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Domenico Di Leo

RICERCA SULLE ORIGINI DI ANDRIA

stralcio dalla tesi di laurea del 17/12/1971

Conclusioni


Ultimato il riesame dei documenti archeologici e letterari disponibili intorno alle origini di Andria, è ormai tempo di tirare qualche conclusione dal lavoro compiuto.
Una prima considerazione, che già affiora qua e là nel corso dello studio, può essere fatta in via preliminare: un attento riesame delle fonti si rendeva ormai necessario e non si può dire che esso sia stato proprio inutile.
Se anche a me all’inizio dell’indagine era parso piuttosto difficile, se non addirittura impossibile, che altro ormai si potesse dire o trovare intorno alle origini di Andria, che già non fosse stato detto o trovato, l’esame diretto delle fonti, all’inizio incerto e superficiale, ma sempre più attento e circostanziato mano a mano che l’interesse e il gusto della ricerca si venivano allargando, ha finito col convincermi che il lavoro poteva anche portare a qualche risultato positivo.

Mi sono reso subito conto, tuttavia, che due condizioni andavano rigorosamente rispettate nel corso dello studio:
  1. mantenere l’animo sgombro da ogni posizione precostituita (e ciò mi è stato molto facile, non essendomi mai occupato prima delle cose di Andria);
  2. lasciar parlare il più possibile i documenti nel loro linguaggio, chiaro od oscuro che fosse, certo o incerto (è quanto mi sono sforzato di fare come meglio è stato possibile).

Così, due conclusioni si possono intanto trarre subito dal riesame delle fonti.
  1. Il persistere di tradizioni, profondamente radicate nell’animo popolare, ma che affondano la loro origine più in una esigenza sentimentale che non su fatti storicamente documentabili, ha finito spesso col deformare, in misura diversa ma sempre cospicua, l’interpretazione dei documenti disponibili nella maggior parte degli scrittori locali, consentendo a quelli successivi di assumere tali interpretazioni come dati di fatto storicamente accertati.
    Infatti assai spesso l’esame dei documenti non è stato condotto direttamente sulle fonti ma sugli studi già esistenti.
    Maggiore attendibilità offrono invece gli studi di tutti quelli che non sono interessati direttamente alla storia di Andria e hanno, nello stesso tempo, adeguata preparazione scientifica.
    Così si spiegano i frequenti infortuni, già emersi attraverso lo studio ora effettuato, per cui talvolta si inventano di sana pianta dati e fatti inesistenti.
    Non è possibile, e nemmeno opportuno, elencare anche sommariamente tali infortuni: basti ricordare qui la data 1069 aggiunta dal D’Urso ad una importantissima epigrafe e ripresa da tutti gli altri, locali e stranieri, e su tutto ciò che si è costruito nel tempo su quella data inesistente.
    In altri casi l’esame diretto del documento ha portato alla scoperta che l’interpretazione riportata correttamente o era sostenuta semplicemente da una fertile fantasia, (come frequentemente si verifica, ad esempio, a proposito dei vescovi di Andria nell’VIII secolo), o riferiva ben altro da ciò che il documento si limita ad affermare (come ha dimostrato, ad esempio, il controllo personale effettuato sulla cosiddetta tavola corografica longobardica dell’VIII secolo).
    In altri casi, infine, è emerso come spesso si sia dato valore di testimonianza a un documento o mutilo nella parte che interessava o apocrifo o basato, a sua volta, su fatti chiaramente leggendari.
    Non conviene dilungarsi oltre su una casistica che, per altro, è facilmente reperibile attraverso la lettura del presente lavoro: penso che qui si possa chiaramente affermare l’esigenza di una totale e accurata revisione degli studi finora condotti con una impostazione a carattere scientifico e col valido sussidio delle numerose scienze disponibili nel settore: archeologia, etnografia, sociologia, topografia, toponomastica, ecc.
  2. Se è vero che dopo circa un secolo e mezzo lo stato degli studi è rimasto all’incirca quello iniziale e quasi nulla in questo periodo è stato trovato che consenta di dire una parola nuova sulle origini di Andria, bisogna pur riconoscere che questa situazione è stata determinata in eguale misura così dal discutibile orientamento degli studi già detto, come dalla colpevole negligenza dimostrata per lo più dagli andriesi nel raccogliere e conservare quanto poteva essere utile a chiarire il problema delle origini della città.
    Così, accanto a tutto ciò che è andato irrimediabilmente perduto è da porre quanto ancora esiste e che nessuno, fino ad oggi, si è preoccupato di esaminare. Basti pensare, ad esempio, ad un notevole numero di pergamene e di nuovi scritti esistenti nella locale biblioteca comunale che il compianto Pasquale Cafaro teneva gelosamente custoditi in un piccolo armadio della stessa e diceva di non aver mai visti esaminare da alcuno; ai documenti esistenti nella chiesa di S. Nicola, di S. Domenico, della Cattedrale, non ancora bruciati o regalati o utilizzati per gli usi più diversi; alle preziose biblioteche di alcuni canonici andriesi ormai quasi del tutto disperse (da una di queste sono riuscito a recuperare, casualmente, numerose pubblicazioni su Andria, alcune delle quali in esemplare che credo unico). Altrettanto si dica dei rinvenimenti archeologici.

