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da "Il Capitolo Cattedrale di Andria ed i suoi tempi" - Vol. I
di Michele Agresti (1852-1916)
Capo VI
(anni 1268 - 1357)
Scomparsi dal mondo Manfredi e Corradino di Svevia, Re Carlo I d’Angiò, venne salutato Sovrano delle due Sicilie nel 1268.
Secondo alcuni scrittori di storia, Re Carlo I fu Sovrano benevole e benefattore dei popoli;
secondo altri fu un Monarca dispotico ed oppressore dei popoli, da far rimpiangere troppo amaramente
il governo degli Svevi. Stando a quel che dicono i primi, Re Carlo si studiò d’imitare
le buone consuetudini di governo dei Normanni, ed anche degli Svevi, coltivando con entusiasmo
sempre il concetto della conquista in Terra Santa; per cui era in buone grazie con la Sede Romana.
Stando a quel che dicono i secondi, Carlo I d’Angiò fece mal governo, vessando altamente i suoi popoli.
Trovandosi a corto di denaro, imponeva dei forti balzelli, dei mutui forzosi, che suscitavano ire
e vendette dei popoli contro di lui e degli uffiziali dello Stato, i quali, per le minaccie del Sovrano,
erano costretti ad appesantire la loro mano, nella riscossione delle imposte.
Più di tutti se ne risentirono i Siciliani, i quali, indignati del mal governo di Carlo, cospirarono,
contro di lui, animati, specialmente, dal famoso Giovanni Da Procida, capo della congiura e confidente
del defunto Re Manfredi. Il dì 30 marzo del 1282 ebbe luogo la famosa e memoranda giornata dei
Vespri Siciliani,
[1].
nel qual giorno quei popoli si abbandonarono a tale ferocia, da farne un completo massacro
di tutti i francesi, che rappresentavano il governo di Carlo in Sicilia!
Il governo di Carlo I d’Angiò fu pure agitato da varie lotte, suscitategli da Pietro d’Aragona,
il quale pretendeva alla corona di Sicilia, qual retaggio di Manfredi di Svevia, per parte di sua moglie Costanza,
figlia di Manfredi. Atroce fu pure la lotta tra Napoletani e Francesi; e l’altra fra Napoletani e Siciliani,
nelle acque di Napoli, dove il primogenito del Re Carlo I, Vicario del Regno,
fu fatto prigioniero dagli Aragonesi, e menato in Catalogna.
Re Carlo I d’Angiò morì in Foggia, il dì 7 gennaio del 1285, mentre suo figlio, Carlo pur di nome,
era ancor prigioniero in Catalogna. Nel 1289, liberato dalla prigionia in Rieti, prese la corona delle due Sicilie.
Carlo II d’Angiò fu Sovrano di molta bontà e religiosissimo, ben amato dai suoi popoli. Egli arricchì molte Chiese;
fondo molti monasteri e fece gran bene a tutti, massimamente in tempo di carestia.
[2]
Carlo II ebbe numerosa prole. L’ultima delle sue figlie, Beatrice, andò sposa, nel 1305, ad Azzo VIII d’Este,
Marchese di Ferrara, al quale Carlo II assegnò, come dote a sua figlia Beatrice, la Contea di Andria
[3]
(Muratori anno 1325).
Morto il Marchese Azzo, Beatrice d’Angiò, nell’anno 1308, passò in seconde nozze a Bertrando Del Balzo
[4],
il quale, nel 1267, da Provenza, era venuto nel Reame di Napoli al seguito di Carlo I d’Angiò.
Col matrimonio di Bertrando con Beatrice d’Angiò, la Contea di Andria, con Castello del Monte,
passò alla famiglia Del Balzo, della quale Andria ed il nostro Capitolo serbano tanti preziosi ricordi.
