Porta la Barra

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Andria

Escursione nella città dall’anno Mille al Milleseicento


Porta la Barra

Ing. Riccardo Ruotolo


Ferdinando Fellecchia così narra di questa Porta nel canto VI-5 della sua opera su San Riccardo:

L’altra vien detta Porta de la Barra,
Che ver’ Settentrion volge la mira;
D’onde si dica tal, la gente narra,
Perche al pagar la Mercanzia si tira,
E perché serve a trattener la Sbarra
Colui, che non pagando, i passi aggira;
E à questo fine ancor frà quelle mura
Lapide incisa ivi il pagar misura.

Da questa strofa appare chiaro che il Fellecchia guarda la Porta dall’esterno della città verso l’interno infatti, la Porta della Barra, vista dall’esterno della città, guarda verso il Settentrione; mi è difficile pensare ad un errore di orientamento da parte di un uomo erudito come il Fellecchia.

Questa strofa chiarisce il significato del nome Barra: questo era il luogo da cui passavano tutti i contadini che portavano in città il raccolto, e, per disposizione del Duca del Balzo, per alcuni prodotto dovevano pagare un dazio; a regolamentare il flusso vi era una sbarra che impediva il transito fino a quando non si adempiva al pagamento. Il Fellecchia anche in questo si rifà alla tradizione popolare e narra che sulle mura della porta vi era anche una lapide che riportava il regolamento per il pagamento dovuto, e ciò è credibile, perché lapidi siffatte c’erano anche in molte altre città.

Il Borsella (54) nella sua opera “Andria Sacra”, a pag. 108 riporta che ai lati della Porta erano affisse tre opere in pietra: lo stemma della città di Andria, che si dice essere quello oggi affisso sulla porta d’ingresso alla sala consiliare del Comune di Andria riportante la data 1544 (di cui ho parlato nella mia ricerca “Lo stemma di Andria” dell’anno 2012, pag. 25), lo stemma della famiglia del Balzo, formato da una stella con sedici punte (afferma il Borsella a pag. 151 della sua opera citata che i del Balzo erano soliti apporre i loro stemmi dappertutto, soprattutto nelle Chiese), ed infine una lapide con una epigrafe che segnalava il diritto del feudatario di esigere un dazio sui cereali e sui liquidi che entravano in città, come riporta anche V. Zito nel suo saggio “L’antica porta del Castello di Andria”, seconda edizione del 2014.

La Porta era ubicata presumibilmente tra l’attuale scalinata che conduce a via Palestro e il vicolo Porta la Barra, come suggerisce V. Zito; in questo punto la strada che viene dalla chiesa di Sant’Agostino e che si chiama via Porta la Barra, oggi è abbastanza larga, mentre, prima dell’abbattimento della Porta era stretta come il tratto iniziale a partire dalla Chiesa.

Nella Chiesa di Sant’Agostino c’è un dipinto raffigurante San Riccardo e San Leonardo, che Vincenzo Zito, nel suo saggio “L’antica Porta del Castello di Andria” (seconda edizione a cura dell’Autore, pagg. 26-29, anno 2014), parlando della Porta detta della Barra riferisce che: La Porta è raffigurata anche in un dipinto attribuibile a G. B. Calò presente nella Chiesa di Sant’Agostino, che raffigura S. Riccardo e S. Leonardo. È dipinto in forme settecentesche.… e si potrebbe far risalire al 1789, data delle altre tele del pittore Calò.… Lo Zito quindi, colloca l’epoca di questo di- pinto intorno al 1789, periodo di poco successivo a quello del rinnovamento e/o ricostruzione e/o restauro della Porta avvenuto nel 1787. Però, il pittore Giovanni Battista Calò, paesaggista e ritrattista originario di Barletta, visse nel periodo 1832-1895 e la suddetta Porta già era stata demolita nel 1823: evidentemente c’è uno scambio di pittori nel racconto che ne fa lo Zito il quale riporta Giovan Battista Calò al posto di Francesco Calò, pittore di Molfetta nato nel 1749, allievo del grande pittore molfettese Corrado D. N. A. Giaquinto (1703-1766).

