Si trascrive (nella traduzione in italiano) un breve stralcio del lavoro di Barbara Baert “The legend of the True Cross Reconsidered: A Discovery in the Grotto Church of Andria, Italy (fifteenth century)”, pubblicato in “A Heritage of Holy Wood: the Legend of the True Cross in Text and Image” da Koninklijke Brill, Leiden - Boston nel 2004, perché esamina brillantemente, sia sotto l’aspetto storico che artistico, gli affreschi dell’ “invenzione della Santa Croce” presenti nella nostra omonima Chiesa rupestre, “Santa Croce”, di Andria.
Parte del testo in inglese (tradotto dall’olandese da Lee Preedy e dal
quale, traslata in italiano, è stralciata la presente pagina), pubblicata da “Lirias”
della “Katholieke Universiteit Leuven”, Paesi Bassi, ed. IRSA, 2012, serie “Artibus et Historiae”,
vol: 33 emissione: 66 pagine: 49-74, è
liberamente scaricabile su web dal relativo sito,
al quale si rimanda per una lettura e studio integrale dell'argomento.
Nella Enciclopedia Costantiniana della Treccani, pubblicata online è possibile leggere
un ampio estratto scritto da Barbara Baert su "
La leggenda della vera croce e la sua iconografia (VIII-XV secolo).
La disseminazione dei cicli figurativi in prospettiva europea", dove è inserito un accenno agli
affreschi presenti nella chiesa rupestre di Santa Croce di Andria.
Il testo originale è ricco di ottime immagini, ma quelle riportate in questa pagina non provengono da esso;
se non diversamente specificato, sono state tutte riprese da Sabino Di Tommaso
(autore della pagina e dell'intero sito andriarte), prima (nel 1968) e dopo il restauro (nel 2013) della chiesa rupestre
"Santa Croce".
Quanto è scritto tra parentesi quadre non è nel testo originale, ma è
un'osservazione o un commento o una sintesi del redattore di questa pagina; anche i link di ancoraggio ad altre pagine sul web non sono nel testo originario.
da
di Barbara Baert
prof.ssa docente nell'Università di Leuven (NL) - dipartimento Storia dell'Arte,
responsabile gruppo di ricerca di iconologia medievale,
membro della Reale Accademia delle Scienze del Belgio, Classe delle Arti.
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“La Legenda aurea divenne la fonte per cicli iconografici sulla leggenda della Croce. In Andria, il ciclo è limitato agli episodi della Regina Elena e l’Inventio Sanctæ Crucis.
Nella chiesa rupestre di Andria, elevata su una pianta trapezoidale, la leggenda del ritrovamento della Croce si trova nella navata laterale destra (11).
[la pianta della chiesa rupestre attraverso i secoli - elaborazione elettr. su rilievi degli arcch. A.Giorgio e F.Nicolamarino]
La pianta deve la sua capricciosità alle numerose modifiche portate alla struttura della Chiesa nel corso dei secoli.
La chiesa rupestre fu scavata nel X secolo da eremiti greci, i cosiddetti monaci basiliani, che, da est della Sicilia, furono in continuo movimento verso nord lungo la costa adriatica.
Nel XIII secolo ci fu un adattamento morfologico del coro da parte dei monaci benedettini. Nel XIX secolo fu scavato il suolo intorno alla cripta e furono aperte delle finestre, purtroppo distruggendo parti del ciclo della leggenda della Croce (12).
[la chiesa rupestre di Santa Croce di Andria prima dei restauri della 2^ metà del Novecento - foto storica]
Il ciclo è raccontato in quattro scene distinte:
(13)
- Arrivo di Elena e del suo seguito a Gerusalemme;
- Penitenza di Giuda Ciriaco in un pozzo disseccato; dopo sette giorni senza cibo né acqua rivela ad Elena il posto della Croce;
- Test della Croce; la vera croce è individuata quando un giovane uomo torna in vita;
- Venerazione della vera Croce.
Una visita in loco ha immediatamente mostrato che la finestra distrusse altre due scene che facevano parte del ciclo, come appare dai bordi delle scene affrescati intorno ad essa.