Amante della vita privata, ed aliena dallo sfarzo della Corte reale, Beatrice indusse suo marito
Bertrando Del Balzo a stabilire lor residenza in Andria. Era il settembre del 1308,
quando quella nobile e pia coppia metteva piede nella nostra città, dalla quale fu accolta
col solito entusiasmo pugliese. Appena messosi nel possesso della sua Contea, Bertrando
alleggerì di molto le imposizioni, fatte da Re Carlo I, e continuate, in parte, dal figlio Carlo II;
assoldò buon numero di militi, a difesa personale e della città; fortificò il Castello,
munendolo di tutto l’occorrente, aggiungendovi, dal lato che guarda il mezzodì, il quartiere
per i suoi militi (Durso,
Storia d’Andria, pag. 84).
Ma, più che ogni altro bene, apportato ad Andria dalla Contessa Beatrice, deve registrarsi,
a sua gloria e merito, il dono preziosissimo, fatto al nostro Capitolo, di una delle più acuminate spine,
che trafissero il Capo del Divin Redentore, ed il dono del capo di S. Colomba.
Rimandando al secondo volume di quest’opera la narrazione di tutto
quel che riguarda la S. Spina,
qui basterà far notare al lettore l’affetto vivo, ch’ebbe pel nostro Capitolo e per la città
la pia Contessa Beatrice, nell’averci donato quel prezioso cimelio, che forma la principal gloria
di Andria, pei prodigi, che si son verificati, costantemente, su quella preziosa reliquia,
negli anni, in cui il Venerdì Santo coincide colla festività dell’Annunziazione di Maria (25 Marzo).
Dono pure della pia Contessa Beatrice Del Balzo fu il Capo di S. Colomba, Vergine e Martire,
che il nostro Capitolo ebbe sempre in grande venerazione, facendo costruire una gran Teca,
formante un mezzo busto con la testa d’argento ed il resto di bronzo dorato, artisticamente cesellato.
Quella Teca rappresentava sulla sua estremità un Cherubino, che librava sulla testa di argento;
al lato destro era incisa la figura di una donzella genuflessa, avente di fronte un dragone,
ed al di sopra un angelo, che le porgeva una palma, mentre sul petto portava incise le lettere
«M. A... Ioan. Vincent. Campi M. F. 1579» Lungo la fascia, che cingeva il busto
si leggevano le parole : «Ora pro nobis, beata Columba, ut digni efficiamur promissionibus Christi».
Al di sotto era segnato il nome di Andres della Torre, che fu governatore della città di Andria dal 1515 al 1544.
Questa preziosa reliquia ci fu involata dai Francesi, nell’assedio del 1799!...
[5],
unitamente a tanti altri preziosi cimelii, come a suo tempo diremo.
Il nostro Capitolo, a mostrare la sua devozione a S. Colomba, vi costruì pure un altare nel Duomo,
intitolato a questa Santa Vergine e Martire, ottenendo, dalla S. Congregazione dei Riti,
a dì 21 agosto 1631, di poter recitare l’Ufficio e la Messa propria della Santa.
Un’altra cappella era stata pure intitolata a S. Colomba, fin dalla venuta della Contessa Beatrice Del Balzo,
nei pressi della Chiesa di S. Domenico. Quella Cappella fu, nel 1459, incorporata a detta Chiesa,
per ingrandire il Chiostro dei Domenicani. La pia Contessa Beatrice d’Angiò fece pure dono
al nostro Capitolo di molti beni, come ne attesta il Pincerna, Arciprete di questa Cattedrale dal 1722 al 1744.
[6]
*
* *
In virtù di tanti beneficii elargiti dalla pia Contessa Beatrice e dal non meno pio Conte Bertrando Del Balzo,
il nostro Capitolo, a dimostrare la sua riconoscenza, consentì che i Del Balzo erigessero nella Chiesa Cattedrale
un trono, con la relativa Tribuna, donde poter assistere alle sacre funzioni, che celebravansi nel Duomo,
tanto più che questa illustre famiglia godeva di privilegi quasi reali.
[7]
Quel trono fu sito di fronte a quello del Vescovo. Il Conte Bertrando assisteva alle sacre funzioni
in mantelletta, assistito dai suoi Ministri di Corte. Nel tempo della Messa solenne, dal Diacono,
riceveva il bacio della pace, a mezzo di una immagine di argento, fatta appositamente costruire dal Capitolo.
Questa usanza però, al dire dello storico Durso, durò sino al 1690
[
Storia d’Andria, pag. 84].