La città di Andria in questo dipinto (piuttosto grossolano) è vista dalla collinetta di Santa Maria Vetere, come nel dipinto del Redentore benedicente del Quattrocento (di cui si dirà in seguito) nel quale nella parte bassa è raffigurata la città di Andria (vista sempre dalla collinetta di Santa Maria Vetere) con dovizia di particolari che permettono di dare un nome alle principali fabbriche riprodotte: in primo piano, anche nel dipinto del Calò, c’è la Porta detta della Barra.

Fino al 1964 ho sempre visto sull’altare del Cappellone di san Riccardo un grande armadio con due ante, così descritto dal Vescovo Mons. Emmanuele Merra (55) nella sua preziosa opera Monografie Andriesi”, vol. I del 1906, pagg. 51 e seg.: … le reliquie furono traslate nella Cappella di San Riccardo, e conservate nei nuovi armadii … … Questi armadi circondavano bellamente quasi tutto l’altare del Santo … Attualmente si vede il Reliquiario, diviso anche in tre parti, … quella di mezzo è infissa nel muro; mentre le altre due chudonsi l’una sull’altra sopra quella di mezzo.

Continua il Merra scrivendo: Sulle due porte sono dipinte due Immagini a fondo d’oro, alla greca. Su quella di fuori si vede il divin Salvatore, seduto sulle nubi, col libro dei sette suggelli, chiuso ai piedi, con il globo sormontato dalla croce, nella mano sinistra, e con la destra alzata in atto di benedire … . Su quella, che resta chiusa, si vede dipinta, anche a fondo oro, la B. Vergine d’un sembiante assai bello, e con una corona sul capo. Sta pure seduta sulle nubi, con la sinistra poggiata sul petto, e con la destra in atteggiamento di indicare la terra, che pare affettuosamente raccomandare al cielo.

Oggi queste due bellissime tavole, di circa cm. 130 x cm. 240, con le due figure contenute in campiture a forma di mandorla dipinto in oro, sono il fiore all’occhiello del Museo Diocesano di Andria (Figura -29- e figura -30-).

     
Fig. -29 e 30- Tavola del Redentore benedicente. Ai piedi veduta della città di Andria.
Tavola della Beata Vergine Maria. Ai piedi, forse cancellata, la veduta della città di Andria

Quando i dipinti furono scoperti e studiati nel 1964, furono attribuiti al pittore Tuccio d’Andria, un pittore definito vagabondo, a cui erano attribuiti anche tre dipinti conservati nella Pinacoteca di Bari e provenienti dalla Chiesa di Santa Maria Vetere di Andria, raffiguranti Santa Caterina d’Alessandria, Sant’Antonio da Padova e San Girolamo della Marca. Studi più attenti e recenti sono propensi ad attribuire questi dipinti all’ambiente franco-provenzale della seconda metà del Quattrocento. Questo risultato è per noi di grande importanza perché, come prima detto, nella parte inferiore della tavola del Redentore è dipinta una veduta della città di Andria, in cui spiccano le mura, chiese e torri, strutture con buona probabilità identificabili e, in primo piano, c’è la Porta detta della Barra, il tutto in una raffigurazione della nostra città com’era nella seconda metà del Quattrocento.

Le immagini del Reliquiario, della tavola del Redentore benedicente, della Vergine Maria e dei tre Santi furono fatti conoscere al grande pubblico dal Vescovo Mons. Giuseppe Lanave (56) con il volume “Ho raccolto per voi”, edito da Grafiche Guglielmi di Andria nel 1994, in cui sono pubblicate tutte le opere d’arte che il Vescovo aveva sottratto al degrado e che fece restaurare e conservare per il futuro Museo Diocesano.

L’intera raffigurazione Quattrocentesca della città di Andria dipinta sotto la tavola del Redentore, pur non essendo completa, ci permette di individuare alcuni edifici e strutture murarie com’erano in quel tempo (Figura -31-).

La prima immagine che ci colpisce è la raffigurazione di Porta la Barra perché, essendo la città vista dalla collinetta di Santa Maria Vetere, la Porta è in primo piano e appare possente, merlata, di forma parallelepipeda nella parte superiore, a tronco di piramide in quella inferiore con la caditoia aggettante disposta in asse al suo fornice.


