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testo estratto e trascritto da [1]

Pagine sparse nella Storia Civile e Religiosa
di Andria

del Can. Menico Morgigni (1853-1932)


Historia Inventionis et Translationis
Corporis Sancti Richardi

auctore Francisco De Baucio
anno 1451

Documento medioevale illustrato

Il Duca Francesco Del Balzo, principiando la sua storia, protesta che non scrive per ambizione di apparir letterato, ovvero nell’interesse di alcuno, sibbene per deporre innanzi al pubblico la verità delle cose da lui vedute e toccate, circa la Invenzione delle ossa del Santo Patrono. Questa Historia fu depositata nella Biblioteca Vallicelliana in Roma; trascritta dall’Ughelli e dal Bollandista nelle loro opere.

originale latino (riportato dall'Ughelli) traduzione di Menico Morgigni
Etsi tantæ huius rei testimonium perhibendi ignavus sum, quam ego ipse meis sensibus intellexi, qui omnibus adfui: rectè tamen hæc scientibus irreprehensibilis inveniri cupio.
Ambitio in me nulla est, nec eruditio disertæ linguæ me possidet, sed ad hæc articulos simul, & calamum movit, ut veritas super candelabrum obtineat, & supra mentes esistat formata. Hæc nempe describens, sicut mihi in mentem veniunt, dilucidabo.
Benché a recar testimonianza in cosa di così alto rilievo, che appresi coi miei occhi e fui presente a tutto, io fossi indegno; pure giustamente io desidero di essere ritenuto irreprensibile, ossia incapace di mentire, dai lettori.
Non mi fruga ambizione alcuna, né il parere dotto in lingua; sibbene io mossi con le mie dita la penna, acciocché la verità sia posta sul candelabro, e sia stabitita sui monti. Scrivendo, io dirò le cose siccome nella mente si presentano.

Il Duca Del Balzo descrive la situazione geografica di Andria per rispetto ai quattro punti cardinali. Si nota la breve distanza di appena sette pietre miliari da Canosa, un dì municipio romano. Di qua sin dal tempo dell’impero romano si partiva la via chiamata Traiana, comunemente Appia: la quale passava attraverso i villaggi andriesi Trimodien, Netium? e quelli che furon poi chiamati di Santa Barbara e di Santa Lucia; vicino la stazione romana ad quintum dccimum.

Poco lungi da questa distaccavasi una diramazione alla volta del villaggio Casalinus. Il Casalino ed altri borghi tra loro vicinissimi formavano il Comune di Andria nell’alto Medio Evo.

Andria centum ferè milliaribus à Neapolitana urbe Campanorum ad septentrionem distat, sitaque est in Etholis oris Peucetiorum, prope pedes lapidosorum montium ad austrum jacentium: quinque millia passuum Mediterranea ab Ionio pelago posita est, & versus Occasum Aufidi fluminis per septem lapides transiens.
Ducali titulo decorata est, in cuius quidem regimine civitatis & sertum & vicem gero.
La Città di Andria dista a settentrione da Napoli nella Campania quasi cento miglia antiche: è sita nella estremità della Peucezia, presso il piede dei monti lapidosi le Murgie, giacenti a mezzodì: mediterranea, è posta lungi dal mar Ionio cinque mila passi: e verso l’occaso, lontano sette colonne miliari, passa il fiume Ofanto.
È decorata la città del titolo ducale, nel cui regime io ho la locotenenza e la corona.

Un cittadino andriese a nome Tasso, uomo retto e semplice va a trovare il duca Francesco e richiama l’attenzione di lui sul grande apostolo di Andria San Riccardo. La memoria di questo Santo erasi allora non poco affievolita, causa i tempi e la sparizione del suo corpo.

Erat in ea olim vir, nomine Tassus, de cujus vita atque moribus cum à civibus cunctis quæsivissem, bonus, simplex, neminem offendēs, Deo devotus ab omnibus uno ore laudatus est, & tam se, quam suas facultates Deo dicasse responderunt. Unde post pauca æva factus est, quod omnia sua, in morte, fabricæ Templi Sanctæ B. Mariæ Veteris nuncupatæ reliquit.
Ipse namq; saepe numero ad locum audientię mera cupiditate atque desiderio illectus profectus est, & quidem curiosè sciscitans hęc ab eo accepi.
Inquit enim, ̶̶ nescis, quod Deus antiquæ miserationis visitans servum suum fidelem Richardum Pontificem huius civitatis tam sublimem in cœli sede collocavit, & ejus corpus in majori Ecclesia nostræ civitatis est collocatum. ̶̶
Quæ audiens, admiratus sum, hæc mecum tacitus reputabam.
Viveva testé nella città un uomo chiamato Tasso; della cui vita e costumi informandomi curiosamente dai cittadini, buono, semplice, inoffensivo, divoto a Dio, lo sentivo da tutti lodare unanimemente; e ancora di più di aver consacrato a Dio sé e le sue facoltà. Difatti dopo poco di tempo, venendo a morte, si vide che donò alla fabbrica del tempio di Santa Maria Vetere tutti i suoi beni.
Spesso spesso egli, come solleticato da gran desiderio e cupidigia, veniva da me là, ove solevo dare pubblica udienza. Io pure curiosamente interrogandolo, appresi da lui tali cose.
Mi disse: «Tu non sai che Iddio di perenne misericordia, poiché ebbe visitato il suo servo fedele Riccardo, [vescovo di questa città,] lo fè ascendere sublime nell’altezza dei Cieli, mentre il suo corpo fu collocato nella maggiore Chiesa di questa Città».
Udii ammirato ciò; e meco stesso nel silenzio io l’andavo considerando.

Il Tasso pare che fosse l’unico, che allora conoscesse come il corpo di S. Riccardo, involato nella stima generale, si trovasse ancora nascosto in città, sin dal tempo dell’assedio degli Ungari.
Ciò comunica al duca con particolari precisi.

Et post pusillum adortus sum hominem, qui hæc, quę ipse diceret, auribus meis numquam percepissem.
Ait ille quidem: ̶̶ Iam lustris ferè viginti elapsis in Regno isto bellum ortum est inter regem Ungariæ, & reginam Ionnam Primam, & hoc propter necem regis Andreæ iam d. Reginæ mariti, & huic Regi Ungariæ germani.
Accidit autem uno dierum, exercitum regis prælibati iter agere propè hanc civitatem, qui legatos miserunt, quatenus cives in castra munitiones mitterent.
Erat autem in arce præ aliis custos nomine & re Malus Spiritus, qui & ipse cohortes assecutus est, & tradidit civitatem, à quibus nedum expoliata, verum etiam omnibus bonis nudata est. Et nunc est opinio, Beatum corpus ablatum fuisse tunc, quæ opinio penitus est falsa.
Quoniam sacrista prudens, timens in ista vastatione urbis, ne illum arriperent, clam translavit;
Corso un po’ del tempo, io mi accostai a tal uomo, da cui sentii cose, che giammai avevo percepito con le mie orecchie.
Egli mi disse: «Sono quasi venti lustri allorché in questo regno arse una guerra feroce tra il re d’Ungheria e la regina Giovanna I; e ciò a cagione della uccisione del re Andrea marito della suddetta Regina e germano del re d’Ungheria.
Avvenne un giorno, che l’esercito del re su riferito marciasse in suo cammino presso questa Città, e mandasse suoi legati ai cittadini, acciò spedissero nel loro campo le munizioni.
Tra gli altri si trovava nella Rocca un custode chiamato, siccome in effetti era, malo spirito, il quale volle seguire le schiere nemiche ed a loro consegnò la città; dalle quali non che spogliata, essa fu diseredata di tutti i suoi beni; ed anche ora è opinione, che allora il corpo beato fosse stato rubato.
La quale opinione è del tutto falsa, poiché il sacrista (Oliviero Matusi) prudente, temendo non fosse rapito nel saccheggio della Città, di celato lo traslatò,

Il Tasso bene informato fa il racconto della traslazione celata del corpo di S. Riccardo, nel tempo degli Ungari. La quale traslazione se fu celata al pubblico laico, non certamente ad una parte almeno dei preti della Cattedrale, avendo il sacrista Matusi trasferito giù nella Cripta ancor l’altare, sotto cui prima si giaceva, e sotto cui allora nascose il corpo del Santo.

