del Can. Menico Morgigni (1853-1932)
La Signora Wanda Goriux Bruschi professoressa nelle Scuole Normali di Bari, sulle colonne del quotidiano «Giornale d’Italia», pubblicò un Articolo il cui titolo era «Andria e la sua Cattedrale».
L’occasione fu l’incendio di quella Cattedrale, avvenuto nella notte del 17 Aprile 1916. Ma la gentile signora prima di parlare del disastro doloroso, ha voluto fare una escursione storica sulle origini della Citta di Andria.
Riportando l’opinione degli storici paesani, che Andria sia stata fondata da Diomede, l’eroe greco, il quale navigò questi mari e toccò le Tremiti, dice – Narrasi … Chi lo narrò? Nessuno. Non i geografi greci, non gli storici o i poeti latini … Né Strabone, né Diodoro, né Plinio e neppure Orazio nella satira V (?) cara a tutti i Pugliesi la nominano. –
Rispondo, che le origini di quasi tutte le Città antiche sono nebulose; quindi nessun storiografo può vendicarsi il dritto d’averne scoperta alcuna in modo chiaro c preciso.
Corre lo stesso per la nostra città di Andria, sul cominciamento della quale disputano due gruppi di storici, i più antichi ed i più recenti.
Quelli dell’ultima ora Riccardo Spagnoletti, Peppino Ceci, Peppino Cannone, Riccardo Zagaria ecc. devoti ferocemente al titolo, cioè al documento, fanno incominciare la esistenza di essa dai Normanni.
Ma troppi elementi di antichità vi sono, che permettono, anzi ci costringono di considerare Andria in tempi più remoti. In ciò si consentirebbe da tutti, se sparissero certi vieti apriorismi, certe concezioni puerili sulle origini d’una città, quella avversione profonda alla tradizione, la quale se spesse fiate è veicolo di favole, a volta può trasmetterci il vero storico.
La gentile signora Vanda Bruschi non trovando il nome Andria o Andre negli antichi storici greci e latini, dubita della sua esistenza in periodo remoto.
Anzi tutto io dirò, che la importanza della quistione non è nel cercare, se una terra dal nome Andria esistesse in quei tempi lontani; ma se allora esistessero abitati – qualunque si fosse il loro nome – nel luogo ove ora si erge Andria e si estendono le sue campagne. Sarebbe puerile, anzi assurdo, il ritenere, che il deserto e la solitudine regnassero in quell’età remota su questo suolo, pur così bello ed ubertoso.
Ora è provato storicamente, che un popolo numeroso si viveva costà in forti Casali chiamati col nome collettivo – Oppida Rudiae peucetiorum – I quali abitati sono esplicitamente indicati da storici antichi e menzionati con quel nome: ecco la mia dissertazione storica.
Strabone il più antico nel suo Libro De Situ Orbis ci fa sapere, che una via a nome Egnazia o Traiana partendo da Brindisi per la Peucezia, raggiungesse i Casali Rhudiae, tra i quali era Netium – Sunt autem duae viae, una qua muli ire possunt per Peucetios … qua in via urbes sunt Egnatia, Celia, Netium, Canusium. –
Guardate sulla carta di Peutinger del III secolo. Ivi, nella Peucezia, poco lungi dal mare, a pié quasi delle murge, presso il corso dell’antico fiume Aveldium, là ove oggi solleva il suo capo Andria, si legge la parola Rudias. Sono a levante le città Rubos, Botuntos; a settentrione sulla spiaggia dell’adriatico le città Bardulos, Turenum, Natiolum, Barium, da parte di mezzodì Venusia.
Tale non è forse l’ubiquità della presente città di Andria? a settentrione l’adriatico con le città Barletta, Trani; a levante Ruvo; a mezzodì le Murge; immediatamente a lato la gran valle di S. Lorenzo, che costituisce il letto dell’antico lago del fiume Aveldium.
