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“Andria nel Medioevo”

DA “LOCUS” ROMANO-LONGOBARDO A “CONTEA” NORMANNA

di Pasquale Barbangelo

Parte prima:   ANDRIA NELL’ALTO MEDIOEVO

I – CONGETTURE SULL’ORIGINE DEL NOME “ANDRIA”
E SUL SUO SIGNIFICATO

Prima di avventurarci in congetture sull’origine dell’odierno nome della nostra città, occorre chiarire la questione della diversa denominazione che essa avrebbe avuto come centro abitato in epoca romana.

Alcuni storici locali, principalmente il D’Urso, (1) sostengono che l’antico nome di Andria era «Netium» e cercano una convalida a questa loro tesi in un passo del «De situ orbis» del geografo Strabone di Amasea (63 a.C. - 19 d.C.), in cui è scritto: «Sunt autem dua viae una qua muli ire possunt per Peucetios, qui Pediculi dicuntur, et Daunos ac Samnites, Beneventum usque; qua in via urbes sunt Ignatia, Caeliae, Netium, Canusium, Herdoniam etc.»

Riccardo D’Urso, ed altri con lui, ritenendo arbitrariamente che la via di cui parla il geografo greco fosse la via Appia e che questa, snodandosi da Cæliæ a Canusium, «fiancheggiasse» la località in cui sorge attualmente Andria, non si accorge di aver ridotto la «regina viarum» ad una via «qua muli ire possunt», cioè ad una mulattiera.

Ammesso, poi, che non si tratti della via Appia, ma di altra via di epoca romana, come quella che si vorrebbe riconoscere nei pressi della Guardiola, per dire che essa «fiancheggiava» Andria occorre tanta buona volontà quanta ne occorrerebbe per affermare che «fiancheggiava» altri «casali» della zona, quali Trimodie o Tretasi o Cicalio.

Netium allora potrebbe corrispondere, ad egual titolo, o ad Andre, che divenne poi Andria con Pietro il Normanno, o ad un qualsiasi altro dei «loci» «sub Trane» esistenti in epoca bizantino-longobarda.

Netium — del resto — è conteso come proprio centro di origine da almeno altre due città del nord-barese: Ruvo e Giovinazzo. Gli argomenti che G. Jatta nel suo «Cenno storico sull’antichissima città di Ruvo» adduce a sostegno della tesi che la Netium di Strabone corrisponda all’antica Rubi, anche se non mancano di una certa ingegnosità, non appaiono convincenti, particolarmente sul piano etimologico del toponimo.

Il Colella (2) — come mostrerò più avanti — non prende in alcuna considerazione la tesi dello Jatta.

Il Pratilli (3) geografo del XVI secolo, e il giovinazzese G. Paglia sostengono invece che Netium è il centro originario di Giovinazzo, prima situato nell’interno, poi ricostruito sul mare: lo proverebbe, tra l’altro, l’etimo di Giovinazzo (=Juve-Natio), in cui la «e» sarebbe divenuta «a» per apofonia.

A questa opinione del Pratilli e del Paglia sembra aderire il Colella che nei suoi studi sulla toponomastica pugliese, esaminando il toponimo Netium (gr. Nētion) vi riconosce una base assai antica, di probabile origine siculo-mediterranea, «na» col significato di «abitare» (gr. náō, abito — néōs, tempio). Netium significherebbe, perciò, «paese», «borgata». Nella Peucezia risultano due località il cui nome ha per tema «na»: Netium tra Bari e Canosa e Natiolum, sulla riva dell’Adriatico, tra Bari e Respa (od[ierna]. Molfetta). La stessa base, poi, si riscontrerebbe in Notion, Noto di Sicilia, in Notium a nord-est di Efeso e in Notium, un promontorio a sud-est dell’Ibernia, con apofonia e/o tipicamente mediterranea.

Secondo il Colella abitanti di Netium sarebbero i Natini di cui parla Plinio. Accanto alla Netium di Strabone, perciò, si deve porre la Natiolum degli «itinerari», corrispondente all’odierna Giovinazzo.

A proposito di Netium/Andria il Colella cita Clemente Merlo e Riccardo Zagaria «benemeriti studiosi e glottologi illustratori del dialetto andriese» che, nell’introduzione allo studio del dialetto di Andria, scrivono sulle origini della città: «Non è la Netium di Strabone, né ebbe l’origine o la ricostruzione e l’incremento da Diomede, come opinano i vecchi storici di Andria, destituiti di sufficiente dottrina e di senso storico».

Non c’è da meravigliarsi se il Merlo e lo Zagaria abbiano espresso un giudizio così «pesante» nei confronti dei «vecchi storici di Andria», se tra essi vi fu chi, per spiegare l’etimologia di Netium, andò a scomodare … Noè (e i suoi discendenti)!