Il qual corpo, come si vede, fu nascosto nell’antica Confessione, in Antro, in quel medesimo luogo, ove da principio era già stato deposto – ubi primum positum fuerat – precisamente là ove una volta era l’ingresso – intus ad instar aditi. –

La memoria di quella prima ed antica tomba delle ossa di San Riccardo non era ancora spenta nel popolo, anzi era in venerazione. Ed è perciò, che i più devoti cittadini, dopo la. sparizione del corpo del Santo dalla sua Cappella in Chiesa, si fecero un dovere di scendere nella Cripta, ed ivi prostrarsi davanti a quel luogo di cara ricordanza.

& illud subtus altare, quod erat in Ecclesia, instar adyti intus in antro deducto, ubi prius positum fuerat, collocavit: & propter hoc à quibusdam arreptum esse creditur, uti etiam tota Ecclesię biblioteca fuit amissa; ̶̶
unde in oblivionem ductum, clerici, ut dicebat, non venerabantur, cives verò aliquali devotione locum illum frequentabant.
e lo collocò sotto l’altare che dalla Chiesa superiore fu portato giù nell’Antro, entro una specie d’ingresso, ove in principio era già stato deposto; e perciò che da alcuni si credé fosse stato involato, a quella guisa che fu perduta tutta la biblioteca della Chiesa».
Onde caduto nell’oblio il corpo santo, i chierici (come diceva il Tasso) cessarono dal venerarlo; solo alcuni pochi cittadini frequentavano per divozione quel luogo.

Dal su detto appare quanto sia errata l’asserzione degli storiografi paesani, che il corpo di S. Riccardo sia stato nascosto e poi trovato dietro l’altare maggiore, giù in un fosso. Ciò si poteva sostenere e si sostiene da coloro che non hanno mai letta, ovvero superficialmente, l’Historia Inventionis del duca Francesco.

In qual modo, dico io, si poteva in un fosso collocare un altare? dipingere l’immagine del Santo e di molti presuli suoi successori, come si dirà in appresso? Come dai chierici si sarebbe potuto ignorare, che dietro l’altare maggiore così noto a loro si nascondesse il corpo del Santo, se realmente ivi fosse stato?

Il corpo santo sepolto invece giù nella Cripta, in un luogo semioscuro, non sospettato, anzi allora tenuto in non cale, in cella sotterranea, poteva benissimo rimanere ignorato.

Il Tasso intanto non al Clero, ma al duca si rivolse. Il duca, pur accogliendo le istanze del fedele cittadino, pensò procedere con prudenza e passo di piombo.

Ex qua re mirum in modum præfatus Tassus ad dilatandum nomen, & rem ipsius Sancti, me, ut ego ejus comes essem, sæpissimè flagitaverat, & ut festinus accingerer ad beatum præfatum corpus inveniendum.
At ego rursus ab eo, quomodo istud sciebat, quæritabam, & qualiter ibidem collocatum fuisset.
Qui quidem ait: ̶̶ Dominus Guillielmus Dux pater tuus, & præses Milillus ad hoc inquirendum iverunt, atq; ibi esse corpus benè sciverunt, sed minimè ausi sunt attrectare. ̶̶
Ego verò hæc, & alia considerans, mente contemplabar; ancipitemque inveniens, inducias pertuli: & cum à multis hæc poscerem, nomen adfuit pervagatum. Et vero nomine antiquo contento annuere mihi, sicut visum est cum plumbeo pede transire;
Laonde il su lodato Tasso, a fin di dilatare il nome ed il culto del Santo, con ripetute istanze in modo mirabile mi spingeva, onde mi associassi a ritrovare il corpo del beatissimo Riccardo.
Ma io, tornando da capo, cercavo da lui come sapesse ciò, e perché mai quel corpo fosse stato mandato ad essere sepolto nella sepoltura primiera.
Il Tasso mi rispose: « Il signor duca Guglielmo tuo padre ed il presule Milillo s’indussero già di cercare, e ben sapevano ivi nascondersi il corpo santo, ma non ardirono di tentar la prova.»
Io però queste ed altre cose ponderavo nella mia mente, e trovandomi dubbioso, indugiai. E siccome da me molti venivano interrogati, così la fama si sparse; ed i memori dell’antica tradizione consigliavano, che io procedessi con ponderazione, in conformità al mio parere.

Il duca si decide a visitare per allora il luogo. Entra perciò nella Chiesa Cattedrale, scende nella Cripta o Confessione di San Riccardo, da esso, come appare, forse poco ben conosciuta.
Fa meraviglia anzi, che neppure il Clero d’allora tenesse in grande considerazione cotesto luogo, sacro alle più nobili tradizioni della Chiesa di Andria. Solito costume che vige tuttodì.

Certamente in quel tempo la Cripta avrebbe offerto agli studiosi maggiori elementi di antichità, indizii, monumenti. ecc. Questi infatti sono dal duca Francesco descritti dettagliatamente in cotesta Historia Inventionis.

Da ciò vedasi quanto valga l’asserzione dei nostri critici, che non vi sieno prove positive in appoggio dell’esistenza del nostro Santo e dell’antichità del suo culto.

Trovò il duca due altari, l’ara maior (ben diversa dall’Altare maggiore della Chiesa superiore) e l’altare minus, con breve distanza fra loro.

L’Ara maior era una mensa, avendo sopra un tabernacolo di pietra, o tribuna; i cui frammenti ancora esistono nel museo capitolare. L’Hasseloff, scorgendo su di essi scolpite figure di animali, riferì in un suo articolo, che questo tabernacolo di altare si appartenesse al periodo svevo e fosse posto nella Chiesa Superiore.
Ma sull’autorità del Cantù noi sappiamo, che tal genere di scultura usavasi ancora nei primi secoli dell’era cristiana.
«Le pitture delle catacombe non differivano da quelle usate nei sepolcri Pagani. Gli ornati erano quelli dell’antichità, fiori, canestri, genietti … frammisti animali fantastici, pegasi, delfini, sfingi, teste di Medusa». Arch. pag. 568.

Ora sui frammenti cui accenno, spesseggiano figure di colombine e di caproni in vario atteggiamento con ramoscelli di olivo e di alloro, siccome si vedono spesso nelle pitture delle catacombe.

Huic rei paulatim superstiti; sed cum Tassus ad me opportune pervenerit, profectus sum in Ecclesiam.
Ara major in medio tribunæ posita erat;
Intanto a tale impresa a poco a poco mi disposi: e poiché il Tasso un dì mi colse opportunamente così io mi mossi ed entrai in Chiesa.
L’ara maggiore era situata in mezzo di una tribuna:

Alle spalle dell’Ara si vedeva, come sopra s’è detto, un altare minus, sotto cui giacevano le ossa del Santo Patrono. Era un altare sarcofago.

Per intender la cosa, si legga nella Enciclopedia Ecclesiastica di Pianton l’articolo Altare dell’abb. Chedlero:
«A Roma i primi cristiani per fuggire la persecuzione, furono obbligati di nascondersi nelle viscere della terra, nelle catacombe. Il sacrifizio eucaristico in quegli asili popolati dalla morte era offerto sulla tomba di un martire. Dopo che la Chiesa poté respirare in libertà, i cristiani d’occidente, abituati a celebrare la messa sopra le tombe, costrussero gli altari delle loro basiliche in forma di sarcofaghi, ed ivi sotto posero il Corpo d’un Santo, del Patrono di lor Chiesa».