Se identica è ora la situazione geografica dei due paesi di confronto, dunque le Rhudiae non sono che i prodromi di Andria, ossia i Casali andriesi di quel tempo.
Contro il surriferito sta recentemente l’illustre scrittore Vito Sgarra, il quale sostiene che la parola Rudias qui ha significato di ruderi (La Città di Netium sulla via romana Brindisi Benevento).
Gratuita ed infelice interpretazione! Se in realtà quella parola significasse ruderi, Peutinger non le avrebbe fatto l’onore di segnarla sulla sua carta.
Non sono io che do torto allo Sgarra, ma Plinio il vecchio vissuto nel I
secolo dell’era volgare. Questo geografo parla di Rudias o
Rudiae nel significato di città, Oppida. Ecco le sue
parole:
«Brundusio conterminus Pediculorum ager … … Pediculorum (o Peucetiorum)
oppida Rudiae, Barion, Egnathia» – Histor. Mundi, Lib. XXXVI.
Ora la parola Oppidum in latino ha significato di città, non di villaggio, che in latino dicesi vicus.
La voce Rudiae essendo nome collettivo, evidentemente si riferisce a borghi numerosi. I quali borghi erano sparsi sul piano e sui colli del contado oggi andriese, come si rileva dal punto, ove è scritta la voce Rudiae sulla carta Peutingeriana.
Questi grossi abitati sono messi in rilievo da un brano storico, che io
trovo nel I° de’ Geniali [Genialium dierum libri sex] di Alessandro
de Alessandro, Capo ultimo. Si legge così:
«Sed quia Tarenti mentio ad haec (Rudia) facta est, admoneor etiam
Rudianorum in Appulis sitae urbis: quae multi nominis et famae non minoris
habitae sunt. Ea enim urbs Tarento haud multum distans, (haec) citra
Brundisium in mediterraneo sita est, ubi Lupiae et Salapiae oppida fuere»
[NdR1].
Questo elegante latino si traduce così in buono italiano –
«Avendo io fatto menzione di Rudia presso Taranto, tengo ad avvisarvi che vi
esiste un’altra città dei Rudiani (ossia un’altra Rudia), in Apulia: le
quali città nomate Rudie sono di gran nome o di non minor fama. Se quella
prima era sita non molto lontano da Taranto, questa è situata al di là di
Brindisi in loco terrestre; e sono site ove erano i borghi di Lupia o di
Lecce (cioè la prima) e di Salapia (cioè l’altra)».
Dalla presente testimonianza noi dunque abbiamo la conferma dell’esistenza in Puglia di un gruppo di abitati dal nome Rudia.
La qual voce essendo segnata una volta sola nella regione appula, come chiaramente si vede per la carta di Peutinger, si deve conchiudere a ragione, che Rudia, di cui ragiona Alessandro de Alessandro, sia proprio quella di cui è parola in queste pagine; in realtà poco lungi da Salpi, allora Salapia.
Quei borghi Rudiae avrebbero poi avuto nomi proprii, e sono Andrim, Casalinus, Katahana, Criptulae, Trimodien, Cicalia, Cidomola, Pratium, Netium ecc. attraversati dalla via romana Egnatia o Traiana, di cui sopra.
Ora qual contraddizione storica è il ritenere, come già si afferma negli Atti antichi di S. Riccardo, che un banditore evangelico abbia potuto visitare ed evangelizzare cotesti forti Casali, Oppida, nei quali si abitavano i Rudiani? I quali poi avrebbero presi il nome di Andriani o Andriensi da Andrim capo luogo?
Che Rudiae si riferisca ad Andria, lo dicono parecchi autori, tra i quali il De Luca nella sua Geografia, Ettore Pais nel Libro Magna Grecia pagina 338, il Romanelli nelle pagine dell’opera sua – Topografia antica del Regno di Napoli.
