"La Maddalena" - "San Pietro", di C. Fracanzano

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"La Maddalena al sepolcro" e il "San Pietro pentito"
oli su tela di Cesare Fracanzano

Percorso museale virtuale

Si riportano in questa pagina alcuni stupendi dipinti attribuiti a Cesare Fracanzano (1605 - 1656), presenti nel Museo Diocesano "San Riccardo" di Andria, dichiarati da alcuni studiosi di gusto lanfranchiano (cioè del suo contemporaneo Giovanni Lanfranco), per la vaporosa morbidezza del tratto e gli spettacolari effetti di luce, o di matrice vandychiana (dell'altro contemporaneo Anton Van Dyck), per la vigorosità delle forme e l'uso della stessa luce.

La Maddalena al sepolcro

La Maddalena al sepolcro, di Cesare Fracanzano

Una prima descrizione di questo dipinto (olio su tela ampia m 1,80 x 1,34, restaurato nel 1971) si rileva da "La Maddalena di Cesare Fracanzano: pietas Dei-imitatio Christi nella cultura barocca", di Maria Luigia Bugli in "la sacra Spina di Andria e le Reliquie della Corona di Spine", di AA. VV., Schena, Fasano 2005.

La Bugli richiama quanto affermava nel Settecento Bernardo De Dominici nelle sue Vite di Pittori, Scultori e Architetti.

"La Maddalena appare distesa, le mani giunte, il viso assorto in meditazione: il vaso con gli unguenti è l'unico elemento che rimanda al racconto sacro. Eppure nel `600 era chiaro che questa bella e malinconica donna, immersa in uno spazio senza tempo, non era semplicemente una "Maddalena di Cesare Fracanzano", rappresentata con il volto della sua modella preferita colei che la tradizione vuole essere sua moglie Beatrice Covelli e che compare nella maggior parte dei suoi dipinti, ora indossando gli abiti della Vergine, ora di una santa, ma era soprattutto immagine esemplare di penitenza, di conversione e devozione."

La madre morente, di Cesare Fracanzano

Analizzando questo dipinto, Achille della Ragione (nel testo citato in calce) descrive artisticamente la tela, richiama anch'egli le affermazioni del De Dominici e scrive:

"La Maddalena già nella chiesa del Santissimo Sacramento ed oggi conservata presso l’Episcopio di Andria è ben diversa dalla consueta rappresentazione della penitente tanto cara all’iconografia del XVII secolo. Il dipinto acquista notevole qualità grazie alle forme piene ottenute da colori densi e corposi, ai quali si accostano velature di straordinaria trasparenza e saggi di abilità dell’artista nel trattare la chioma sgranando la superficie dei particolari riprodotti con minuziosa evidenza e con esplicite intenzioni di resa luministica. L’opera presenta la padronanza da parte dell’artista, di un suo linguaggio personale, di misura e controllo della capacità espressiva attraverso linee sciolte e fluide, pennellate morbide e pastose. Il dipinto è intriso di luce, sostenuto da un grande senso della forma e promana una dolcissima sensualità, raggiungendo per qualità e finezza di esecuzione uno dei vertici della sua produzione pugliese. La coda dei capelli cade sulla spalla e con essa si fonde e si confonde, mentre il braccio destro sembra quasi uscire dal sarcofago aperto. Ma la luce resta protagonista indiscussa, tracciando il sensuale scollo. ...
Cesare sposò una donna molto bella: Beatrice Covelli il 16 luglio 1626 a Barletta e la utilizzò più volte come modella, prendendo ispirazione dalle sue forme, ma soprattutto dal “dolce girar degli occhi”, ad imitazione della maniera del divino Guido Reni. Le protagoniste di molti suoi dipinti ricalcano costantemente lo stesso modello femminile: capelli biondi, sguardo dolcissimo rivolto verso l’alto, mani dalle dita lunghe ed affusolate, dalla Sant’Elena della chiesa di Santa Maria di Nazareth di Barletta, alla Maddalena orante della chiesa di San Domenico Maggiore, dalla Maddalena al sepolcro della curia di Andria alla Madonna della Speranza della chiesa di Santa Rita alla Speranzella ed all’Immacolata dei Gerolamini, senza contare le tante sante in estasi dipinte per collezionisti privati da Sant’Apollonia a Sant’Eufemia, Santa Bibiana a Sant’Agata, a confermare il racconto del De Dominici di una modella preferita.
... La Maddalena dell'episcipio di Andria ... , va considerata in parallelo a "La madre morente" ... [è l'immagine a lato, tratta da pag. 78 dello stesso testo. Il dipinto racconterebbe la scena illustrata da Aristide di Tebe nel Trecento avanti Cristo, di una madre morente, ferita durante la presa di una città, nell’atto di allontanare suo figlio dal petto ferito, pur di non fargli bere latte misto a sangue.] conservata nel Kunsthinstoriches di Vienna, la quale, ferita a morte, offre il seno al suo pargoletto, che invece del latte sugge il suo sangue ... L’episodio è di una bellezza disarmante ma, nel contempo, tocca le supreme note degli affetti umani, quelli di una madre che allo stremo delle forze offre il seno ferito al suo pargoletto. ... «La donna si staglia su uno sfondo scuro, abbellita da una camicia di intonazione artemisiana, mentre l’assonanza con la Maddalena al sepolcro di Andria si fa assai evidente nei caratteri formali, nella posizione assunta dalla figura, nel braccio destro che poggia su un sostegno in entrambi i quadri, anche se nel caso viennese è coperto dalla veste. Formidabile la resa pittorica tutta giocata su tonalità giallo-brune impreziosite dalla luce dorata che dilaga da destra e plasma le due figure forgiandole plasticamente» (Doronzo)."
Scrive anocora Ruggiero Doronzo a pag 35 dello stesso testo: "... Forma e spazio diventano inscindibili e accanto ai forti contrasti della prima produzione, ora si dà adito a trapassi luminosi e sfumati, a volte leggerissimi come nella bella Maddalena al Sepolcro nel Palazzo Arcivescovile di Andria. La coda dei capelli cade sulla spalla e con essa si fonde e si confonde, mentre il braccio destro sembra quasi uscire dal sarcofago aperto. Ma la luce resta protagonista indiscussa, tracciando il sensuale scollo ed esaltando i sentimenti umani che diventano espressione di grande raccoglimento interiore al pari di quanto Cesare abbia rappresentato nella Madre morente da un ritratto di Aristide di Tebe al Kunsthistorisches Museum di Vienna e nella Sant’Agata di Corigliano Calabro."

