Sia le seguenti note storiche che le modalità di preparazione della
“cǝrvǝllèitǝ mbǝmèitǝ”
e del “mǝscìscǝchǝ”
mi sono state fornite, in una amicale intervista, dal signor Francesco Amorese,
andriese esperto per secolare tradizione di famiglia nella lavorazione e commercializzazione delle carni equine.
Sono state consultate anche le seguenti fonti:
- “Carne equina e storia dell’Ippofagia in Puglia”, studio del dott. Michele Polignieri, in “di Testa e di Gola”, 12/02/2015;
- “La ‘Muschiska’ tra storia e culinaria”, studio dell’antropologo Marco Miosi, pubblicato da “scianet.it”, il 25/07/2010;
- la ricerca recentemente (05/2018) effettuata da Nicola Montepulciano sulla “salsiccia tradizionale andriese” in alcune beccherie
della Città.
[mǝscìscǝchǝ i cǝrvǝllèitǝ mbǝmèitǝ,
le carni (di cavallo) affumicate andriesi - foto S. Di Tommaso, 31/05/2018)
La carne affumicata andriese, “la (salzizzǝ) cǝrvǝllèitǝ mbǝmèitǝ” e “u mǝscìscǝchǝ” traggono tradizionalmente origine dalla necessità esistenziale di utilizzare il bene economico “cavallo” anche quando, per eventi accidentali o per l’età avanzata era da sopprimere.
Logicamente una carne proveniente da un animale macellato perché accidentatosi o perché anziano aveva un valore commerciale di gran lunga inferiore a quella degli animali d’allevamento come, ad esempio i bovini ed ovini; inoltre l’ufficiale sanitario del mattatoio poneva sulla carne equina un marchio di colore e forma differente (nero) da quella bovina (rosso), perché fosse commercializzata separatamente, in esercizi ad essa appositamente destinati, in quanto carne ritenuta non pregiata.
Questo stato di cose faceva sí che la carne equina fosse più acquistabile dai ceti meno abbienti, che comunque erano in grado di comprarla solo nei giorni festivi ed in quantità piuttosto misera.
Attualmente la carne equina non proviene più da animali divenuti inabili al lavoro, ma da allevamenti di produzione; le norme sono state conseguentemente modificate e attualmente viene trasformata e venduta insieme alle altre carni rosse; non è considerata più una carne di qualità inferiore (perché non lo è, anzi si presenta molto ricca di ferro: 4,5 mg/100g, oltre il doppio di quella bovina) ed ha prezzi analoghi a quella bovina.
Diverse sono le circostanze che indussero i macellai andriesi ad inventarsi la trasformazione
della carne equina fresca in affumicata e conservabile per lungo tempo:
- l’originaria scarsa vendita per la diffusa povertà della popolazione nei secoli scorsi, onde restavano invenduti elevati quantitativi di carne macellata;
- la rapida ossidazione nell’esposizione all’aria sul banco di vendita con il conseguente annerimento superficiale che,
pur non pregiudicando la qualità della carne, la rendono meno apprezzabile;
- la scarsa stabilità e, quindi, conservabilità anche in celle frigo, specialmente se lasciata comunque a contatto con l’aria;
- l’uso fin dai tempi più remoti di seccare ed affumicare le carni ovine da parte dei pastori transumanti
nel nostro territorio (la “Regia Dogana della Mena delle Pecore di Puglia” documentata da fine Medioevo),
quando erano costretti ad abbattere una pecora per aver brucato un’erba spigata.
[1]
Nel Sette-Ottocento l’unica e importante beccheria di Andria era nella Piazza Grande (così chiamato allora il largo antistante Sant’Agostino) ed era di sola carne bovina, in quanto era quasi interdetta la vendita di quella equina, che aveva pochi locali di vendita autorizzati e ben distinti (onde proliferava la vendita in “contrabbando” per sfuggire controlli e dazi).