Lo stesso Teodoro Mommsen quantunque con riserva, riconosce l’esistenza di Rudie ad occidente di Rubum.
Se in quest’ultimo itinerario si accenna ad una mutatio o taberna in luogo di Rudas, non si viene ad asserire implicitamente, che ivi intorno erano dei luoghi abitati? Si apparterebbe a questi abitati il molto vasellame, che si scopre in varii punti del territorio andriese. Il qual vasellame dai tipi preistorico, etrusco, italo greco, se non si fosse fatto viaggiare qua e là, avrebbe potuto servire a comporre un museo cittadino.
Chi non ha inteso parlare della ricca collezione di oggetti antichi, esumati sul luogo, del dotto canonico D. Lorenzo Troia? Anche oggi esiste una copiosa collezione di monete o di vasi fittili, che possiede Riccardo Tammaccaro canonico della collegiale insigne di S. Nicola.
Pare che i Casali Rudiae si vivessero insieme civilmente, stretti in un sol comune sotto il grosso villaggio Andrim, sede del tempio che fu cristiano e poi pagano; sede della Diocesi andriese sin dal V secolo. Una lettera del benedettino San Placido scritta nel 536 annunzia, ch’egli viaggiando per la Puglia sia venuto di proposito ad Andrim.
S’indovina il perché: dopo d’aver visitato in Benevento il vescovo di quella
città, in Canosa il vescovo Sabino, senza dubbio sarebbe venuto in
Andrim per visitare il vescovo Riccardo, che non trovò perché in gita
per il Gargano. Ecco le parole:
A Canusio ad Andrim iter nimis moleslum, nunquam praesertim minuto imbre
cessante: sed ibi paulister morati, dicto vale celerius viam arripimus.
ln un libro del secolo XVII dal titolo – Andria e le sue origini –
scritto dal P. Giuseppe Accetta uomo erudito e latinista, si trova pur la
conferma di ciò che qui si narra: libro poi donato dal Comm. Spagnoletti
alla biblioteca ambrosiana di Milano. Dopo d’aver numerato i principali
Casali andriesi, l’Accetta dice sul riguardo:
«Tutti questi villaggi e borghi costituivano le Rudiae.
Il più grande ed il più popolato villaggio era Andrim, il
quale esercitava grande influenza su tutti gli altri villaggi e borghi. In
questo villaggio risiedevano i Longobardi dominatori, e divenne poi la
residenza dei conti di Trani …».
Dal latino d’Accetta.
Contro questi dati storici suole la critica obbiettare alcuni precetti di governatori prima e dopo il mille, secondo i quali Andria non sarebbe stato che una villa della città di Trani. Orbene questa volta la critica, interpretandoli leggermente, erra alla grossa.
Che sia così, credo necessario di schierare sotto gli occhi dei lettori quei precetti, leggendo bene i quali si ha un’eco di quei tempi lontani e bui per la storia del nostro paese.
Il primo precetto, in data del 5 maggio 943, è di Basilio protospatario
imperiale per una restituzione di beni, esistenti in Puglia, alla badia di
Montecassino. Passandoli in rassegna, dice ad un punto
– in Andre vineas et olivos in rivo, qui dicitur de Monacho, curtem
[NdR2].
Un secondo precetto è del 1000; ed è di Gregorio Tracaniota, in tutto simile a quello precedente.
Un altro
precetto imposto dal catapano Basilio Argiro di Mesardonia nell’anno 1011
enumera i beni posseduti dai benedettini di Montecassino in Puglia, tra i
quali quelli di Andria
– et in civitate Tranensis in villam que est de ipsa civitate, qui
cognominatur Andre, vinee deserte et olivetalia viginti septem in ipso rivo,
qui vocatur de ipso monacho, territorie.
Nel
1032 ecco un altro precetto di Photo Argiro, nel quale si legge così
– et sub Trane in loco Andre vinee deserte habentes et olive arvores
XXVII ad riolem quod dicitur de monachis, terre.
