18 JONNES Dondeus ... Episcopus Andriensis ... obiitque an. 1451. cujus Præsulatu inventum est
corpus S. Rchardi Episcopi urbis Patroni postquam diu in Cathedrali Ecclesia
obscuro in loco jacuerat. Inventionis historiam scripsit Franciscus del
Balzo, ejus ævi Andriæ Dux, quam hic damus ab exemplari Bibliothecæ
Vallicellanæ.
Incipit historia inventionis, & translationis gloriosi corporis Sancti Richardi Anglici Confessoris,
& Episcopi Andriensis.
Etsi tantæ huius rei testimonium perhibendi ignavus sum, quam ego ipse meis sensibus intellexi,
qui omnibus adfui: rectè tamen hæc scientibus irreprehensibilis inveniri cupio.
Ambitio in me nulla est, nec eruditio disertæ linguæ me possidet,
sed ad hæc articulos simul, & calamum movit, ut veritas super candelabrum obtineat,
& supra mentes esistat formata. Hæc nempe describens, sicut mihi in mentem veniunt, dilucidabo.
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Il Duca Francesco Del Balzo, principiando la sua storia,
protesta che non scrive per ambizione di apparir letterato,
ovvero nell’interesse di alcuno, sibbene per deporre innanzi al pubblico
la verità delle cose da lui vedute e toccate, circa la Invenzione
delle ossa del Santo Patrono. Questa Historia fu depositata
nella Biblioteca Vallicelliana in Roma; trascritta dall’Ughelli
e dal Bollandista nelle loro opere.
Benché a recar testimonianza in cosa di così alto rilievo, che appresi coi miei occhi
e fui presente a tutto, io fossi indegno; pure giustamente io desidero
di essere ritenuto irreprensibile, ossia incapace di mentire, dai lettori.
Non mi fruga ambizione alcuna, né il parere dotto in lingua;
sibbene io mossi con le mie dita la penna, acciocché la verità sia posta sul candelabro,
e sia stabitita sui monti. Scrivendo, io dirò le cose siccome nella mente si presentano.
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Andria centum ferè milliaribus à Neapolitana urbe Campanorum ad septentrionem distat,
sitaque est in Etholis oris Peucetiorum, prope pedes lapidosorum montium ad austrum jacentium:
quinque millia passuum Mediterranea ab Ionio pelago posita est,
& versus Occasum Aufidi fluminis per septem lapides transiens.
Ducali titulo decorata est, in cuius quidem regimine civitatis & sertum & vicem gero.
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La Città di Andria dista a settentrione da Napoli nella Campania quasi cento miglia antiche:
è sita nella estremità della Peucezia, presso il piede dei monti lapidosi le Murgie, giacenti a mezzodì:
mediterranea, è posta lungi dal mar Ionio cinque mila passi: e verso l’occaso,
lontano sette colonne miliari, passa il fiume Ofanto.
È decorata la città del titolo ducale, nel cui regime io ho la locotenenza e la corona.
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Erat in ea olim vir, nomine Tassus, de cujus vita atque moribus cum à civibus cunctis quæsivissem,
bonus, simplex, neminem offendēs, Deo devotus ab omnibus uno ore laudatus est, & tam se,
quam suas facultates Deo dicasse responderunt. Unde post pauca æva factus est,
quod omnia sua, in morte, fabricæ Templi Sanctæ B. Mariæ Veteris nuncupatæ reliquit.
Ipse namq; saepe numero ad locum audientię mera cupiditate atque desiderio illectus profectus est,
& quidem curiosè sciscitans hęc ab eo accepi.
Inquit enim, ̶̶ nescis, quod Deus antiquæ miserationis visitans servum suum fidelem Richardum
Pontificem huius civitatis tam sublimem in cœli sede collocavit,
& ejus corpus in majori Ecclesia nostræ civitatis est collocatum. ̶̶
Quæ audiens, admiratus sum, hæc mecum tacitus reputabam.
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Viveva testé nella città un uomo chiamato Tasso; della cui vita e costumi informandomi
curiosamente dai cittadini, buono, semplice, inoffensivo, divoto a Dio,
lo sentivo da tutti lodare unanimemente; e ancora di più di aver consacrato a Dio sé e le sue facoltà.
Difatti dopo poco di tempo, venendo a morte, si vide che donò alla fabbrica
del tempio di Santa Maria Vetere tutti i suoi beni.
Spesso spesso egli, come solleticato da gran desiderio e cupidigia, veniva da me là,
ove solevo dare pubblica udienza. Io pure curiosamente interrogandolo, appresi da lui tali cose.
Mi disse: «Tu non sai che Iddio di perenne misericordia,
poiché ebbe visitato il suo servo fedele Riccardo, [vescovo di questa città,]
lo fè ascendere sublime nell’altezza dei Cieli, mentre il suo corpo
fu collocato nella maggiore Chiesa di questa Città».
Udii ammirato ciò; e meco stesso nel silenzio io l’andavo considerando.
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Et post pusillum adortus sum hominem, qui hæc, quę ipse diceret, auribus meis numquam percepissem.
Ait ille quidem: ̶̶ Iam lustris ferè viginti elapsis in Regno isto bellum ortum est
inter regem Ungariæ, & reginam Ionnam Primam, & hoc propter necem regis Andreæ
iam d. Reginæ mariti, & huic Regi Ungariæ germani.
Accidit autem uno dierum, exercitum regis prælibati iter agere propè hanc civitatem,
qui legatos miserunt, quatenus cives in castra munitiones mitterent.
Erat autem in arce præ aliis custos nomine & re Malus Spiritus,
qui & ipse cohortes assecutus est, & tradidit civitatem,
à quibus nedum expoliata, verum etiam omnibus bonis nudata est.
Et nunc est opinio, Beatum corpus ablatum fuisse tunc,
quæ opinio penitus est falsa.
Quoniam sacrista prudens,
timens in ista vastatione urbis, ne illum arriperent, clam translavit;
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Corso un po’ del tempo, io mi accostai a tal uomo, da cui sentii cose,
che giammai avevo percepito con le mie orecchie.
Egli mi disse: «Sono quasi venti lustri allorché in questo regno
arse una guerra feroce tra il re d’Ungheria e la regina Giovanna I;
e ciò a cagione della uccisione del re Andrea marito
della suddetta Regina e germano del re d’Ungheria.
Avvenne un giorno, che l’esercito del re su riferito marciasse
in suo cammino presso questa Città, e mandasse suoi legati ai cittadini,
acciò spedissero nel loro campo le munizioni.
Tra gli altri si trovava nella Rocca un custode chiamato, siccome in effetti era,
malo spirito, il quale volle seguire le schiere nemiche ed a loro consegnò la città;
dalle quali non che spogliata, essa fu diseredata di tutti i suoi beni;
ed anche ora è opinione, che allora il corpo beato fosse stato rubato.
La quale opinione è del tutto falsa, poiché il sacrista (Oliviero Matusi) prudente,
temendo non fosse rapito nel saccheggio della Città, di celato lo traslatò,
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& illud subtus altare, quod erat in Ecclesia, instar adyti intus in antro deducto,
ubi prius positum fuerat, collocavit: & propter hoc à quibusdam arreptum esse creditur,
uti etiam tota Ecclesię biblioteca fuit amissa; ̶̶
unde in oblivionem ductum, clerici, ut dicebat, non venerabantur,
cives verò aliquali devotione locum illum frequentabant.