Fig. -31- Raffigurazione quattrocentesca della Città di Andria dipinta sotto la tavola del Redentore (Museo Diocesano di Andria)

A sinistra del dipinto è evidente il circuito murario merlato e si apprezza la sua curvatura perché avvolge il quartiere Grotte di Sant’Andrea per poi salire su Pendio San Lorenzo. Subito alle spalle di Porta la Barra c’è la sagoma della Chiesa di San Nicola con la sua vela campanaria e, alla sua sinistra ci sono due strutture molto significative: la prima è la raffigurazione della Chiesa di Sant’Andrea, la seconda che si proietta sulla facciata laterale della Chiesa di San Nicola, è un monumento a forma di piramide allungata (che il Borsella chiama obelisco o guglia) con al di sopra una statua di pietra: quella di San Riccardo.

Quando mi sono occupato del Largo Grotte di Sant’Andrea, in occasione della sua riqualificazione avvenuta negli anni 2012-2014, ho ricercato nella storiografia locale tutti i passi che riguardavano questo quartiere. A far da guida è stato il saggio-inchiesta del dottor Salvatore Liddo intitolato “Le Grotte di S. Andrea in Andria” del 1953, ma il passo più emblematico è stato quello che ho letto nell’opera di Giacinto Borsella “Andria Sacra” alle pagine 123-124: … vetustissima Chiesa di S. Andrea, esistente ..in uno scoscendimento di umili antichi tuguri appellati le Grotti (è il primo autore a chiamare così i tuguri in cui abitava la maggior parte delle persone del rione e, questo toponimo, è stato anche utilizzato dal Comune nella redazione di una pianta topografica della città nel periodo fascista) … uscendo dal Tempio vedesi elevata una guglia, che attacca al muro laterale del medesimo, nella cui cima è allogata la statua lapidea di S. Riccardo, in atto di benedire, ornato Pontificalmente. Questo obelisco di pietra vennegli eretto per aver liberato le campagne dal flagello dei bruchi, che le devastavano secondo indica la iscrizione. Poi il Borsella specifica che sull’obelisco era incisa una frase di ringraziamento al Santo, che terminava con una data: CIϽCCXXVII, cioè milleduecento ventisette.

Nel dipinto sotto il Redentore è infatti disegnato l’obelisco, ovvero la guglia, come narra il Borsella, ubicata davanti alla Chiesa di Sant’Andrea, con alla sommità la statua di San Riccardo (Figura -32-).


Fig. -32- Particolare del dipinto sotto la tavola del Redentore – Lato sinistro.

Guardando la parte centrale del dipinto della Fig. 31, subito a destra di Porta la Barra, si scorge un arco che dovrebbe essere quello di via Ponte Giulio e, subito dietro, una torre quadrata e la Chiesa di San Domenico.

A destra di San Domenico, dopo la parte mancante, spiccano le sagome della Chiesa Cattedrale con il transetto e del campanile raffigurato a due piani di cui il secondo ha delle finestre ad arco su ogni lato e termina con una semplice merlatura ai quattro angoli (Figura -33-). Lateralmente alla Cattedrale, sul lato di piazza La Corte, si scorge una costruzione quadrata, bassa e merlata, costruzione che secondo il Di Tommaso potrebbe essere il cosiddetto sedile, quello dei nobili e/o dei governanti, edificio utilizzato per le riunioni del consiglio nobiliare [ipotesi iniziale, poi da me (Sabino Di Tommaso) scartata a favore di "una difesa (vallum) merlata al palazzo ducale"]; più in basso c’è un edificio piuttosto grande che il Di Tommaso identifica con la Chiesa di Sant’Agostino. A destra della Cattedrale è raffigurata una grande torre quadrata: questa dovrebbe essere la torre ducale.


Fig. -33- Particolare del lato destro del dipinto sotto la tavola del Redentore.

*

Per completezza delle vicende che hanno interessato Porta la Barra, ritengo opportuno riportare le notizie relative al suo ultimo periodo di vita, cioè le notizie relative alla sua demolizione, anche se queste riguardano l’Ottocento e non il periodo di cui al titolo di questo lavoro.

