In quattrocento anni, da fine Trecento ai primi dell'Ottocento, il Convento espanse
la sua importanza sia religiosa e culturale che economica.
Scrive il Merra:
"Intanto mentre la Chiesa ed il Convento andavansi murando;
si veniva a poco a poco formando la proprietà monastica dei PP. Domenicani in Andria;
proprietà che ha avuto per origine l’atto più nobile dell’uomo,
cioè il dono spontaneo dell’amore, della riconoscenza e della fede.
Non vi mancarono dei benefattori, i quali cristianamente generosi di pii lasciti,
frutti del sacrifizio, doni del pentimento e legati del dolore,
l’una e l’altro munificamente arricchirono."
[scorci del chiostro presso la base del campanile prima dell'ultimo restauro(2012)
- angolo Sud-Ovest del chiostro restaurato - particolare delle colonne
dell'angolo Sud-Ovest, presso l'ingresso]
Ma sul finire del Settecento, per sopravvenute imposizioni fiscali borboniche e, successivamente,
per le contribuzioni forzate operate dai Repubblicani francesi, il Convento perdette
gran parte del suo potere economico.
Continua il Merra, tra i pochi storici molto attento agli avvenimenti
andriesi di quel periodo:
"Nell’anno 1794 Re Ferdinando IV, vedendo omai esausto erario dello Stato,
pensò rivolgersi ai Capitoli, ai luoghi pii ed alle Comunità Religiose del Regno,
e di insinuare loro che tutti gli argenti sacri inutili ed inservibili delle Chiese
li spedissero alla Regia Zecca in Napoli, per batterne moneta,
compromettendosi di dare loro annuo censo del 4%. ...
- Il Convento indebitato -
Il 20 aprile 1796 il Priore di S. Domenico, Fra Giovanni Caprile, esponeva ai Frati
radunati in Capitolo come pel rovescio sofferto da più anni non meno nell’industria degli animali,
che nel ricolto del grano e delle biade, il Convento trovavasi gravato dei seguenti debiti, cioè:
al signor D. Filippo Minutillo di Gravina doveva ducati 700:
al signor Nicola Ceci di Andria ducati 300: al signor D. Michele Patroni di Corato duc. 500:
al signor D. Tommaso Cantore Marziani di Andria duc. 600: finalmente al magnifico
Giuseppe Riccardo Campanale di Andria ducati 850.
A dir breve, il Convento aveva un debito di duc. 2950.
E poiché anche in quel medesimo anno era venuto meno lo sperato ricolto del grano;
il Convento anziché potersi sdebitare delle sopraddette cambiali,
in buona parte maturate, si vedeva inabilitato a tirare innanzi le industrie,
dalle quali ripeteva l’intiera rendita, e conseguentemente il mantenimento
della numerosa famiglia, che lo componea. Laonde propose ai Padri che
per estinguere questi debiti e per tirare innanzi le loro industrie fosse necessario
prendere a censo redimibile quandochessia duc. 4000.
I Padri, vedendo la ragionevolezza della proposta, dettero a tal uopo la facoltà
al loro Procuratore in Napoli per ottenere Expedit ed il regio assenso. ...
Intanto nel marzo 1799, di giorno in giorno sempre più crescevano i rumori
che i Repubblicani erano prossimi ad avvicinarsi ad Andria; ed i Sanfedisti,
o per dir meglio la plebaglia sguinzagliata correva fanatica di notte tempo all’abazia
di Santa Maria dei Miracoli d'Andria, e di là, armata mano, trascinava in città
tutti quei Frati, e li chiudeva nel Convento dei Padri Domenicani, ove, insieme a questi,
ai religiosi degli altri Ordini e a non pochi gentiluomini, li sottoponeva a pagare grosse taglie,
col pretesto di dovere alimentare gran numero di Tranesi venuti in aiuto di Andria,
non che dugento e più giovani armati di Gioia, spediti dal finto Francesco
principe ereditario di Napoli, un certo Corbara, un vagabondo,
e dal Duca di Sassonia, l’avventuriere de Cesare. Nel terribile eccidio del 23 marzo
del medesimo anno, tra i 687 uccisi Andriesi, che per altro fecero in quel giorno
prodigi di valore, mentre ogni casa era un castello; nessun Domenicano resto vittima
del furore Francese. La Chiesa però ed il Convento, come tutte le altre Chiese
e gli altri conventi della città, furono senza modo e misura da quegli avari ladroni depredati. ...