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e lo collocò sotto l’altare che dalla Chiesa superiore fu portato giù nell’Antro,
entro una specie d’ingresso, ove in principio era già stato deposto;
e perciò che da alcuni si credé fosse stato involato,
a quella guisa che fu perduta tutta la biblioteca della Chiesa».
Onde caduto nell’oblio il corpo santo, i chierici (come diceva il Tasso)
cessarono dal venerarlo; solo alcuni pochi cittadini frequentavano per divozione quel luogo.
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Ex qua re mirum in modum præfatus Tassus ad dilatandum nomen, & rem ipsius Sancti,
me, ut ego ejus comes essem, sæpissimè flagitaverat, & ut festinus accingerer
ad beatum præfatum corpus inveniendum.
At ego rursus ab eo, quomodo istud sciebat, quæritabam, & qualiter ibidem collocatum fuisset.
Qui quidem ait: ̶̶ Dominus Guillielmus Dux pater tuus, & præses Milillus ad hoc
inquirendum iverunt, atq; ibi esse corpus benè sciverunt, sed minimè ausi sunt attrectare. ̶̶
Ego verò hæc, & alia considerans, mente contemplabar; ancipitemque inveniens, inducias pertuli:
& cum à multis hæc poscerem, nomen adfuit pervagatum. Et vero nomine antiquo contento annuere
mihi, sicut visum est cum plumbeo pede transire, huic rei paulatim superstiti.
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Laonde il su lodato Tasso, a fin di dilatare il nome ed il culto del Santo,
con ripetute istanze in modo mirabile mi spingeva, onde mi associassi
a ritrovare il corpo del beatissimo Riccardo.
Ma io, tornando da capo, cercavo da lui come sapesse ciò, e perché mai
quel corpo fosse stato mandato ad essere sepolto nella sepoltura primiera.
Il Tasso mi rispose: « Il signor duca Guglielmo tuo padre ed il presule Milillo
s’indussero già di cercare, e ben sapevano ivi nascondersi il corpo santo,
ma non ardirono di tentar la prova.»
Io però queste ed altre cose ponderavo nella mia mente, e trovandomi dubbioso, indugiai.
E siccome da me molti venivano interrogati, così la fama si sparse;
ed i memori dell’antica tradizione consigliavano, che io procedessi
con ponderazione, in conformità al mio parere.
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Sed cum Tassus ad me opportune pervenerit, profectus sum in Ecclesiam.
Ara major in medio tribunæ posita erat;
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Intanto a tale impresa a poco a poco mi disposi: e poiché il Tasso
un dì mi colse opportunamente così io mi mossi ed entrai in Chiesa.
L’ara maggiore era situata in mezzo di una tribuna:
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post tergum ipsius, iuxta parietem, altare sub parva, pulcraque forma manebat;
basis ejus instar porticulæ persistebat, quantum cervix hominum cum habilitate
ingerere se videretur.
Post illam quoque porticulam, sicut pavimentum lapidea lastra fuisset,
continebatur, in qua Crux in ipso lapide aperta manebat; ita,
quod mirum in modum ipsius beatissimi corporis summa cum suavitate fragrantia reciperetur.
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di dietro, vicino alla parete si vedeva un altare di forma piccola e bella.
La sua base era formata d’una maravigliosa pietra; per tre gradi si saliva ad esso.
Nel fronte della base a guisa di fenestrella esisteva un forame,
grande così da lasciar entrare appena il capo ["cervix" è "la spalla", non "il capo"]
di un uomo; al di là, siccome pavimento fosse, si vedeva una lastra di pietra, in cui si apriva una croce;
dalla quale in modo mirabile esalava del corpo beatissimo un odore molto soave.
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Satis congruè ut honorari posset, eminebat altare: nec non iuxta illud, picturam
in sua effigie, atque nomine Græca manu tinctam conspexi, quasi per vetustatem consumptam.
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Degnamente perciò, a fine di rendergli onore, si elevava ivi l’altare;
ed a lato di esso io guardai e vidi una pittura alla greca, che esprimeva
il Santo e il suo nome, quasi consunta per antica età.
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Picturæ quoque multæ aliæ Pontificum adherebant beatorum, & sanctorum;
& propè ianuam ipsius Ecclesię simul alia, quę cum Clero hinc, & hinc imminebant;
adfueratque titulus, qui ipsius civitatis Præsulem indicabat.
Vas insuper ibid. positum erat, & superscriptio stilo ferreo legebatur:
Ioannes Episcopus, Cathedram qui tunc regebat, omnibus adfuit.
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Ancora molte altre pitture seguivano di pontefici beati santi;
e vicino la porta della stessa Chiesa similmente figurava un’altra pittura
(di pontefice) con il clero quindi e quinci: e si leggeva il titolo,
che lo indicava qua presule della Città.
Di più nel medesimo posto era un vaso, sul quale,
per iscrizione fatta con istile di ferro si leggeva così:
Giovanni vescovo che allora reggeva la Cattedra, fu presente a tutto.
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Et simul super hoc comitia tenentes, statuimus, alia quoque perspicua adminucula cum ævo carpere.
Sed jam prænominatus Tassus mihi versus in hostem (hostem scribo propter suam importunitatem)
quia de hoc quasi per debitum sibi à me promissum de me quotidie conquerebatur,
jugiter, & frequenter assistens, ubi me convenisset.
Itaque super his cum curiosè cum habitantibus collequerer,
atq; ibidem concursus creber fuisset; propterea quod loco illo sancto
tamquam sacrario Presbyteri abuterentur, odor, atque frequentia cessavit.
Tandem quid in base illa foret, clam videre decrevimus
sub hac spe, scripturam ut ibi aliquam inveniremus.
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E di nuovo tenuto consiglio su questo, stabilimmo di aspettar dal tempo altre prove più sicure.
Ma ecco il Tasso che si atteggia ad avversario contro di me, dico avversario per la sua importunità;
perciocchè su di questo affare, quasi fosse un debito che dovesse rendergli,
ogni giorno di me si lamentava, correndo ed intervenendo ovunque io mi portassi.
Pertanto confabulando io di ciò curiosamente coi cittadini,
addivenne ivi (in Chiesa) il concorso dei divoti più frequente.
Ma poiché i preti abusavano di quel luogo santo siccome di un sacrario,
all’improvviso cessò l’odore e quindi la frequenza dei fedeli.
Finalmente decidemmo di scoprire, se alcuna cosa si nascondesse
in quella base di altare; nalla speranza di trovare una scrittura.
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Tertia verò & vigesima die mensis Aprilis, anno incarnationis Domini millesimo
quadringentesimo trigesimo octavo, Summo regnante Pontifice in Ecclesia Dei Eugenio Papa IV.
atque Inclito Alfonso Rege Aragonum, Episcopus, & Presbyter Ioannes,
ego, puer meus, ac Tassus ipse in Ecclesia congregati sumus;
& fores erant clausæ propè Meridiem, quando somnus homines, aut negotia occupantur.
Ex latere ipsius basis Tassus lapidem traxit; cumque intueremur,
apertè capsulam tectam palliolo sericeo rubeo cum summitate acuta perspeximus.