Di questo genere era l’altare della Cripta andriese, minutamente descritto dal duca Francesco. La base offriva un forame; da cui sortiva siccome un profumo soavissimo. Il che rispondeva bene all’uso costante della Chiesa, giusta il quale gli altari della Confessione portavano una fenestrella o foramen, onde venerare le ossa del Santo, e per calare giù gli oggetti, che si volvano benedire.

post tergum ipsius, iuxta parietem, altare sub parva, pulcraque forma manebat; basis ejus instar porticulæ persistebat, quantum cervix hominum cum habilitate ingerere se videretur.
Post illam quoque porticulam, sicut pavimentum lapidea lastra fuisset, continebatur, in qua Crux in ipso lapide aperta manebat; ita, quod mirum in modum ipsius beatissimi corporis summa cum suavitate fragrantia reciperetur.
di dietro, vicino alla parete si vedeva un altare di forma piccola e bella. La sua base era formata d’una maravigliosa pietra; per tre gradi si saliva ad esso.
Nel fronte della base a guisa di fenestrella esisteva un forame, grande così da lasciar entrare appena il capo ["cervix" qui sono "le spalle", non "il capo"] di un uomo; al di là, siccome pavimento fosse, si vedeva una lastra di pietra, in cui si apriva una croce; dalla quale in modo mirabile esalava del corpo beatissimo un odore molto soave.

Un altro grave indizio, che l’epoca in cui cominciò ad onorarsi il beato Riccardo sia molto rimota, e non il secolo XIII – come si vorrebbe dalla critica – è nel documento che segue.

Da vicino al sepolcro nella Cripta, condotta nello stile greco e poi per vetustatem quasi consumpta, si vedeva una immagine murale del Santo. Ora un affresco non si deteriora se non dopo elasso lunghissimo tempo.

Altra immagine di S. Riccardo in paludamenti greci e del secolo ottavo si venerava nella Chiesa Cattedrale sino al 1799. Due dipinti coi medesimi caratteri e forse della stessa epoca certamente confermano la nostra tesi.

Satis congruè ut honorari posset, eminebat altare: nec non iuxta illud, picturam in sua effigie, atque nomine Græca manu tinctam conspexi, quasi per vetustatem consumptam.
Degnamente perciò, a fine di rendergli onore, si elevava ivi l’altare; ed a lato di esso io guardai e vidi una pittura alla greca, che esprimeva il Santo e il suo nome, quasi consunta per antica età.

All’immagine murale di S. Riccardo nella Cripta seguiva subito una lunga serie dipinta di pontefici, cioè di vescovi locali.
Questa scoperta preziosa non costituisce un argomento nuovo, onde provare l’antichità della Chiesa di Andria? Che ne dice la critica? Ciascuna di quelle pitture portava il titolo bizantino – santo e beato – in uso prima del mille.

Per documenti storici noi conosciamo infatti, che nel territorio di Andria vivevano monaci bizantini, così nella Chiesetta di Santa Croce, nel Monistero di San Tommaso Apostolo; altri monaci bizantini pure nei villaggi di Trimodien e di Cicalia, i cui beni furono devoluti ai benedettini del Vulture e di Aversa.

Il vaso, di cui qui si fa cenno, avrebbe contenuto le ossa di S. Riccardo, prima che da Oliviero Matusi fossero chiuse nella Cassula di legno nel 1350. Parecchie ossa di SS. Martiri infatti esumandole dal suolo, furono trovate custodite in vasi di creta.

La iscrizione, graffita su quel vaso stilo ferreo (la punta di ferro dei Romani) riferiva di un Giovanni vescovo, il quale a suo tempo con la sua presenza avrebbe autenticata la traslazione delle ossa sante dalla sepoltura in quel vaso di creta.

Picturæ quoque multæ aliæ Pontificum adherebant beatorum, & sanctorum; & propè ianuam ipsius Ecclesię simul alia, quę cum Clero hinc, & hinc imminebant; adfueratque titulus, qui ipsius civitatis Præsulem indicabat.
Vas insuper ibid. positum erat, & superscriptio stilo ferreo legebatur: Ioannes Episcopus, Cathedram qui tunc regebat, omnibus adfuit.
Ancora molte altre pitture seguivano di pontefici beati santi; e vicino la porta della stessa Chiesa similmente figurava un’altra pittura (di pontefice) con il clero quindi e quinci: e si leggeva il titolo, che lo indicava qua presule della Città.
Di più nel medesimo posto era un vaso, sul quale, per iscrizione fatta con istile di ferro si leggeva così: Giovanni vescovo che allora reggeva la Cattedra, fu presente a tutto.

Il duca non convinto dalle osservazioni fatte, che probabilissimamente nella Cripta si nascondesse il corpo di S. Riccardo, delibera di prendere tempo ancora.

Ad alcuno può parere strana tanta diffidenza nell’animo di Francesco Del Balzo, e che la rendesse di pubblica ragione. Ma non è così. Il duca dirigeva anzi tutto il suo rapporto alle persone diffidenti del suo tempo, cui teneva dimostrare, che all’invenzione del corpo di S. Riccardo ei non venne per autorità sua, ma quasi condotto dall’evidenza della cosa, e per favorire il cittadino Tasso, che lo stringeva con le sue insistenze, e che finalmente lo indusse a tentar la prova.

Nulla facendo da sé, ei non fu che un testimone; e siccome testimone narra le successive vicende dell’avvenimento.

Et simul super hoc comitia tenentes, statuimus, alia quoque perspicua adminucula cum ævo carpere.
Sed jam prænominatus Tassus mihi versus in hostem (hostem scribo propter suam importunitatem) quia de hoc quasi per debitum sibi à me promissum de me quotidie conquerebatur, jugiter, & frequenter assistens, ubi me convenisset.
Itaque super his cum curiosè cum habitantibus collequerer, atq; ibidem concursus creber fuisset; propterea quod loco illo sancto tamquam sacrario Presbyteri abuterentur, odor, atque frequentia cessavit.
Tandem quid in base illa foret, clam videre decrevimus sub hac spe, scripturam ut ibi aliquam inveniremus.
E di nuovo tenuto consiglio su questo, stabilimmo di aspettar dal tempo altre prove più sicure.
Ma ecco il Tasso che si atteggia ad avversario contro di me, dico avversario per la sua importunità; perciocchè su di questo affare, quasi fosse un debito che dovesse rendergli, ogni giorno di me si lamentava, correndo ed intervenendo ovunque io mi portassi.
Pertanto confabulando io di ciò curiosamente coi cittadini, addivenne ivi (in Chiesa) il concorso dei divoti più frequente. Ma poiché i preti abusavano di quel luogo santo siccome di un sacrario, all’improvviso cessò l’odore e quindi la frequenza dei fedeli.
Finalmente decidemmo di scoprire, se alcuna cosa si nascondesse in quella base di altare; nella speranza di trovare una scrittura.

Mirabile a dirsi! Per rivelare il suo corpo ai cittadini sonnolenti, il Santo spandeva l’odore delle ossa di sotto l’altare: deciso lo scoprimento, quell’odore di botto cessò, per manifestarsi di bel nuovo dopo l’Invenzione.

Nel giorno 23 di Aprile 1438, dal duca ed altri si trova oramai la cassula delle ossa sante là, ove il Tasso diceva nascondersi. Se da una parte fa pietà il sentire, che quelle ossa preziose si giacevano nel loto per lo getto continuato delle ceneri ed acque di rifiuto; da altra parte questa circostanza prova, che nell’animo dei preti era ferma la convinzione della rapina del corpo di S. Riccardo.

