S.Antonio abate, S.Onofrio e S.Maria Egiziaca

Contenuto

Grandi eremiti orientali

Sant'Onofrio
[Sant'Onofrio - foto di Sabino Di Tommaso, 2013]

Sant'Onofrio

Collocazione:
secondo pilastro a destra della navata centrale, nell'intradosso dell'arco di comunicazione con l'abside della navata destra, adiacente a papa Urbano V.

Descrizione:
l'affresco è in discrete condizioni.

Il Santo è affrescato nel solito riquadro a cornice geometrica, ha, come Sant'Antonio Abate (affrescato a fronte) una gruccia, sulla quale poggia la sinistra, mentre tra ambedue le mani trattiene una corona.
Il Santo, anacoreta degli inizi del 4° secolo, ha capelli lunghi e barba fluente tanto cresciuti che unitamente al perizoma di foglie lo ricoprono completamente [1].


Santa Maria Egiziaca

Santa Maria Egiziaca
[S. Maria Egiziaca - foto di Sabino Di Tommaso, 2013]

Collocazione:
La Santa è affrescata sul plinto del secondo pilastro destro della navata centrale, nell'intradosso dell'arco di comunicazione con l'abside della navata destra, adiacente a S. Lorenzo martire e a una Madonna della tenerezza.

È una figura quasi leggendaria nella storia del cristianesimo ed è venerata sia dalla chiesa cattolica che dalla ortodossa e dalla copta; visse, scrivono, dal 344 ca. al 421 ca. La sua vita ci è riferita un secolo dopo da San Sofronio. Questi narra che l’eremita Zosima, recatosi a digiunare nel deserto del Giordano, vi incontrò Maria, che gli narrò i suoi trascorsi. Fin dall'età di dodici anni ella, andata via dalla casa paterna, aveva dato sfogo alla sua irrefrenabile passione erotica; era stata pertanto una incontenibile ninfomane (ma non prostituta, in quanto si offriva gratuitamente) dedita a circuire i giovani di Alessandria d'Egitto, ove soggiornava.
A 29 anni si era convertita dalla sua vita dissoluta dopo essersi recata a Gerusalemme nella Basilica del Santo Sepolcro (allora detta Martirium con dentro la rotonda Anàstasis [resurrezione]), il giorno della ricorrenza della Esaltazione della Croce; ivi tuttavia era stata spinta non da devozione ma dalla voglia di altro svago e per curiosità. Lì accadde che, essendole stato impedito da una forza sovrumana di entrare in Chiesa ed accostarsi alla Croce di Cristo per la sua vita lussuriosa, poté poi accedervi e venerare il sacro Legno solo dopo aver pregato e fatto voto di conversione davanti ad una icona della Madonna presente nell’atrio della stessa Basilica. Si ritirò indi a vita eremitica e di penitenza nel deserto arabico della Giudea, dove appunto fu allora trovata da Zosima.
Questa vicenda della sua conversione spiegherebbe perché sia stata affrescata nella chiesa rupestre di Santa Croce di Andria, nella stessa navata e nei pressi dove sono dipinte le scene del ritrovamento della Croce di Cristo.
La santa viene spesso raffigurata con capelli bianchi lunghi fino ai piedi, coi quali mascherava la sua nudità (come in questo dipinto), e in atteggiamento penitente.
Sant'Antonio Abate
[Sant'Antonio Abate - foto di Sabino Di Tommaso, 2013]

Sant'Antonio Abate

Si trova sul semipilastro destro   dell'arco trionfale (accanto a San Nicola di Mira e a fronte di Sant'Onofrio)

Sant'Antonio Abate visse (dal 251 al 356) nel deserto della Tebaide con numerosi discepoli; in Egitto fondò varie comunità anacoretiche ed è ritenuto uno dei fondatori del monachesimo, specialmente orientale. Egli è rappresentato con un campano, che nell'affresco porta nella mano sinistra, mentre nella destra ha una gruccia. La sua storia è iconograficamente raccontata nella chiesa del San Sepolcro a Barletta.


Sul semipilastro sinistro  dello stesso arco trionfale è invece affrescato San Leonardo. (trattato in un'altra pagina, per esigenze grafiche e di spazio narrativo, soprattutto non essendo stato un eremita orientale, ma occidentale dei tempi di Clodoveo, VI secolo.)

San Leonardo di Noblat, a sinistra dell'abside
[S. Leonardo di Noblat - foto di Sabino Di Tommaso, 2013]

NOTE    _

(1) Un autore (ignoto ante IX secolo) dice di aver trovato la vita di Sant’Onofrio scritta tra gli epìtomi (compendi) e gli entimèma (ragionamenti) di autori Greci; afferma che è quella redatta in greco dal santissimo Pafnuzio e che egli ha tradotto in latino.
Di tale “Vita Sancti Onuphrii” riportata nel Seicento dal gesuita Heribert Rosweyde (qui ripresa dalla “Patrologia latina” raccolta da Jacques Paul Migne) si trascrivono quelle parti che  descrivono il Santo. In grassetto sono evidenziate le locuzioni più rilevanti.