Erat in circuitu ejus cœnum quasi semipedis altum, quod ibidem per viginti annos
extiterat projectum; cum ablutionem sacrarum rerum; & fracta vasa, & cineres
rerum urendarum per annos ibi etiam reponi oportebat, ubi talem locum elegerant.
Sed tamen palliolum, & capsula intacta apparebant.
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Epperò nel giorno ventitrè del mese di Aprile, nell’anno dell’incarnazione del Signore
mille quattrocento trentotto, regnando nella Chiesa il sommo pontefice Eugenio IV,
nel Regno, l’inclito Alfonso degli Aragona, il vescovo ed il presbitero Giovanni,
io il mio armigero e lo stesso Tasso ci congregammo nella Chiesa.
Le porte erano chiuse poco dopo il mezzogiorno, nell’ora che il sopore
occupa le menti degli uomini, ed i negozi tengono a bada.
Da un lato della base dell’altare il Tasso trasse la lastra di pietra.
Guardando dentro, apertamente scorgemmo una cassula acuminata e coperta di un panno di seta rossa.
La circondava intorno un loto [sporcizia], alto circa un mezzo piede,
che ivi s’era gittato per il corso di anni venti; convenendo (i preti)
di versare in quel luogo, che avevano scelto a sacrario, le oblazioni delle cose sacre,
frammenti di vasi e le ceneri di ciò che si fosse da loro bruciato:
malgrado ciò il panno e la cassula apparivano intatti.
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Presbiter ille iussu Episcopi illam cum vellet extrahere; tabula quæ erat ex parte trahentis,
ad manus ejus devenit: erat quippe longitudo capsulæ unius cubiti;
latitudo ejus, & altitudo medii, locus in quo erat, parum plus majoritatis habebat.
Ossa erant composita, & insuper omnibus sandalia Episcopalia de pelle nigra jacebant;
desuper in eis cor & caput adstabant, cuius ossa rubeo colore lustrabantur:
Cuncta quæ idem venerabiliter colligens, & ea serico panno involuta
in altari majori reposuit. Jamq; præparatus erat alius locus per dies plurimos
in sacrario, sed ibi cęnum inadvertens Presbiter ille ponebat.
Inter hæc ego, atque Episcopus colloquebamur
ambulantes, & regredientes per ipsius Ecclesiæ alam,
& jam perveneramus ad angulum novissimum, ubi conclusum fuit,
clam reverenter illud reponi, ubi jam persistebat.
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Il presbitero, dietro il comando del vescovo, volendo estrarre fuori la cassula con forza,
gli venne nelle mani la tavola, ch’era dalla parte di lui, che tirava.
Era la cassa lunga un cubito [≈44cm], larga ed alta un mezzo cubito:
il luogo entro cui stava, poco più di grandezza aveva.
Le ossa erano bene aggiustate, e sopra di esse giacevano i sandali di pelle nera alquanto,
sui quali posavano il capo ed il cuore. Le ossa lustravano siccome di color rosso.
Il presbitero raccogliendole con somma venerazione nel panno di seta,
le depose sull’altare maggiore. Già era da molti giorni nel sacrario preparato un altro luogo,
ma per inavertenza il su detto presbitero qui deponeva il loto, di cui innanzi.
Frattanto io ed il vescovo conversavamo insieme,
lentamente passeggiando per un’ala della stessa Chiesa,
ed eravamo pervenuti sino alla sua estremità:
ove da noi si concluse di rimettere il corpo
e con riverenza nel medesimo luogo, ove fu ritrovato.
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Antiphona et Magnificat perspicue adspectabamus; & Presbyter
iam candelas accendit in honorem pręfati Sancti, & subitò tantus
de corpore odor emanavit, quod nos astantes insuper, & totam Ecclesiam replevit.
Presbiter ille ad nos conciter venit in angulum, ubi eramus, hæc nobis annuntians.
Subito cum illuc reverteremur, vehementiorem sentimus odorem,
quasi alienati manentes, alterne in alterius faciem aspiciebamus.
Demum collaudantes Deũ, ac Sanctum Richardum gavisi sumus gaudio magno valdè,
præsertimque nobis spem maximam contulit, quando semet miraculosè manifestavit.
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Intanto il presbitero, che evidentemente stava in aspettazione dell’antifona
e del Magnificat, accese le candele in onore del Santo;
quand’ecco all’improvviso si effonde dal corpo così forte odore,
da riempir tutta la Chiesa e noi che eravamo distanti.
Il presbitero ansante corre da noi,
ch’eravamo fermi nell’angolo estremo della Chiesa, annunziandoci il prodigio;
e noi subito avvicinandoci, più vivo sentiamo l’odore,
onde stupefatti ci guardavamo in faccia l’un l’altro.
Finalmente lodando il Signore e San Riccardo, insieme esultammo di letizia assai grande,
poiché il Santo a noi offriva gran fidanza, manifestandosi da se medesimo col miracolo.
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Et ecce repente factus est ad ostium ipsius Ecclesiæ strepitus maximus.
Presbyter ille, qui jam, ut videret quid fieret, perrexerat ad ostium:
per ipsius ostii rimulam intuens mulierum, ac virorum turbam:
& quidnam quęrerent, illos interrogans, eorum dicta, & voluntates tali modo percepit.
Dicas Episcopo, ac Domino, nisi nobis statim hæ januæ patefiant,
quatenus beatissimi Patris nostri Riccardi corpus honorifice veneremur,
lignum super lignum non relinquetur.
Reveniens Presbyter inquit nobis audita:
Vade, dic eis ̶̶ dicit Episcopus; ̶̶ recedite, nullo enim modo intrare potestis. Quamobrem his auditis, tumultus incœperat jam fieri in populo.
Quo audito, diximus, non esse bonum Deo resistere. Ego tamen clam me inde subtraxi,
& hoc onus Episcopo, quod me petierat, dimisi.
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Ed ecco di repente alla porta della Chiesa si fa grandissimo strepito.
Per vedere che cosa fosse, corre ivi il presbitero, e guardando
per la fessura della porta una turba di uomini e donne e interrogandoli,
comprese così la loro volontà e le parole che dicevano: dite al vescovo ed al duca,
che se queste porte subito non si aprono, onde venerare divotamente il corpo
del beatissimo nostro padre San Riccardo, legno su legno di queste non sarà lasciato.
Ritornando il presbitero ci riferì le cose udite.
Ritorna ̶̶ rispose il vescovo ̶̶ e dirai loro di ritirarsi, poiché in nessun modo essi devono entrare in questa Chiesa. Avendo ciò udito, il popolo cominciò a tumultuare fortemente.
Allora io dissi di non doversi resistere a Dio; e poi di là mi sotrassi segretamente,
lasciando ogni responsabilità al vescovo.
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Fragrantia continuè exhalabat: multitudo populorum crebro concursu occurrit,
& ex devotione palliolum illud laceraverunt, quod unusquiq; particulam, quam poterat, abstulerat.
Tres quoque menses nondum pluerat super terram, & aer serenissimus videbatur,
& statim in eadem hora suæ Inventionis nubes densissimę in aere factæ sunt:
quapropter magna pluvia de cœlo descendit.