Del resto anche ciò valse a dimostrare la potenza del Santo, avvegnaché quantunque fossero stati nel loto per anni venti, pure si trovarono incorrotti e sani la cassetta ed il pallio che la copriva.
Questo pallio pare sia stata quella cortina, che nascondeva un dì l’urna delle ossa di S. Riccardo sotto la mensa dell’altare nella sua Cappella.

Tertia verò & vigesima die mensis Aprilis, anno incarnationis Domini millesimo quadringentesimo trigesimo octavo, Summo regnante Pontifice in Ecclesia Dei Eugenio Papa IV. atque Inclito Alfonso Rege Aragonum, Episcopus, & Presbyter Ioannes, ego, puer meus, ac Tassus ipse in Ecclesia congregati sumus; & fores erant clausæ propè Meridiem, quando somnus homines, aut negotia occupantur.
Ex latere ipsius basis Tassus lapidem traxit; cumque intueremur, apertè capsulam tectam palliolo sericeo rubeo cum summitate acuta perspeximus.
Erat in circuitu ejus cœnum quasi semipedis altum, quod ibidem per viginti annos extiterat projectum; cum ablutionem sacrarum rerum; & fracta vasa, & cineres rerum urendarum per annos ibi etiam reponi oportebat, ubi talem locum elegerant. Sed tamen palliolum, & capsula intacta apparebant.
Epperò nel giorno ventitrè del mese di Aprile, nell’anno dell’incarnazione del Signore mille quattrocento trentotto, regnando nella Chiesa il sommo pontefice Eugenio IV, nel Regno, l’inclito Alfonso degli Aragona, il vescovo ed il presbitero Giovanni, io il mio armigero e lo stesso Tasso ci congregammo nella Chiesa. Le porte erano chiuse poco dopo il mezzogiorno, nell’ora che il sopore occupa le menti degli uomini, ed i negozi tengono a bada.
Da un lato della base dell’altare il Tasso trasse la lastra di pietra. Guardando dentro, apertamente scorgemmo una cassula acuminata e coperta di un panno di seta rossa.
La circondava intorno un loto [sporcizia], alto circa un mezzo piede, che ivi s’era gittato per il corso di anni venti; convenendo (i preti) di versare in quel luogo, che avevano scelto a sacrario, le oblazioni delle cose sacre, frammenti di vasi e le ceneri di ciò che si fosse da loro bruciato: malgrado ciò il panno e la cassula apparivano intatti.

Aperta la cassa, con stupore, i presenti osservarono le ossa venerande, le quali erano al completo, più i sandali. Luccicavano quelle come di color rubicondo, pur dopo tanti secoli dalla beata morte del Santo Pastore.

Presbiter ille iussu Episcopi illam cum vellet extrahere; tabula quæ erat ex parte trahentis, ad manus ejus devenit: erat quippe longitudo capsulæ unius cubiti; latitudo ejus, & altitudo medii, locus in quo erat, parum plus majoritatis habebat.
Ossa erant composita, & insuper omnibus sandalia Episcopalia de pelle nigra jacebant; desuper in eis cor & caput adstabant, cuius ossa rubeo colore lustrabantur:
Cuncta quæ idem venerabiliter colligens, & ea serico panno involuta in altari majori reposuit. Jamq; præparatus erat alius locus per dies plurimos in sacrario, sed ibi cęnum inadvertens Presbiter ille ponebat.
Inter hæc ego, atque Episcopus colloquebamur ambulantes, & regredientes per ipsius Ecclesiæ alam, & jam perveneramus ad angulum novissimum, ubi conclusum fuit, clam reverenter illud reponi, ubi jam persistebat.
Il presbitero, dietro il comando del vescovo, volendo estrarre fuori la cassula con forza, gli venne nelle mani la tavola, ch’era dalla parte di lui, che tirava. Era la cassa lunga un cubito [≈44cm], larga ed alta un mezzo cubito: il luogo entro cui stava, poco più di grandezza aveva.
Le ossa erano bene aggiustate, e sopra di esse giacevano i sandali di pelle nera alquanto, sui quali posavano il capo ed il cuore. Le ossa lustravano siccome di color rosso.
Il presbitero raccogliendole con somma venerazione nel panno di seta, le depose sull’altare maggiore. Già era da molti giorni nel sacrario preparato un altro luogo, ma per inavertenza il su detto presbitero qui deponeva il loto, di cui innanzi.
Frattanto io ed il vescovo conversavamo insieme, lentamente passeggiando per un’ala della stessa Chiesa, ed eravamo pervenuti sino alla sua estremità: ove da noi si concluse di rimettere il corpo e con riverenza nel medesimo luogo, ove fu ritrovato.

Come si vede, era nell’intenzione del vescovo e del duca di tenere occulta l’invenzione delle sacre ossa, paghi di averle trovate. Era del tutto aliena dalle loro menti l’idea prestabilita di fare una rèclame; sia perché i tempi erano avversi per la incredulità quasi generale; sia perché non erano sicuri sino all’evidenza dell’autenticità delle ossa trovate.

Ma Dio dispose diversamente, e volle che la invenzione delle ossa del suo Santo fosse subito nota al pubblico, e ciò con prodigi di cui si dirà.

Il corpo santo ecco all’improvviso effonde il suo odore ed un odore così potente e soave da riempir tutta la Chiesa. Era, si direbbe, San Riccardo, che mostrava il suo gradimento e sanzionava con quello la verità delle sue ossa.

Antiphona et Magnificat perspicue adspectabamus; & Presbyter iam candelas accendit in honorem pręfati Sancti, & subitò tantus de corpore odor emanavit, quod nos astantes insuper, & totam Ecclesiam replevit.
Presbiter ille ad nos conciter venit in angulum, ubi eramus, hæc nobis annuntians. Subito cum illuc reverteremur, vehementiorem sentimus odorem, quasi alienati manentes, alterne in alterius faciem aspiciebamus.
Demum collaudantes Deũ, ac Sanctum Richardum gavisi sumus gaudio magno valdè, præsertimque nobis spem maximam contulit, quando semet miraculosè manifestavit.
Intanto il presbitero, che evidentemente stava in aspettazione dell’antifona e del Magnificat, accese le candele in onore del Santo; quand’ecco all’improvviso si effonde dal corpo così forte odore, da riempir tutta la Chiesa e noi che eravamo distanti.
Il presbitero ansante corre da noi, ch’eravamo fermi nell’angolo estremo della Chiesa, annunziandoci il prodigio; e noi subito avvicinandoci, più vivo sentiamo l’odore, onde stupefatti ci guardavamo in faccia l’un l’altro.
Finalmente lodando il Signore e San Riccardo, insieme esultammo di letizia assai grande, poiché il Santo a noi offriva gran fidanza, manifestandosi da se medesimo col miracolo.

Un altro prodigio. Nell’ora medesima della segreta invenzione del corpo di S. Riccardo il popolo andriese non prevenito, meno invitato, soltanto mosso da mano invisibile, si precipita verso le porte della Chiesa da tutti i punti della Città.

Il duca prudentemente si ritira, provando ancora, una volta di più, ch'egli funge da semplice testimone e non intende premere il corso delle vicende con la sua autorità.