Arbitraria mi sembra anche un’altra affermazione del D’Urso, in cui questi chiama di nuovo in causa Netium, sempre con la convinzione che si riferisca ad Andria.

Il nostro storico, infatti, sostiene che Castrum Netii, che i Saraceni occuparono nel 1009 nonostante la resistenza dei baresi Melo e Datto, è l’odierno Castel del Monte, di cui sarebbe la primitiva denominazione.

Benché le testimonianze da lui addotte per suffragare la sua asserzione si riferiscano effettivamente a Castel del Monte, tuttavia nei nomi che vi ricorrono: «Castrumonte» «Alti Montis oppidi», manca il denominativo Netium. Sembra, invece, che il Castrum Netii occupato dai Saraceni debba localizzarsi nei pressi di Giovinazzo, cioè nei dintorni di Bari, la città in cui ebbe inizio l’insurrezione pugliese contro i Bizantini, capeggiata da Melo e da suo cognato Datto. Del resto Melo, proprio nel 1010, sconfisse il catapano Basilio di Mesordonia e i suoi mercenari saraceni tra Bitonto e Bitritto nella stessa zona d’operazione (4).

Ma veniamo all’unico, storicamente certo, nome della nostra città: Andria. Le congetture sul suo significato e sulla sua provenienza sono varie: un paio attendibili, nessuna storicamente sicura.

C’è chi afferma che «Andria» deriva da «Andros», isola dell’Egeo, per nome ricevuto dall’eroe omerico Diomede, suo fondatore.

Se città come Arpi e Canosa vantano un’origine diomedea, richiamandosi ad illustri poeti quali Virgilio (5) ed Orazio (6); non si sa a quale fonte abbiano attinto alcuni storici locali la notizia che l’eroe omerico fu il fondatore anche della nostra città. Del resto l’eminente storico Gaetano De Sanctis ritiene Diomede «una di quelle antiche figure di divinità che, trasformate in umane figure di guerrieri avventurosi, hanno finito con l’essere inserite fra gli assalitori achei di Troia». «Come divinità — egli aggiunge — Diomede ha lasciato traccia nei miti e nel culto in varie regioni della Grecia e delle colonie; ma è culto che si deve talora alla sovrapposizione sua a divinità indigene affini: tale sembra sia il caso per Arpi della Puglia (l’Argiripa virgiliana) o per il paese dei Veneti» (7).

Il Biancofiore, inoltre, studiando le tombe del VI secolo a.C. di alcune città japigie, e peucetiche in particolare, che si distinguono fra le altre per tipo e corredo — sarcofagi monolitici con armatura completa — oltre che per la loro collocazione in un luogo eminente: per es. sul Monte Sannace, ne deduce che vi furono sepolti gli «ecisti» di esse città, «mercenari peucetici al servizio di Corinto ed in intensi rapporti commerciali coi Focesi in Adriatico». Si spiegherebbero così «gli accenni alla grecità degli eroi fondatori di città japigie (Diomede in Arpi, Siponto, Canosa, Venosa, Benevento)» in quanto «rispecchiano una realtà di persone locali che, dopo aver servito gli stati corinzi come mercenari, danno inizio, al ritorno in patria, alla trasformazione del villaggio in abitato, introducendo tra l’altro esperienze dell’edilizia greca». Perciò essi diventano nella mentalità delle genti locali «i fondatori». Per la storiografia greca erano «eroi dell’età omerica» (8).

La spiegazione che il Biancofiore dà della leggenda diomedea in chiave storico-archeologica, comunque, non chiama in causa neppur lontanamente Andria.

Altri storici locali sostengono che Andria derivi da «Andrèia» e significhi, per il suo étimo greco con base-andr, «città virile e coraggiosa». La sua origine così verrebbe a cadere nel periodo del dominio bizantino. A parte che proprio in tale epoca — e precisamente nel secolo X — il nome originario della nostra città compare la prima volta in una «carta» del Prologo nella forma di «Andre», non si vede proprio come un modestissimo «locus» potesse ricevere un appellativo così … bellicoso!

Con coloro, poi, che affermano esser stato dato alla nostra città il nome di Andria in onore del suo primo patrono, S. Andrea, a cui in prossimità delle omonime grotte era un tempo dedicata un’antichissima chiesa — ormai scomparsa —, si potrebbe anche concordare, se non fosse foneticamente inaccettabile il passaggio da Andrea ad «Andre».