Se questi comandi furono dati in tempo del governo dei Greci; anche in
quello dei Longobardi si sa d’un simile precetto in data del 1000. Gli uni e
gli altri ebbero a vicenda il regime di Puglia. Ora in questo precetto si
concede ai benedettini del Vulture
– potestatem in civitatem Minerbinensem, et in civitatem Tranensem, et
in villam quae est de ipsius civitate, quae cognominatur Andre; ubi
amigdales et vinee et olivae biginti septies –
(Muratori, Antichità). .In questo latino la dizione è un po’ più corretta
che nei precedenti.
Dal contenuto di tutti questi precetti segue dunque:
I. – che ciò che si dona nel contado di Andria ai benedettini è sempre la
stessa cosa, la villa cioè, che qui vale un podere, un
territorio coltivato
– ubi (sunt) amigdales, vinee et olivae. –
2. – che la critica cretinamente opina, che la villa sia
Andria e che si appartenesse alla città di Trani; quando invece, giusta una
più sana interpretazione del precetto, essa non è che un podere, che si
apparteneva a ipsa civitate que cognominatur Andre.
La parola ipsa è forma errata della bassa latinità e sta invece di
illa.
Dunque Andria non era una semplice villa, ma una città simile a Trani, una
città risultante da varii borghi su accennati, uniti amministrativamente in
un sol comune.
3. – pare che il podere o villa, di cui sopra, con il rivo che gli passava d’accanto, sia stato colonizzato, dissodato da monaci benedettini nel tempo dei barbari. Perciò il nome de monacho e de monachis, i quali avrebbero ivi costituita una colonia con fortilizio o abitazione rustica – curtem. –Vedi il primo precetto.
4. – Si comprende ora la ragione, perché questo luogo, dopo l’abbandono, Io
si volle restituire ai benedettini di Montecassino, poi a quelli di Monte
Vulture, ove fioriva un celebre monastero, potente per tutta la Puglia.
Al quale monastero, più tardi, nel 1127,
Callisto II [Bolla del 1120]
concedeva pure – in Andre Ecclesiam S. Nicolai, in Gurgo Ecclesiam S,
Salvatoris. –
Dopo il surriferito, spero cosi d’aver battuto per sempre il maggior
argomento, di cui si serviva la critica, citando il precetto di Basilio di
Mesardonio, onde negare ad Andria la sua origine antica.
E ciò sia suggello, che ogni uomo sganni.
Nella certezza adunque, che i primordii di Andria sono negli Oppida Rudiae di Plinio e di Peutinger, si conchiude da noi con ragione, che le radici di questo paese si sprofondano nel buio dci secoli.
Vengo ora a parlare della Cattedrale di Andria, che nell’Aprile 1916 ha subito un incendio abbastanza grave. Dei danni patiti in quell’incendio si fa relazione per un foglio a stampa, fatto pubblicare a cura del R. Ispettorato degli Scavi e Monumenti di Andria, Corato, ecc .. Esso porta la firma dell’ispettore onorario Giuseppe Ceci.
Or bene in questo foglio, accennandosi all’origine storica del tempio, si dice che – la Cattedrale di Andria fu costruita nella seconda metà del secolo XI. –
Se fosse vera questa data, seguirebbe che la Cattedrale di Andria sarebbe stata fatta nel tempo dei Normanni e per mano dei Normanni.
Or bene nell’edifizio sacro nulla v’è, che ricordi lo stile normanno, sia nella disposizione delle parti, sia nei motivi architettonici.
Il presbiterio, sul quale, anzi tutto conviene concentrare l’attenzione, presenta invece anormalità caratteristiche – un’ampiezza straordinaria fuori il consueto – il coro che piega a destra di chi guarda.
Or bene sono queste anormalità che vanno studiate, se si vuole conoscere la genesii e l’epoca della costruzione della nostra Cattedrale.