Et ecce repente factus est ad ostium ipsius Ecclesiæ strepitus maximus. Presbyter ille, qui jam, ut videret quid fieret, perrexerat ad ostium: per ipsius ostii rimulam intuens mulierum, ac virorum turbam: & quidnam quęrerent, illos interrogans, eorum dicta, & voluntates tali modo percepit. Dicas Episcopo, ac Domino, nisi nobis statim hæ januæ patefiant, quatenus beatissimi Patris nostri Riccardi corpus honorifice veneremur, lignum super lignum non relinquetur.
Reveniens Presbyter inquit nobis audita:
Vade, dic eis  ̶̶  dicit Episcopus;  ̶̶  recedite, nullo enim modo intrare potestis.
Quamobrem his auditis, tumultus incœperat jam fieri in populo.
Quo audito, diximus, non esse bonum Deo resistere. Ego tamen clam me inde subtraxi, & hoc onus Episcopo, quod me petierat, dimisi.
Ed ecco di repente alla porta della Chiesa si fa grandissimo strepito. Per vedere che cosa fosse, corre ivi il presbitero, e guardando per la fessura della porta una turba di uomini e donne e interrogandoli, comprese così la loro volontà e le parole che dicevano: dite al vescovo ed al duca, che se queste porte subito non si aprono, onde venerare divotamente il corpo del beatissimo nostro padre San Riccardo, legno su legno di queste non sarà lasciato.
Ritornando il presbitero ci riferì le cose udite.
Ritorna  ̶̶  rispose il vescovo  ̶̶  e dirai loro di ritirarsi, poiché in nessun modo essi devono entrare in questa Chiesa.
Avendo ciò udito, il popolo cominciò a tumultuare fortemente.
Allora io dissi di non doversi resistere a Dio; e poi di là mi sotrassi segretamente, lasciando ogni responsabilità al vescovo.

Altri fatti prodigiosi seguirono la Invenzione del corpo di S. Riccardo. Nel medesimo giorno infatti, anzi nella medesima ora dell’Invenzione ruppe sulla città e sulle campagne intorno un’abbondantissima pioggia, dopo tre mesi che la si desiderava.
A breve intervallo, per la intercessione del Santo avvennero alcuni altri prodigi, dei quali fu tessuta una storia dal titolo  ̶̶  Legenda miraculorum Gloriosi Sancti Richardi quando migravit ad Dominum  ̶̶  da leggersi cioè nel giorno della sua beata morte, il 9 Giugno.

Fu scritta in sostituzione della vecchia Legenda, smarrita nel sacco della città per mano degli Ungari, e non ancora potuto trovare; cioè  ̶̶  Vita gloriosi Sancti Richardi angliensis.

Ora, io dico, se il duca Francesco Del Balzo è autore della prima su riferita, come con evidenza ivi appare, non l’è certamente di questa, che si conosce essere scritta dall’antico anonimo. Fu un equivoco nel quare cadde la critica gratuitamente, senza addurre in appoggio della sua asserzione prova alcuna.

Il quale equivoco del resto dispare appena da noi si va a considerare la ricchezza dei particolari circa il Santo nella Leggenda – Vita Glor. S. Richardi angliensis – e la estrema parsimonia che si incontra nella Legenda Miraculorum del duca, là dove si parla delle gesta del Santo sulla terra.

Il duca Francesco saggio, leale, riserbato, delicatamente timoroso nel dir alcuna cosa della vita del Santo, che non fosse certa, non avrebbe, mai scritto su mere congetture, come volle blaterare monna critica.

L’Historia Inventionis del medesimo è una riprova di ciò che io dico, cioè dello spirito prudente e positivo del duca.

Fragrantia continuè exhalabat: multitudo populorum crebro concursu occurrit, & ex devotione palliolum illud laceraverunt, quod unusquiq; particulam, quam poterat, abstulerat.
Tres quoque menses nondum pluerat super terram, & aer serenissimus videbatur, & statim in eadem hora suæ Inventionis nubes densissimę in aere factæ sunt: quapropter magna pluvia de cœlo descendit.
Fide, ac intercessione ipsius Sancti plura miracula jugiter coruscabant: sed ubi & quomodo fiebant miracula, legendam de his factam legas, & ibi invenies.
Post vero dies octo, facta prius processione cum magna reverentia ibi, ubi prius steterat, positum fuit: caput autem eius, atque cor in vestibulo detenta sunt, & postmodum argento clausa persistunt.
il popolo numeroso con crescente concorso ivi accorreva, e per divozione, lacerando il pallio, ciascuno che poteva si riserbava una particella.
Da tre mesi non pioveva sulla terra riarsa, e l’aere era serenissimo; or avvenne, che nella medesima ora della invenzione del corpo le nubi si fecero densissime nel cielo, e tosto cadde una dirotta pioggia.
Per la fede nel medesimo Santo e per sua intercessione avvenivano spesso spesso dei miracoli; ma dove e come questi fossero avvenuti, leggi la relativa leggenda ed ivi troverai.
Dopo otto giorni, fatta prima una divotissima processione, quel corpo fu riportato e depositato ivi, ove fu rinvenuto. Il capo però ed il cuore del Santo si ritennero nel vestibolo, e poscia chiusi in teche di argento, furono esposti al pubblico.

Pare che il Santo abbia voluto togliere il menomo dubbio sull’autenticità del suo corpo ritrovato, operando ora un prodigio, ora un altro successivamente.

Il suo cuore ancora incorrotto dopo tanti secoli, fu visto stillare un. liquore o manna assai odorosa con meraviglia e sorpresa di tutti. Sin dal cominciamento del culto di S. Riccardo. e prima della sua canonizzazione nel secolo VIII, il Cuore ed il Capo di lui, chiusi in reliquarii separati, furono sempre oggetto di speciale devozione.

Il vestibolo, menzionato più volte in questa Historia Invent. era l’antico portico circolare della primitiva Chiesa Cattedrale, ovvero il deambulatorio, nel quale si aprivano alcune piccole absidi per contenere le reliquie dei Santi.

In questo vestibolo, parte importante delle Chiese romaniche, si affollava il popolo allorquando assisteva alle funzioni religiose: in questo vestibolo si svolgevano le processioni dei fedeli, che venivano a venerare la tomba del Santo, siccome l’archeologia insegna. Più tardi anche il vescovo pontificante penetrava con il suo corteo nel vestibolo e percorrendolo tutto intorno, entrava in Chiesa per l’arco d’ingresso, che murato vedesi oggi in fronte alla credenza.

Di questo vestibolo o deambulatorio restano ancora gli avanzi, che sono la sacrestia dei cassetti dei preti da una parte, ed il passaggio coperto, oggi chiuso, da l’altra parte.

Cor quidem in vaso vitreo manet, & parum liquoris videtur scaturire maximè redolentis, sed de eo colligi non præbetur facultas.
Il cuore ora si rimane in vaso di cristallo e da esso fu veduto stillare un po’ di liquore odorosissimo, che di raccogliere non fu dato il permesso.

Dopo sì numerose e lampanti prove era da aspettarsi, che tutti, senza eccezione alcuna, si fossero schierati in favore del Santo, ed avessero con amore venerate le sue ossa.

Invece si ebbe una forte opposizione da parte di alcuni cittadini, ai quali sembrava idolatria il venerare le ossa ritrovate. Pensarono e dissero con calore le loro ragioni, mettendo a rumore tutta la Città. Questa contraddizione del resto non meraviglia, conoscendo quanto tristi fossero quei tempi, nei quali si veniva maturando la riforma protestante.

Alioqui perversi animi oblocuti sunt: quod malum videtur eis hunc sanctum colere: quia jam Idolatria causabatur.
Quot & quantis modis ille auctor prævaricationis nutantes usurpat, & raro ad intelligentes audet aperta fronte se prodere, & plerumq; sub specie boni decipit passionatos!
Non in mentem eorum venerat, quod honorare Christianos ossa parentum fas esset, quantò magis talem sanctissimum Patrem, qui tantis cum signis apud Christum Dominum apparuit, & eius nos continua intercessione fulcimur.
Quam plures rationes ad confundendam eorum opinionem falsam, & sublimandam veritatem de hoc dici possent, sed non eget ista scriptura amplius hoc fari.
Alcuni di animo perverso intanto si opposero, dicendo che sembrava loro mal fatto, che si onorasse questo Santo (nel suo corpo), poiché ciò costituiva una specie d’idolatria.
Con quali e quanti modi l’autore del male conquide gli animi vacillanti; ma di raro ardisce mostrarsi chiaramente agl’intelligenti; e spesso sotto la ragion del bene devia gl’incauti!
Non venne in mente a loro, che se giusto è presso i cristiani di onorare le ossa dei parenti, quanto più non sono da onorarsi le ossa di un tal Padre santissimo, che apparve innanzi a Cristo Signore dopo segnalati prodigi, e di continuo ci protegge con la sua intercessione.
A confutare del resto l’erronea opinione dei contradditori, ed a sublimare la verità non poche ragioni possono addursi; ma questa scrittura non crede ragionare più sul proposito.

