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Storia della Città di Andria ...
di Riccardo D'Urso (1800 - 1845),
Tipografia Varana, Napoli, 1842, pagg. 108-111
Libro Sesto
Capitolo II.
Assedio della Città di Andria dal Principe di Taranto Gianantonio Orsino.
Vescovo di essa un suo Cittadino Fra Antonio Giannotti Domenicano,
creato nel 1458. Vescovo di Andria, e Montepeloso dal Pontefice Pio II.
Anni 1460.
Dominando tranquillamente in questo Regno il Re Ferdinando, quand’ecco s’intona la voce della ribellione
da un numero di Baroni, de’ quali era Capo Gianantonio Orsino Principe di Taranto, Zio della Regina Isabella,
di Sancia Duchessa di Andria, e di Maria Donata Duchessa di Venosa. Mosso questo Principe non so
da quale puntiglio contro del Re Ferdinando, spedisce persone ad invitare Giovanni Duca di Angiò
all’acquisto del Regno; promettendogli forze, ed ajuti. Non manca intanto fomentare il partito Angioino
nelle Provincie, invitando molti Baroni a cooperarsi con lui; e tra gli altri si dirige al nostro Duca,
affinché gli avesse somministrati Soldati, Cavalli, ed armi. Ma Francesco, fedele al Re suo Cognato,
gli rispose non fidarsi violare un giuramento; e non solo non gli prestò soccorso alcuno,
ma ordinò a Pirro suo figlio Duca di Venosa, che avesse imitato il suo esempio.
Quando Gianantonio si vide defraudato nella sua aspettativa, si accigliò acremente
contro il Nipote, e ne prese vendetta.
Correndo l’anno 1461. egli alla testa delle sue numerose ed agguerrite truppe,
si presentò in questi Tenimenti, e cercò espugnare questa Città per avere nelle mani il Duca.
Ma non potendo venirne a guadagno per la forte resistenza; pensò vincerla coll’assedio,
che durò per sei mesi. Incominciò dalla devastazione delle nostre campagne, non perdonandola
agli alberi, ed ai cereali; e terminò coll’esterminio di quegl’istessi luoghi di fresco rinati
dietro la invasione degli Ungheri. Difatto il Borghello, la Strada dell’Orologio,
o sia di S. Maria Vetere, come del pari il Borgo di S. Lorenzo disparvero dal suolo:
ad eccezione delle sole Chiese
[1].
Gli Andriesi intanto anziché avvilirsi a tali esempli di spavento; ritornavano sempre più forti
all’attacco. La pugna era continuata; poiché era riuscito al nemico diroccare una parte delle mura,
che guardava il Largo della Catuma. Era da stupire, come quei prodi Cittadini d’allora,
facendo una barriera coi loro petti, ne impedivano ostinatamente l’ingresso.
Il Duca molto se ne rattristava, veggendosi in tale stato di violenza; ma si raddolciva
poi nel mirare la fedeltà, e costanza de’ suoi sudditi i quali, per salvare la sua, avevano
con fermezza deciso sagrificare le loro vite. È vero, come dice il Costanzo
[2],
ch’egli non mancava prestar loro tutti gli ajuti; giungendo colla Duchessa sua moglie a medicare
personalmente le loro ferite. Quand’ecco in uno de’ giorni, correndo egli su di un generoso Palafreno
per la Città, per inanimire le manovre, nel largo della Catuma preso di mira da un colpo di colubrina,
passò pericolo della vita. Fortunatamente questa gli ruppe solo l’arcione della sella,
ed egli tombolò senza riportare alcun danno
[3].
In ultimo il Principe Orsino avendo veduto riuscire inutili tutt’ i suoi tentativi;
e che alla svelata avrebbe sagrificate le sue truppe senza frutto; ricorse ad uno stratagemma militare.
Ordinò ai suoi Soldati, che avessero aperta una cava, o sia un condotto sotterraneo,
e che per quello di notte tempo si fossero intromessi nella Città; e così prenderla a sorpresa
[4].
Ma accorgendosene Francesco, o piuttosto segretamente avvertito dal Conte Piccinino suo amico,
ch’era nel Campo del Principe; subito intraprese dalla stessa linea una controcava
[5],
per mezzo della quale gli riuscì arrestare tutt’ i nemici intromessi
[6].
Ma essendo il Duca di un indole molto docile, e pietosa, anziché infierire contro di essi,
li distribuì per le case de’ Cittadini; e dopo essere stati ben trattati, nel domani accordò loro
la libertà di restituirsi al Campo. Cercò solamente, che lo avessero raccomandato al Principe suo Zio;
poiché tanto Sancia, che Maria Donata moglie di Pirro erano sue nipoti carnali; oltre alla sua antica parentela.
La notizia di questo nostro assedio non tardi pervenne al Re Ferdinando, il quale perché conosceva
quanto era fiero, e crudele il Principe Orsino, molto se ne contristò.
Egli amava assai il nostro Duca suo Cognato, e temeva perdere un uomo tanto singolare per le sue virtù.
Fece intanto quel che potè per liberarlo. Scrisse ad Alfonso d’Avolo, che dimorava in Ariano
con una parte delle sue truppe, che si fosse al più presto condotto in Andria a salvare quella Città
dall’assedio: essendo in periglio anche la vita del Duca. Ma questo Duce o perché temè
delle armi poderose del Principe Orsino; o per altro incidente esegui con lentezza
questa Sovrana determinazione. Essendo passato lungo tempo senza soccorso alcuno,
e crescendo da giorno in giorno la fame, e principalmente la sete, perchè si erano esaurite
le cisterne: fu allora che mostrossi degno figlio della Patria il nostro Vescovo
Fra Antonio Giannotti Andriese. Egli non sapendo più reggere al quadro della desolazione,
persuase il Duca, ed i suoi concittadini a desistere dalla resistenza. Consigliò loro,
che si fossero aperte le porte, e si compromise di andare di persona a trovare il Principe nella tenda,
per intercedere con qualunque suo sacrificio a favore del Duca, e della Popolazione.