[La beccheria e i suoi banchi esterni in
Largo Sant'Agostino, 'La Piazza' nell'Ottocento - elab. S. Di Tommaso)
Per la preparazione del cosiddetto “mǝscìscǝchǝ” di cavallo si usa prevalentemente la carne del diaframma e, poiché questo non è molto grande, spesso si aggiunge altro taglio simile per raggiungere una quantità di lavorazione conveniente. Il diaframma è indicatissimo per tale uso essendo carente di tessuto connettivo interno e, contemporaneamente, è molto irrorato di sangue nonché semigrasso, caratteristiche che lo rendono succoso e molto saporito.
I pezzi, dopo aver asportato la membrana superiore di tessuto connettivo, vengono aromatizzati condendoli con sale, finocchietto selvatico, la “sǝmmèndǝ dǝ la Mǝrgǝ”, e pepe, indi posti a riposare-macerare per due giorni circa (più o meno secondo le stagioni) in un recipiente (inerte come ad esempio d’argilla e certamente non di plastica!), badando a eliminare periodicamente i liquidi di scolo.
Dopo la macerazione i pezzi di carne vengono appesi molto in alto in un forno piuttosto grande sia in ampiezza che in profondità, nel quale si fa bruciare a fuoco vivo legna di bosco (quercia, faggio, …) o, in mancanza (perché rara), legna di mandorlo o ciliegio, avendo cura che le fiamme non lambiscano la carne. Questa al calore rilascia parte dei succhi lipidei interni, i quali, cadendo sulla brace assorbono le fragranze proprie del legno e risalgono sotto forma di pregevoli fumi impregnando e aromatizzando la carne nella sua lenta cottura (tra i 90 e i 120 minuti circa).
A fine cottura “u mǝscìscǝchǝ” appare di un bel colore rosso sfumato al bruno, e il suo caratteristico odore, quando è fresco di lavorazione, inebria e tenta potentemente all’assaggio l’avventore che vi s’approssima.
[Le carni durante la cottura-affumicatura - foto F. Amorese, 06/06/2018)
Se per la preparazione del “mǝscìscǝchǝ” di cavallo si usa prevalentemente la carne del diaframma, per la salsiccia affumicata, “la (salzizzǝ) cǝrvǝllèitǝ mbǝmèitǝ”, si utilizzano le carni di secondo taglio, vale a dire quelle che circondano l’osso, e quelle esterne ai vari tagli, che hanno subìto un iniziale processo di ossidazione il quale, s’è detto, nella carne di cavallo è piuttosto rapido ma non pregiudica affatto la sua bontà, rendendola tuttavia poco presentabile.
A questa carne viene aggiunto del lardo, per circa un quinto, e poi, dopo aver macinato l’insieme, si pone a macerare per circa 24 ore (più o meno secondo le stagioni) dopo averla condita, analogamente a “u mǝscìscǝchǝ”, con sale, finocchietto selvatico, ossia “sǝmmèndǝ dǝ la Mǝrgǝ”, e pepe.
La si insacca infine in un budello di maialino per ottenere una salsiccia della dimensione caratteristica di circa 28 ÷ 32 mm di diametro.
L’affumicatura è identica a quella effettuata per i pezzi di carne affumicata, cioè per il detto “mǝscìscǝchǝ”.
Il gusto è particolarmente intenso come il suo odore, sa di prelibato arrosto speziato, contemporaneamente morbido e croccante, unico.
[mǝscìscǝchǝ i cǝrvǝllèitǝ,
le carni (di cavallo) affumicate andriesi - foto S. Di Tommaso, 31/05/2018)
NOTE
Si tenga presente che Giordano Bruno, religioso domenicano, nel giugno del 1571 fu da Napoli inviato come studente formale allo Studio di Andria, della Provincia St. Thomæ, dove doveva risiedere e studiare, fino al nuovo trasferimento allo studio di Napoli del maggio 1572. Ebbe quindi modo di conoscere le usanze locali e regionali tra cui quella di affumicare salsicce e carni per una più lunga conservazione.“Son servitor, discepolo, & compagno di vostro marito; il quale è ò un spazza camino, ò ver ripezza stagni, tacconeggia padelle o’ risalda frissore. Si non mel credi guardagli il viso: & miragli le mani. che diavolo fa’ egli? tenetelo forse appeso al fumo come le salciche, & come mesescha di botracone in pugla?”