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Castel del Monte ai primi del Novecento

Castel del Monte

presso Andria

di mons. Emanuele Merra


XX
Castel del Monte feudo dei Carafa

Il duca Consalvo II Ernandez di Cordova per taluni suoi bisogni risolveva di vendere il ducato di Andria col Castello del Monte, pel prezzo di centomila ducati. Vi furono varii concorrenti tra i quali molti nobili andriesi; ma essendosi presentato l’illustre conte di Ruvo, Fabrizio Carata, a farne la compra, ne ebbe la preferenza. Pertanto il giorno 8 settembre 1552, nel reale Castelnuovo di Napoli, l’illustrissimo Don Consalvo Ferdinando di Cordova, duca di Sessa, per mezzo del suo procuratore generale, Giovanni Ramirez di Napoli, e di Giambattista Manso, dottore nell’uno e nell’altro dritto, vendeva al conte di Ruvo, Don Fabrizio Carafa, la città di Andria col titolo e con l’onore di duchea, non che il Castello del Monte disabitato, sito nella stessa provincia di Bari, vicino al territorio della città di Andria (1). E poiché per tale compra mancavano al Carafa quindicimila ducati; Andria che lo aveva in altissima stima ed onore venne generosamente in aiuto del novello suo feudatario (2).

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Il 20 settembre 1552, convenivano in Castel del Monte Matteo Curci di Barletta, regio giudice ai contratti; Gian Ferdinando Scarano di Napoli, pubblico notaio, e varii testimoni, cioè Domenico della Marra, Giovanni Balbo, Raffaele Saraceno di Giovinazzo, Gian Tomaso di Citri di Polignano, dottore nell’uno e nell’altro dritto, e Gian Antonio dell’Ancora napolitano.

Alla presenza di questi e del sig. Federico D’Aquino di Napoli, procuratore dell’illustrissimo Don Fabrizio Carafa, conte di Ruvo ed utile signore della città di Andria e del Castel del Monte, si presentava il magnifico Vincenzo Mondello di Ruvo, e loro faceva noto come egli rosse stato creato. eletto e costituito castellano di Castel del Monte dal D’Aquino, e come avesse dal medesimo ricevuto la consegna delle armi e munizioni ivi esistenti; quale consegna in quell’istesso giorno era stata fatta al D’Aquino dal signor Consalvo Salicedo spagnuolo, già castellano di detta rocca.

Gli oggetti consegnati al Mondello furono i seguenti, cioè:

«In primis tre pezi grossi de brunzo uno grande e l’altro piccolo con soi cavalecti.
Item dui pezi de ferro. Item uno pezo de piumbo grande.
Item vintiquattro piastre di ferro.
Item uno smiriglio di brunzo rocto.
Item dui smirigli de ferro.
Item uno barile de ferri de cavallo.
Item una palangha grossa de ferro.
Item secte palanghe de ferro.
Item quindici zappe de ferro et quattro zappiconi et doi para archo de balestra coli tinieri de ferro.
Item tre leve de bade ferro.
Item tre pala de ferro.
Item tre balestre et uno lestre de ferro.
Item dui carricaturi d’artiglieria.
Item dieci barrili de polveri pieni, tra li quali sono tre barili di essi incominciati.
Item bocta piena di zulfo.
Item quattro barile de zulfo incominciati.
Item un barile smezzato de carbuni.
Item quattro sarti tre di essi de iungi l’altro de cannavo.
Item octo carcelle de creta per conse overo oglio.
Item uno cascione de tavole grande dentro il quale ci è una certa quantità de salame.
Item un altro cascione de tavole grande per conservare grani.
Item et uno centimulo per macinare grano con tucto suoi forinmenti eccetto la mula seu cavallo».

Tutte queste armi e munizioni il novello castellano Mondello si obbligò di fedelmente e diligentemente custodire e conservare nel medesimo Castello, a disposizione del conte Carafa e suoi eredi e successori, e ad onore e fedeltà verso della maestà Cesarea, non che per custodia e difesa della fortezza (3).

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In Castel del Monte i Carafa possedevano il territorio nobile feudale con le sue portate e parco, chiamate la Mattinella: i feudi di Savignano, l’uno detto da piedi, ove esigevano il jus Tabernæ, e l’altro da capo, situati in quel ristretto, con tutte le prerogative e diritti che gli si appartenevano.

Avevano ancora la selva feudale col dritto della caccia, e con quello di fidare le legna ed i bovi, ed in fine una neviera. In prosieguo v’impiantarono una panetteria con mulino e forno (4). Nominavano il castellano; ed il 2 decembre 1563, Antonio Carafa V duca d’Andria e IX conte di Ruvo, facendo quivi il suo testamento, tra le altre disposizioni, confermava e novellamente concedeva, ove fosse necessario, la castellania di Castel del Monte al magnifico Vincenzo Guarino e ad uno degli eredi da esso discendenti (5).

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L’Aldimari nella Storia genealogica della famiglia Carafa asserisce che D. Fabrizio VII duca d’Andria e XI conte di Ruvo, signore della terra di Corato e capitano di gente d’armi per sua Maestà Cattolica nel regno di Napoli, pigliasse per la prima volta il titolo di duca di Castel del Monte, titolo, che di poi portarono tutti gli altri duchi suoi successori (6).