Il fatto coronò l’opera: e questo ispirato dal Signore potè con una sua patetica locuzione
frangere quella pietra, qual’ era il cuore del Principe Orsino, dal tener mano dal sangue.
In effetti la vita del Duca fu rispettata, come anco di ogni altro cittadino.
Pirro allora conoscendo che anch’egli sarebbe stato preso di unica dal Principe,
raccolse in questo infrangente dai suoi stati due mila fanti; e con questi corse a trincierarsi
in Minervino; dove si credeva sicuro e per la natura del sito, e per la fermezza di quei Cittadini.
Ma resa Andria, tosto Francesco scrisse al figlio in Minervino, che avesse tolte tutte le trinciere:
che avesse aperte le porte della Città: e che con la moglie si fosse diretto altrove.
Seppe Pirro avvalersi del consiglio del padre; ma non potè portar seco la moglie,
perché ara stata sorpresa dalle doglie del parto. La rinchiuse in quel Castello,
come in luogo tuto; ed egli partì, dopo averle imposto di non arrendersi al nemico.
Il Principe Orsino frattanto da Andria marciò per Minervino; e là giunto non ebbe a soffrir
contrasto per occupare la Città. Incontrò solo una viva resistenza dal Castello,
dov’era la Duchessa Orsino. Fece piantarvi l’assedio, ed in questi giorni calamitosi
quella infelice Dama diede alla luce un maschio, che fu chiamato Federico
[7].
Gianantonio , ciò conosciuto, dal terrore passò alle carezze con sua Nipote
[8];
mandandole da giorno in giorno polli, dolci, ed altre cose delicate per pasto di una donna,
che soffriva il puerperio
[9].
Finalmente essa lusingata dal Zio si arrese; ed ebbe per complimento la sventura di gir prigioniera
in Spinazzola. Cosi andarono le cose; finchè la Regina Isabella sua Nipote non fosse andata
ad umiliarsi con lui, pregandolo a farla morire da Regina, e non da privata.
Ma apparsa di bel nuovo la calma in questo Regno, e l’odio convertito in amore produsse
tra questo Principe ed il nostro Duca un nuovo vincolo. Engelberto del Balzo secondogenito
di Francesco sposò Maria Conquesta Orsino figlia naturale di Gianantonio: non avendo egli
riportati figli dalla legittima moglie Anna Colonna. Per questo matrimonio egli donò
al Genero molti feudi, e molti titoli. Alla fin fine questo Despota del Regno,
correndo l’anno 1463. cessò di vivere improvvisamente, lasciando di sole menete la ricchezza
di un Milione. Da un testamento uscito dopo la sua morte si trovò chiamato erede il Re Ferdinando,
il quale diede commissione al nostro Duca Francesco, che ne avesse preso il possesso a suo nome.
Dopo aver egli il tutto eseguito scrupulosamente, chiese solo dal Re suo Cognato,
che gli avesse da questo tesoro liberata una somma per riparare i danni dal Principe
cagionati a questa Città in tempo dell’assedio. Il Re vi annuì, e gli concesse
cinquanta mila ducati, i quali vennero da lui impiegati nel cavamento di tante cisterne
sì nell’interno, che nel di fuori della Città; acciocché non fosse più mancata l’acqua in tempo di siccità.
In quest’anno 1463. morì fra il comune compianto Fra Antonio Giannotti dell’Ordine Domenicano,
nostro Concittadino, come dissi. Fu il secondo ad intitolarsi Vescovo di Andria, e Montepeloso.
La Chiesa Cattedrale nel suo breve Vescovado riportò da lui molte restaurazioni,
come si rileva da quella iscrizione sulla sua lapida sepolcrale, la quale era sita
sul pavimento che guarda il Pergamo, ed è la seguente:
Hic jacet
Fr. Antonius de Joannocto
Nobilis Civis Andriensis
Ejusdem Civitatis Episcopus, ac Montis Pilosii,
Cujus industria
Haec Ecclesia refacta est.
MCCCCLXIII.
NOTE (Nell'originale la numerazione è di pagina e non progressiva dell'intero argomento)
[1]
Vediamo ora dopo tre in quattro secoli altra volta rinascere questi Borghi. Possa Iddio sempre preservarci da queste lagrimevoli avversità!
[3]
In questo largo potè il Duca essere sbirciato dal nemico a motivo di quella parte delle mura, che mancava, come ho detto dinanzi.
[4]
Il condotto aperto dal nemico incominciava da quel terrapieno, poco lungi la Chiesa di S. Lorenzo,
e conduceva nel largo di Fravina. Questo Sotterraneo meato esiste ancora, ma convertito in acquedotto.
[5]
Il Pontano nella
descrizione di questo nostro assedio, su questo articolo si esprime
«
faciundo cuniculo, quo intra urbem noctu irrumperetur, magna cura operam dari jussit.
Re autern ab Andro cognita, nihil ab eo omittitur, quo frustrari hostium conatus posset.
Itaque dum irrumpere hostis intra muro, parat se Dux Andriae, patefacto Cunicolo
suo ... in hostem fertur, etc. etc. »
[6]
Sin d’allora questo largo venne detto Fravina corrottamente, quasi Tramina, o Contromina.
[7]
E non già Isabella, come dicono taluni; dappoichè questa fu l’ultimogenita, che fu Regina di Napoli.
[8]
Questa, come dissi, era figlia del Duca Gabriello Orsino suo fratello.