Fide, ac intercessione ipsius Sancti plura miracula jugiter coruscabant:
sed ubi & quomodo fiebant miracula, legendam de his factam legas, & ibi invenies.
Post vero dies octo, facta prius processione cum magna reverentia ibi,
ubi prius steterat, positum fuit: caput autem eius, atque cor
in vestibulo detenta sunt, & postmodum argento clausa persistunt.
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L’odore intanto continuava ad espandersi:
il popolo numeroso con crescente concorso ivi accorreva, e per divozione,
lacerando il pallio, ciascuno che poteva si riserbava una particella.
Da tre mesi non pioveva sulla terra riarsa, e l’aere era serenissimo;
or avvenne, che nella medesima ora della invenzione del corpo le nubi
si fecero densissime nel cielo, e tosto cadde una dirotta pioggia.
Per la fede nel medesimo Santo e per sua intercessione avvenivano spesso spesso dei miracoli;
ma dove e come questi fossero avvenuti, leggi la relativa leggenda ed ivi troverai.
Dopo otto giorni, fatta prima una divotissima processione, quel corpo fu riportato
e depositato ivi, ove fu rinvenuto. Il capo però ed il cuore del Santo si ritennero
nel vestibolo, e poscia chiusi in teche di argento, furono esposti al pubblico.
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Cor quidem in vaso vitreo manet, & parum liquoris videtur scaturire maximè redolentis,
sed de eo colligi non præbetur facultas.
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Il cuore ora si rimane in vaso di cristallo e da esso fu veduto stillare
un po’ di liquore odorosissimo, che di raccogliere non fu dato il permesso.
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Alioqui perversi animi oblocuti sunt: quod malum videtur eis hunc sanctum colere:
quia jam Idolatria causabatur.
Quot & quantis modis ille auctor prævaricationis nutantes usurpat,
& raro ad intelligentes audet aperta fronte se prodere,
& plerumq; sub specie boni decipit passionatos!
Non in mentem eorum venerat, quod honorare Christianos ossa parentum fas esset,
quantò magis talem sanctissimum Patrem, qui tantis cum signis
apud Christum Dominum apparuit, & eius nos continua intercessione fulcimur.
Quam plures rationes ad confundendam eorum opinionem falsam, & sublimandam
veritatem de hoc dici possent, sed non eget ista scriptura amplius hoc fari.
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Alcuni di animo perverso intanto si opposero, dicendo che sembrava loro mal fatto,
che si onorasse questo Santo (nel suo corpo), poiché ciò costituiva una specie d’idolatria.
Con quali e quanti modi l’autore del male conquide gli animi vacillanti;
ma di raro ardisce mostrarsi chiaramente agl’intelligenti;
e spesso sotto la ragion del bene devia gl’incauti!
Non venne in mente a loro, che se giusto è presso i cristiani di onorare
le ossa dei parenti, quanto più non sono da onorarsi le ossa di un tal Padre santissimo,
che apparve innanzi a Cristo Signore dopo segnalati prodigi,
e di continuo ci protegge con la sua intercessione.
A confutare del resto l’erronea opinione dei contradditori,
ed a sublimare la verità non poche ragioni possono addursi;
ma questa scrittura non crede ragionare più sul proposito.
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Presbyter erat quidam, è numero cleri hujus Ecclesiæ,
Angelus de Leone nuncupatus, qui de hoc Sancto mirabilem
in suo corde devotionem affixam habebat, & de hujusmodi susurrationibus valde contristabatur.
Accedit, quod Archipresbyter hujus minoris Ecclesiæ nomine Guillelmus mortuus est,
qui arcam hujus Ecclesiæ in custodiam retinebat:
ubi inventi sunt tres Kalendarii,
non consueto modo scripti, sed pro qualibet parte folii octo,
vel decem litteræ sunt distantes, ita quod facile scribi posset inter medium
omnium dies obitus; & hic inventum est scriptum, quando Sanctus ipse migravit è sæculo;
est quippe nona dies Junii, quod antea ignorabatur,
existimo causam fuisse, quod legenda non erat inventa.
Hos Kalendarios in suo posse retinebat: neque (puto) sciebat, neque alicui promulgavit.
De libris etiam, qui in Ecclesia fuerant, tegmina quadernorum operiebantur.
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Eravi un prete del numero del clero di questa Chiesa,
a nome Angelo de Leone, il quale conservando nel suo cuore una grande divozione
al nostro Santo, si struggeva amaramente di dolore per quei tali susurroni.
Ora si seppe, che l’arciprete di questa Chiesa Maggiore di nome Guglielmo e già morto,
custodisse in suo potere un’arca. Ivi dentro dimenticati si trovarono tre Calendarii,
non scritti nel modo solito, ma su ciascuna delle pagine si vedevano segnate
a distanze otto o dieci lettere, così che nel mezzo facilmente si potessero scrivere
le date di morte di qualsiasi; e qui ancora si trovò scritto
quando il nostro Santo passò da questa vita in Cielo.
È infatti il nono giorno di Giugno, che prima ignoravasi,
per la ragione che non si era ritrovata la Leggenda.
Questi tre Calendarii (quaderni) l’arciprete riteneva in suo potere;
ed io stimo che non lo sapesse, ovvero che non lo riferisse ad alcuno.
Anzi aggiungo che i quaderni erano legati e coverti sotto una massa di libri della Chiesa.
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Miraculum existimo certum etiam, quod eodem die novæ Inventionis, translatio
suæ canonizationis erat, & in uno Kalendariorum subjungebatur.
̶̶ Sanctissimus, & beatissimus Pater noster Riccardus Anglicus Episcopus hujus Andriæ civitatis, qui beatus Pontifex antè obitum suum centum miracula fecit, cujus corpus collocatum est in Confessione istius Ecclesiæ. ̶̶
Littera ista Longobardorum more scripta extitit, sed per obitus mortuorum,
qui illic scripti sunt, hoc absumptum est, manifestante etiam numero Incarnationis,
annorum esse trecentorum, & tantum addi posset, quanto scripta prius erat
manifestatio sui nominis ex antiquitate litteræ.
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Reputo poi a miracolo certo (la coincidenza), cioè che nel medesimo giorno
della nuova Invenzione, si celebrasse un dì la traslazione delle ossa
per la canonizzazione di Lui; ed in uno dei Calendarii si leggeva:
̶̶ Il Santissimo e Beatissimo Padre nostro Riccardo anglico, vescovo di quest’Andria città; il qual beato Pontefice innanzi la sua morte operò cento miracoli; il suo corpo fu collocato nella Confessione di questa Chiesa. ̶̶
Queste parole si vedevano scritte nello stile dei Longobardi;
ma per le date dei morti ivi segnate si capiva essere già corsi trecento anni,
eziandio per un numero dell’era cristiana; più tant’altro tempo potevasi aggiungere,
quanto ne dimostrava quella scritta (longobardica su riferita)
mediante l’antichità delle sue lettere.
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Post paululum autem iterum inventum est in vestibulo folium Missalis,
ubi oratio, & secreta propria & post communio ipsius Sancti legebatur,
residuum verò scripturæ propter senium consumptum erat.
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Passò alquanto di tempo, e di nuovo nel vestibolo si trovò una pagina di messale,
nella quale si leggevano le orazioni proprie del Santo, oratio, secreta et postcommunio.