Non si può concludere, pertanto, allo stato attuale, che una ricerca metodica porti alla scoperta di nuovi documenti che possano far luce sulle origini di Andria.
Infatti, se la ricerca da me condotta, e che pure aveva precisi limiti entro cui svolgersi, ha consentito (come si può desumere dal lavoro fatto) di apportare un contributo sia pure modesto di nuovi rinvenimenti archeologici e di nuove notizie attinte da persone in grado di testimoniare direttamente i fatti riferiti, perché vi furono partecipi, si può ragionevolmente presumere che ancora altro possa essere fatto sullo stesso senso.
In conclusione, si può facilmente convenire sulla necessità e sull’urgenza di condurre una nuova e più accurata ricerca sia nel settore archeologico sia in quello delle fonti letterarie, per accertare quanto ancora esiste e si può utilizzare per chiarire il problema delle origini della città.
Accanto alla duplice fondamentale esigenza precedentemente illustrata, penso che dallo studio effettuato ne sia emersa un’altra forse meno determinante, ma indubbiamente molto opportuna: quella intesa ad avviare, o a sviluppare, lo studio da un lato dell’ambiente economico, sociale, politico e culturale dell’età a cui i ritrovamenti di qualunque genere si riferiscono, e dall’altra a rintracciare e ad illustrare quanto delle varie civiltà, da quella romana a quella normanna, sopravvive nel dialetto, nei costumi, nella tradizione popolare, nella toponomastica.
Dopo quanto si è detto fin qui, si potrebbe anche tentare una ricostruzione delle origini di Andria sulla base di qualche nuovo elemento affiorato qua e là nel corso dell’indagine condotta. Ma sarebbe impresa difficile, sia perché gli elementi emersi non sono in genere, per se stessi, determinanti, sia perché alcuni di essi meriterebbero un’indagine a parte, da cui forse potrebbero anche scaturire grosse novità (laure basiliane e insediamenti umani relativi; interpretazione dell’epigrafe del 1069; interpretazione di alcune pergamene del X e XI secolo, ecc.). Mi limiterò, pertanto, a delineare brevemente l’evolversi degli insediamenti umani nel territorio di Andria fino al XII sec., epoca in cui risulta, per ora, storicamente accertata l’esistenza della “città”.
Andrebbero chiariti, anzitutto, il senso e i limiti entro cui devono intendersi le origini di Andria. Infatti, a seconda che esse si intendano riferite a un qualsiasi tipo di insediamento nel territorio di Andria, o a un insediamento di una certa consistenza nella zona in cui attualmente è Andria, o, ancora in un insediamento già ordinato in una organizzazione economica e sociale, le origini stesse potrebbero collocarsi di volta in volta in epoca preromana, bizantina o normanna.
Non ha senso, pertanto, a mio avviso, parlare, come tanti pur fanno, di Andria preromana, romana o bizantina: si può solo seguire il lentissimo evolversi di tali insediamenti nei secoli, in relazione alle vicende storiche di ciascuna età e alle condizioni economiche e sociali proprie di ognuna di esse, fino ad arrivare al costituirsi della “città”.
La presenza dell’uomo nel territorio che si estende per circa 7-8 Km. Di raggio intorno all’attuale città è ormai documentata fino all’età neolitica e sembra caratterizzata da due fenomeni: il progressivo concentrarsi di questa presenza in zone sempre più ristrette e abbastanza chiaramente individuabili, specialmente dal VI al X secolo d. C. e l’apparente interruzione di questo processo durante l’età romana, particolarmente nel periodo che va all’incirca dal III secolo a. C. al III-IV secolo d. C., in cui le testimonianze archeologiche sembrano quasi del tutto assenti.  