Nel gennaio del 1309 la pia Contessa Beatrice diè alla luce, in Andria, una vezzosa bambina,
cui fu dato nome di Maria.
In quel medesimo anno moriva suo padre, Re Carlo II d’Angiò, cui successe il figlio Roberto,
fratello della nostra Contessa Beatrice. Re Roberto fu fedele continuatore della bontà del padre, Carlo II.
Il suo governo formò veramente la felicità dei popoli a lui soggetti.
Fu largo di privilegi alle città, ch’esonero di molti balzelli.
Andria ebbe la fortuna di accoglierlo fra le sue mura nell’Aprile del 1327, venuto a visitare
sua sorella Beatrice, ed assistere al matrimonio di sua nipote Maria Del Balzo,
andata sposa al Principe Umberto, Delfino di Francia.
La Principessina Maria, imitando le virtù e la generosità della Madre, Beatrice, nel partirsi da Andria,
volle far lascito al Capitolo Cattedrale di un legato di messe, sopra alcuni fondi burgensatici,
con l’obbligo di applicare,
in perpetuo, per l’anima sua e dei suoi.
[8]
Circa tre anni dopo la partenza della figlia Maria, Beatrice, a dì 18 Marzo 1330, spirava serenamente
nel bacio del Signore la sua bell’anima, lasciando nel lutto e nella desolazione la nostra città.
Ella fu tumulata nella Chiesa Cattedrale, e propriamente, al dire dello storico Durso,
dove ora poggia il piede l’arco maestro, che divide il presbiterio dal resto della Chiesa,
dal lato dell’Organo. In occasione dei risarcimenti della Cattedrale, al dire del medesimo Durso,
quell’avello venne
rimosso, conservandosene la lapide, attaccata a quella parete poco lungi dal suo antico sito.
[9]
Ecco i versi, che si leggevano incisi in quella lapide:
«Rex mihi Pater erat, fraterque Robertus,
Loysiusque sacer, Regia mater erat,
Bertrandi thalamos non dedignata Beatrix,
A quo deducta est Baucia Magna Domus.
Si tangant animos haec nomina clara meorum,
Esto memor, cineri dicere pauca: vale.»
Con la morte di Beatrice, la Contea d’Andria (dote di Beatrice) passava a sua figlia Maria,
disposata al Delfino di Francia, Umberto, il quale, per le vive insistenze di sua moglie Maria,
e per ricordo della suocera Beatrice, la cedeva a Bertrando, suo Suocero, riscuotendo, in cambio,
la somma di trentamila once di oro.
Intanto, rimasto il povero Bertrando vedovo, senza prole maschile, pensò passare a seconde nozze,
impalmando, nel 1331, la Contessa Margherita di Alneto, vedova del Conte Luigi di Fiandra,
e figlia del Conte Roberto. Da queste seconde nozze Bertrando ebbe un figlio,
che chiamò Francesco, e tre femine.
*
* *
In questo torno di tempo abbiamo notizie di tre vescovi, che occuparono la sede vescovile di Andria,
Fra Placido, Giovanni primo, e Domenico Basiliano.
Del Vescovo Fra Placido né 1’Ughelli, né altri scrittori di cose ecclesiastiche ci han dato notizie
della Patria di lui e della durata del suo Vescovato. L’Ughelli, dal quale gli altri storici
hanno attinte le notizie cronologiche dei Vescovi,
cosi scrive del Vescovo Fr. Placido:
Fr. Placidus (ordo et patria ignoratur) Andriensis Episcopus pro decimis translationis Andriae
instat apud regem Carolum II. anno 1290. in regest. Neapoli:
("adfuit consecrationi Cathedralis Vigiliensis an. 1295").
[10]
Il Cappelletti
del medesimo Vescovo scrive: «Fra Placido è commemorato in atti pubblici del 1290:
assisteva cinque anni dopo alla Consegrazione della Cattedrale di Bisceglie; concedeva nel 1304
indulgenza alla Chiesa di S. Maria del Mercato, in S. Severino»
[11]
Dalla Cronaca Domenicana, però, risulta che Fra Placido fu nativo di Sulmona, negli Abruzzi,
ed appartenne all’ordine dei Predicatori. Egli fu creato Vescovo da Papa Nicola III.
