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La Disfida di Barletta
Il giuramento nella Cattedrale di Andria - il Combattimento
L'Epitaffio
Premessa
Della Disfida di Barletta del 13 febbraio 1503 ne scrisse in un manoscritto
Vincenzo del Balzo (figlio di Battista I del Balzo e di Cecca di Monfort),
nobile capuano discendente dai Del Balzo andriesi, presente a quel combattimento e quindi «autore di veduta».
Pietro Gasparrini, nella sua indagine storico-filologica esposta nello studio
intitolato “Le rarissime cinquecentine capuane e in particolare quella concernente la disfida di
Barletta”, pubblicato nel 1962 sulla rivista fiorentina “Bibliofilia” (fasc. II,
anno 64º, tip. Leo S. Olschki), dichiara di aver copia del manoscritto di Vincenzo del Balzo e
a proposito dell'opuscolo, dal quale qui si estrae la narrazione della Disfida di Barletta, scrive:
[Frontespizio del rarissimo opuscolo sulla Disfida, stampato nel 1547]
Vediamo ora in particolare l'opuscolo intitolato Successo de lo combattimento delli tredeci Italiani e tredeci Franciosi fatto in Puglia ecc. ...
“Si tratta di un volumetto in 8º, alto poco meno di 14 centimetri, il quale
consta di 44 carte non numerate, che sono raggruppate in 11 duerni aventi le
segnature A4 – L4 e i richiami; sono bianche le carte [1v], [34v] e [44]. Il carattere
adoperato è corsivo, ma tutte le maiuscole sono in carattere romano. Il
testo di una pagina piena misura millimetri 118 x 72 e ha 22 linee. Il frontespizio è
incorniciato da una larga bordura silografica rettangolare, che ha un rosone ai
quattro angoli, due volute di fogliami con fiori nel riquadro in alto, altre due volute
nel riquadro in basso e composizioni ornamentali a guisa di candeliere ai due lati.
Iniziali silografiche, ornate con volute di fogliami, in bianco su nero, si trovano
alle carte [2v] e [5v]. ...
La narrazione del Damiani è un infedele rifacimento di quella che, durante la guerra
franco-spagnola di conquista del regno di Napoli, fu scritta dal così detto « autore di
veduta », il quale è stato da me identificato con il nobile Vincenzo del Balzo,
signore di Santa Croce del Sannio e di Mirabello nel Molise, cittadino capuano,
discendente da un ramo cadetto della celebre famiglia ducale di Andria.
Vincenzo del Balzo fu veramente testimone oculare e « de auditu » della disfida, perché
allora si trovava a Barletta, al seguito del famoso capitano spagnolo Diego de Mendoza,
appartenente a una delle più nobili e potenti famiglie di Spagna, nella cui abitazione
barlettana il tracotante francese Carlo de Chocques, signore di La Mothe-des-Noyers,
insultò atrocemente gli italiani la sera del 19 gennaio 1503; per di più, egli era
amico personale di Ludovico Abenavolo, uno dei nostri campioni, la cui figlia Luisa aveva
sposato da qualche anno suo nipote Tomaso del Balzo, nobile capuano. Nel 1547,
quando fu pubblicato l'opuscolo in questione, egli era morto da alcuni decenni, e anche il suo
unico figlio, Giovan Battista del Balzo, non c'era più; sicchè non
deve meravigliarci la mancata attribuzione a lui del suo adespoto manoscritto da
parte del Damiani.
Questi, nel rifare la narrazione di Vincenzo del Balzo, - pervenuta
anonima nelle sue mani, forse mentre ricopriva la carica di cancelliere della città di
Capua, ... - vi introdusse varianti arbitrarie e talvolta
erronee, specialmente nei nomi dei campioni, degli ostaggi e dei giudici di tutt'e due
le parti in gara, e documenti e lettere di dubbia o nessuna autenticità, che, se anche
veri nella sostanza, sono tutti alterati nella loro forma. Inoltre, vi aggiunse il
giuramento pronunziato sul Vangelo dai nostri campioni nel Duomo di Andria la
mattina del 13 febbraio 1503 e la parte essenziale del discorso del Fieramosca,
attingendoli da Giuliano Passaro, la cui cronaca allora già correva per le mani in
copie manoscritte. Aggiunse anche un' « oratione », che il capitano dei
campioni francesi avrebbe pronunciata ai suoi compagni immediatamente prima
della pugna. In ciò egli seguì l'usanza umanistica, alla quale non si sottrasse neppure
Francesco Guicciardini, di inserire nella narrazione storica discorsi completamente
inventati. ...
