di mons. Emanuele Merra
Mentre Carlo I d’Angiò opprimeva ed angariava le misere popolazioni del reame con collette, con mutui forzosi, e con una infinità di tasse e di balzelli (1), che i suoi ufficiali col più grande rigore che mai esigevano, e che cagionarono poi i memorandi Vespri Siciliani; mentre il pontefice Clemente IV altamente protestava che le tasse e le ingiuste esazioni imposte dall’Angioino non avevano il suo assentimento (2); si cominciò a rimpiangere e a desiderare ardentemente il dominio di re Manfredi. I popoli oppressi, scrive Saba Malaspina, con le lagrime sugli occhi ivano dicendo: «O re Manfredi, non ti abbiamo conosciuto vivo; ora ti piangiamo estinto. Tu ci sembravi un lupo rapace fra le pecorelle di questo regno; ma da che per la nostra volubilità ed incostanza siamo caduti sotto il presente dominio, tanto da noi desiderato, ci accorgiamo in fine, che tu eri un agnello mansueto. Ora sì, che conosciamo quanto fosse dolce il governo tuo, posto in confronto dell’amarezza presente. Riusciva a noi grave in addietro che una parte delle nostre sostanze pervenisse alle tue mani, troviamo adesso che tutti i nostri beni, e quel che è peggio, anche le persone vanno in preda a gente straniera!» (3).
Erano in tal modo disposti gli animi, quando improvvisamente si vide sorgere nel reame un avventuriero, che s’infinse essere re Manfredi redivivo. Cosi dodici anni dopo la morte di Federico II, un miserabile per nome Giovanni di Cocleria in Sicilia, s’infinse di essere l’imperatore Svevo, e fece proseliti; ma catturato da Riccardo Filangieri, vicario di Sicilia, fu impiccato con i suoi seguaci in Catania (4). Nel 1286, un veterano, Teodorico Calops di Nussia, paese presso Colonia, 36 anni dopo la morte dell’imperatore, cominciò a divulgare essere egli Federico II, e già faceva proseliti; ma fu fatto bruciare vivo nella città di Vestfalia da Rodolfo imperatore dei Romani (5). Molti per quarant’anni credettero che vivesse ancora re Federico nel Castello di Kyfbusen e che sarebbe venuto quanto prima con grande potenza! (6).
Da un decreto di Carlo I, datato da Nola, il 24 marzo 1272, si rileva come questi severamente comandasse al castellano di San Salvatore a Mare di Napoli di far custodire con diligenza somma, e di mettere in catene quel prigioniero per nome Manfredi, che Nicola di Urgoth, suo milite familiare e fedele, da parte sua gli aveva consegnato; sicché niente di sinistro, che il cielo non voglia, gli potesse avvenire (7).
In qual luogo, ed in qual modo questo pseudo Manfredi abbia tentato di sollevare i popoli contro la dominazione Angioina, e se questa insurrezione abbia avuto seguito, è ignoto.
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Dal Castello dell’Uovo il finto Manfredi fu poi condotto prigioniero in Castel del Monte. Infatti ai 29 marzo 1284, il principe di Salerno, vicario del regno, ordinò da Capua al castellano di Santa Maria del Monte di consegnare al giustiziere Roberto di Larvilla, spedito specialmente per ciò, il finto Manfredi e Ruggiero della Marra, entrambi prigionieri in Castel del Monte, e condurli all’istante, sotto sicura scorta, alla sua presenza (8). Coll’istessa data scrisse pure a Roberto di Larvilla di andare subito a Castel del Monte per richiedere gli anzidetti due prigionieri (9). Se non che essendo in quei giorni avvenuta la cattura del principe e la morte del re; non si sa se in tali trambusti i due prigionieri sieno stati portati alla sua presenza, e quando sieno usciti da quel carcere. Di questo finto Manfredi, anzi di molti finti Manfredi, il Salimbene dice che Carlo li abbia fatti uccider tutti! (10).
