Le Porte della Città

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Andria

Escursione nella città dall’anno Mille al Milleseicento


Le Porte della Città

Ing. Riccardo Ruotolo


Se la funzione delle mura era quella di protezione della città e della sua difesa in caso di attacco da parte di nemici, la funzione delle Porte era di permettere un “accesso controllato” di persone e mezzi entro la città, ed il controllo era garantito da uomini armati, pronti a chiudere le Porte e a difenderle strenuamente. Tanto maggiori erano la guarnizione di uomini armati e i meccanismi di difesa a presidio di una Porta, quanto più probabili erano le circostanze (posizione geografica, orografica e, soprattutto vicinanza a strade e città da cui potevano venire gli assalti) di essere attaccati da quel lato. Comunque la Porta, come prima immagine della città, doveva anche, come afferma V. Zito, offrire ai visitatori e viaggiatori un segno tangibile dell’importanza della città e di chi la governava, pertanto, doveva avere anche elementi architettonici di un certo rilievo.

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In riferimento alle porte di Andria, molte sono le tesi della storiografia locale antica ed anche più recente.

Il Fellecchia (seconda metà del Seicento) afferma che alla sua epoca Andria aveva un numero perfetto di Porte, cioè tre: Porta del Castello, Porta Sant’Andrea e Porta la Barra.

Lo scrittore e storico Cesare Orlandi nel realizzare la sua monumentale opera “Delle Città d’Italia e sue isole adiacenti compendiose notizie sacre, e profane”, pubblicata in Perugia in cinque volumi nel periodo 1770-1778, si servì di collaboratori ed amici studiosi sparsi in tutta Italia. Come già accennato nelle note (28) e (29), per la descrizione della città di Andria si avvalse della collaborazione del magistrato andriese Riccardo Colavecchia che, oltre a fornire all’Orlandi una dettagliata relazione sulla città, gli inviò anche una incisione che ne raffigurava la pianta topografica con le mura, i bastioni e le Porte, frettolosamente copiata dal rilievo della città fatto eseguire dal Vescovo Francesco Ferrante intorno al 1760 in occasione della divisione della città in due Parrocchie.

Scrive il Colavecchia che Andria era stata “cinta di mura in quella guisa, che al presente si vede, e di un alto antemurale distante venti passi Geometrici, che le gira attorno a guisa di fossato”; non parla del numero delle porte ma nell’incisione che fece fare sono raffigurate quattro porte: quella del Castello, quella di S, Andrea, Porta nuova e Porta la Barra.

È interessante l’accenno che il Colavecchia fornisce circa la presenza di un antemurale distante venti passi geometrici dalle mura.

Il Prevosto Pastore (fine Settecento) nella sua opera dice che Pietro il normanno “Circondò questo luogo (Andria) di mura, e d’antemurali nell’estensione d’un miglio…Dispose le strade per ricettarvi li popoli raunati da quei borghi, vichi, e piccoli casali … fabbricò quattro Porte d’intorno a queste nuove mura per l’ingresso in città”. Poiché all’epoca dei Normanni la Porta Nuova non c’era, le quattro Porte secondo il Pastore dovevano essere la Porta detta del Castello, Porta Santa, Porta la Barra e Porta S. Andrea. Nessun’altra notizia che riguarda il circuito murario della città è riportata nel suo manoscritto.

Tutti gli storici che si sono succeduti dopo il Pastore, fino a tutto il Novecento, non hanno affrontato l’argomento circa il numero di Porte che la città di Andria ha avuto all’epoca della realizzazione del suo circuito murario da parte di Pietro I il normanno, solo alcuni fanno riferimento a quanto riportato dal Prevosto Pastore.

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Il tema del numero iniziale delle Porte di Andria all’epoca della sua murazione, è stato affrontato, in modo abbastanza approfondito, solo in questo primo ventennio del Duemila.

Nell’opera dello studioso andriese dott. Antonio Di Gioia (31) “Andria il Ca- stello e le Mura”, a pag. 131 si afferma che: Nel periodo Normanno due erano le porte cittadine, storicamente accertate: una guardava ad oriente, verso il mare, da cui proveniva il pericolo militare, vale a dire la porta del Castello; l’altra, la porta Santa, guardava verso l’entroterra e la via Traiana, importante via di collegamento, che correva poco distante dalla città”. Inoltre, afferma che “La porta principale della città in epoca normanna era la porta del Castello posta a poche decine di metri dal castello comitale, da cui era separata dall’ampio slargo della Catuma.