Quindi, se oggi vogliamo conoscere la verità sulla disfida di Barletta, dobbiamo
necessariamente ricorrere al manoscritto autografo di Vincenzo del Balzo, che della
disfida fu uno storico singolare, perché la vide svolgere sotto i suoi occhi dal
prologo all'epilogo, e la cui narrazione, per fortuna pervenuta fino ai nostri giorni, è
un documento degno di piena fede, eccetto che nella grafia dei nomi stranieri [e in nota il Gasparrrini precisa:
La parte del manoscritto di Vincenzo del Balzo riguardante l'epico combattimento
è integralmente riprodotta in appendice alla mia monografia su L' «
autore di veduta » e la sua narrazione della disfida di Barletta, che
pubblicherò presto.]. ...”
A seguire dal citato e rarissimo opuscolo si trascrive uno stralcio degli avvenimenti del 12 e 13
febbraio 1503 interessanti Andria ed il combattimento, in quanto rispondendi di massima al vero,
e tralasciando missive, esortazioni varie ed "orazioni" in esso riportate, per la loro dubbia autenticità.
[Per inciso si fa presente che, pur avendo di questo opuscolo una ristampa dell'Ottocento (1844) che
riporta corretti parte degli errori linguistici (mantenendo comunque la
stessa ortografia e punteggiatura), si è preferito trascrivere l'originale
del 1547, per fornire un fedele esempio della lingua in vigore a metà del Cinquecento.]
da “SUCCESSO DE LO COMBATTIMENTO
delli Tredeci Italiani, e Tredeci Franciosi … nell'anno 1503”
(a cura) di Giovanbattista Damiani
(stralcio degli avvenimenti del 12 e 13
febbraio 1503 interessanti Andria ed il combattimento)
... ... ...
[Disfida di Barletta: il giuramento nella Cattedrale di Andria - disegno di Tommaso Minardi]
[stralcio di pag. 21recto: giuramento nella Cattedrale di Andria]
Radunati in sieme li Tredeci Cavalieri Italiani, in Andri, & ivi con lloro Prospero Colonna, el Duca de Termuli,
& altri Cavalieri Italiani, e Spagnoli, la Domenica di sera, a li Dodeci del mese. Fu concluso:
che senz’altro lo Lune di seguente, ch’era la giornata deputata, cõ lo nome del Signor Idio, se dovessero presentar’ al campo.
Ma per che mal’ se puo fare cosa alcuna per gli huomini: senza il favor del .S. ch’el tutto vede, & opra.
Lo Lune di matino gli Tredeci Cavalier accompagnati, da gli pre nominati, andorno alla messa devotissimamente,
volēdo procedere in una cosa di tãta importãza, e fama, Cristianamente: e con sollennita di religione sperando
nõ per questo haversegli agiūgere piu animo ( di quel ch’aveano ) ma da un tal debito,
& honor’, restar confirmatissimi, in quello haveano deliberato.
Et cossi comunicato il preite, alla fin’ della messa. Lo Hettor’ fieramosca andò da Prospero Colonna: e lo priego li concedesse,
posser richiedere, gli soi compagni d’un sollenne giuramento. Lo che piacque al Prospero Colonna,
e cossi Hettor’ se voltò a’ suoi compagni, humanissimamente pregandoli, gli piacesse giurar’, quel medesmo che lui giurava.
Allo che risposero quei Cavalieri, ch’erano contentissimi seguirlo, in ogni Fortuna. Lui se ingenochio avante l’altare,
dove il preite anchora diceva la messa, e poste le mano gionte sovra lo Evangelio, giuro ad alta voce.
Voler prima morire, che uscir’ del campo per su’ voluntà, altro che vencitore. Et prima elegersi la morte,
che mai rendersi per vinto con soa bocca: e poi vedendo alcun’ de soi compagni haver’ bisogno d’agiuto far in tal caso,
come desiderasse fosse fatto in persona soa, per ricuperation de soi cõpagni: ancho che sapesse di perdere la vita.