[i sei riquadri dell'invenzione della croce e la finestra deturpante - elaborazione elettr. su foto di Sabino Di Tommaso, 2013]
Sulla base della tradizione iconografica, ipotizzo che vi sia stata una scena raffigurante
l"inventio" della Croce, scena che non manca mai in cicli come questo.
Dal punto di vista della tradizione letteraria, la sesta scena potrebbe essere stata quella in cui Elena divide la Croce tra Gerusalemme,
Costantinopoli e Roma, forse raffigurata in una translatio o in una processione.
Un’alternativa potrebbe essere il ritrovamento dei chiodi, che in alcune fonti letterarie viene dopo la venerazione.
Il fatto che nelle altre scene i fori dei chiodi sulla croce sono chiaramente visibili dà a questa possibilità una sostanziale probabilità.
Il programma di affreschi realizzato nella chiesa in diverse fasi nel corso dei secoli, a partire dal XIII secolo, rende la ricerca stilistica piuttosto complessa.
Una mano simile a quella dell’Inventio può essere riconosciuta nella scena con S. Dorotea e in
quelle della Genesi,
con la raffigurazione di una peculiare Trinità - un corpo con tre teste - nella creazione di Eva
(14).
[S. Dorotea nell'arco di accesso e la creazione di Eva nel transetto - elaborazione elettr. su foto di Sabino Di Tommaso, 2013]
Nei due rapporti su citati del 1978 e del 1989, una congenialità stilistica delle scene della Inventio
con una rappresentazione di Urbano V ( 1310 - Avignon 1370 ) è menzionata come terminus post quem
(15).
La tradizione vuole che questo papa abbia trovato le teste dei Santi Pietro e Paolo a San Giovanni in Laterano;
perciò era raffigurato con le teste dei due apostoli
(16).
L’artista di Santa Croce si caratterizza come provinciale, un po’ goffo, e come epigono dell’arte senese, che aveva già superato il suo apice al momento
(17).
La mancanza di fonti rende difficile impostare una data esatta di esecuzione. Molajoli suggerisce l’inizio del XV secolo,
e nei rapporti sul restauro si fa menzione dell’ultimo quarto del XIV secolo (1375-1400)
(18).
Ferdinando Bologna fissa la data intorno alla metà del Trecento
(19).
I margini per la nostra datazione sono quindi relativamente ampi: vanno dal 1350 al 1430.
È probabile che i dipinti siano costituiti da due strati: uno tardo trecentesco quando fu dipinto anche papa Urbano V,
e uno dell'inizio del XV secolo, quando fu realizzato il ritrovamento della Croce
(20)
Tutte le datazioni proposte rientrano nei margini dell’insieme di opere conosciute, ricercate ed elaborate,
inerenti la leggenda toscana della Croce: in Firenze (1388-1392), a Volterra (1410) e ad Empoli (1425).
Il ciclo dipinto da Agnolo Gaddi (21) nel 1388-1392 era un prototipo, come appare chiaro da un documento di Montepulciano
in cui si afferma che nel 1415 Nanno di Caccia fu pagato per la creazione di una copia del ciclo nella locale chiesa
di San Francesco, oggi non più esistente (22).
Il ciclo di Piero della Francesca a Arezzo (prima del 1466), è considerato il punto più alto di questo insieme di opere (23).
Il ciclo di Andria, però, appartiene molto chiaramente ad una tradizione diversa ed evidenzia caratteristiche iconografiche differenti.”
… … …
[L’autrice, Barbara Baert, esamina poi alcuni prototipi di raffigurazione di Sant’Elena in trono, a partire dalle rappresentazioni di epoca carolingia, presenti in varie chiese a sud di Firenze sino a Palermo, evidenziando che sembra essere esistito uno specifico scambio di modelli iconici sulle strade del Mediterraneo, nelle quali Andria, in merito alla leggenda della Croce, si pone come punto di intersezione tra il centro Italia e le regioni di Sicilia e Calabria.]