Tra gli storici locali più vicini a noi, il Cafaro collega il nome Andros/Andre alla presenza dei monaci basiliani nelle «laure» istituite nel nostro territorio, fra cui si annovera ormai sicuramente quella di S. Croce dei Lagnoni. Dello stesso avviso sembrano essere il Merlo e lo Zagaria. Il Colella, poi, pur confessando che il significato primitivo della base «Andro» gli sfugge, collega ugualmente il nome «Andrus» (variante di Andre in Gugliemo Apulo) con Andros delle Cicladi e ne riscontra la detta base nei nomi d’Asia: Antandro, Scamandro, Falagrando, Mirandro; né esclude la possibilità di un collegamento con Andropoli di Egitto e con Andretium, castello illirico famoso per la difesa sostenuta contro Tiberio e Germanico (9).

Per quanto riguarda la presenza di «laure» basiliane nel territorio di Andria, il Vinaccia, un egregio studioso dei monumenti medioevali di Terra di Bari, ci informa che nel X e nell’XI secolo «altra colonia, ancora, di monaci basiliani, partendo da Brindisi, si diffuse a Monopoli e a Fasano, e oltrepassò Bari portandosi ad Andria e Trani ove sono cappelle sotterranee non diverse da quelle di Terra d’Otranto» (10).

Infine lo Jatta sull’etimologia del nome Andria cita il Pontano (11) che nel libro IV del «De Bello Neapolitano» riferisce l’opinione diffusa secondo la quale Andria deriverebbe da «antra»: «Ceterum non exiguum ad salutem popularium remedium erat quod Andria non modica ex parte antris habitatur, unde sunt qui nomen duxisse illud credunt: his se plerique, mulieres et imbecillis ætas, continebant". (La citazione tratta dal Pontano riguarda l’assedio sostenuto da Andria, validamente difesa da Francesco II del Balzo contro i Baroni del Regno, ribellatisi al re Ferdinando d’Aragona).

Per parte mia aggiungerei che il nome «antrum», grotta, richiama l’attenzione su quella zona di Andria che sembra essere stato il nucleo originario della città, prossimo al basso di S. Lorenzo, dei cui reperti archeologici parla il D’Urso, e non lontano da S. Croce.

Quanto ai mutamenti fonetici che il nome avrebbe subìto, va rilevato che la sonorizzazione della dentale sorda post-nasale, «-nt/-nd» è fenomeno diffuso nei dialetti del nord-barese. Le varianti della terminazione, poi, (Andre in Leone Ostiense, nell’istrumento del Prologo e nelle pergamene del Trinchera, Andrim/i nella Cronaca Cassinese, Andrum in Guglielmo Apulo, Antri in Amato, Andren nelle bolle pontificie dell’XI e del XII secolo) trovano la loro spiegazione tanto nella differente pronuncia del nome determinata dalla presenza di gruppi etnici allofoni nella nostra regione in qualità di dominatori o d’invasori — come i Bizantini, i Longobardi e i Saraceni —; quanto nella sua trascrizione spesso fatta da «notarii» o da «tabularii» il cui latino lascia vistosamente a desiderare non solo nella sintassi e nella morfologia ma persino nell’ortografia, tanto risente ormai della lingua volgare parlata.

Infine la terminazione seriore in «ia», quale riscontriamo nella forma definitiva del nome della nostra città, testimonierebbe un incrocio di «Andrum» e «Andri», a specchio della pluralità di «loci» di cui la città era stata costituita per volere di Pietro il Normanno.

NOTE
(1) R. D’Urso, “Storia della città di Andria”, Napoli 1842 pp. 2 e seg.
(2) G. Colella, “Toponomastica pugliese: dalle origini alla fine del Medioevo”, Trani 1941 p. 290.
(3) Pratilli, “Storia di S. Sofia”.
(4) G. Petroni, “Storia di Bari”, vol. I, Napoli 1857-58, rist. an. Bologna 1971, p. 115.
(5) P. Virgilio Marone, “Eneide”, L. XI, w. 246-47.
(6) Q. Orazio Flacco, “Satire”, L. I, 5, v. 92.
(7) G. De Sanctis, “Storia dei Greci Firenze 1942”, vol. I, pp. 216-17.
(8) F. Biancofiore, “Le coppe ioniche di Altamura e il commercio ionico-corinzio nella Peucezia, VI secolo a.C.” in «Altamura», Rivista storica, Bollettino dell'ABMC n. 19-20 gennaio 1977-78, pp. 17 ... 19.
(9) G. Colella o. c. ibidem.
(10) A. Vinaccia, “I monumenti medioevali di Terra di Bari”, Bari 1915 vol. I, L. I, p. 43.
(11) G. Jatta, “Cenno storico sull'antichissima città di Ruvo”, Napoli 1844, p. 26

[da “Andria nel Medioevo”, di P.Barbangelo, tip Guglielmi, 1985, pagg.11-17]