La Porta detta della Barra rimase in piedi fino all’anno 1823. L’anno prima, precisamente il 31 agosto del 1822, fu redatta dai periti Michele Recchia e Nicola Moscatelli, nominati dal Sindaco Consalvo Ceci, la stima dei costi per la demolizione della Porta. Dalla perizia di stima si apprende che addossate alla Porta vi erano stanze appartenenti a D. Nicola Cicco e a Giuseppe Romanelli per cui bisognava tener conto del risarcimento da rifondere a loro. Tutta la somma occorrente fu stimata in ragione di ducati 164,10 comprensiva dell’indennizzo ai proprietari delle stanze da abbattere.

Queste notizie, come le altre di cui si dirà in seguito, sono state da me assunte consultando le documentazioni dell’Archivio Comunale di Andria quando questo era ancora presente presso il Comune; poi l’archivio è stato trasferito nel Comune di Rutigliano e, purtroppo, avendo smarrito i riferimenti, oggi posso solo riprodurre la fotocopia della copertina dell’intero fascicolo riguardante la demolizione di Porta la Barra (Figura -34-). Dalla consultazione dei documenti presenti nel deposito di Rutigliano, è stato possibile rintracciare solo i riferimenti riguardanti le delibere del decurionato riguardanti la demolizione della Porta, contenute nel settore Conclusioni del Parlamento e del decurionato, Vol. 5 dal 15 aprile 1821 al 5 gennaio 1823 e Vol. 6 dal 6 gennaio 1823 al 10 marzo 1826. Nell’elenco dettagliato di tutta la documentazione presente a Rutigliano non ho potuto riscontrare nessun fascicolo che parla della demolizione di Porta la Barra.


Fig. -34- Copertina del fascicolo contenente la documentazione
riguardante la demolizione di Porta la Barra.

La prima Deliberazione decurionale è del primo settembre 1822 e in essa si legge: Oggi che si conta il primo del mese di Settembre, ed anno mille ottocentoventidue nel Comune di Andria= … . Ad oggetto di demolirsi la così detta Porta della Barra, per essere inutile, e rovina al Comune … . Il Decurionato considerando che la Porta, per la sua vetustà è quasi caduta, e mal costruita, e fra l’altro sotto di essa vi sono due vuoti, ove in tempo di notte facilmente possono nascondersi de’ mal intenzionati, e così turbare il traffico de’ Cittadini. A queste considerazioni il Decurionato ne aggiunge delle altre ed afferma: Considerando che su di essa porta vi è un’altra spalliera di fabbriche (sono le stanze di D. Nicola Cicco e Giuseppe Romanelli), la quale rende oscura la strada della Piazza, chè molto stretta, che toglie la ventilazione. Quindi, come si è prima detto, la strada che dalla Chiesa di Sant’Agostino conduceva alla Porta era molto stretta anche in prossimità della Porta, pertanto la visuale della piazza era impedita e così la circolazione dell’aria. Poi si aggiunge: Considerando che fuori della medesima, si è formato un borgo tanto esteso, che francamente può dirsi un sesto della città (il riferimento è al Borgo Cirillo a partire dalla Chiesa dell’Annunziata), ed in conseguenza conviene togliere detta Porta, che mette una certa separazione tra l’antica Città, e’l nuovo Borgo … .

Considerando che intorno all’antica città tanto le muraglie, che i siti delle fossate furono censiti ai nostri Cittadini, ove vi hanno edificato una continuazione di case, lasciando da tratto in tratto delle strade in comunicazione coll’antico fabbricato, e quindi la suddetta Porta lungi di essere necessaria, e giovevole, arreca piuttosto nocumento.

Considerando ancora che tutte le case sulla strada della Piazza con togliersi detta Porta, verrebbero ad acquistare, e buona veduta, ed aria ventilata.

Considerando infine che tutti i cittadini anelano il momento di vedere smantellato questo pezzo di fabbrica inutile, e nocivo al pubblico, si aggiunge, che già si sta formando la nuova basolata alla strada della Piazza, così il Decurionato ha fermamente risoluto, che si tolga da divisata Porta per il bene pubblico.

Queste le motivazioni assunte dal Decurionato per stabilire la demolizione.