Fatto tal giuramento, diede luoco à gli altri, quai de buona voglia fero il simele giuramento.
Et ancho di stare ad un’ voler, ad un’ esseguir’ per quanto la buona sorte, e forza, de ciascuno bastasse.
Partiti dalla messa, se n’andorno alla stãtia di Prospero Colonna. Dove fero giontamēte colatione:
& poi se nandorno alliegramēte ad armare, & armati mõtorno à cavallo, …
... ... ...
Ordine del procedere che fe nel andar al campo,
Hettorre fieramosca, & gli altri suoi compagni
Italiani, & del combattimento, & vittoria cõseguita.
Partendo da Andri, Hettorr’ fieramosca, e compagni, per comparere al campo, procedevano nel modo che segue.
Primo andavano tutti li Tredeci cavalli delle persone, portati da tredeci Capitani de fanti. Luno appo laltro,
cõ debito intervallo: copertati, & armati, secondo el bisogno richiedea. Do poi col medemo ordine seguitavano
li combattitori à cavallo: armati de tutt’arme, dagli elmetti infuora. Seguivano appo lloro Tredeci gentilhuomini
che portavano gli elmetti, e le lanze, de gli prenominati combattitori.
Et continuavano il camino verso detto campo: & essendo vecino à quel’ un miglio, trovaro i Quattro Giudici Italiani,
quai ferõ intendere ch’erano stati insiemi con li quattro Giudici Francesi, & che haveano signato il cãpo,
& ordinati li patti del combattere, ma che li combattitori Francesi infin’ à quel’hora, non erano gionti.
Onde parve ad Hettorre e compagni, proceder’ avante: e cõdotti vecino il campo, ad un mezo tiro di balestra,
Hettorre e compagni, smontorno da cavalli, e fatta Oration’ al Motor di su.
Do poi Hettorre parlo à soi compagni, nel modo che segue.
... ... ...
E finito tal ragionamento, e fatta la debita oration’ à Idio, montar’ à cavallo à detti cavalli, copertati.
Ponendosi ciascuno l’elmetto in su la testa, e le lanze alla coscia, e se aviaro verso il campo .
Dallaltra parte la Motta, e compagni, … … … Ciascuno monto a cavallo, e se ordinorno nel proceder’, in questo modo.
Primo andava un gentilhuomo Francioso, qual portava l’elmetto e la lanza di Monsignor dela Motta: Do poi seguivano altri dodeci
gentil huomini, che ciascun’ de loro portava simelmēte la lanza, e l’elmetto, de ciascun’ delli combattenti, à doi,à� doi,
con debito intervallo. Seguivano poi gli Dodeci combattitori, armati de tutt’arme, senza elmetti, simelmente da doi, in doi,
col medesmo ordine. Et appresso seguiva la Motta solo, drieto à lui gli venea el caval’ di su persona, & appresso seguitavano
tutti gli altri dodeci cavalli, dele persone de gli altri combattitori: da doi in doi, con l’intervallo debito,
portati tutti de gentil huomini, Franciosi, e con tal ordin’ presero il camino verso il designato campo:
[Il primo disegno della Disfida di Barletta - Bibl. Angelica di Roma]
& avicinatesi à quello, per un brieve spacio, havendo visti gli Cavalieri Italiani, ch’erano gionti, e provedevano,
e circuivano il cãpo: smontati da gli cavalli che portavano: s’ingenochiorno tutti, & fatta con le man gionte, verso il cielo,
la debita oratione: ciascuno se fe allacziar l’elmetto, e monto à cavalo, à su cavallo, & postasi la lãza al debito luoco,
cõ grandissima leticia simelmente loro andorno à torno il campo, provedendo quello. Do poi fatto questo,
se fermorno in un luoco, al opposito dove stavano gli Cavalieri Italiani.
Donde lo Hettorr’ gli fe intendere, che dovesser’ intrar lor’ prima, nel campo: perche cossi era di ragione.
Et cossi la Motta, e suoi compagni Franciosi, con loro cavalli copertati, & armati, secondo il bisogno, intorno del campo.