Per spiegarle si suole ricorrere a delle ragioni non ammissibili, cioè all’imperizia del maestro di fabbrica, alla vicinanza del castello del duca, alle trasformazioni del tempo,
La nostra Cattedrale nel suo sviluppo ha seguito un filo storico – tradizionale. Ed è giusto che di ciò si tenga conto, poiché nella interpretazione dei monumenti antichi si devono tener presenti anche le tradizioni del luogo, che siano fondate sul vero.
Il Sig. Ceci nell’accenno storico della Cattedrale di Andria trascura un elemento principale, la Cripta o basilica inferiore; laddove questa è la pietra angolare, la ragione storica della esistenza della Chiesa Cattedrale.
La si nascose sotterra non perché trascurabile e semplice Chiesina parrocchiale del VIII secolo; ma perché la si volle gelosamente custodire, essendo essa la culla del cristianesimo in Andria, la Chiesa Battesimale.
Se si negassero le tradizioni andriesi, quella di San Pietro apostolo e quella di S. Riccardo nel V secolo, non si comprenderebbe, perché mai gli antichi vollero conservata questa Chiesina, siccome un sacro deposito ed una reliquia.
Certamente il beatissimo Riccardo – a meno che non sia un mito od un uomo senza carne ed ossa – ebbe dei rapporti con alcuni luoghi di Andria. Ora la tradizione costante, sostenuta dagli storici, monumentata nel fatto stesso della conservazione di cotesta Basilicula, afferma che proprio in essa il Santo abbia assolto gran parte del suo ministero apostolico; e poi fu sepolto.
La critica, se non vuoi essere demolitrice, deve riconoscere ciò. Hasseloff
infatti, critico tedesco, in un suo articolo sulla Cripta della Cattedrale
di Andria. con fine intuizione disse queste parole
« – potremmo ammettere che degl’importanti ricordi ecclesiastici
fossero ad essa costruzione collegati » – Effemeride Beilago zur Allgemei
nen zeitung.
Passo ora a dir in breve sulle origini della Chiesa Cattedrale di Andria, come risulta da scritture antiche, e dall’esame obbiettivo del monumento in parola.
Il Duomo andriese, enigmatico a chi non conosce la sua storia, merita che si dica di esso. è una Chiesa che s’innesta ad un Tempio più antico, il quale contiene sotto il suo piano una Basilicula antichissima.
Questo Duomo è di nessuno stile, ma si appartiene alla storia e riguarda tre epoche.
1. Epoca – IV o V secolo – La Basilicula sotterrata esisteva innanzi l’arrivo nel 492 del beato Riccardo in Andria. Negli Atti scritti del Santo infatti si dice che una – Ecclesia fuit constructa ab Andrianis eo in loco, ubi s. Petrus celebravit missarum solemnia – poi – polluta immundis idolorum sacrificiis – per mano dei goti pagani – purgata – in fine dal b. Riccardo presule apostolico. Nel corso dei secoli ebbe diversi nomi: Antrum nel tempo di Francesco Del Balzo – Basilica in tutto il Medio Evo – Confessio nel tempo dei Longobardi – in origine Ecclesia Sancti Petri a navicella a Iove.
Confermano ciò la Monografia di Lorenzo Troia nella Enciclopedia
Ecclesiastica del D’Avino, il Coronelli, il Pacichelli, l’Ughelli, Benedetto
XIV, il quale ultimo nella Bolla di fondazione del Capitolo Cattedrale di
Andria dice così:
supersunt reliquiae Cappellae et Altaris, in quo ipse apostolorum
princeps sacrum peregisse traditur.
L’antica età di essa vien dimostrata dalla sua forma di navicella, dalla sua orientazione, dall’ara lapidea antichissima, rozza, detta altare di S. Pietro.