La trascrizione di questo documento e di tutti gli altri di cui in seguito si riporteranno degli stralci, e riguardanti la demolizione sia della Porta della Barra sia della Porta Nuova, è stata effettuata da Sabino Di Tommaso.

Per demolire la Porta occorreva acquisire l’autorizzazione della Sottintendenza di Barletta e dell’Intendente di Bari, passaggi che furono attuati e così si potè giungere ad effettuate la gara per assegnare la demolizione. In data 12 novembre 1822 e, successivamente, in data 15 novembre 1822 furono affissi i manifesti invitando le imprese ad effettuare delle offerte e il giorno 25 novembre 1822, con la procedura delle candele, fu esperita la gara e le opere di demolizione della Porta furono aggiudicate al signor Giuseppe Romeo che sottoscrisse il verbale di aggiudicazione con una croce perché, come aveva af- fermato, non sapeva scrivere.

In data 29 gennaio 1823, il sotto Intendente G. Filangeri inviò una nota al Sindaco Consalvo Ceci chiedendogli di acquisire il consenso dei proprietari delle stanze da demolire, proprietari che erano i due Canonici D. Nicola Cicco e Giuseppe Romanelli; acquisito il consenso, lo stesso fu trasmesso all’Intendente. Però, in data 9 febbraio 1823 il Sindaco, finalmente, corresse altri errori commessi, precisando che alcune Casuppole da demolire non erano di Giuseppe Romanelli ma del Canonico D. Antonio Leonetti di cui acquisì il consenso.

Il Sotto Intendente, verificati idonei gli atti, restituì approvati i verbali e così, il 16 marzo 1823, si chiuse definitivamente la procedura e si dette inizio alla demolizione di Porta la Barra.


NOTE    _

(54) Borsella Giacinto
Giacinto Borsella (1770-1856). Andriese distinto per non dire illustre, come lo chiama il dott. Raffaele Sgarra che curò la prefazione della sua pregevole opera “Andria Sacra”, fu un dotto giureconsulto e occupò la carica di giudice in molte città della Puglia quali Galatina, Casamassima, Minervino Murge e Altamura. Fu storico, poeta, erudito e cultore delle tradizioni della città di Andria. La sua interessante opera “Andria Sacra” restò manoscritta fino al 1917 quando, fortuitamente, ll dott. Sgarra lo recuperò fortuitamente e lo pubblicò nel 1918.

(55) Merra Mons. Emmanuele.
Mons. Emmanuele Merra (Andria 1838 – San Severo 1911) fu nominato prima vescovo di Crotone e poi nel 1905 Vescovo della diocesi di san Severo e Civitate dove rimase fino alla sua scomparsa avvenuta nel 1911. Ad Andria è ricordato come attento e documentato storico. Le sue pubblicazioni più note sono “Castel del Monte presso Andria” e, soprattutto “Monografie Andriesi”, pubblicata in due volumi a Bologna nel 1906 dalla Tipografia e Libreria Pont. Mareggiani. In quest’opera il Merra inizia trattando delle Tombe delle Imperatrici sveve, poi parla ampiamente della Chiesa Cattedrale e delle altre più antiche e importanti Chiese della città, finisce con un’ampia sintesi riguardante il Santuario della Madonna dei Miracoli e la Chiesa ed il Convento dei carmelitani. Opere minori sono “Santa Chiara d’Assisi”, “Le Imitazioni della B. Vergine” e i “Panegirici”.

(56) Lanave Mons. Giuseppe
Lanave Giuseppe (Bari 1912-Andria 1996) è stato una figura molto determinata, di concretezza operativa e di grande spiritualità. Ordinato sacerdote nel 1935, fu cappellano militare sul fronte greco-albanese nella seconda guerra mondiale. Fu nominato Vescovo di Andria il 1969 e da quella data fu anche un instancabile raccoglitore di opere d’arte esistenti nelle Chiese della Diocesi che, a causa dell’incuria, del degrado e delle ruberie erano destinate a scomparire. Le raccolse, le fece restaurare e le conservò nella sua dimora nel palazzo vescovile della città, preferendo vivere in una piccola ala appartata perché la conservazione dell’arte doveva avere la priorità. Tutto ciò che aveva raccolto e conservato oggi costituisce il grande patrimonio culturale del Museo Diocesano di Andria.