Et lo simil fù fatto ք gli Cavalieri Italiani.
& mossi li Franciosi di circa quattro passi, verso gl’Italiani: quelli fer’ il simile, verso loro. Et non parendo ad Hettorre,
e suoi compagni, doversi piu tardare: se aviaro con lento passo à trovar gli Franciosi, e quelli se cominciorno ad vicinar in simil modo,
verso gl’Italiani. Et essendo luna e laltra parte lontana, da Cinquanta dessi: cominciorno ad andar di galoppo: & avicinati
per spacio de vinte passi, li Cavalieri Francesi, se partirno in doe parte, da una banda sette, e da laltra sei,
e cõ impeto à tutta briglia andavano verso gl’Italiani. Li quai vedendo questo: cinque de loro, dietro sovra li sei Franciosi, e gli altri otto, sovra li sette.
Et postesi le lanze alla resta, s’incõtrorno: e per esser stato il spacio pigliato invalido, speczorno alcune lanze, con poco, anci nullo effetto.
Puro gl’Italiani se trovorno uniti: e li Frãciosi in disordin’, e postosi per ciascuno mane a li stocchi, & accette, che portavano:
se comincio la battaglia alla stretta: e combattendosi per l’una, e l’altra parte, valorosamente: gli Frãciosi trovandosi disordinati
for’ constretti ridursi in uno cantone del campo, e con al quanto spacio, ripigliato il fiato, con grandissimo impeto, andaro verso Italiani,
tutti gionti, e combattendosi per un quarto d’hora, per la parte Italiana fù post’ à terra un Francese, nominato gran Ian’ d’Aste,
il qual havendo ricevute alcune ferite, fù soccorso da gli altri, franciosi, sovra il quale restorno tre italiani, e gli altri
valorosamente combattevano contra gli altri franciosi, e stringendosi la battaglia aspramente la luna, e laltra banda,
for’ messi à terra doi altri franciosi, quai l’uno se nominava Martellin de Sambris, e l’altro Francisco de Pisa:
quai se renderno pregioni alli cõbattitori italiani.
In quel mezo che la battaglia andava stretta, non manchava Hettorre con parole, e con fatti, soccorrer’ su banda: dove vedeva il bisogno,
e lo medesmo se faceva per la Motta. Ciascun de loro dando animo, à suoi compagni; come se conveneva.
Et durando la battaglia à tal guisa, fur feriti doi cavalli, à doi italiani, l’uno nomnato Meale da Paliano, l’altro Giovan da Roma,
i quai dismõtorno à pie, e l’uno, de loro, pigliata una lãza, che trovo ivi, nel suolo del campo, l’altro uno schieltro che lui havea,
se difendevano molto bene dal’impeto francioso: essendo gia soccorsi da gli altri compagni italiani, quai con lor cavalli havendoli attorniati,
nõ comportavano che quei fossero ponto dannegiati, da la cavaglieria franciosa, il gran Gian d’Aste, qual prima era stato posto à terra,
trovandosi ferito, ne possendosi piu defender’, come havea fatto e bene, simelmente se rendio pregione alla parte italiana.
Donde Hettorr’ vedendo che la parte franciosa era cominciata ad inclinar’, per la perdita de gli tre, compagni: con coragioso animo fatto un corpo
con gli altri compagni, di novo assagliorno li diece franciosi remanenti: nel qual impeto labbattero à terra un altro frãcioso,
nominato Nauti de la frasce: & un altro per nome Giraut de Forses, usci del campo, e foro ambi doi pregioni.
[stralcio di pag. 32verso: descrizione ultima fase della sfida e vittoria degli Italiani]
De modo che gl’italiani vedendosi la Fortuna fautrice, di nuovo ristrettesi insieme e fatto impeto, si aventar’ adosso alli Otto franciosi,
quai valorosissimamente combattendo fù buttato à terra la Motta, il quale rizatosi in piede con l’agiuto de gli remanenti cavalli franciosi,
se defendeva molto bene e combattendosi fù pigliato pregione Saccet, di Saccet: simelmēte frãcioso, succese che uno delli italiani,
(seguitando un francioso) il cavallo usci fuora del campo, gli altri italiani fra poco spacio cacziaro un altro francioso:
& uno de quei italiani ch’erano appie fù ferito d’una stoccata in faczia: & un altro italiano combattendo,
fu transportato dal cavallo, per alquanto spacio fuora dal campo.