Per tutte queste contribuzioni forzate, e per altre ancora, le finanze del Convento
di S. Domenico andavano ogni dì più di male in peggio. Una nuova invasione di Francesi
era avvenuta nel Regno, ai 14 febbraio 1806, condotti da Giuseppe Bonaparte,
fratello di Napoleone I; ed il dì 20 ottobre 1806 il P. Lettore Fra Vincenzo Amatulli,
Vicario in Capite di questo Convento, era costretto a lamentare in tal modo dinanzi
ai Padri capitolarmente adunati lo stato finanziario del Monistero: « Al vuoto che soffre
questo nostro Convento per li disastri del passato anno, si unisce oggi il ristagno
industria per l’intaglio del commercio. Per l’opposto si aumentano di giorno in giorno
li pesi fiscali e civici in corrispondenza dei bisogni dello Stato; e il maggiore di questi
risulta dalla necessità di trattare a spese del cennato nostro Convento li diversi Ufficiali
acquartierati ed anche infermi, destinati dal Governo per l’alloggio ». ..."
Quando infine nel 1808 salì al potere del Regno di Napoli Gioacchino Murat
si delineò la fine della permanenza dei Domenicani in Andria.
Riferisce sempre il Merra:
"Soppressione dei Domenicani - Giuseppe Bonaparte dopo di avere per due anni dominato in Napoli,
venne mandato Re in Ispagna da Napoleone I, che invece di lui spedì in Napoli
il Generale Gioacchino Murat, il quale vi prese possesso, il 6 settembre 1808.
Assisosi costui sul trono delle Due Sicilie, ai di cui popoli prometteva felicità e grandezza,
mutò interamente ordine del governo e della pubblica amministrazione.
Impose nuove tasse: soggettò tutti i beni di qualunque natura ad una imposizione denominata
fondiaria: e tutte le arti e tutti i mestieri a varie tasse da pagarsi mensilmente. ...
Finalmente nel 1809 Murat abolì tutti gli Ordini Religiosi possidenti, in numero di 213
tra Conventi di Frati e di Monache, ed i loro beni dichiarò beni di manomorta;
mentre avrebbe dovuto dirli di mano immortale, come quella che aveva dato la vita
alle creazioni pia durevoli e più feconde del genio cristiano! Questi beni donò ai nuovi Ministri,
che aveva stabiliti, ai Generali dell’armata, ed a quanti avevano mostrato zelo maggiore
nel sostenere il nuovo governo. Fu in quest’epoca, e propriamente verso la fine di settembre,
che il Convento di S. Domenico di Andria venne ancor egli soppresso! ...
Dopo tre anni circa, cioè nel 1812, i Domenicani, che rimasero in Andria, svestirono
provvisoriamente abito per ordine di Mons. Lombardi, il quale non volendo vederli girovagare
per la città, li ascrisse ai varii Capitoli. Di poi dopo molti anni domandarono alla Santa Sede
la secolarizzazione, a cui appose il regio assenso il Governo. ..."
Dal primi dell'Ottocento sino alla fine di quel secolo il Convento andò gradualmente
deteriorandosi per i seguenti avvenimenti che è ancora mons. Merra a descriverceli:
"Nel 1815 avvenuta la restaurazione Borbonica, risalito sul trono di Napoli Re Ferdinando,
e ridonata la pace al Regno; i Conventi dei soppressi Ordini Religiosi di Andria,
ed un buon numero di case, non ancora vendute da Re Gioacchino Murat,
furono dal Governo date in dote agli Agostiniani Scalzi di Napoli. Tra questi Conventi vi fu quello di S. Domenico.