[tratto da “Cesare Fracanzano - opera completa” di Achille della Ragione e Ruggiero Doronzo, Ed. Napoli Arte, Napoli, 2014, pag. 9-10, 20-21]

Il De Dominici, richiamato da Achille della Ragione e, indirattemente, dalla Bugli, scriveva:

"... Cesare e Francesco Fracanzano fratelli, molto virtuosi in pittura, ma discgraziati a segno, che stentavano a satollarsi di pane ... Studiarono essi fratelli nella scuola del rinomato Giuseppe di Ribera, e tanto col disegnare, quanto col copiare l'opere del Maestro divennero ammaestrati, e prattichi nella Nobil Arte della Pittura, sicché fra valenti Uomini di quella età meritarono di essere annoverati ...
Cesare tolse per moglie una Giovane di onorato parentado, ma avvegnacché scarsa di beni di fortuna, dalla quale, che bellissima era formata, egli solea prendere le idee de' suoi naturali, e massimamente de' volti, e del dolce girar degli occhi, avendo in mente amendue quelli fratelli d'imitare in ciò l'idee bellissime di Guido Reni."

[tratto da “Vita di Cesare, Francesco, e Michelagnolo Fracanzano - Pittori” in “Vite de' Pittori, Scultori ed Architetti Napoletani” scritte da Bernardo De' Dominici napoletano, in Napoli, per F. & C. Ricciardo Stampatori, 1742, Vol. III, pagg. 82-83]

Una riflessione puramente religiosa è ripresa, infine, da pagina 161 del Sussidio Pastorale "Ecco l'Uomo, da conoscere, incontrare e servire per una nuova Umanità" edito dalla Diocesi di Andria nel settembre del 2015.

"L'immagine della Maddalena è un invito alla meditazione e alla preghiera per chiedere a Dio il dono della misericordia. La Maddalena è quasi abbandonata, ma non in un luogo qualunque, bensì accanto al sepolcro di Cristo: la nostra preghiera non è una semplice introspezione, un rimanere soli con i nostri pensieri, ma un sostare davanti a Cristo. Maddalena è accanto ad un sepolcro vuoto, luogo per lei di una nuova ricerca di Dio: aveva trovato il Signore, anzi era stata trovata da Lui, perdonata, ed ora non si rassegna al pensiero di averlo nuovamente smarrito. Le sue vesti sono belle ma allo stesso tempo semplici: è davanti a Dio con la sua nudità, con la sua chioma priva di acconciature, perché la sua anima vuole essere davanti al Signore nella sua verità, senza ornamenti o orpelli. Il vaso elegante di alabastro è ad un angolo, quasi a dirci che l'unico unguento gradito a Dio ora sono le lacrime del pentimento e il desiderio di cercare il Signore. Gli occhi arrossati dalle lacrime, la postura di chi sta sostando e aspettando, ci fanno quasi ricordare le parole del Salmo 61: «0 Dio tu sei il mio Dio, all'aurora ti cerco, di te ha sete l'anima mia, a te anela la mia carne come terra deserta, arida senz'acqua»."