Oltre a ciò, insigne è questo luogo, anzi venerabilissimo, poiché conservò per alcuni secoli le ossa del Patrono di Andria, ed oggi ancora conserva due corpi, che sarebbero di Santi uomini contemporanei o successori del Beato Riccardo. Sulle pareti infatti di questa Cripta – adhaerebant picturae multae pontificum beatorum sanctorum – cioè di antichi pastori andriesi santi e beati. Histor. lnvent. Giacciono quei corpi in seno a due tombe di pietra, che trovansi ai lati del luogo, ove un dì era il sepolcro glorioso del nostro Santo, sotto il pronao.
L’Hasseloff tedesco trovò che queste tombe hanno forma trapezoidale e cavo per la testa, in uso presso i Salii o Franchi, popoli sortiti dal Nord della Germania. Or bene di qua pure sortirono i popoli Anglo-Sassoni, cui si appartiene il nostro beatissimo Riccardo. Sarebbe stato fra loro comune la forma delle tombe?
Sola, come si vede, questa piccola Basilica abbatte la critica demolitrice, e dimostra che, se non si conosce il suo valore archeologico, è perché su di essa incombe l’oblio.
2. Epoca – VIII o IX secolo – Il Tempio –
circolare in principio, come da pittura di S. Riccardo su tavola che si vede
ancora – fu eccitato nell’epoca dei Longobardi sopra la sottostante
Basilicula, che si fece servire a Confessione del corpo di San Riccardo. Ciò
si rileva da documento preziosissimo, cioè da un Calendario membranaceo ms.
riportato nella
Hist. Invent. del duca Del Balzo.
Ecco le parole: Corpus Sanctissimi et Beatissimi Richardi collocatum est
in Confessione istius Ecclesiae – Le quali parole scritte: more
longobardorum – meravigliarono il duca per l’antichità delle lettere:
antiquitate litterae.
Dunque sin dal tempo dei Longobardi esisteva la Confessione di sotto, più il
Tempio superiore. Il qual Tempio corrisponde ora a quasi tutto il vano
presbiteriale. Alcuni archetti tondi con capitelli figurati, scoperti non è
da molto, rivelano a giudizio dei competenti lo stile bizantino-romanico di
questo Tempio. I quali ruderi sono dunque di alto interesse storico, e da
non rimuoversi.
3. Epoca – X secolo – La Chiesa attuale – le cui navate s’innestano al Tempio innanzi detto – ancor precede il tempo della venuta dei Normanni in Puglia.
Ha carattere simbolico, inchinando il coro ad occidente, su quel verso: inclinato capite emisit spiritum. Il quale carattere la spinge necessariamente nel tempo del regime dei greci, i quali si piacevano di rappresentare simboli; presso il mille e forse anche prima.
Non è adunque opera dei Normanni, tranne qualche dettaglio; che se fosse opera dei Normanni, rassomiglierebbe alle altre cattedrali pugliesi. Il che non è.
Di questa Chiesa sarà stato autore quel Vescovo, la cui immagine – inminebat prope ianuam ipsius Ecclesiae cum clero hinc et hinc – come dice il duca Del Balzo nella sua Histor. Invcntionis. Nel 1844 il vescovo Cosenza le aggiunse un atrio, il presente che si vede.
Il Campanile. È una torre quadrangolare, solida ed elegante insieme. La si vedeva figurata sulla gran tavola dipinta di San Riccardo, opera dell’ottavo secolo, bruciata nell’incendio del 1799. Il secondo piano dalle graziose bifore le fu sovrapposto nel tempo dei Normanni, come si vede da iscrizione sulla mensola di una delle quattro finestre: S. C. A. – A. D. 1118 [NdR3], cioè Sub Comitatu Andriensi nell’anno del Signore 1118. Il terzo piano con la cuspide ottagonale fu sollevato dal Vescovo De Soto Major (1473–1477), come si legge da iscrizione sulla di lui pietra sepolcrale: condidit in templo plura sacella, latus Campanilis et arcem – Il quale campanile non poggia su l’attuale livello della città, sibbene sull’antico; perciò si approfondisce di parecchi metri sotto suolo. Le sue condizioni statiche chiedono di essere esaminate dall’ufficio tecnico locale, onde evitare alcun sinistro improvviso. La torre di Ruvo, detta di Pilato, ancor essa per lunga età un bel dì si piegò su se stessa e inabissò.