Come si vede, il duca Francesco Del Balzo, così riserbato nel corso di queste vicende e quasi freddo spettatore, ora, di fronte ai detrattori del Santo, si accende di santo sdegno e rivela a piena luce il suo animo piissimo.

Sono preziose le notizie, che ci dà in questa Historia circa il culto antichissimo di S. Riccardo. Basterebbero questi documenti per far tacere la critica; giacché chi oserebbe negar fede alle parole del duca Francesco?

Si scoprirono anzi tutto tre Calendarii mss. ad uso romano; ove, per il computo, in luogo dei nomi dei giorni della settimana, si vedevano a giusta distanza per ciascuna pagina le sette prime lettere dell’alfabeto latino; tra le quali erano segnate le date di morte dei più illustri personaggi della Chiesa andriese. Quei Calendarii muniti di coverture, e quali libri preziosi si trovarono chiusi in una cassetta di legno inalterabile e forse intarsiata, siccome l’uso di quei tempi portava.

Presbyter erat quidam, è numero cleri hujus Ecclesiæ, Angelus de Leone nuncupatus, qui de hoc Sancto mirabilem in suo corde devotionem affixam habebat, & de hujusmodi susurrationibus valde contristabatur.
Accedit, quod Archipresbyter hujus minoris Ecclesiæ nomine Guillelmus mortuus est, qui arcam hujus Ecclesiæ in custodiam retinebat: ubi inventi sunt tres Kalendarii, non consueto modo scripti, sed pro qualibet parte folii octo, vel decem litteræ sunt distantes, ita quod facile scribi posset inter medium omnium dies obitus; & hic inventum est scriptum, quando Sanctus ipse migravit è sæculo;
est quippe nona dies Junii, quod antea ignorabatur, existimo causam fuisse, quod legenda non erat inventa.
Hos Kalendarios in suo posse retinebat: neque (puto) sciebat, neque alicui promulgavit.
De libris etiam, qui in Ecclesia fuerant, tegmina quadernorum operiebantur.
Eravi un prete del numero del clero di questa Chiesa, a nome Angelo de Leone, il quale conservando nel suo cuore una grande divozione al nostro Santo, si struggeva amaramente di dolore per quei tali susurroni.
Ora si seppe, che l’arciprete di questa Chiesa Maggiore di nome Guglielmo e già morto, custodisse in suo potere un’arca. Ivi dentro dimenticati si trovarono tre Calendarii, non scritti nel modo solito, ma su ciascuna delle pagine si vedevano segnate a distanze otto o dieci lettere, così che nel mezzo facilmente si potessero scrivere le date di morte di qualsiasi; e qui ancora si trovò scritto quando il nostro Santo passò da questa vita in Cielo.
È infatti il nono giorno di Giugno, che prima ignoravasi, per la ragione che non si era ritrovata la Leggenda.
Questi tre Calendarii (quaderni) l’arciprete riteneva in suo potere; ed io stimo che non lo sapesse, ovvero che non lo riferisse ad alcuno.
Anzi aggiungo che i quaderni erano legati e coverti sotto una massa di libri della Chiesa.

Rivolgendo or l’uno or l’altro dei tre Calendarii, il duca Francesco osservò sul più antico una scritta longobardica, con la quale si annunziava la traslazione delle ossa del Beatissimo Riccardo, più il collocamento di esse nella Confessione.

Il buon Duca sorpreso, si propose di cercare il tempo, nel quale quell’avvenimento poteva essere avvenuto. Scorrendo con l’occhio sui medesimi Calendarii, trovò molte date di morti personaggi, dalle quali si deduceva un tempo già corso di trecento anni addietro; e poi sempre guardando e ricercando, comprese il Duca che bisognava tener conto di un altro tempo, quello che s’inferiva da quella scritta di caratteri antichissimi longobardici, registrata ivi prima di quelle date.

Dunque conchiudo – a partire dal 1438 epoca in cui le ossa del Santo si trovò quel Calendario - fila retrocedendo un periodo di tempo lunghissimo, che non solo raggiunge il vescovo Riccardo II, ma lo sorpassa, e si spinge anzi nel buio dei secoli.

Ora si vede qual conto debba farsi dell’opinione dei critici, che vorrebbero vedere il Santo Patrono di Andria nella persona del su riferito Riccardo II, il quale pontificò dal 1179 al 1200.

Miraculum existimo certum etiam, quod eodem die novæ Inventionis, translatio suæ canonizationis erat, & in uno Kalendariorum subjungebatur.
̶̶ Sanctissimus, & beatissimus Pater noster Riccardus Anglicus Episcopus hujus Andriæ civitatis, qui beatus Pontifex antè obitum suum centum miracula fecit, cujus corpus collocatum est in Confessione istius Ecclesiæ. ̶̶
Littera ista Longobardorum more scripta extitit, sed per obitus mortuorum, qui illic scripti sunt, hoc absumptum est, manifestante etiam numero Incarnationis, annorum esse trecentorum, & tantum addi posset, quanto scripta prius erat manifestatio sui nominis ex antiquitate litteræ.
Reputo poi a miracolo certo (la coincidenza), cioè che nel medesimo giorno della nuova Invenzione, si celebrasse un dì la traslazione delle ossa per la canonizzazione di Lui; ed in uno dei Calendarii si leggeva:
̶̶ Il Santissimo e Beatissimo Padre nostro Riccardo anglico, vescovo di quest’Andria città; il qual beato Pontefice innanzi la sua morte operò cento miracoli; il suo corpo fu collocato nella Confessione di questa Chiesa. ̶̶
Queste parole si vedevano scritte nello stile dei Longobardi; ma per le date dei morti ivi segnate si capiva essere già corsi trecento anni, eziandio per un numero dell’era cristiana; più tant’altro tempo potevasi aggiungere, quanto ne dimostrava quella scritta (longobardica su riferita) mediante l’antichità delle sue lettere.

Elasso un po’ di tempo, balza provvidenzialmente fuori delle tenebre un altro documento in favore del culto che la Chiesa di Andria prestava al suo Padre San Riccardo in tempi antichissimi.

Quel documento è un foglio di pergamena, sul quale si leggeva scritta la Messa propria del Santo. Essendo però consunto per largo e continuo uso, appena permetteva si leggessero le tre orazioni relative.

Questa Messa [appresso riferita nel racconto del Duca], di cui s’era perduta ogni memoria, finalmente, Deo adiuvante, fu trovata da me nell’Ottobre del 1909 nella biblioteca Vallicelliana di Roma. La trascrissi da un codice, che trovasi segnato nel Catalogo generale sotto la voce S. Riccardo.

Incomincia così  ̶̶  Missa Sancti Richardi Episco. Et Confess. Ex antiquis Missalibus in membrana manuscriptis.  ̶̶  Non havvi dubbio dunque, che trattasi di un’opera che precede il secolo XV o della stampa. È interamente propria; anche la sequenza, anche il prefazio.

Così ora in Andria si possiede tutto l’antico servizio sacro in lode del beato Riccardo, cioè – gli Atti del Santo o Leggendal’Ufficio metricola Messa propriaet memoria ejus non peribit.

