Chiesa di Santa Maria di Trimoggia, sul cui frontone, a caratteri di oro si dovrebbero incidere le promesse, fatte da Dio a Salomone, nel giorno della dedicazione del tempio di Gerusalemme cioè: «Se io chiuderò il cielo, e non cadrà, stilla di pioggia sulla terra, e convertitosi il mio popolo, farà penitenza della sua mala Vita; io dal cielo lo esaudirò; perocchè gli occhi miei saranno aperti, e le mie orecchie intente all’orazione di chiunque m’invocherà in questo luogo».

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X.  Un novello Tempio.

Stava per terminare il secolo XIX, ed il mondo cattolico con ansia santamente febbrile si apparecchiava a rendere un omaggio splendidissimo di fede, di speranza e d’amore a Gesù Redentore, Re immortale dei secoli, con innalzargli nelle più alte vette dei monti dell’Italia nostra sublimi monumenti e croci!
In tale fausta ricorrenza il Rettore di Santa Maria di Trimoggia, unitamente all’insigne Capitolo Collegiale di San Nicola, considerando che l’attuale Chiesa del Salvatore più non rispondeva all’amore, ogni giorno crescente del popolo Andriese verso del divin Nazareno, divisarono di volerla all’uopo ingrandire ed abbellire vagamente. Il giorno sacro alla Festa del Salvatore, avendo invitato a cantare messa solenne ed a tenere all’uopo un bollente discorso al popolo, Mons. Emanuele Merra Protonotario Apostolico, questi di gran cuore ne assunse il pietoso e patriottico incarico, ed esortò vivissimamente gli Andriesi a voler erigere quando prima una novella Chiesa, che degna fosse del Salvatore e della città di Andria. Il primo venerdì di marzo del 1901 l’Ill.mo Mons. D. Giuseppe Staiti, Vescovo di Andria, l’Insigne Capitolo Collegiale di San Nicola, ed un popolo senza numero, devotissimo del Salvatore, si portarono in Trimoggia a benedire la prima pietra inaugurale della nuova Chiesa, assumendone ben volentieri l’incarico e con perseveranza instancabile i Can.ci Sgarra D. Raffaele e Casieri D. Francesco.
Sul frontone della nuova Chiesa il Prevosto Parroco D. Michele Patruno Protonotario Apostolico ad instar volle fosse scolpita la seguente iscrizione a memoria del fatto:

DEO
REDEMPTORI HOMINUM
DEIQUE MATRI TRYMODIENSI
SAECULO XX INEUNTE
ANDRIENSES IN MONUMENTUM
M.C.M.I.