Il rimanente della scrittura per travecchiezza era consunta.
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Intervallo autem facto, iterum murmur prævaluit. Tegebant se, qui hoc excitabant,
ex quo non inventa legenda erat, cessare debuerat ipsius Sancti veneratio.
Vir autem ille bonus Presb. Angelus, qui numeratus [nominatus] est,
zelo compulsus, in orationem se dedit, Deum, ac Riccardum postulavit,
quod silentium super murmure illo fieret:
qui surgens de oratione, ad capsulam indagandam perrexit,
qua Sanctorum reliquias præservabat. Quæ quidem reliquiæ ad altaria consecranda
custodiebantur, & ibidem Clerica hujus gloriosissimi Sancti reperta est cum chartula
apicibus Longobardorum exarata tali modo ̶̶ Hæc est
clerica S. Riccardi ̶̶ quæ
jam non inventa erat cum corpore, & cum ea cor appositum est.
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Fatto breve intervallo, ecco di bel nuovo i sobillatori ricominciano a tumultuare,
nascondendosi sotto il pretesto, che cessar si dovesse dalla venerazione del Santo,
la cui leggenda non erasi trovata ancora.
Quell’uomo dabbene intanto, il prete Angelo su mentovato,
mosso da zelo si raccoglie nella orazione, chiedendo a Dio e S. Riccardo,
che finalmente cessi il mormorio.
Poi sorge dall’orazione, si drizza verso l’arca che custodiva le reliquie dei Santi,
serbate per la consacrazione degli altari; rovista fra esse e trova ivi
il pellicranio del nostro gloriosissimo Santo, ravvolto dentro una cartula, su cui,
per alcuni caratteri incisi da punte longobarde, si leggeva
così ̶̶ questa è la cherica di S. Riccardo ̶̶ , la quale non trovata
con il corpo, fu poi messa in custodia con il cuore del Santo.
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Attamen ara major, quæ jam dicta est, pro eo, quod in medio tribunæ
non satis commodè ad devotionem sistebat, in eminentiorem locum versus Orientem,
ubi prius erat altare illud majus, translata est, sub qua usque
in odiernum diem præfatum jam corpus manet devotius honoratum.
Inventa sunt etiam per vicinas, & finitimas civitates, atq; provincias,
apud breviaria prisca ipsius festi dies inscripti.
Præsbyteri quoque multi ejus legendam legisse affirmabant.
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Pertanto l’ara maggiore, di cui si fece parola, per la ragione che nel mezzo
della tribuna non comodamente si prestava alla devozione (del popolo),
fu dovuta trasportare nella Chiesa superiore verso oriente,
ove prima posava l’altare minore: sotto la quale ara riposando ora il sacro corpo,
più con divozione e contento del popolo si onora.
Per le vicine e finitime Città poi della provincia, nel corpo di antichi breviarii
si son trovati scritti i giorni festivi del nostro Santo.
Molti preti affermano ancora d’aver letta la di Lui leggenda.
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[Sed hoc minime apud detractores profuerat] Ex qua re ego Archipresbyterum
Rubensem cum omnibus, quæ suprascripta sunt, ad sanctissimum Eugenium
olim Papam trasmisi, ut indicaret, quid de hoc facturi essemus.
Qui hæc postquam viderat, & audierat, nihil aliud oportere fieri dixit,
nisi ad augmentandam devotionem fidelium, festivitates eius indulgentiis fulciri.
Quod ex relatu dicti Archipresbyteri intellexi, & privilegium bullatum ad me portavit.
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Or bene tutto ciò nulla giovò presso i detrattori: per la qual cosa io spedii
a sua santità il papa Eugenio or defunto l’arciprete ruvestino
con tutte le testimonianze, di cui sopra s’è detto, acciò indicasse quello,
che da noi si sarebbe dovuto fare.
Il pontefice, dopo avere tutto veduto ed udito, rispose che altro non rimaneva,
che crescere nella divozione al Santo, e di arricchire d’indulgenze le festività di Lui.
Il che io seppi per relazione del detto arciprete e per concessione bollata, che mi ebbe portata.
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Sed antequam prædictum Archipresbyterum ad universalis Ecclesiæ Episcopum,
& Pastorem destinassem, quemdam Petrellum, Ordin. Minorum professorem
ad eundem Episcopum misi (non tamen omnia supradicta inventa extiterant) secum
ferentem tantum Calendarium, quod plus loquebatur, quam alia, & folium Missalis iam dicti,
ubi orationes extiterant scriptæ; atque partem miraculorum;
& testimonia instrumento approbata, ac fama maxima pervulgata.
Qui Papa hæc Dom. Ioanni Episc. Prænestino, qui Cardinalis Tarentinus
vulgariter appellabatur, commisit, ut de hac re veritatem cognosceret:
qui ad me schedulam remittens ait; quod ei videbatur, canonizationem ipsius
Sancti non esse querendam. Et subjungens dixit; si sibi canonizatio Sancti Cataldi
Archiepiscopi Tarentini quæsita fuisset, ostendere non poterat:
sed & devotionem nostram identidem assequiremur, & per hos mordentes more surdorum transiremus.
Qui frater jam dictus, vel negligentia, vel alio modo omnia jam, quæ per eundem misi,
perdidit, tantum Domini Cardinalis litteras mihi reddidit.
Unde volens ego Franciscus de Baucio Dux Andriæ de hoc verum testimonium perhibere,
hanc legendam propria manu, & proprio dictatu primo scripsi anno Dom.
millesimo quadringentesimo quinquagesimo primo,
quinto decimo die mensis Septembris, quintæ decimæ indictionis.
Ad laudem, & honorem Individuæ Trinitatis, Patris, & Filii, & Spiritus Sancti, Amen.
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Però prima che io avessi deliberato di mandare il su riferito arciprete
dal Papa pastore e vescovo della Chiesa universale, io inviai a Roma un tale
a nome Petrello, monaco professo dell’ordine minorita ̶̶ non ancora si erano scoperti
i su indicati indicii ̶̶ seco portando il Calendario, che più valeva degli altri;
il foglio di messale nel quale si leggevano scritte le tre orazioni;
una notizia parziale dei miracoli; le testimonianze legali e di maggior peso.
Il Pontefice rimise questi documenti nelle mani di Giovanni vescovo prenestino,
chiamato volgarmente il cardinale Tarantino, acciocché li esaminasse e cercasse la verità.
Il quale cardinale, rimettendomi il decreto di approvazione, mi disse,
che a lui non sembrava doversi cercare la canonizzazione del nostro Santo,
soggiungendo, che se gli fosse chiesta la dimostrazione della canonizzazione
di S. Cataldo arcivescovo di Taranto, non avrebbe saputo darla: noi però seguiteremo,
dicea, parimenti la nostra devozione, passando di mezzo ai mordaci a guisa di sordi.
Il frate Petrello smarrì poi o per negligenza o per altra causa i documenti a lui consegnati,
rimettendoci nelle mani solamente le lettere del signor cardinale.
Laonde volendo io Francesco de Baucio duca di Andria esibire vera testimonianza
di ciò che da me s’è detto, questa Historia io scrissi di mio dettato e con mia mano firmai,
nell’anno del Signore 1451, nel giorno decimo quinto del mese di Settembre,
indizione decima quinta.