[trascrizione del testo in latino]

Quodam die, dum ego Paphnutius solus tacitusque sederem, cogitavi in corde meo quod deserto peterem …

Quarto autem die peracto, alimenta quæ mecum sumpsi defecerunt, meaque membra nullo victu refocillata vires perdiderunt. …
Igitur dum fessus requiescerem, et quam ægre profectus essem cogitarem, virum procul aspectu terribilem vidi, in modum bestiæ pilis undique circumseptum; cui tanta scilicet capillorum prolixitas erat, ut corpus illius ipsorum diffusione tegeretur. [col.212] Pro vestimento quoque foliis herbisque utebatur, quibus subteriora renum tantummodo cingebat. …

Et vir Dei … dixit mihi: «…Ego, licet immeritus, vocor Onuphrius. Et ecce non minus sunt quam septuaginta anni, quod in hoc deserto laboriose vixi. …»


Dum autem ego Paphnutius a viro sanctissimo Onuphrio, rationis hujus loquelam audirem … vir sanctus respondit: «… Sanctus enim angelus quotidie panem mihi offerebat, et acquam pro mensura ministrabat, ut corpus meum confortaretur, ne deficeret, et jugiter in laude Dei perseveret. Arbores palmarum ibidem constitutæ erant, quæ duodecies in anno dactylorum fructus germinabant. Quos per singulos dies colligens, pro pane edebam, mixtos herbarum foliis, et erant in ore meo tanquam favus mellis. …»

Cumque hoc a beato viro Onuphrio intentius auscultarem, mirans in sermonibus et actibus ac laboribus illius, dixi: «Pater benigne, die Dominico vel Sabbato communionem percipiebas ab aliquo?» At ille respondens, ait: «Omni die Dominico vel Sabbato angelum Domini paratum invenio, sacrosanctum corpus et sanguinem Domini nostri Jesu Christi secum deferentem: de cujus manu mihi pretiosissima donantur munera, vitæque meæ salus perpetua.

Nota [n. 26 di Heribert Rosweyde (1569-1629) nell’edizione del Migne]:
… Manuscriptus Leodiensis Sancti Jacobi, ultimo capite, habet de leonibus sepulcrum unguibus suis  Onuphrio effodientibus, …

 

[traduzione]

Un giorno, mentre io, Pafnuzio, me ne stavo seduto solo e silenzioso, decisi di recarmi nel deserto …

Dopo il quarto giorno [di cammino] finirono le provviste che mi avevo portato e le mie membra, non più nutrite, perdettero vigore. …
Allora, mentre stremato riposavo, e pensavo alla gravità della mia salute, vidi lontano un uomo di aspetto spaventoso, tutto ricoperto di peli come una bestia; aveva i capelli talmente lunghi che con la loro estensione celavano il suo corpo. Come vestito usava anche foglie e steli coi quali cingeva solamente la parte sottostante i reni. …

Indi quell’uomo di Dio … mi disse: «… Io, seppur immeritatamente, sono chiamato Onofrio [= Colui che è sempre felice]. Attualmente sono non meno di settant’anni che ho vissuto attivamente nel deserto. …»


Intanto mentre io Pafnuzio seguitavo ad ascoltare i ragionamenti del santissimo Onofrio … il sant’uomo disse: « … Dunque un angelo santo ogni giorno mi porgeva il pane e mi forniva una quantità di acqua, così che il mio corpo si rinvigorisse, non deperisse e ininterrottamente proseguisse a lodare Dio. Ivi c’erano alberi di palme, i quali fruttificavano datteri dodici volte l’anno; raccogliendoli ogni giorno, li mangiavo come pane insieme a foglie d’erba e nella mia bocca era come assaporare miele. …»

Dopo aver molto attentamente ascoltato quanto sopra dal beato uomo Onofrio, ammirato dei suoi discorsi, operosità e fatiche, dissi: «Affabile padre, ricevevi da qualcuno la comunione la Domenica o il Sabato?». A ciò egli rispose: «Ogni Domenica o Sabato trovo pronto un angelo del Signore, che porta con sé il corpo ed il sangue di Nostro Signore Gesù Cristo: dalle sue mani mi sono offerti quei preziosissimi doni, perpetua salvezza della mia vita. …»

Nota [n. 26 di Heribert Rosweyde (1569-1629) nell’edizione del Migne]:
… Il manoscritto leodiense [di Liedi] di San Giacomo, nell’ultimo capitolo, racconta di leoni che con le loro unghie abbiano scavato il sepolcro di Onofrio.