San Pietro pentito

San Pietro pentito

Anche per il San Pietro Pentito, olio su tela larga m 0,96 ed alta m 0,75, presente un tempo nella sagrestia della Chiesa di Sant'Agostino in Andria ed ora esposta nel Museo Diocesano "San Riccardo" di Andria, ci si giova essenzialmente di quanto scrive Ruggiero Doronzo nel testo già citato, anche se l'autore nel suo studio non considera il San Pietro pentito di Andria, ritenendolo forse soltanto una copia di un originale del Fracanzano.

Scrive il Doronzo:

"Dall’incontro con il Ribera si comprendono le scelte iconografiche che Fracanzano fa nelle due versioni del San Pietro penitente di Barletta. Il primo [sul quale sarebbe impostato quello di Andria], conservato presso il locale Museo civico, fa parte della collezione donata da Giuseppe Gabbiani alla città della Disfida in due momenti distinti (gennaio 1928 e aprile 1932). A mezzobusto, posto leggermente di tre quarti, il San Pietro penitente indossa una tunica marrone e un manto bruno chiaro con grandi pieghe. L’espressione di dolore che emana dal volto è messa bene in evidenza dagli occhi trattati con una particolare lucentezza e da una posa che tradisce grande pentimento in un momento di forte emotività. Il tessuto cromatico giocato su toni bassi, le pennellate larghe e veloci creano un ritratto tutt’altro che idealizzato, di una intensità tale da far vibrare la stessa materia pittorica. ...
Per l’esecuzione del dipinto, considerando i forti rapporti che Cesare vanta con gli ambienti letterari napoletani, non si esclude che abbia letto il poemetto del nolano Luigi Tansillo, Le lacrime di San Pietro, edito a Ferrara nel 1585 [1]. ...
La materia pittorica, densa e pastosa, la messa in risalto di un linguaggio pittorico energico dai contrastati effetti di luce e colore, indica fortemente l’adesione ai modi naturalistici del Ribera, ..."

[tratto da “Cesare Fracanzano - opera completa” di Achille della Ragione e Ruggiero Doronzo, Ed. Napoli Arte, Napoli, 2014, pag. 30]

Si propongono qui sotto le immagini del S. Pietro pentito del Fracanzano di Barletta (stralciata da pag. 83 del testo su citato di Della Ragione-Doronzo) e il San Pietro penitente del De Ribera (tela di m 0,73 x 0,64 del 1628-29), nel museo dell'Hermitage di San Pietroburgo; tanto per un agevole confronto di studio con il dipinto presente nel Museo Diocesano "San Riccardo" di Andria.

S. Pietro pentito, di Cesare Fracanzano   S. Pietro penitente, di J. De Ribera
[S. Pietro penitente: 1°- di C. nel Museo Civico di Barletta; 2°- una delle versioni di Jusepe De Ribera, all'Hermitage di S. Pietroburgo]]

Anche per il San Pietro pentito si riporta una riflessione prevalentemente religiosa da pagina 126 del Sussidio Pastorale "Ecco l'Uomo, da conoscere, incontrare e servire per una nuova Umanità" edito dalla Diocesi di Andria nel settembre del 2015.

"Il gallo diviene attributo di Pietro in ricordo del rinnegamento dopo l'arresto di Gesù, prima del canto del gallo, come Gesù stesso aveva predetto. Nella tradizione cristiana il gallo è uno dei più diffusi simboli cristologici: Cristo, mistico gallo, risveglia l'anima a vita nuova; quando le tenebre si disperdono, ritorna la speranza, fuggono i demoni tentatori e la fede risplende nel cuore dei peccatori. Questo è anche il significato profondo attribuito al canto del gallo nell'episodio del rinnegamento di Pietro: prima il cuore dell'apostolo era avvolto dalle tenebre del dubbio e della paura, ma al cantar del gallo torna la luce della fede e l'amore di Cristo suscita il pentimento. ...
Il fondo scuro richiama non solo il momento temporale in cui avviene il rinnegamento, ma anche la notte in cui Gesù viene abbandonato da tutti. Pietro, con il pianto dei pentimento, saluta l'alba tragica del giorno della morte del Signore.
L'atteggiamento di Pietro esprime, con lo sguardo rivolto verso l'alto, le mani incrociate in segno di preghiera, l'invocazione supplice di perdono e di pace interiore. Gli occhi grondanti di lacrime esprimono il suo profondo dolore.
La misericordia divina, simboleggiata da un tenue raggio di luce, lo raggiunge."