Ecco quanto si legge in quella Cronaca:
Frater Placidus De Suimona, Aprutinus,
Epus Andriensis in Bariana Provincia Regni Neapolitani sub Archiepiscopo Tranensi,
circa annos 1280 a Nicolao III creatus.
[12]
Il Cappelletti dice che Fra Placido, nel 1304, concedeva delle indulgenze alla Chiesa
di S. Maria del Mercato, in S. Severino. Questo Vescovo, secondo l’Ughelli,
fece molte insistenze presso il Re Carlo II per la translazione di alcune decime
a favore della Chiesa di Andria.
Al Vescovo
Fr. Placido tenne dietro Mons.
Giovanni, primo di tal nome,
di cui i Cronisti altro non dicono, se non che viene commemorato nel 1318.
[13]
Il Durso, nella sua
Storia d’Andria, scrive di questo Vescovo Giovanni:
Posso solo assicurare che Mons. Giovanni I era un abate Celestino,
creato Vescovo da Clemente V nel 1307, e morto nel 1318.
[14]
Al Vescovo Giovanni successe un tal Domenico, del quale scrive l’Ughelli
in monumento ejusdem Ecclesiae mentio extat. A noi veramente non è riuscito riscontrare
nella nostra Chiesa tal monumento, di cui parla l’Ughelli. Il Durso scrive, esser stato
questo Domenico
Basiliano, e preconizzato Vescovo da Papa Giovanni XXII [1315 – 1334]
rimpiazzato nel 1328 dal Vescovo Giovanni II, morto sotto Clemente VI nel 1349!
[15]
Il Cappelletti dice invece:
Domenico, successore di Giovanni I, è commemorato nell’anno seguente
[16]
cioè nel 1319. Ebbe dunque appena un anno di governo.
A noi sembra, però, che tutti i tre cronisti abbian preso un equivoco, giacché il Vescovo Domenico
esisteva nel 1328, come risulta da un pubblico istrumento per Notar
Laurentius De Notario,
rogato in oc-casione della coadiutoria, concessa da questo Vescovo Domenico al Capitolo di S. Nicola,
come in seguito diremo. Dunque non morì il Vescovo Domenico nel 1319, come dice il Cappelletti;
e nè è vero che, nel 1328 (proprio nel Settembre di quell’anno quando stipulavasi
il sopradetto istrumento!) a Domenico fosse successo Giovanni II, come dice il Durso,
giacché, a Domenico, successe invece il Vescovo Egidio, che il Cappelletti dice
essere ignoto all’Ughelli. Questo Vescovo Egidio, al dire del Cappelletti
viveva nel 1322, e concedeva, con altri 9 Vescovi, quaranta giorni d’indulgenza
alla Chiesa di S. Giovanni in Rapolla, dicesi di Spello
[17].
Or bene, dall’istrumento innanzi citato, risulta invece che, nel 1322, era Vescovo di Andria
il detto Domenico, preconizzato nel 1318, e sottoscritto, in quell’istrumento, il 25 settembre 1328!
A noi sembra che i tre cronisti abbiano preso un equivoco, facendo
due Vescovi di
Domenico e di
Egidio,
mentre che si tratta di un medesimo Vescovo, di nome
Domenico e di cognome
Egidio.
Difatti il Moroni, nel suo
Dizionario storico, parlando dei Vescovi di Andria,
in quell’epoca, porta sotto un sol nome il Vescovo
Dominus Aegidius.
Quel
Dominus, forse, fu scambiato per
Domenicus.
Ma sta poi, il fatto, che veramente chiamavasi
Domenico.
Difatti sotto il Vescovato di detto Domenico, che il Durso dice
Basiliano,
il nostro Capitolo, non potendo da solo accudire alla Cura delle anime,
essendo di molto cresciuta la popolazione di Andria
[18],
chiamò in aiuto la Collegiata di S. Nicola. A tal uopo fu redatto un pubblico istrumento,
nel quale venivano stabilite le condizioni ed i limiti di tale condiutoria.