Il tracciato della via Traiana (32), che passa nelle vicinanze di Andria, è stato spesso assunto come prova per giustificare la presenza della Porta Santa.

Lo studioso Vincenzo Zito alla domanda attraverso quante e quali porte la città murata di Andria comunicava con il territorio circostante risponde preliminarmente con una riflessione sulle Porte riferendo che le vicine Barletta e Trani sino all’epoca moderna non ne avevano che due o tre, e conclude asserendo che di sicuro in epoca normanna c’era la Porta del Castello, e questa era la Porta principale sia perché da essa si raggiungeva facilmente il porto di Trani sia perché da quella direzione era più probabile potesse arrivare un pericolo per la città; una seconda Porta doveva essere quella di Porta Santa. Però dell’esistenza di questa Porta Zito afferma che dobbiamo prestar fede alla tradizione, e cioè, che da quella Porta è entrato nella città il suo primo vescovo Riccardo.

Per la Porta della Barra propone l’ipotesi che questa fu realizzata quando fu chiusa la Porta Santa per edificarvi la chiesa, mentre, per la Porta di Sant’Andrea non fornisce alcuna ipotesi sulla sua datazione iniziale ma afferma che fu realizzata in una posizione apparentemente inutile in quanto non è collegata con strade o centri d’interesse fatta eccezione per le fornaci.

A tale proposito c’è da fare una considerazione di tipo geografico sul territorio di pertinenza della città di Andria. Se si tiene come fulcro il centro storico e per esso tracciamo due assi Nord-Sud ed Est-Ovest, possiamo verificare, su una unione di tutte le Tavolette dell’Istituto Geografico Militare nella scala 1:25.000, che il territorio andriese si sviluppa per quasi nove decimi nei settori Sud-Est e Sud-Ovest, mentre, nelle direzioni Nord verso Barletta ed Est verso Corato il confine del nostro territorio trovasi a circa 3 e 4 chilometri.

Inoltre, anche i vari villaggi con le loro chiesette, come riferito innanzi, si trovavano in questi due settori, quindi, le due Porte di Sant’Andrea e della Barra avevano la stessa funzione: erano le due necessarie uscite verso questo vasto territorio ricco di Villaggi, Vichi e Casali con le loro Chiesette.

In conclusione, per quanto riguarda il numero iniziale di porte, non abbiamo testimonianze storiche dirette, come giustamente afferma lo stesso Zito. In sintesi, possiamo dire che per il Prevosto Pastore inizialmente le Porte erano quattro; Vincenzo Zito si dice dubbioso su questa affermazione e, come prima detto, ritiene che inizialmente le Porte erano tre: del Castello, Porta Santa e Porta Sant’Andrea e che Porta la Barra fu probabilmente costruita dopo che fu soppressa la Porta Santa; il Di Gioia invece, parla di due porte inziali storicamente accertate, tuttavia le parole storicamente accertate sollevano non poche perplessità perché non abbiamo documentazione in merito, databili all’Undicesimo secolo, ma soltanto certezza che ci dovessero essere delle Porte nella cinta muraria.

L’ipotesi che ritengo invece più plausibile è quella che fin dall’origine della città murata il numero delle porte fosse quello ancora presente nella Pianta topografica della metà del Settecento (Figura -9-), fatta redigere dal Vescovo Mons. Ferrante in occasione della divisione della città in due Parrocchie (ad eccezione della Porta Nuova che fu realizzata nel Settecento), da me rintracciata e pubblicata su cartoncino, nelle dimensioni di cm. 50 per cm 70 nell’anno 1983, compreso la traslitterazione della parte scritta.

Personalmente sono convinto che la Porta Santa è esistita solo nella tra- dizione, come riferisco in modo più dettagliato nel prossimo capitolo.


Fig. -9- Pianta topografica fatta redigere dal Vescovo Mons. F. Ferrante
nel periodo 1759-1760. Incisione originale.