Trasformazioni. – Salvo rimanendo le linee generali, le
trasformazioni più gravi l’ebbe dopo il seicento dal vescovo Ascanio
Cassiano, sparendo così alcuni avanzi di stile romanico, che s’erano
conservati qua e là. La prova è nella Iscrizione sepolcrale di lui.
«Ascanius … Andriam. Tandem Antistes. Missus. Post. Templi. Huius.
Pavimentum. Stravit. Atrium. Refecit. Opertum. Duum. Struxit. Utrumque.
Pictis. Imaginibus. Decoravit. Hostia. Ampliora. Fenestras. Lucidiores.
Vitreasque. Baptisterium. Magnificentius. Reposuit. … Obiit … 1657.»
[tratto da “Pagine sparse nella Storia Civile e Religiosa di Andria”, del Can. Menico Morgigni, Andria, Tip. B. Terlizzi, 1919, pp. 103-123.]]
NOTE (del redattore della presente pagina)
[Il testo di Alessandro d'Alessandro, ed. 1570, richiamato nella nota]
[La Puglia Romana in
Atlante del Patrimonio ... della Regione Puglia]
trascrizione dell'originale | traduzione |
---|---|
Pythagoras, Parmenides & Zeno philosophi, tum
… Sed quia Tarenti mentio & Ileæ [Eleæ] facta est, admoneor etiam
Rhudiarũ in Appulis sitæ urbis, quæ multi nominis & famæ non minoris
habitæ sunt.
Ex his enim Ennius poeta oriundus fuit: tametsi ex Tarento ortum nonnulli credant. Ea enim urbs à Tarento haud multum distans, citra Brundusium in mediterraneo sita est, ubi Lupiæ & Salapia oppida fuere. Salentini autem hi sunt, qui extimam oram Italiæ, & Chersonessum circa Iapygiam incolũt, qui Mesapij, Calabri, Iapyges, Peceucij, & Appuli communi nomine appellantur. …
[tratto da “Alexandri
ab Alexandro, Iurisperiti neapolitani, Genialium dierũ libri sex varia
ac recondita eruditione referti”, Parisiis, Apud Michaelem
Sonnium, sub scuto Basiliensi, via Iacobæa, 1570, L. I, Cap. XXX, p.
50verso.]
|
Donde provennero
… Ma poiché s’é parlato di Taranto [per il filosofo Archita] e di Elea
[per Parmenide], ricordo anche la città dei Rudiani eretta nelle Puglie,
che ha avuto molti personaggi di gran nome e non minor fama. |
[NdR2] Il Morgigni confonde (come anche qualche altro storico locale) il preceptum di “Hugònis quoque , & Lotharii regum” delle idi di maggio del 943 (Regest. Petri num. 115.) con quello del protospatario bizantino Basilio del 1011 (Regest. Num. 112.), citato nel “Chronicon S. Monasterii Casinensis” immediatamente dopo quello del 943, in quanto di pari oggetto.
[NdR3]
Detta iscrizione non può indicare l'epoca di costruzione del secondo piano con le bifore,
in quanto non ancora realizzate fino a metà Quattrocento,
che è l'epoca approssimata della
tavola delle reliquie "Cristo benedice Andria", nella quale il campanile
è raffigurato eretto fino al livello delle monofore.
Tale iscrizione datata 1118 potrebbe forse indicare l'anno in cui era stato finito detto livello delle monofore
e affissa tra i sovrastanti merli allora esistenti.