Et combattendosi piu fervidamente, fù da Hettorr’ ք forza, gagliardissimamente , cacziato del campo la Motta: qual se trovava à pie &
un altro francioso combattendo, e trovandosi astretto, dali cavalli italiani, fù necessitato per suo scampo smõtar e combattere à pie,
& mentre che la battaglia andava in tal modo, un altro italiano fù ferito d’una stoccata nela coscia, che cela passo da luna alaltra banda,
gli altri italiani vedendo che se trovavano di lunga soperiori, con magior animo, combattendo cacziar del cãpo un altro francioso:
remanendone solamente Tre. De li quai doi se ne trovavano a cavallo, & uno à pie, bēche valentemente se defendessero,
puro li doi à cavalo non possendo resistere, à tanto numero de combattenti italiani, & a lor vigore, l’uno se rendio pregione,
e laltro fù per forza cavato del campo. Restando in quel’ solo quel à pie: il qual fugendo per il cãpo, hebbe tante ponte de stocchi,
e colpi daccete, che non possendo resistere, gli fù forza rendersi pregione, e fù cavato fuora del campo.
Restãdo la Vittoria de tal impresa agl’italiani, li quai, una con Hettorr’ ritrovandosi nel colmo di tanta gloria, lieti per spatio di mez’hora
andaro correndo, e cavalcando, il campo. Con Iubilo di sono, de tante trõbette, & altri instrumenti di guerra, che humana lingua
nol potria esprimere, e cossi con la medema letitia gloriosi, d’una tãta Vittoria ricevuta, saccinger al camino verso barletta:
& Hettorr’ ordino che nel caminar’ se dovesse proceder’ in tal modo.
Volse che li pregioni francesi fossero posti à cavallo, e menati da tante persone particolar’ à piede, cõ le briglie in mano.
Dopo seguiva lui con l’elmetto in testa, & armato tutto: & appresso ad esso seguivano tutti gli altri vincitori, lluno, poi laltro,
con debita distantia: simelmente armati, e con l’elmetto in testa, e con la solita gravità Italiana, e modesta allegreza,
caminavano alla volta del gran Capitano Consalvo Fernando: il qual venia da Andri ad incontrarli, havendo havuta la nova di tãta Vittoria.
... ... ...
[testo tratto dal rarissimo opuscolo in 8º "SUCCESSO DE LO COMBATTIMENTO delli Tredeci Italiani, e Tredeci Franciosi,
fatto in Puglia, con la Disfida, Cartelli, e la Virile Essortazione, che fece lo Capitaneo Fieramosca
à gli compagni, e la gloriosa Vittoria ottenuta da gli Italiani. Nel anno. 1503"
(a cura) di Giovanbattista Damiani, stampato nella fidelissima Citta di Capua, per Giovanne Sultzbach,
A dì undeci di Giunio. 1547, pp. 21r, 21v, 22r del duerno F.; varie pagine dei duerni G-H-I]
[Epitaffio della Disfida di Barletta -
Foto Alinari 35191. Fototeca INASA, fondo Ricci, inv. 18577 - ladide con l'epigramma latino del Bargeo]
Ottanta anni dopo la "Disfida di Barletta", nel 1583, Ferrante Caracciolo, duca di Airola e preside di Terra di Bari e di Terra d'Otranto,
onde conservare memoria della vittoria degli Italiani, fece erigere nei pressi del Campo della Disfida,
un monumento, sul quale fu affissa una lapide col seguente
epigramma scritto dal poeta latino umanista Pier Angelio Bargeo (Petrus Angelius Bargæus, 1517-1596);
il testo sulla lapide presenta lievi differenze rispetto al carme nel 4º verso ("nobilis egit" al posto di "altus adegit").
DE XIII ITALORUM CUM XIII GALLIS PUGNA IN
PEUCETIIS EX PROVOCATIONE COMMISSA
Quisquis es, egregiis animum si tangeris ausis,
Perlege magnorum maxima facta ducum.