NOTE    _

(31) Di Gioia Antonio
Antonio di Gioia (Andria 1950) è un medico con la passione per la storia della nostra città, impegnato sui temi della promozione e della valorizzazione del patrimonio monumentale e storico-artistico di Andria, socio del Comitato per la tutela del centro storico di Andria. Le sue ricerche, soprattutto quelle nelle biblioteche e negli archivi storici, hanno fatto chiarezza su molti punti controversi, quali quello riguardante la figura di San Riccardo patrono della città, e suggerito ipotesi sul Castello di Andria, sulla murazione della città e sulla Contea normanna. Ha pubblicato due interessanti lavori sulla storia di Andria: “Andria, il castello e le mura”, ADDA Editrice – Bari 2011, e “La Contea di Andria in età normanno-sveva”, Comunicando Edizioni, Andria 2018.

(32) Via Traiana
Per evitare le asperità della Basilicata al confine con la Puglia, a poco a poco la via Appia cominciò ad essere meno frequentata perché si preferiva viaggiare lungo un percorso più agevole e, quindi, più veloce, rappresentato dalla via Minucia che si inoltrava nelle pianure della Puglia collegando Equo Tutico con Ordona e Canosa, spingendosi fino a Bari e puntando verso Egnazia. In età repubblicana fu questa la strada più utilizzata per raggiungere Brindisi da Benevento. La via Minucia è la via percorsa in gran parte da Orazio nel 37 a.C. per il suo viaggio a Brindisi in compagnia con l’amico Mecenate, stretto collaboratore dell’imperatore Augusto. Il nome della strada si potrebbe far risalire, come affermano diversi studiosi, al Console Minucius Rufus che, probabilmente, fu colui che nell’anno 110 a.C. realizzò il percorso della strada utilizzando vecchi tracciati, ampliandoli e pavimentandoli. Questo tracciato stradale più comodo e veloce dell’Appia, fu poi inglobato nella via Traiana che da Benevento permetteva di abbandonare del tutto l’Appia e, attraversando la Puglia, raggiungere abbastanza velocemente Brindisi; il tracciato di questa via fu voluto e realizzato dall’Imperatore Traiano e divenne alternativo all’Appia a partire dal 110 d.C. I trasferimenti delle merci, dei manufatti, della posta (nell’Impero Romano vi erano due servizi postali, uno pubblico ed uno privato, quello pubblico era chiamato “Cursus Publicus” e fu l’Imperatore Augusto ad organizzarlo in maniera efficiente disciplinandolo con regole precise), dei materiali da costruzione, degli eserciti, esigevano sempre di più percorsi agevoli e veloci. Per effettuare questi servizi Roma si serviva di Tabellari che erano schiavi cui erano stati attribuiti i compiti di recapitare le lettere dei loro padroni, di tra- sferire le merci e i materiali da costruzione utilizzando carri trainati da buoi, muli, asini, che giornalmente solcavano i basolati delle strade.
Come si può comprendere, per questi trasferimenti importante era la velocità con cui si potevano attuare, velocità e comodità erano essenziali, soprattutto per i viaggi dei funzionari dello stato e per gli spostamenti degli eserciti; i cavalli, essendo animali per così dire “nobili e preziosi”, erano utilizzati per il trasporto delle merci solo raramente, se c’era la necessità di far giungere le derrate in tempi brevi. Pertanto, le strade dovevano essere sempre più rettilinee, pianeggianti e pavimentate. Furono queste le esigenze che negli anni 108-109 d.C. indussero l’Imperatore Traiano a servirsi dell’antico tracciato della via Minucia e di altre piste utilizzate anche per la Transumanza, per realizzare un nuovo tracciato viario per raggiungere Brindisi, che fu chiamato via Traiana, e che, partendo da Benevento raggiungeva Brindisi percorrendo la regione Puglia poco all’interno della costa, nel tratto che toccava le località di Troia, Ordona, Canosa, Rudas, Rubos, Celia, toccava la città di Egnazia e giungeva fino a Brindisi. Quasi per intero il percorso fu pavimentato con grosse basole di pietra calcarea e le distanze segnate da “Colonne Miliari”, alcune delle quali oggi sono esposte in musei e varie località della Puglia. La realizzazione della via Traiana permise di ottenere un percorso più agevole e più corto sia della Minucia che dell’Appia, e soprattutto, che permetteva di raggiungere Brindisi da Roma in soli 13 giorni.