Post paululum autem iterum inventum est in vestibulo folium Missalis, ubi oratio, & secreta propria & post communio ipsius Sancti legebatur, residuum verò scripturæ propter senium consumptum erat.
Passò alquanto di tempo, e di nuovo nel vestibolo si trovò una pagina di messale, nella quale si leggevano le orazioni proprie del Santo, oratio, secreta et postcommunio. Il rimanente della scrittura per travecchiezza era consunta.

Non pare, che, la opposizione si dovesse tacere del tutto di fronte all’evidenza di prove positive attestanti la santità di Riccardo? Invano: dopo poco di tregua, essa ricomincia.

Se non cessan però i sobillatori di spargere la incredulità: non cessa la sorte o meglio la provvidenza di metter fuori dall’obblio nuovi argomenti in favore del Santo.

Ecco un altro. Il buon prete a nome Angelo, rovistando un dì nell’archa, ove si custodivano le sacre reliquie, trova il pellicranio del Santo incorrotto e ravvolto in membrana, su cui sono incise con istile longobardico queste parole – Haec est clerica Sancti Richardi. - .

Se anche il Calendario ms conteneva la commemorazione d’esso Santo in lettere longobardiche; se anche la tavola dipinta di Lui si distingueva per i medesimi caratteri, D’Urso - Storia di Andria, è uopo dunque conchiudere, che l’apoteosi di S. Riccardo sia potuto avvenire nel tempo, in cui i Longobardi da Benevento governavano la Puglia.

Intervallo autem facto, iterum murmur prævaluit. Tegebant se, qui hoc excitabant, ex quo non inventa legenda erat, cessare debuerat ipsius Sancti veneratio.
Vir autem ille bonus Presb. Angelus, qui numeratus [nominatus] est, zelo compulsus, in orationem se dedit, Deum, ac Riccardum postulavit, quod silentium super murmure illo fieret:
qui surgens de oratione, ad capsulam indagandam perrexit, qua Sanctorum reliquias præservabat. Quæ quidem reliquiæ ad altaria consecranda custodiebantur, & ibidem Clerica hujus gloriosissimi Sancti reperta est cum chartula apicibus Longobardorum exarata tali modo   ̶̶  Hæc est clerica S. Riccardi   ̶̶  quæ jam non inventa erat cum corpore, & cum ea cor appositum est.
Fatto breve intervallo, ecco di bel nuovo i sobillatori ricominciano a tumultuare, nascondendosi sotto il pretesto, che cessar si dovesse dalla venerazione del Santo, la cui leggenda non erasi trovata ancora.
Quell’uomo dabbene intanto, il prete Angelo su mentovato, mosso da zelo si raccoglie nella orazione, chiedendo a Dio e S. Riccardo, che finalmente cessi il mormorio.
Poi sorge dall’orazione, si drizza verso l’arca che custodiva le reliquie dei Santi, serbate per la consacrazione degli altari; rovista fra esse e trova ivi il pellicranio del nostro gloriosissimo Santo, ravvolto dentro una cartula, su cui, per alcuni caratteri incisi da punte longobarde, si leggeva così  ̶̶  questa è la cherica di S. Riccardo  ̶̶  , la quale non trovata con il corpo, fu poi messa in custodia con il cuore del Santo.

L’autorità religiosa del resto, nulla curando le declamazioni dei susurroni, pensò di traslatare il corpo del Santo nella sua antica Cappella, là ove si trovava prima dell’anno 1350.

A tal uopo fu prima trasferita l’ara maggiore dall’Antro, ove per la ristrettezza non satis commode ad devotionem sistebat, nella Chiesa superiore in eminentiorem locum versus orientem. Sotto di quella indi si depose il corpo santo.

Se fosse vera l’opinione di quelli, che dissero rinvenuto il corpo di S. Riccardo nella Chiesa superiore sotto l’Altare maggiore, le parole del duca sul riguardo non avrebbero senso.

Altre due notizie, di valore storico non poco, furono rivelate dal duca Francesco nella sua Storia, cioè lo scoprimento di antichi breviarii mss. in provincia, sui quali si trovarono segnati dies fcsti del beatissimo Riccardo; a dimostrazione che il culto del nostro ab immemorabili si celebrava ancora fuori: più, che gli Atti scritti della Vita di Lui, innanzi lo smarrimento, si fossero già letti da molti preti; il che dimostra quanto gratuita sia l’accusa del bollandista Papebrochio, che la Leggenda o Vita del Santo si scrivesse dal duca, e su mere congetture.

La verità è, che di tal Leggenda. è autore l’anonimo antico; che essa fu ritrovata verso la fine del Secolo XV; definita nel 1586 per bocca del celebre Baronio – antichissimo monumento della Chiesa andriese. -

Attamen ara major, quæ jam dicta est, pro eo, quod in medio tribunæ non satis commodè ad devotionem sistebat, in eminentiorem locum versus Orientem, ubi prius erat altare illud majus, translata est, sub qua usque in odiernum diem præfatum jam corpus manet devotius honoratum.
Inventa sunt etiam per vicinas, & finitimas civitates, atq; provincias, apud breviaria prisca ipsius festi dies inscripti.
Præsbyteri quoque multi ejus legendam legisse affirmabant.
Pertanto l’ara maggiore, di cui si fece parola, per la ragione che nel mezzo della tribuna non comodamente si prestava alla devozione (del popolo), fu dovuta trasportare nella Chiesa superiore verso oriente, ove prima posava l’altare minore: sotto la quale ara riposando ora il sacro corpo, più con divozione e contento del popolo si onora.
Per le vicine e finitime Città poi della provincia, nel corpo di antichi breviarii si son trovati scritti i giorni festivi del nostro Santo.
Molti preti affermano ancora d’aver letta la di Lui leggenda.

A testimonianze così chiare i detrattori pur non si arresero, dando prova che la oro opposizione non si partiva da origine legittima, ma da cocciutaggine e forse da empietà. Onde il duca giustamente li chiama – cani mordenti, cani rabbiosi – e ripete questa frase sdegnosa nella Legenda Miraculorum, di cui egli è autore.

Il buon duca Francesco in omaggio alla legalità, volle ancora interrogare l’autorità suprema, spedendo a papa Eugenio IV diversi personaggi. Da Roma vennero approvazioni ed una Bolla, per la quale si arricchivano d’indulgenze le festività del Santo di Andria.

D’allora le voci sinistre parvero venir cessando, mentre la divozione di San Riccardo si fortificava sempre più in mezzo al popolo andriese.

[Sed hoc minime apud detractores profuerat] Ex qua re ego Archipresbyterum Rubensem cum omnibus, quæ suprascripta sunt, ad sanctissimum Eugenium olim Papam trasmisi, ut indicaret, quid de hoc facturi essemus.
Qui hæc postquam viderat, & audierat, nihil aliud oportere fieri dixit, nisi ad augmentandam devotionem fidelium, festivitates eius indulgentiis fulciri. Quod ex relatu dicti Archipresbyteri intellexi, & privilegium bullatum ad me portavit.
Or bene tutto ciò nulla giovò presso i detrattori: per la qual cosa io spedii a sua santità il papa Eugenio or defunto l’arciprete ruvestino con tutte le testimonianze, di cui sopra s’è detto, acciò indicasse quello, che da noi si sarebbe dovuto fare.
Il pontefice, dopo avere tutto veduto ed udito, rispose che altro non rimaneva, che crescere nella divozione al Santo, e di arricchire d’indulgenze le festività di Lui. Il che io seppi per relazione del detto arciprete e per concessione bollata, che mi ebbe portata.

Viene voglia di chiedere, perché il duca Del Balzo spedisce dal papa Eugenio IV prima l’arciprete di Ruvo, poi un frate estraneo, e non piuttosto cittadini del luogo?