NOTE

[1] Onde comprendere il riferimento letterario citato dal Doronzo, si trascrive qualche stanza del poemetto "LE LAGRIME DI SAN PIETRO del Sig. Luigi Tansillo cavate dal suo proprio originale"

        ARGOMENTO
Della vicina morte i crudi modi
scopre a gli amati figli il Figlio eterno:
ora; e poi Giuda il bacia, e in stretti nodi
è avvinto, e gli son fatti oltraggi, e scherno;
il nega Pietro; ei fra nemiche frodi
gli volge un guardo pien d’affetto interno,
ond’ei si riconosce e lava intanto
l’orror del suo fallir con largo pianto.
... ... ...

     Canto [pianto] primo

51
Il magnanimo Pietro, che giurato
avea tra mille lance e mille spade
al suo caro Signor morir a lato,
quando s’accorse, vinto da viltade,
nel gran bisogno aver di fè mancato,
la vergogna e ’l dolore e la pietade
del proprio fallo e de l’altrui martiro
di mille punte il petto li feriro.
52
Ma gli archi che nel petto gli avventaro
le saette più acute e più mortali
fur gli occhi del Signor, quando il miraro:
gli occhi fur gli archi e i guardi fur gli strali,
che, del cor non contenti, se ’n passaro
fin dentro a l’alma; e vi fer piaghe tali
che bisognò, mentre ch’ei visse poi,
ungerle col liquor de gli occhi suoi.
53
Tre volte aveva a l’importuna, audace
ancilla, al servo ed a la turba rea
detto e giurato che già mai seguace
non fu del suo Signor, né ’l conoscea.
E ’l gallo publicatol contumace
il dì chiamato in testimon v’avea,
quando, del suo gran fallo a pena avvisto,
s’incontrar gli occhi suoi con quei di Cristo.
54
Quale a l’incontro di quei occhi santi
il già caduto Pietro rimanesse
non sia chi narrarlo oggi si vanti,
ché lingua non saria ch’al ver giungesse;
parea che ’l suo Signor, cinto di tanti
nemici e de’ suoi privo, dir volesse:
«Ecco che quel ch’io dissi egli è pur vero,
amico disleal, discepol fiero».
55
Giovane donna il suo bel volto in specchio
non vide mai di lucido cristallo,
come in quel punto il miserabil vecchio
ne gli occhi del Signor vide il suo fallo;
né tante cose udir cupido orecchio
potria già mai, se ben senza intervallo
si stesse a l’altrui dir mille anni intento,
quant’ei n’udì col guardo in quel momento.

_

56
Come talor (benché profane cose
sieno a le sacre d’agguagliarsi indegne)
scoprir mirando altrui le voglie ascose
suole amator, senza ch’a dir le vegne,
chi dunque esperto sia ne l’ingegnose
scuole d’amor, a chi no ’l prova, insegne
come senza aprir bocca o scriver note
con gli occhi ancora favellar si puote.
57
Ogn’occhio del Signor, lingua veloce
parea che fosse; ed ogni occhio de’ suoi
orecchia intenta ad ascoltar sua voce.
«Più fieri», parea dir, «son gli occhi tuoi
de l’empie man che mi porranno in croce;
né sento colpo alcun che sì m’annoi,
di tanti ch’altrui forza in me ne scocca,
quanto il colpo ch’uscì de la tua bocca.
58
Nessun fedel trovai, nessun cortese
di tanti c’ho degnati d’esser miei:
ma tu, dove ’l mio amor via più s’accese,
perfido e ’ngrato sovra ogni altro sei.
Ciascun di quei sol col fuggir m’offese:
tu mi negasti, ed or con gli altri rei
ti stai a pascer del mio danno gli occhi,
perché la parte del piacer ti tocchi».
59
Chi ad una ad una raccontar potesse
le parole di sdegno e d’amor piene
che parve a Pietro di veder impresse
ne le sacrate due luci serene,
scoppiar faria ciascun che l’intendesse;
ma se d’occhio mortal sovente viene
virtù che tanto può, chi ’l prova pensi
che puote occhio divin ne gli uman sensi.
60
Come falda di neve, ch’agghiacciata
il verno in chiusa valle ascosa giacque,
a primavera poi, dal sol scaldata,
tutta si sface e si discioglie in acque,
così la tema, ch’entro al cor gelata
stette di Pietro allor che ’l vero tacque,
quando Cristo ver’ lui gli occhi rivolse
tutta si sfece, e ’n pianto si disciolse.
61
E non fu il pianto suo rivo o torrente
che per calda stagion già mai seccasse;
ché, benché il Re del Cielo immantinente
a la perduta grazia il rivocasse,
de la sua vita tutto il rimanente
non fu mai notte ch’ei non si destasse
udendo il gallo a dir quanto fu iniquo,
dando lagrime nove al fallo antiquo.

... ... ...

(da "LE LAGRIME DI SAN PIETRO di Luigi Tansillo", cavate dal suo proprio originale, Venezia, B. Barezzi, 1606.)


[il testo e le immagini della pagina sono di Sabino Di Tommaso (se non diversamente indicato)]