In tale circostanza il Vescovo
Domenico, radunato il Capitolo Cattedrale
e quello della Collegiata di S. Nicola, pronunziava uno splendido discorso,
in lingua latina, che è un vero capolavoro, e dimostra quanto fosse colto detto Vescovo Domenico.
In quel discorso si fa cenno dei numerosi fedeli, che erano sparsi
nel suburbio di Andria, che abbracciava moltissimi villaggi vicini
[19].
Indi si venne nella determinazione di chiamare, a coadiuvare la Cura delle anime,
la Collegiata di S. Nicola, i di cui Capitolari, dopo aver scelto i loro Procuratori,
nelle persone dei Sacerdoti
Guarinus De Inno, Nicolaus Barro, Christofarus De Leonardis,
Thomas De Scamarcio, vennero alla stipulazione del contratto, nel quale si stabilivano
i rispettivi dritti e doveri, circa 1’amministrazione dei Sacramenti e circa i diritti
di tumulazione dei cadaveri, nella quale doveva sempre intervenire il Capitolo della Cattedrale,
e dividere con questo, gli emolumenti, oltre all’obbligo di corrispondere
alla Cattedrale,
in signum subiectionis, cavallos
[20]
sexdecim (per ciascun morto) nel mese di Gennaio di ciascun anno, e
tarenos
[21]
sex ex fundatione al Vescovo; a condizione però che, se la popolazione, a causa di epidemia,
o per qualsivoglia altro accidente, andasse diminuita, il contratto si avesse per nullo,
e la Cattedrale restasse, come per lo innanzi,
Unica Parrochiale Chiesa della città.
Da quel documento, oltre a rilevare l’equivoco dei tre cronisti, come è detto innanzi,
rileviamo ancora i nomi dei seguenti Preti, appartenenti in quell’epoca (1328)
al Capitolo della Cattedrale di Andria.
Dominicus Epus Andrien.
Archidiaconus Richardus De Balsamo
Archipresbister, Qualterius Jacobi
Cantor Rogerius Dello Iudice (
scribere nesciens!)
[22]
Preti «Antonius Quotillus, Fabias De Intellis, Franciscus De Minchiancula, Angelus Iacobi,
Petrus Fabii, Marcus Spira, Andreas De Peregrinis, Thomas De Strammiscio, Franciscus Morsichelli,
Richardus Favelli, Marinus Pastore, Rogerius Grimaldi, Antonius Nottola, Paulus Corbasio,
Gregorius Ruffino, Nicolaus Carbuto, Urbanos Gualtiero, Matheus Rondinella,
Thomas De Verbigrazia, Simon Machabeus, Autonius Angotta, Rogerius Futello,
Cosmas Compara, Cletus Del Giudice, Cornelius De Pavonibus, Fabius Rongetti,
Nolius Pedissa, Marianus De Bosso, Silvester.... (inintelligibile), Colombinus Rimedio,
Xistus Ficca. In tutto N. 35.
Questi formavano la maggior parte, e la parte più sana del Capitolo d’allora,
come dice il sopradetto documento: esse majorem et saniorem partem dicti Capituli.
Ciò vuol dire che anche maggiore era il numero dei componenti il Capitolo Cattedrale nel 1328,
secondo il citato istrumento di Notar Laurentius De Notaro.
*
* *
Ritornando ora alle notizie del Reame, per riallacciare a queste gli avvenimenti del Capitolo e della città,
troviamo che, nel Gennaio del 1343, moriva in Napoli l’ottimo Re Roberto d’Angiò,
cognato del nostro Conte Bertrando Del Balzo. Non avendo lasciato Re Roberto prole maschile,
gli successe nel regno sua nipote Giovanna, figlia di suo fratello maggiore Carlo, Duca di Calabria.
Trovandosi la Regina Giovanna, disposata ad Andrea, fratello di Ludovico, Re d’Ungheria,
il regno passo nelle mani di suo marito. Era Andrea buono di animo, ma piuttosto rozzo nei modi,
per cui era inviso dai grandi nel regno, tanto più che vedevansi in Corte preferiti gli Ungheresi.