Io opino, che gli andriesi di quel tempo non sarebbero stati bene accetti a Roma, avendo nell’anno precedente al 1438, o due anni prima, combattuti ed uccisi in una insurrezione ben seicento soldati di quel papa, capitati in città sotto il comando del terribile patriarca Viteleschi per la successione al regno di Napoli.

In grazia delle indulgenze, spedite dai Pontefici la fede in S. Riccardo ebbe nuovo incremento e si propagò di giorno in giorno. Nel 1576, infatti per supplica del vescovo Luca Fieschi il papa Gregorio XIII concesse all’altare del Santo il favore dell’Altare Gregoriano ad instar. Negli anni 1586 e 1842 i pontefici Sisto V e Gregorio XVI concessero altre preziose indulgenze.

Sed antequam prædictum Archipresbyterum ad universalis Ecclesiæ Episcopum, & Pastorem destinassem, quemdam Petrellum, Ordin. Minorum professorem ad eundem Episcopum misi (non tamen omnia supradicta inventa extiterant) secum ferentem tantum Calendarium, quod plus loquebatur, quam alia, & folium Missalis iam dicti, ubi orationes extiterant scriptæ; atque partem miraculorum; & testimonia instrumento approbata, ac fama maxima pervulgata.
Qui Papa hæc Dom. Ioanni Episc. Prænestino, qui Cardinalis Tarentinus vulgariter appellabatur, commisit, ut de hac re veritatem cognosceret:
qui ad me schedulam remittens ait; quod ei videbatur, canonizationem ipsius Sancti non esse querendam. Et subjungens dixit; si sibi canonizatio Sancti Cataldi Archiepiscopi Tarentini quæsita fuisset, ostendere non poterat: sed & devotionem nostram identidem assequiremur, & per hos mordentes more surdorum transiremus.
Qui frater jam dictus, vel negligentia, vel alio modo omnia jam, quæ per eundem misi, perdidit, tantum Domini Cardinalis litteras mihi reddidit.
Unde volens ego Franciscus de Baucio Dux Andriæ de hoc verum testimonium perhibere, hanc legendam propria manu, & proprio dictatu primo scripsi anno Dom. millesimo quadringentesimo quinquagesimo primo, quinto decimo die mensis Septembris, quintæ decimæ indictionis. Ad laudem, & honorem Individuæ Trinitatis, Patris, & Filii, & Spiritus Sancti, Amen.
Però prima che io avessi deliberato di mandare il su riferito arciprete dal Papa pastore e vescovo della Chiesa universale, io inviai a Roma un tale a nome Petrello, monaco professo dell’ordine minorita  ̶̶  non ancora si erano scoperti i su indicati indicii  ̶̶  seco portando il Calendario, che più valeva degli altri; il foglio di messale nel quale si leggevano scritte le tre orazioni; una notizia parziale dei miracoli; le testimonianze legali e di maggior peso.
Il Pontefice rimise questi documenti nelle mani di Giovanni vescovo prenestino, chiamato volgarmente il cardinale Tarantino, acciocché li esaminasse e cercasse la verità.
Il quale cardinale, rimettendomi il decreto di approvazione, mi disse, che a lui non sembrava doversi cercare la canonizzazione del nostro Santo, soggiungendo, che se gli fosse chiesta la dimostrazione della canonizzazione di S. Cataldo arcivescovo di Taranto, non avrebbe saputo darla: noi però seguiteremo, dicea, parimenti la nostra devozione, passando di mezzo ai mordaci a guisa di sordi.
Il frate Petrello smarrì poi o per negligenza o per altra causa i documenti a lui consegnati, rimettendoci nelle mani solamente le lettere del signor cardinale.
Laonde volendo io Francesco de Baucio duca di Andria esibire vera testimonianza di ciò che da me s’è detto, questa Historia io scrissi di mio dettato e con mia mano firmai, nell’anno del Signore 1451, nel giorno decimo quinto del mese di Settembre, indizione decima quinta.

Qui finisce la Historia Inventionis, la quale costituisce un ampio resoconto, improntato a scrupolosa serena obbiettività.

Il duca Francesco Del Balzo la scrisse contro gli oppositori del suo tempo. Ripubblicandola, io intendo di apporla ai critici di oggi e dico loro: prima di combattere l’età tradizionale del gran Santo di Andria, leggete questa Storia, che ha valore di documento e risponde in gran parte alle esigenze della critica storica.

È certamente questo il documento vittorioso in favore dell’antichità e santità del beatissimo Riccardo, primo vescovo e patriarca delle Cittadine andriesi, patrono della città di Andria.

I nostri critici affermano, che la Leggenda Riccardiana sia storicamente inesistente, anzi assurda per la ragione, dicono loro, che Andria non esisteva nel quinto secolo dell’era cristiana.

Veramente? Non esisteva la città di Andria, ma esistevano i Casali andriesi; esisteva un vasto territorio, nel quale si abitava un gran popolo paganeggiante ancora. Or bene ad evangelizzare questo popolo fu mandato, come presule apostolico, il beato Riccardo. Quale assurdità è in ciò?

In conferma dell’esistenza dei Casali andriesi in tempi antichissimi, pubblico qui un Articolo o studio che io scrissi nel 1916.

[tratto da “PAGINE SPARSE nella storia civile e religiosa di Andria”, del Can. Menico Morgigni, Andria, premiato stab. Tip. Bonaventura Terlizzi, 1919, pp. 57-101]


NOTA    (del redattore della presente pagina)
[1] [Per il testo latino si è utilizzato quello riportato dall'Ughelli nella sua "Italia Sacra", perché non si aveva a disposizione l'originale della Biblioteca Vallicelliana.]

Dubbi sull'originalità del etsto latino:
"... L'altro parto letterario del D. [Francesco II Del Balzo], anch'esso di argomento agiografico, è datato 15 sett. 1451. Intitolato Historia inventionis et translationis gloriosi corporis s. Richardi Anglici confessoris et episcopi Andriensis, fu edito nel 1659 nell'Italia sacra di F. Ughelli-N. Coleti (VII, Venetiis 1721, coll. 1257-62) e negli Acta Sanctorum Iunii (II, Antverpiae 1698, pp. 248 ss.) da manoscritti diversi e infine nelle successive edizioni delle due opere. La costatazione però, fatta per la lettera di cui si è parlato precedentemente [una relazione sulla visita fatta da Niccolò V al corpo di s. Francesco d'Assisi nel 1449, in forma di lettera e sottoscritta dal Del Balzo], che il D[el Balzo] non conosceva a sufficienza il latino per potersene giovare per una composizione, fa ritenere che la versione latina stampata, che aveva avuto una certa diffusione manoscritta, non sia in realtà l'opera del D[el Balzo], così come egli l'aveva stesa, ma una traduzione latina fatta da qualche "letterato" dell'originale in volgare.
L'Historia inventionis comincia con la descrizione di Andria; continua con il ricordo dell'incitamento avuto da un tale Tasso di cercare il corpo del santo, nascosto durante la lotta di Giovanna I contro il re di Ungheria; narra come in chiesa il 23 apr. 1438 si congregarono il vescovo Giovanni Dondi, il Tasso, lo scrivente e il figlio e rinvennero il corpo, insieme con reliquie e testimonianze scritte, inviate poi al cardinale di Taranto."
[testo tratto da "Dizionario Biografico degli Italiani", Vol. 36, Treccani.it, voce scritta da Franca Petrucci]
arca in pietra locale che precedentemente conteneva le ossa di S. Riccardo attuale arca delle ossa di San Riccardo, in Cattedrale
[l'arca in pietra locale che precedentemente conteneva le ossa di S. Riccardo e l'attuale arca in marmi e vetro - elaborazione elettr. su foto di. S. Di Tommaso, 2014/11]