[Dedica indi la sua attenzione alle scene della venerazione della croce e rinviene che nella realizzazione iconografica l’artista di Andria ha ben coniugato le limitate possibilità date dalla tettonica del luogo con l’economia narrativa degli episodi, mostrando alcune affinità con i modelli greci, essendo inoltre influenzato dal notevole flusso di oggetti e persone che dalla Terra Santa e da Bisanzio al tempo giungevano o attraversavano la Puglia. Definisce quindi questo specifico contesto iconografico andriese come, sommariamente, convenzionale nel suo modello narrativo e basato su prototipi altomedievali.]
[Presenta poi, la Baert, le implicazioni connesse con i pellegrinaggi in Terra Santa; afferma:] “Gli affreschi della chiesa di Santa Croce, sono serviti probabilmente come prima tappa per chi giungeva in Andria a contemplare la sacra spina. Le scene nella [nostra] chiesa in grotta sono un contributo narrativo ai ricordi, agli oggetti e i souvenir di Gerusalemme e della Croce; in breve, ... sono tracce di come il Medioevo ha immaginato i luoghi santi di Gerusalemme. I nostri murales raccontano quel luogo sacro all’interno dello spazio liturgico. Queste dinamiche commemorative tra immagine e spazio assumono nuovamente un notevole significato nell’intimità della chiesa in grotta, ricordando [al pellegrino] che ugualmente sub divo fu trovata la croce, e che la cappella del ritrovamento della Croce di Gerusalemme era una cappella sotterranea.”
[Per ultimo l'autrice riflette sul dato che Santa Croce di Andria è una Chiesa in grotta in un contesto di civiltà rupestre, come in diverse località orientali. Essa era la chiesa principale di una laura che si affacciava sul torrentello Aveldio, luogo centrale sia di culto che di commercio agricolo per i nativi coloni; purtroppo le grotte circostanti la cripta, che costituivano il suddetto nucleo abitativo, sono state quasi tutte distrutte dalle nuove costruzioni.]
[Dopo aver accennato anche ad una probabile influenza francescana sulla tematica di alcuni affreschi nella nostra chiesa rupestre di Santa Croce (un Sant'Antonio di Padova è dipinto nella navata sinistra), Barbara Baert conclude asserendo che in Andria l'intreccio di culture tra oriente ed occidente, evidenziato dalle varie chiese in grotta e, in particolar modo, da Santa Croce, rinviene non solo come effetto della dominazione bizantina, dei pellegrinaggi, e degli scambi commerciali, ma soprattutto come conseguenza della civiltà rupestre al tempo dominante. Scrive infine:]
“In Andria la coniugazione dell’aspetto narrativo con quello contemplativo è completamente adattata alle funzionalità
e alle caratteristiche delle chiese rupestri in grotta. Sappiamo che
Beltrando Del Balzo,
il quale aveva sposato Beatrice della dinastia angioina, riutilizzò le laure abbandonate e le fece dipingere.
È noto anche che al Del Balzo piaceva collegare la propria identità dinastica con la Terra Santa
[si diceva discendente di uno dei tre magi, Baldassarre, che visitò Gesù alla nascita] e che aveva
una predilezione simbolica per le reliquie importanti [come la Sacra Spina che la moglie Beatrice portò con sé ad Andria].
L’ invenzione della Santa Croce di Andria va oltre i confini dello spazio e del tempo.
La mia impressione è che le caratteristiche iconografiche del Nord qui si sono fuse nel “crogiolo” [o substrato] greco-latino.
Nella già morente cultura basiliana delle chiese rupestri, l’iconografia è stata influenzata
dagli ultimi superstiti schemi bizantini. Andria (senza contare il massiccio del Gargano)
è uno degli angoli remoti più a nord della civiltà rupestre [del meridione]. Il suo ritrovamento della croce,
però, è il più meridionale ciclo pittorico murale di questo tema che si sia trovato fino ad oggi in Italia.
La sua iconografia è assolutamente singolare nel contesto delle laure; potrebbe quindi essere considerato
atipico per la civiltà rupestre.”
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