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(…) Stando le cose in tal modo, sotto il Pontificato di Eugenio IV. succeduto a Martino V. nel 1431, piacque al Signore racconsolare il Popolo Andriese con la invenzione delle Sacre Reliquie di S. Riccardo, di riaccendere in esso interamente lo spirito di Religione e di pietà, la mercè di quello stesso per cui gli avea dato la Fede.
Correva l’anno 1438, nel quale dominando in Andria il pio Duca Francesco II del Balzo, la divina ispirazione si lasciò sentire irresistibile nel cuore di un uomo d’immacolati costumi per nome Tasso, la di cui pietà fecegli legare tutto ciò che possedeva per la erezione della nuova Chiesa di S. Maria Vetere, così detta, da antichissima Immagine della divina Madre, al quale titolo dedicavasi a Dio dai RR. PP. Minori Osservanti in quel luogo stabiliti. Ripieno questi del pensiero della invenzione del Sacro Corpo del Santo Patrono, si porta più volte dal Duca nominato, esortandolo e supplicandolo a praticar l’opportuno, per richiamare alla venerazione pubblica quelle inestimabili reliquie. In su le prime il prudente Duca ascoltò con indifferenza le replicate premure, indi cercò informazione intorno all’individuo, e trovatolo nell’estimazione pubblica per un dabbene, semplice, retto e sinceramente divoto, lo interrogò un giorno, in qual modo egli era venuto a cognizione di ciò che asseriva, e per qual ragione vi erano quelle reliquie state nascoste.
Allora questi raccontò al Duca l’eccidio praticato in Andria del re di Ungheria, e come dal popolo venne ritenuto, essere stata compresa nel saccheggio anche l’Urna venerata di S. Riccardo. Con tutto ciò era insorto fondato sospetto che fosse stata prudentemente nascosta, e che Mons. Milillo Cittadino e Vescovo di Andria, col Duca Guglielmo di lui Genitore, avevan fatte delle ricerche, si erano assicurati del luogo ove custodivasi, ma che per le circostanze de’ tempi non credettero disotterrarla, e tennero il segreto per tempi migliori. Ora, soggiungeva il Tasso. Io conosco il luogo a dorso dell’Altare maggiore, ed il tempo è propizio; ed incalzava vive le sue premure all’uopo.
A tali dati il Duca comincia ad esser convinto del vero, ma ciò nondimeno indugiando, considerava il modo da tenere, e l’opportuno da provvedere, e prendeva tempo. Finalmente, cedendo alle importunità del Tasso, si portò nella Chiesa Cattedrale per ispezionare il sito da costui indicato. Trovò a dorso dell’Altare mag-giore, un altarino costrutto a cui ascendevasi per tre gradini, nel cui frontone vi era una porticina, che chiudeva un apertura grande quanto poteva entrarvi una testa di uomo. Entro vi era uno spazio nel di cui lato inferiore, o pavimento, miravasi una pietra levigata su la quale era segnata una croce. Accanto all’Altare vi era un Immagine del Santo, opera di pennello greco di cui l’antichità aveva fatto male governo, e narravasi che dal forame partir soleva una soave fragranza, la quale era cessata dacché il luogo era stato adoperato per sacrario, dove i sacristi della Chiesa gittavano da un vent’anni le ceneri delle cose sacre bruciate, e le acque de’ pannilini mondati.
Il Vescovo Dondei che accompagnava il Duca osservò le cose medesime, e ne fece parola cogli anziani del Clero, onde raccogliere notizie dalla tradizione. Finalmente spinto da speranza di rinvenire nel luogo stesso qualche iscrizione, che allontanasse l’inganno e dasse autentica del vero, il giorno 23 Aprile dell’anno indicato, alle ore pomeridiane, quando tutti fossero o a mensa, o al riposo, o al lavoro, il Duca col Vescovo, un Sacerdote di nome Giovanni, un servo del Duca, e Tasso, sempre importuno per la bisogna, si chiusero nella Chiesa al grande scopo. Dopo la debita preghiera innanzi all’Altare Eucaristico, per ottenere dal Signore quello che meglio fosse stato corrispondente alla sua gloria, si accostarono al luogo delle già ardenti speranze. Il Tasso giubilante e fuori di sé si pone all’opera, e rimuove la soprastante lapide che cuopriva, ed apparve la cassetta avvolta di drappo rosso, ed in-torno alla medesima videro un mezzo piede d’immondezze e di fango, prodotto da ciò che per un venti anni vi gittarono come sacrario, ma senza che né il drappo, né la cassetta, ne fossero contaminati.
Allora i cuori cominciarono seriamente a palpitare, onde il Vescovo ordinò
al Prete di estrarre lui con le sue mani la cassa.
Eseguito il comando, e rimosso il drappo, il coperchio si staccò dalla capsula,
e le Sacre ossa apparvero rubiconde di colore, ben collocate e composte,
su le quali vedevansi il Capo col Cuore, nonché i sandali di pelle nera.
Vi si rinvenne egualmente la pelle del cranio con la iscrizione a caratteri longobardici;
Clerica Sancti Riccardi. Spettacolo di maraviglia era al certo,
veder quelle Ossa venerande dopo otto secoli lucide e rubiconde,
quella Cute preziosa intatta ed incontaminata, e sopratutto quel Cuore,
tesoro della divina carità, incorrotto e vivente, poiché posto in un vaso
di cristallo, miravasi trasudare un liquore miracoloso che spandeva un odore
celeste! Questa soprannaturale fragranza incominciò ad emanarsi anche dalle
Sacre Ossa, in guisa che in breve tutta se ne imbalsamò l’atmosfera della Chiesa,
e siccome si avvertì dal Sacerdote che disponeva su l’Altare le care Reliquie,
corse ad informarne subito il Vescovo ed il Duca del prodigio, i quali stavansi
in un angolo del Tempio a consultare sul da farsi. E poiché il prodigio cresceva,
giubilanti e commossi, ne rendevano teneri ringraziamenti all’Altissimo, il quale,
nell’infinita sua miserazione in sì fatta guisa glorificava il suo servo,
per assicurare l’avventurata Andria del di lui grande patrocinio.
Difatto, mentre tutto ciò avveniva in segreto, quel Dio che opera maraviglie per la salute de’ Popoli, permise, non si sa come, che gli Andriesi si avvedessero dell’ Operazione che si eseguiva nella Cattedrale, ed a torme concorressero per esserne a parte. Le porte erano chiuse! Convenne ad essi fare strepito, tal che il Prete fu costretto ad accorrere per vedere, chi mai con tanta urgenza e baldanza, osava disturbare quella pace silenziosa che ivi godevasi. Con sua nuova maraviglia trovò una moltitudine di Uomini e di Donne, che facevano istanza per entrare e vedere, dicendo: Pregate il Vescovo ad aprirci , perché veder vogliamo il Santo Padre nostro Riccardo; in altro caso, della porta non rimarrà tavola sopra tavola! Riferì il Prete al Vescovo tale preghiera accompagnata da minacce: ma il Vescovo, forse mal comprendendo di che fosse capace l’impulso religioso di un popolo, lasciò rispondere che si fossero tutti ritirati in pace, perché per niun modo era permesso ad alcuno l’entrata. Udito tale riscontro il popolo si abbandonò a fiero tumulto, e già, si accinge va ad abbattere le porte senza sentir ragione, quando il Duca disse al Prelato: Monsignore: non è cosa buona resistere a Dio! e così dicendo si sottrasse, lasciando al Vescovo la responsabilità di tutto ciò che poteva avvenire.