I ritrovamenti effettuati nella località di Pozzo Sorgente, S. Barbara, S. Pietro, Petrone, Belvedere, nella villa Porro – Regano e nell’attuale centro urbano sono sufficienti a testimoniare la presenza dell’uomo nel territorio di Andria; la naturale fertilità del terreno, del resto, unita alla relativa facilità di reperire l’acqua necessaria alla sopravvivenza dell’uomo e del bestiame spiega benissimo la ragione di insediamenti, pur moderati, nelle zone indicate fino al III secolo d. C. Ma nei sei o sette secoli successivi nessun’altra testimonianza di vita è possibile rintracciare nelle zone. Infatti nessun ritrovamento finora effettuato nelle stesse località ha portato in luce materiale posteriore al terzo o quarto secolo d. C.
Con l’insediamento dei Bizantini, finalmente, la presenza dell’uomo è testimoniata in una zona molto più ristretta, a pochissima distanza dall’attuale centro abitato: lo dimostrano le Cripte di S. Croce, di S. Maria dei Miracoli, di S. Maria dell’Altomare, di Cristo di Misericordia, di S. Vito (e forse altre ancora di cui si è perduta ogni traccia) e probabilmente la Cripta della Cattedrale che trovano la loro collocazione proprio nell’età bizantina (anche se la più tarda).
Le più evolute condizioni di vita, oltre l’esigenza di una più facile ed efficace difesa, hanno spinto l’uomo a vivere l’uno più vicino all’altro, fino a creare nell’VIII e IX secolo d. C. insediamenti relativamente cospicui al punto che l’indicazione di un “Anselei de Cicalio”, di un “Atriani de Trimodie” (come riferito da due pergamene già citate nello studio) era sufficiente a chiarirne la provenienza.
In questo periodo il “casale” o il “villaggio” Andria, indipendentemente dalle sue dimensioni, doveva già costituire il più cospicuo dei nuclei abitati della zona.
Il fatto poi che per circa tre secoli (dal IX al XII sec.) tali nuclei si siano mantenuti distinti può essere spiegato con la considerazione che l’attività economica principale, se non esclusiva, era rimasta quella dell’agricoltura e dell’allevamento del bestiame, poiché assai scarse sono, sia nelle fonti archeologiche che in quelle letterarie, le tracce che possono far pensare ad attività industriali o commerciali di alcun genere.
Doveva aver assunto, invece, una qualche importanza l’artigianato, volto a soddisfare almeno la principale esigenza relativa alle forme di vita associata già esistenti, oltre quelle, naturalmente, relative all’attività agricola, alla lavorazione del latte e della lana e alla fabbricazione sia pure grossolana di vasi destinati all’uso quotidiano (come, del resto, testimoniano l’argilla facilmente reperibile nella zona e l’esistenza di antichissime fornaci).
Nell’XI secolo si può collocare il timido inizio dell’attività industriale, e, strettamente collegata a questa, dell’attività commerciale, volte ambedue a soddisfare almeno il fabbisogno dei limitrofi nuclei abitati.
Tutto ciò coincide da un lato con la generale ripresa economica che si ebbe dopo il Mille, e dall’altra parte con il rapido accelerarsi della trasformazione del “villaggio” in “città”.
Quest’affermazione è documentata dai risultati emersi dall’indagine precedentemente condotta sulle pergamene. Infatti dall’inizio del X sec. alla fine dell’XI sec. i riferimenti ad Andria in esse confermati diventano sempre più frequenti e circostanziati: dal “locus” (915) alla “civitas”, ancora discutibile, forse, delle tre pergamene del Trinchera (1000 – 1011 – 1032), alla “contea” (1073) e nuovamente alla “civitas” (1104), ma sicuramente ormai riferita ad Andria.
Se si considera poi che in questo periodo contea e diocesi è diventata Andria, e non Barletta o Corato, che pure avevano già raggiunto una certa importanza, si può concludere che nel XII sec. essa aveva acquistato ormai una importanza maggiore di quella di Corato, Barletta, e della stessa Canosa.