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Mentre Ruggiero della Marra era in catene, il principe di Salerno con decreto del 18 dicembre 1283, Indizione XII, spedito da Napoli, ordinò si restituisse a Chura moglie di lui, ed ai figliuoli Giovannuzzo e Iacovella tutti i beni, che possedeva in Barletta, in Ravello ed in Giovinazzo, confiscati al padre innanzi alla sua cattura, e fece loro salvacondotto perché non fossero molestati, dichiarandoli posti sotto la sua protezione (11). L’istesso principe volendo usare la sua clemenza verso Ruggiero, condannato a morte per le sue colpe, con un decreto, datato egualmente da Napoli il 22 dicembre del medesimo anno, gli fece grazia della vita sino al ritorno di re Carlo suo padre nel reame, promettendogli di metterlo in libertà, se tra cinque anni non ritornasse. Doveva però il Della Marra dare due suoi figliuoli in ostaggio, ed una cauzione di seimila oncie d’oro: doveva essere esiliato in una terra del regno, ove piacesse al principe: e doveva, almeno una volta al giorno, presentarsi in detta terra alla persona a ciò destinata: e finalmente nulla doveva fare o dire contro il re, della real famiglia e contro del regno (12). Non ostante quest’atto di clemenza, troviamo Ruggiero ancora incatenato nel carcere di Santa Maria del Monte il 29 marzo 1284. Se non che dopo coi suoi fratelli Angelo e Galvano fu impiccato! (13).
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Con Ruggiero della Marra e col pseudo Manfredi stavano pure carcerati in Castel del Monte un certo Iacobino, figliuolo del fu conte Bartolomeo, che aveva combattuto con Manfredi presso il ponte di Benevento, ed era stato fatto prigioniero da Carlo d'Angiò; ed un tale Roberto di Carnisiaco, il quale era in carcere a causa della figlia di Riccardo di Castromediano, sua moglie, che in questo castello del pari era ritenuta (14).
[Tratto da: Emanuele Merra, "Castel del Monte - presso Andria", 3ª edizione, Scuola Tip. Istituto Apicella per Sordomuti, Molfetta, 1964, pp. 84-87.]
NOTE - (Nell'originale la numerazione è di pagina e non progressiva dell'intero capitolo)
(1) Gli uomini di Martorano e di Castrovillari fuggivano dalle loro case per non potere pagare le tasse: Reg. n. 13 t., 1272 A, fol. 120 t. Otranto e Gallipoli erano spopolate, perché buona parte delle famiglie, per liberarsi dalle angarie degli esattori, abbandonarono le città. Reg. n. 31, 1278 D, fol. 104.
(2) «Super exationibus quæ facis in Regno. quæ multorum exasperant animos, nunquam consensimus, nec præstitimus conniventiam». Martene, Thesaurus ecc., vol. II, pag. 445.
(3) Muratori, Ann. d’Italia, tom. VII, pag. 312.
(4) «Adulterinus Imperator ibi cum eius complicibus capitur, et apud Cathaniam lanqueo sunt suspensi». Bartol. De Neocastro, 421.
(5) «Anno Domini MCCLXXXVI in Nussia oppido vicino Coloniæ Agrippinæ advcnit quidam veteranus, asserens se esse Federicum secundum olim imperatorem … qui tandem veniens in civitatem Westflariam a Rudulpho Romanorum rege captus est et igne crcmatus est». Corn. Zantfliet, Chron ex Marten. etc.
(6) «Multi per annos XL credebant eum (Fridericum) vivere, venturum in proximo manu forti». Chron. August. op. Freher. Script., t. I. «Ex hoc fama venit Fredericum adhuc vivere in Castro Kyfbusen». Chron. Eug. Chus. ap. Leibnitz. Script. Brun., t. II.
(7) Vedi Documento XXXVI.
(8) Vedi Documento XXXVII.
(9) Reg. Ang. 1284 B, n. 48, fol. 47 t., 73 t.
(10) «Rex Carolus simulatum Principem Manfredum oblatum sibi occidi mandavit. Et multos tales diebus illis occidit Manfredos». Chronicon.
(11) Reg. Ang. 1284 B, n. 48, fol. 47 t., 73.
(12) Reg. Ang. 1284 B, n. 48, fol. 52 t..
(13) Arch. Stor. per te Prov. Nap., ecc.
(14) Vedi Documento XXXVIII.