Ma le porte intanto furono per ordine del Vescovo aperte, ed il Popolo poté accorrere e saziare la sua sete ardente di religiosa pietà, verso il suo Santo Apostolo. Il drappo che aveva avvolto il sacro deposito, venne ridotto a frantumi, che ciascuno volle serbare come prezioso tesoro, e forse non senza miracolo non si avventarono su le sacre Reliquie che stavano su l'Altare tra i cerei accesi, ispirando Dio medesimo in tutti un religioso rispetto verso le medesime. Lagrime di tenerezza e di fiducia si profusero con immenso lucro, dal perché da tre mesi non era caduta stilla alcuna di acqua dal Cielo al ristoro dei campi riarsi, e le nubi che incominciarono ad addenzarsi dal primo scuoprirsi delle Reliquie sante, si sciolsero in copiosa pioggia, ed arricchirono le messi di copioso ricolto. Non è raro ad avvenire nella Puglia di coteste siccità anche in tempo d’inverno, e noi medesimi ricordiamo in Febbraio e Marzo, l’aversi dovuto ricorrere a Dio con la pubblica preghiera per ottenere la pioggia fecondatrice de’ campi. E come non dovevano riaccendersi la fiducia e amore del Popolo Andriese verso del Santo suo Protettore, a fronte di sì stupendi prodigi?
Per otto giorni continui le benedette Ossa di S. Riccardo restarono esposte alla pubblica venerazione, all’ombra delle quali da Dio operaronsi molti prodigi. Dopo solenne e devota processione, finalmente vennero ricollocate in nuova cassa di cedro protetta da piombo e munita di suggelli nell’urna primiera, dove prima del nascondimento riposavano, lasciandosi estratti solamente il Capo, il Pellicranio, ed il Cuore. Questo Cuore custodito in vaso di cristallo e sito in ricco ostensorio di argento, mostravasi sempre bagnato dal proprio sudore, ogni qual volta si esponeva alla venerazione pubblica. Il Capo venne riposto in testa di Argento col suo mezzo busto. Narra la tradizione, che mentre in Napoli eseguivasi questo lavoro, e l’Artefice studiava su la fisonomia da adattare alla statua, presentossi un vecchio e venerando Sacerdote, il quale, salutandolo gli disse: Voi lavorate la statua di S. Riccardo di Andria? E questi rispondondo che sì, gli soggiunse: Ebbene, non vi affaticate alla formazione del volto: ritraete i miei lineamenti, ed avrete bene eseguita l’opera vostra. L’Artefice difatto, ritrasse in carta il ritratto del Prete sconosciuto, e poiché ebbelo sufficientemente compito non più lo vide, con ciò assicurandosi, che il Santo medesimo lasciossi effigiare al naturale.
A cotesta inestimabile invenzione, quella si aggiunse di varii documenti attestanti incontrastabilmente l’autenticità della prima, quantunque la testimonianza de’ prodigii formasse una pruova superiore ad ogni umano documento. Ma Dio, somma ed infinita verità, fa sempre abbondonare i mezzi atti a confermare e sostenere il vero, per umiliare e confondere quegli orgogliosi, che per genio maligno si dilettano ad ogni verità contrastare. Nella stessa Capsula delle Sante reliquie, si rinvennero alcuni diarii ne’ quali trovavasi segnata la Festa del Santo, un fascetto di processi autentici di miracoli insigni operati dal medesimo, ed una pagina di Messale contenente le tre Orazioni per la Messa in di lui onore. Una simil pagina indi a poco si ritrovò anche negli armadii di Sagrestia. Dietro indagini ordinate dal Duca in tutt’i suoi stati e nelle Città adiacenti, si trovaron pure vecchi Breviarii con la Festa di S. Riccardo segnata, e taluni canuti del Clero attestavano aver una volta veduta e letta la leggenda, nella quale dettagliavansi le geste del S. Apostolo. Scuoprironsi pure tre altri antichi diarii, ne’ quali era segnata il giorno della morte avvenuta ai 9 Giugno, lo chè parimente erasi obliato.
Tra i vari diarii rinvenuti, ve ne fu uno scritto a caratteri longobardici, e che dallo stato
di corrusione in cui mostravasi, appalesava vari secoli di antichità, ed in questo leggevasi cotesto elogio:
Sanctissimus et Beatissimus Pater noster Riccardus Anglicus, Episcopus hujus Civitatis,
qui beatus Pontifex ante obitum suum centum miracula fecit, Cujus corpus collocatum est
in Confessione hujus Ecclesiae. Cotesto documento portava la indizione di trecento anni innanzi,
ed eccitò somma meraviglia il vedervisi, che si segnava il giorno 23 Aprile commemorativo
della Traslazione e Canonizzazione del Santo. Quando cioè dall’antica Cattedrale di S. Andrea
venne trasferito solennemente nella Cattedrale nuova, quasi con nuova canonizzazione, solendosi
anticamente confondere ed unire insieme l’una e l’altra distinzione per indicarsi la stessa funzione,
e così, perché fine allora il sacro Corpo non si era scoperto giammai, e si era lasciato riposare
nel sepolcro per ragione della tristizia de’ tempi, onde veniva a corrispondere invenzione
presente al dì solenne dell’innalzamento delle Sante Reliquie all’onore degli Altari,
ed alla pubblica venerazione. Dicesi pure Traslazione e Canonizzazione insieme,
perocché negli antichi tempi fu uno de’ riti solenni per Canonizzare i Servi di Dio,
ora traslatando solennemente le loro Reliquie dal sepolcro primitivo in sito più cospicuo
e più decente, ora erigendo l’altare su le loro tombe e celebrandovi il divin Sacrifizio,
ed ora riunendo insieme l’una e l’altra funzione, trasferendo dall’urna antica,
in urna preparata sotto altare a tal fine innalzato, ed ivi immolandosi solennemente
la Vittima Eucaristica.
Di questa canonizzazione del Santo nostro, dovendone far materia del Capo seguente, ora proseguiamo l’assunto intrapreso.
Innanzi a tante maraviglie ed a tanti documenti, lo spirito della contradizione avrebbe al certo dovuto serbare un verecondo silenzio. Ma se la verecondia si potrebbe supporre nello spirito di contradizione, non sarebbe più tale quello che è per sua natura. D’altronde, l’invenzione del prezioso deposito del nostro Santo era opera di Dio, e come tale suscitar doveva lo spirito delle tenebre a contrastarne le naturali e sublimi conseguenze, del rinnovellamento della pieta, e della Fede. In ultimo, sa pur troppo l’Eterna Provvidenza servirsi delle contradizioni medesime per l’esaltamento e conferma maggiore della verità, e facendo che gli Eroi del Vangelo, i quali si sublimarono a perfezione sublime con l’imitazione dell’Uomo-Dio, detto Pietra di Contradizione, come l’Uomo-Dio, che in questa vita raffigurarono, quasi nuovi segni di contradizione, e vivi e morti di tutte le contradizioni tronfassero.
