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Domenico Di Leo
RICERCA SULLE ORIGINI DI ANDRIA
stralcio dalla tesi di laurea del 17/12/1971
Introduzione
La prima sensazione provata nell’iniziare una ricerca
intorno alle origini di Andria è stata di netto pessimismo sulle possibilità che
il lavoro riuscisse in qualche modo utile a chiarire il problema, o almeno i
termini di esso: l’aver sentito ripetere continuamente che nulla di preciso si
può dire in merito a causa delle scarsissime testimonianze archeologiche e
letterarie disponibili e delle più disparate e discutibili interpretazioni date
di esse nel tempo, era più che sufficiente a giustificare il pessimismo iniziale
e la prospettiva di un lavoro privo di interesse. Ma la conoscenza diretta di
quanto è stato scritto sulla città e il graduale accostamento alle poche fonti
ancora reperibili, mi hanno fatto almeno in parte ricredere.
Nell’accingermi, quindi, al lavoro ho creduto
opportuno innanzi tutto precisare il problema ponendo delle ben chiare premesse,
poiché proprio questa mancata precisazione è all’origine della polemica
opposizione delle due tesi che caratterizza tutta la produzione storiografica
relativa alle origini di Andria.
Un dato storico inconfutabilmente certo è che Andria
fu elevata al rango di città nell’XI sec. Con la venuta dei Normanni e, più
precisamente nel 1046 allorché Pietro il Normanno la fortificò cingendola di
mura. La notizia è nell’opera di Guglielmo Pugliese “Gesta Roberti Wiscardi”
[1]. Circa un secolo prima in un atto
notarile del 915 facente parte della raccolta di pergamene dell’Archivio
Metropolitano di Trani
[2], Andria viene semplicemente menzionata
per indicare il “locus” di provenienza di un certo Ralemprando; in seguito il
suo nome è spesso riportato in altre pergamene di cui mi occuperò nel capitolo
relativo alle fonti letterarie. Da queste pergamene, come sarà possibile vedere
meglio in seguito, non è possibile trarre notizie sicure sulla condizione di
Andria nel sec. X, poiché essa vi è semplicemente annotata come luogo di
riferimento geografico, e le espressioni perifrastiche ricorrenti in tali
documenti possono trarre in inganno se prese isolatamente e valutate fuori dal
loro contesto. Eppure alcuni studiosi di storia locale
[3]
spinti da eccessivo amor patrio, hanno cavillato sui pochi passi di quelle
pergamene e hanno tentato, a modo loro, di trarne notizie intese a dare una
netta visione di ciò che era Andria nel X sec.- Altri ancora, come il Morgigni e
Mucci
[4] non
soddisfatti del lavoro svolto sulle pergamene, hanno tentato persino di risalire
ad un’Andria del IV sec.
In conclusione, la polemica e, di conseguenza, la
gran confusione che tuttora regna nel campo delle fonti letterarie mi hanno
obbligato ad un riesame dei documenti che, fra l’altro, ha fatto emergere qua e
là qualche elemento nuovo di una certa importanza.
Se ci si fermasse, però, solo alle fonti letterarie,
ci sarebbe ben poco da scrivere sulle origini di Andria. Il fatto è invece che
alcuni monumenti esistenti in Andria e i ritrovamenti avvenuti nel suo
territorio, rimandando ad un’epoca anteriore a quella indicata dalle fonti
letterarie già note, pongono dei forti interrogativi allo studioso. Vero è che i
ritrovamenti risultano sporadici, sia rispetto alle epoche testimoniate, sia
rispetto alla loro distribuzione geografica; però è anche vero che in Andria non
è mai stata condotta una organica indagine archeologica che solo potrebbe
fornire valide testimonianze ed elementi utili ad una proficua ricerca. Ma il
trascorrere del tempo diminuisce sempre più le già scarse possibilità che
sviluppo edilizio, fughe clandestine di reperti e incuria generale hanno ancora
lasciato.
Così il problema delle origini di Andria si ripropone
oggi press’a poco negli stessi termini di un secolo fa, non essendo valse a
costruire alcunché di solido né le ipotesi personali, né le accese polemiche, le
une e le altre basate per lo più su elementi storicamente non documentabili.
Certo non è che i pochi elementi archeologici della
storia andriese già noti non siano stati finora presi in considerazione, ma
anche questi hanno avuto un trattamento analogo nel metodo a quello usato per le
fonti letterarie e quindi scientificamente discutibile poiché piùà che lasciar
parlare, quand’è possibile, con il loro linguaggio inequivocabile le stesse
testimonianze archeologiche, gli studiosi locali hanno preferito parlare in vece
loro con il risultato che esse sono state spesso addomesticate in funzione di
una tesi precostituita da dimostrare.
Dalla constatazione, quindi, che pure le
testimonianze archeologiche, come i documenti scritti, giacciono ancora oggi
senza una sistemazione organica ed ancora oggi pongono gli stessi interrogativi
e problemi di una volta, nasce la necessità di riesaminare quel materiale
direttamente tutte le volte che è possibile o anche indirettamente, quando esso
non sia più disponibile, nel tentativo di dire qualcosa di nuovo o di diverso da
quanto detto dagli altri fin qui.
Si tratta, dunque, di “leggere„ qui più attentamente
e più obiettivamente le poche testimonianze rimaste intorno all’esistenza di
un’Andria anteriore a quella normanna storicamente accertata, e di aggiungerne
qualche altra emersa dallo studio condotto.
Le conclusioni che si potranno trarre, anche se
provvisorie e frammentarie (tale è infatti il limite che le condizioni
oggettive, in cui il lavoro si svolge, impongono) potranno pur sempre valere per
ulteriori ricerche sull’argomento.
[2] A. PROLOGO,
Le carte che si conservano nell’archivio metropolitano di Trani, Barletta
1877, p. 27.
[4] Cfr.
MORGIGNI,
Pagine sparse della storia religiosa e civile di Andria,
Andria 1919, pp. 113-115 e p.161, e MUCCI,
Sulle origini storiche della città
di Andria, Milano 1970, pp. 81-92.