Il gentiluomo D. Emmanuele Spagnoletti lo comprò dai Padri Agostiniani, per farne,
come generalmente fu creduto, una Casa Religiosa di Padri Liguorini, lasciando a questi
il suo ricco patrimonio, e forse perciò sin dal 1811 egli nel Consiglio Comunale si oppose,
perché venisse adibito per uso di carcere. Ma sventuratamente lo Spagnoletti morì in Napoli
ab intestato, ed i suoi eredi non sapendo, o simulando di non saperne la destinazione,
lo rivendettero a minor prezzo ai medesimi Frati [Agostiniani].
Le celle monastiche per molti e molti anni furono abitate da gente per lo più povera e scostumata.
Coll’andare del tempo il Convento, non essendo stato quasi mai fatto riattare
dal Notaio Michele Cristiani, amministratore di tutti i beni, che gli Agostiniani Scalzi
avevano in Andria, si ridusse in pessimo stato. Di più quelle stanze essendo state vandalicamente
rovistate in tutti i punti da ansiosi e da avari cercatori di tesori,
perché parecchi se n’erano trovati; il povero Monistero andò di anno in anno sempre pin deperendo,
finché in un’orrida notte del 1891, un’acqua torrenziale prima, ed una forte nevicata di poi,
lo ridussero in un mucchio lagrimevole di macerie!"
[elaborazione elettronica su un particolare della cartografia del 1875, con evidenziazione dei complessi conventuali
di S. Chiara e S. Domenico] L'originale della su riprodotta cartografia,
sulla quale ho aggiunto note e ulteriori rilievi grafici
inerenti l'argomento di questa pagina, è una pubblicazione e proprietà dell'ing. Riccardo Ruotolo.
[da "La Chiesa e il Convento di S. Domenico" in " Monografie Andriesi", di E. Merra, tip. Pontificia Mareggiani, Bologna, 1906, Vol. II, pagg. 53-169]
Il giorno dell'inaugurazione della suddetta centrale elettrica un cronista della
"RASSEGNA PUGLIESE di Scienze, Lettere ed Arti" scrisse
una gustosa relazione [nel numero di luglio 1897];
allo scoprimento della lapide commemorativa annotava:
"Si era all’aperto, ai piedi del superbo campanile di S. Domenico, che protegge amicamente colla sua ombra
l’officina della luce elettrica (chi mai l’avrebbe detto ai padri Domenicani!). I balconi, i tetti,
i ruderi dei recenti abbattimenti erano gremiti di popolo plaudente e presentavano una veduta pittoresca.
Nel recinto dell’edificio erano parecchie centinaia di persone, fra cui moltissime signore e signorine.
Anche le città vicine hanno dato il loro contingente di intervenuti abbastanza numeroso. ...
Alle 8 il Sindaco, il Sottoprefetto e tutti gl’invitati lasciarono l’officina per recarsi
sul palazzo Municipale. La popolazione si riversò nel largo del Municipio. Il Sindaco
dalla ringhiera del palazzo disse brevi ma vibrate e patriottiche parole al popolo che applaudì
freneticamente; e in un attimo la città fu illuminata. Allora la popolazione si diede a percorrerla
in tutte le sue vie, ammirando estatica, a bocca aperta, il grande fenomeno di una luce splendida …
senza petrolio. E come succedeva? Mah! Certo, Labroca se l’era intesa col diavolo! …
No, Labroca se l’era inteso colla scienza, di cui è valoroso sacerdote, ed è riuscito
a dotare Andria di una illuminazione che le sarà da molte città invidiata. ...
Per molte ore la popolazione si è pigiata nelle vie a contemplare la luce, la quale è veramente ammirabile. ..."