Mentre Prelato e Clero, Duca e Nobili, grandi e piccoli di tutte classi dell’ordine sociale, giubilavano in Andria innanzi alle Ossa del comun Padre, ed a vista della pioggia tanto sospirata, dei vari infermi mirabilmente sanati, e sopra tutto del sacro Cuore di S. Riccardo nuotante nel proprio fragrantissimo sudore, offerivano ringraziamenti e voti all’Apostolo Proteggitore , alcuni saccenti insorsero ripieni di zelo farisaico, vituperando quegli onori come atti di abominevole idolatria, dicendo, che conveniva prima assicurarsi dell’autenticità delle Reliquie, ed aspettare la Canonizzazione ed approvazione della S. Sede, e poi rendere a quei sacri avanzi il culto dovuto. Né la tradizione de’ vecchi ricordata e narrata, né la testimonianza de’ fatti, né la pruova dei documenti che di tanto in tanto accrescevansi, né l’Autorità del Vescovo e del Duca, valsero ad acchetare lo strepito de’ caparbii e duri, i quali non sentendo nel proprio cuore la dolcezza della pietà, volevano amareggiarla ed estinguerla anche nel cuore altrui. Appariva chiaro, che lo spirito dell’errore mascherato sotto le forme della religione e dello zelo parlava in essi; poiché, se è lecito ai figli onorare le ossa de’ loro Genitori, maggiormente conveniva rendere rispettosi e devoti omaggi, a quel grande, che aveva generato alla fede, e partorito e nutrito a Gesù Cristo il Popolo Andriese, e con tante prove evidenti di prodigi, dava segni distinti di protezione e di amore.
Infine, siccome era doveroso, e per acchetare e confondere cotesti malignanti, si pensò domandare all’uopo l’approvazione della S. Sede, e s’invio in Roma un tale F. Petrello Sacerdote de’ Minori Conventuali, con la relazione della invenzione e coi sopracitati documenti, e questi giungendovi presentò tutto al Sommo Pontefice Eugenio IV. di santa memoria, che allora reggeva la Chiesa di Dio. Il S. Padre affidò al Cardinale Vescovo Prenestino, Giovanni de’ Conti Tagliacozzo, che perché fu Arcivescovo di Taranto, comunemente, veniva chiamato il Cardinale Tarantino, tutto lo incartamento, acciò lo avesse bene esaminato e quindi avesse riferito. Questi, dopo di avere tutto osservato con profondo studio e conferito col romano Pontefice, rispose al Duca, non doversi di questo Santo domandare ulteriore canonizzazione; ma che solo pensar si doveva ad accrescerne la devozione nel Popolo, senza dare ascolto alle dicerie de’ mormoratori maligni. All’uopo accordava il prelodato Pontefice alcune indulgenze per la festa del Santo, confermando ed approvando la Messa ed il culto, come per lo passato ad onore del Santo eransi celebrati. Il Duca intanto; a rendere vieppiù celebre la memoria di questa invenzione, e l’annuale solennità che doveva perpetuarla, accordò una fiera annuale in perpetuo, cominciando dal dì 23 Aprile fino al 30 dello stesso mese, accordando in detto tempo al Capitolo Cattedrale il privilegio, così detto della Bandiera, per cui ergeva trono nel largo della Corte, e pel mezzo di rappresentanti scelti tra essi giudicavano il Popolo, restandosi il Duca e i suoi Magistrati nello stato di privati. Venivano in quest’uffizio assistiti da un dottore laico chiamato Assessore, nelle materie Civili e Criminali, e ne ottenne infine anche l’approvazione da Alfonso di Aragona re di Napoli in data de’ 6. Maggio 1438. in Capua.
Ma se coteste disposizioni valsero ad ammutolire i detrattori antichi, non furono sufficienti ad impedire che lo spirito cavilloso de’ saccenti posteriori rinnovasse le obbiezioni antiche, e come con la loro critica avevano condannata quale erronea e contradittoria la leggenda dell’anonimo poco dopo rinvenuta; cosi vollero mettere anche sotto la loro lima roditrice la storia di questa invenzione, scritta dallo stesso Duca sette anni dopo l’avvenimento.
Noi, dopo di avere rivendicato l’onore di quella leggenda nel primo Capo preliminare di quest’Opera, non ci daremo punto la stessa pena per le inette osservazioni fatte su questo racconto. Diciamo solo, che Francesco II del Balzo, della di cui pietà e sapere esistono monumenti che risplendono ancora di tutta la loro luce nativa, scrisse la sua relazione quale attore e testimone oculare de’ fatti che narra, sette anni e non più dopo gli avvenimenti. Nel breve volgere di sette anni non si rinnova certamente una generazione. Quindi scrisse in tempo in cui i contemporanei erano viventi, ed erano anch’essi testimonii oculari de’ medesimi fatti. Epperciò, doveva scrivere null’altro che il vero, sotto pena di essere condannato dal pubblico qual mentitore sfacciato ed impostore sacrilego. A fare ciò si richiedeva un pazzo e non già un savio quale Egli incontrastabilmente era. E questo basta per l’autorità veneranda di questo scritto, che noi a suo luogo testualmente riporteremo.
Per ciò che riguarda i documenti, per inavvertenza o per negligenza smarriti dal Petrello ritornando da Roma, a nulla osta, poiché basta che siano stati osservati e ritenuti per sufficienti da Roma, onde confermare il culto del Santo ed inculcare a di-latarlo. Se si siano o nò lasciate le copie conservate laugli Archivii di Andria, poco importa, perché dopo che varie sventure han consumato gli Archivii con incendi e rivoluzioni politiche, non potevansi giammai esporre in progresso di tempo alla curiosità de’ Critici. Finalmente, per ciò che riguarda, la somma loro scarsezza di numero, che tanto urta la suscettibilità della Critica, i Critici avessero la bontà di rammentare, che la invenzione della stampa avvenne un diciotto anni dopo quella di S. Riccardo. Fu nel 1457, e 1459 che le prime opere stampate, il Salterio, ed il Razionale di Durando uscirono dai Torchi di Giovanni di Guttemberg e Pietro Schoeffer a Straburgo. Dunque, quei documenti dovevano essere manoscritti, e perciò rarissimi. Se l’uffizio antico del nostro Santo, concesso forse dal medesimo Eugenio IV, impresso in Napoli nel 1518, in buon numero, si era smarrito in modo, che se ne acquistò l’idea 325 anni dopo, cioè nel 1843, quando a caso se ne scuoprì una copia nella Citta di Lucera; quanto più potevano disperdersi i sopra citati documenti in scarso numero?
L’autenticità, adunque del Corpo venerando di S. Riccardo, attestata dai prodigii e da’ documenti irrefragabili, non può impugnarsi se non dal solo più nauseante scetticismo. Ma sappiano pure gli scettici, che i cavilli della loro incredulità non arrecheranno giammai nocumento alcuno alla fede storica, e molto meno alla fede divina, e le Reliquie preziose siccome il nome caro e la beata memoria di S. Riccardo, siccome fin ora, così in progresso seguiteranno ad essere onorate da Dio e dagli Uomini, ad onta de’ loro dubbii e delle loro illogiche obbiezioni.