Hic tres atque decem forti concurrere campo
Ausonios Gallis altus adegit amor,
Certantes utros bello Mars claret et utros
Viribus atque animis auctet alatque magis.
Par numerus, paria arma, pares ætatibus, et quos
Pro Patria pariter laude perisse iuvet.
Fortuna et virtus litem generosa diremit:
Et quæ pars victrix debuit esse, fuit.
Hic stravere Itali iusto in certamine Gallos,
Hic dedit Italiæ Gallia victa manus.
[mia traduzione libera in italiano]
Chiunque tu sia, se d’eminenti e ardite imprese ammaliato vai,
apprezza dei fieri condottieri le eccelse gesta.
Qui sublime ardore in epico certame a battersi incitò
tredici d’Ausonia contro tredici di Francia,
tanto che Marte stesso sembrava tra lor pugnare
e in essi fomentare ardimento e vigore.
Pari il lor numero, l’armi, l’età, e parimenti entusiasti
d’eroicamente immolarsi per la Patria loro.
La fortuna e l’alto valore risolse la battaglia:
e la schiera a cui spettava conseguì la vittoria.
Qui gl’Italiani in leale scontro atterrarono i Franchi,
qui la vinta Francia la mano porse all’Italia.
In calce all'epigramma fu aggiunto un testo che tramandava memoria del promotore dell'epitaffio, Ferdinando Caracciolo, e dell'anno d'erezione, il 1583.
OPT[imo] MAX[imo] EXERCITUUM
DEO
FERDINANDUS CARACCIOLUS ÆROLÆ DUX CUM A PHILIPPO
REGUM MAX.[imo] NOVI ORBIS MONARCA SALENTINIS IAPIGIBUSQUE
PRÆFECT[us] IMPERARET VIRTUTIS ET MEMORIÆ CAUSA OCTOGINTA
POST ANNIS P.[oni] C.[uravit]
ANNO A CHRISTO DEO NATO CIƆ IƆ LXXXIII
Della Disfida, del su riportato opuscolo del Damiani nonché dell'epitaffio ne parla anche Gio. Battista Pacichelli
in
una sua lettera del 31 gennaio 1691, inviata al Dott. Bernardo Lodoli di Venezia
“Anch’io hò lette con gusto, e vedute con diletto le Memorie, che à V.S. piace raccordarmi della nostra,
sempre Gloriosa, Nazione d’Italia, contro gli ardimenti de’ Francesi nella Provincia di Puglia,
ed appunto nel fertil’e vago Stato del Sig. Duca di Andria Carafa, poco lungi dalla sua capitale,
e presso la Terra di Corate, ò Quarata, che non invidia le Città migliori.
Colà fù aperto il Campo guerriero di tredici forti Cãpioni di ciascuna delle due Parti; signoreggiando
gli Spagnuoli in Calabria, ed in Puglia col lor Generale
D. Consalvo Fernando di Cordova, detto il Gran Capitano, ed i Francesi
col Duca di Nemours, il rimanente del Regno.
Mà, perchè questi magnificavano il solo proprio valore, con recarsi à dispregio lo spirito degl’Italiani;
si convenne in Barletta farne prova pur nel luogo accennato, in forma di particolare combattimento,
co’ suoi Giudici, e Ostaggi, i quali nomina co’ Duellanti Gio: Battista Damiani, e da lui trascrive
Gio: Ant. Summonte nella Storia di Napoli 6.4. à conditione che ogni Vincitore acquistasse l’Armi,
e’l cavallo del Vinto, con cento scudi d’oro.
Udita dunque la Messa nel lunedì 4. Ferraio 1503. entraron nella zuffa, ove non andò guari, che periron
tutti i Francesi, restando, con un sol ferito, i Nostri Vincitori.
Quello Steccato, che per Noi divenne allora fecondo di Palme, serba hoggi, in una Piramide di pietra, scolpito il Fatto così.
... ... ... ”
[testo tratto da “
LETTERE FAMILIARI, Istoriche, & Erudite, tratte dalle Memorie Recondite dell’Abate D. Gio. Battista Pacichelli
in occasione de’ suoi Studj, Viaggi, e Ministeri”,
Tomo I., appresso li Socii Parrino, e Mutii, in Napoli, M.DC.XCV., pp. 136-137.]