Esimio ingegnere ne fu il Cav. Riccardo Ceci esecutori, Nicola e Giuseppe Sgarra, fratelli muratori fu Vito.
Questa Chiesa è stata ricostruita con forma regolare, mantenendo inalterata per posizione ed ampiezza la Cappella centrale, e l’altra adiacente. Essa è di stile romanico-lombardo. Occupa attualmente un’area rettangolare di circa 600 metri quadrati, ed è divisa in tre navate, delle quali la principale ha la sua larghezza di metri 6, e le laterali di metri 4, perchè tali erano le dimensioni delle cappelle iniziali. La navata centrale termina quindi con la cappella principale, che è chiusa da un abside ad arco di cerchio: su questa si eleva ardita la cupola a pieno centro, ed è illuminata dall’alto, e da quattro finestre oblunghe a squarcio inclinato, aperte nelle pareti del secondo ordine, su cui s’imposta la cupola.
Le navate laterali terminano ciascuna con le corrispondenti cappelle, che sono coperte con volte sferiche, direttamente impostate sui muri di piedritto, ed illuminate dall’alto.
Ognuna delle navate laterali comunica con quelle centrali per mezzo di tre arcate, che s’impostano sopra pilastri, ai quali si trovano addossate colonne a due terzi del diametro in pietre colorate della vicina Corato, che per la bellezza delle tinte e pel pulimento che piglia, a ragione viene chiamato marmo di Corato.
Le basi e i capitelli sono in marmo bianco di bella fattura, come in marmo bianco è completato il rivestimento dei pilastri medesimi.
Eguale decorazione trovasi in corrispondenza dei pilastri nei muri laterali, in pietra colorata e marmo bianco.
Gli archi normali all’asse della Chiesa dividono la navata principale in tre quadrati, le cui volte sono a crociera e gli archi e le cordonature diagonali a pieno centro.
Le volte delle navate laterali sono anche a crociera allungata. È illuminata da finestre circolari aperte in alto nei piedritti delle navate laterali.
L’altare maggiore è modellato sullo stesso stile, ed è in marmo bianco e di Vitulano con colonnine della stessa pietra colorata.
La facciata principale della Chiesa è decorata nella parte centrale, e danno rilievo ad essa, sia nella parte di mezzo, che nelle laterali, paraste di pietra calcarea, che salgono sino agli archetti sottostanti alle cornici e al fregio dentellato.
Nelle pareti laterali sono aperte finestre oblunghe; nella centrale ricca la porta, che costituisce la parte più importante della facciata.
Vi si accede con gradinata ed il portale è decorato con due colonne di pietra calcarea a pulimento.
La muratura della facciata è a paramento in pietra calcarea e mattoni; il basamento in pietra.
Nel mezzo della facciata elevasi il campanile ad un piano su pianta ottagonale con basamento quadrato, e sui suoi otto spigoli stanno altrettante colonnette della stessa pietra calcarea; è terminato da ricca cornice di pietra, e sormontato da una piramide ottagonale.
Il campanile è in muratura a paramento come la facciata, e porta nei lati e sul fronte una bifora dello stesso calcare.
Tutte le opere in marmo e pietre colorate sono state eseguite, con lodevole cura e grande maestria, dallo stabilimento del signor N. Rossi di Trani.
Nella costruzione di questo pietoso monumento, molti vollero nobilmente gareggiare tra loro, e primi fra questi i quattro Cav. Riccardo e Pietro Ceci, auspice l’ingegnere, che i quattro principali pilastri di marmo e di breccia colorata, a proprie spese innalzarono. Le due colonne laterali all’altare maggiore furono dono di Mons. Stefano Porro, Vescovo Titolare di Cesaropoli, e Vicario Generale di Andria. Le due colonne a destra ed a sinistra del Cappellone vennero rizzate da Mons. Staiti e dai due fratelli Can.ci Riccardo e Cataldo Onesti. Le due colonne laterali alla porta d’ingresso furono dono dei devoti; come le due colonne esterne grezze furono offerte dagli appaldatori del Canalone. Il portone venne regalato dai contadini della masseria la Spineta: la ringhiera esterna di ferro da altri contadini per impegno di Michele Suriano. Una campana del peso di più di un quintale fu donata dai fratelli Magno fu Antonio e dagli operai del loro pastificio a vapore. Gran parte dello stucco del Cappellone fu fatto a spese di Michele Bafunno. L’Altare maggiore di marmo, con dodici statuette di bronzo dorato, rappresentanti i dodici Apostoli, con la portellina d’argento pel Ciborio e con la nicchia in marmo per l’Imagine del Salvatore, fu splendidissima offerta di Chiara Doria Vedova Ieva. L’altare dedicato a San Nicola, dono del defunto signor Nicolino Porro fu Michele, fu fatto eseguire dalla Vedova signora Catterina Spagnoletti-Zeuli. Nella Cappella, a destra del Cappellone, il negoziante in tessuti signor Gennaro Capasso innalzava un altare di marmo; come nella Cappella a sinistra un altare di marmo il Capitolo Collegiale di San Nicola. La contessa Annina Spagnoletti Zeuli, a proprie spese, faceva costruire nel Cappellone un pavimento a quadrelli in marmo bianco, e vitulano rosso.
Cospicue offerte in Lire mille faceva pure alla nuova Chiesa il Municipio di Andria; Mons. Emanuele Merra, Vescovo di San Severo; le famiglie Squadrilli; Conte Iannuzzi; Comm. Riccardo e Cav. Giovanni Iannuzzi; famiglia Marchio; signori Antonio e Luigi Tannoja; signora Lucia Losito fu Angelo; signor Riccardo Lotti, ed altri altre offerte facevano; mentre ogni pietra di questo novello tempio eloquentemente grida ai presenti ed ai futuri: Onore e gloria e benedizione al divinissimo Salvatore, Re dei secoli immortale e specialissimo benefattore di Andria, massime in tempo di siccità!

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Statua del SS. Salvatore del 1906, rubata il 6/12/1983

XI.  Una statua di argento del Salvatore.

Dopo di essersi eretto un grazioso tempio in onore del divinissimo Salvatore, pareva che la citta di Andria alla vista di questo, avesse dovuto esclamare nell’estasi dell’amore: Non ho più che fare per attestare l’affetto mio per Gesù! Ma l’amore che non dice mai basta, improvvisamente si dilatava, e meravigliandone Andria tutta, un bel giorno un grido nuovo ed inaspettato fu udito echeggiare sotto del suo cielo! Nelle vetrine dell’arte sacra in Milano, era stata veduta esposta una statua di argento cesellata a sbalzo del peso di 30 Kilogrammi del Santissimo Salvatore, fatta eseguire per la città di Andria! Questa bella statua di grandezza naturale, con la tinta d’argento antico, le conferisce un non so che di austero, da incutervi un sacro rispetto. Essa ritrae fedelmente la pittura del famoso antico quadro, dagli Andriesi tanto venerato. Se questa riproduzione nuoce un poco alla concezione artistica, è stato però ben fatto a conservare fedelmente anche nella statua le caratteristiche della pittura. La statua in lastre d’argento è di più di 30 Kilogrammi di cesello a sbalzo, del costo di più di 10 mila Lire. È stata lavorata [nel 1906] dal celebre scultore A. Bonchi in Milano, in disegno obbligato dell’arte sacra. La sua altezza è di metri 1,75, e la base tutto argento è più di 10 centimetri.
Ma chi era stato mai questo munifico donatore, che tutti gli altri Andriesi di gran lunga aveva superati nel nobilissimo entusiasmo di amore verso del Santissimo Salvatore, col rizzargli una siffatta statua in lastre d’argento, del titolo 900/1000 ? Questa singolare, e quant’altra mai esimia donatrice era stata la Famiglia [Riccardo] Squadrilli !
Gloria, lode ed onore a lei, che d’una quarta splendidissima statua d’argento decorava questa città di Andria, la quale senza dubbio gliene sarà vivissimamente ed eternamente grata.