Castel del Monte diventato feudo della nobilissima famiglia Carafa, fu da questa restaurato con grandi spese, dopo tante ingiurie sofferte dal tempo e dagli. uomini. Per i Carafa Castel del Monte fu un incantevole e delizioso luogo di villeggiatura.

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Nell’agosto 1656 scoppiò terribile il flagello della mortifera pestilenza, che ridusse Napoli in un cimitero, essendo morti col corpo orrido di buboni e di luridi gavoccioli circa quattrocento mila cittadini! In Andria, che allora contava quindici mila abitanti, menò tanto lutto la morte nera, da mietere, in sei mesi, più di nove mila vittime, tra le quali 47 sacerdoti della Cattedrale! (7). I cimiteri non bastarono a ricevere le salme di tanti infelici, per cui senza onore di esequie e senza funerali furono gettati in varie cisterne (8). In tali circostanze, mentre D. Ascanio Cassiano, vescovo di Andria, si aggirava angelo di carità in mezzo agli appestati, nelle case e nei lazzaretti (9), ed i morenti mandava confortati nella speranza del divino perdono; la famiglia Carafa, cioè la vedova duchessa donna Costanza Orsini, con il figliuoletto Fabrizio, ed altri, lasciando in città due suoi ufficiali a dispensare pietosamente cibi e medicine al bisognosi, si rifugiò in compagnia di molti nobili andriesi in Castel del Monte, a respirare quelle aure balsamiche, e vi dimorò in florida salute per ben sei mesi, quanto durò il morbo (10).

Da quest’epoca in poi non si sa se questo turrito Castello seguitasse ad essere di tratto in tratto abitato dagli illustri Carafa, come seguitò a far parte della loro duchea. Si sa solo che essi continuarono a nominare il castellano, che creavano con loro patente, e con tutti i lucri, stipendii ed emolumenti, che a tale officio spettavano. Nel 1744 era castellano il signor Sebastiano Spagnoletti (11).
Però sebbene Castel del Monte fosse disabitato, nulla di meno fu feudo nobile, quaternato (12), diviso e separato da Andria, per cui sempre dai Carata si pagò l’adoa del rilevio alla Regia Corte.

[Tratto da: Emanuele Merra, "Castel del Monte - presso Andria", 3ª edizione, Scuola Tip. Istituto Apicella per Sordomuti, Molfetta, 1964, pp. 117-122.]


NOTE - (Nell'originale la numerazione è di pagina e non progressiva dell'intero capitolo)

(1) Vedi Documento XLVII.

(2) Il titolo di duca d’Andria non fu concesso a Fabrizio Carafa, ma a suo figlio Antonio. il 22 febbraio 1556, da Filippo II re di Spagna, con diploma dato in Aversa. In esso si accenna ai servigi resi da Fabrizio come capitano a guerra e governatore di Bari e di Terra d’Otranto.

(3) Vedi Documento XLVIII.

(4) Rivela del duca d’Andria, 1743, Grande Arch. di Napoli.

(5) «Item confìrmavit predictus Dominus Dux et quatenus opus est de novo concessit Magnifico Vincentio Guarino Castrum Castrimontis civitatis Andrie pro se et uno ex heredibus legitime ex corpore predicti Vincenti descendentibus». Arch. dei Carafa in Napoli.

(6) Tomo III.

(7) Il Pastore dice che allora Andria contava 18.000 anime, e che ne sieno rimasti superstiti 6000. Il D’Urso dice che ne contava 22.000, e che ne morissero al di là di 14.000; io mi sono attenuto alla seguente testimonianza giuridica, che mi sembra più veritiera:
    «Si fa piena ed indubitata fede per noi infrascritti, etiam cum juramento, come ci ricordiamo benissimo che nell’anno 1656, in questa città di Andria, vi fu un fiero contaggio e mortalità grande che da 15.000 anime che erano in circa, restarono da 6000 anime vive, e terminò detto contaggio nel 1657, ed in detto anno, nel mese di luglio morì Monsignor Cassiano.
- Io D. Nicolantonio Palombella Arciprete d’anni 66 fo fede come sopra.
- Io D. Carlantonio Tesse d’anni 65.
- Io D. Lorenzo Casafina d’anni 62.
- Io D. Carlantonio Fortunato d’anni 66.
- Io D. Pietro Calcagno d’anni 65»
[Istoria e Relaz. mns. di diversi fatti etc. Archivio della Cattedrale di Andria.]

(8) Furono riempite a ribocco sette cisterne nelle adiacenze del Carmine: tre nelle vicinanze di S. Lucia: due accanto al convento di S. Maria Vetere: nonché la chiesa di S. Maria dell’Altomare.

(9) Si aprirono due lazzaretti, uno ove ora sorge il Seminario, in un gran casino in allora esistente; e l’altro vicino al convento di S. Maria Vetere.

(10) D’Urso, Storia della città di Andria, lib. VII, cap. VIII, pag. 149.

(11) Catasto Onciario del 1744, p. 132, vol. 8823, G. Arch. di Stato.

(12) Si dicevano feudi quaternati, perché descritti nei Registri, detti Quaterni. Capasso, Cat. dei feudatarii.