"La notte del 18 settembre 1345 il povero Re Andrea, nella città di Aversa, fu fatto barbaramente strangolare.
[23]
Quell’assassinio fu attribuito, da molti, a sua moglie la regina Giovanna, la quale,
per allontanare da se ogni sospetto, fece ricorso al Papa, allora Clemente VI, il quale,
dopo aver proscritti e scommunicati gli autori materiali di quel delitto, diè incarico al nostro Conte
Bertrando Del Balzo [in quel medesimo anno, già nominato Gran Giustiziere del Regno dalla Regina Giovanna
[24]]
d’inquirere e di punire i colpevoli.
[25]
Il nostro Conte Bertrando, parente della Regina Giovanna, dando più ascolto alle voci del sangue,
che a quelle della giustizia, nel rapporto fatto al Papa, dichiarò essere innocente
la Regina Giovanna, e fe’ impiccare molti addetti alla real casa, come autori di quell'assassinio
[26]
stornando così il corso della giustizia!
Intanto l’astuta Regina Giovanna, anche per avere un difensore nelle minaccie, che a lei
si facevano dal Re Ludovico, fratello dell’ucciso Re Andrea, andò sposa, in seconde nozze,
a Luigi d’Angiò, fratello del Principe di Taranto.
Di ciò maggiormente indispettito il Re Ludovico, sul finire del decembre 1347, con forte armata,
scese nel reame, a far vendetta del fratello Andrea, ed a rivendicare anche i diritti,
che pretendeva sul reame, per le ragioni dell’avo, Carlo Martello, figlio primogenito di Re Carlo II d’Angiò.
All’annunzio di quella venuta, la Regina Giovanna, intimidita, parti per la Provenza col suo sposo Luigi d’Angiò.
Entrato Re Ludovico in Napoli, pose a sacco e fuoco le case dei Reali. Indi scese in Puglia, sbarcando a Manfredonia
[27],
per indi venire in Andria, onde avere fra le mani il nostro Conte Bertrando Del Balzo, il quale aveva dichiarata
innocente la Regina Giovanna, che Re Ludovico riteneva invece autrice principale dell’assassinio
del fratello Andrea. Prevedendo la bufera, Bertrando Del Balzo si rifuggiò con la famiglia in Avignone, presso il Papa Clemente VI.
Intanto la povera Andria dovette pagare a prezzo di sangue il fio alla ferocia degli Ungheri!
Pria di assalire la Città, quei perfidi si avventarono sul Monistero delle antiche Benedettine
(plesso allora fuori dell’abitato, presso l’antica Chiesa di S. Tommaso Apostolo, ora S. Maria delle Grazie),
dove trovavasi rinchiusa la figlia di Bertrando Del Balzo, Suor Caterina. Avutala fra le mani,
non l’uccisero; ma, stretta fra i ceppi, serbavanla ad una morte obbrobriosa e spettacolosa!
La mano però di Dio, che vigila sull’innocente, non tardò a venire in aiuto di quella povera verginella. …
Condotta nelle prigioni di Melfi, da mano segreta e potente, di notte tempo,
venne prosciolta dalle catene ed inviata a Napoli, dove visse celata, finché non cessò la bufera.
Ella chiuse poi i suoi giorni fra le Chiariste di quella città.
Intanto, assicurata fra le catene la figlia di Bertrando del Balzo, gli Ungheri, come jene,
si lanciarono sulla nostra città, per averla fra le loro unghie, e distruggere così
la Contea dei Del Balzo … Gran prova di valore dettero allora i cittadini andriesi,
opponendo energica e virile resistenza, che durò per parecchi giorni; ed avrebbero riportata onorata vittoria,
se un vile traditore, per anima, e per nome, detto Malospirito, trovandosi
a capo del presidio nella porta Castello, non ne avesse accordato agli Ungheri
l’ingresso nella città, disserrando quella porta! …
Chi potrà descrivere la desolazione della città, in preda a quelle belve feroci? …
Ogni casa, ogni chiesa andò sotto le unghie di quei lupi rapaci, i quali fecer bottino
di ogni cosa sacra e profana ... Oro, argento, suppellettili, arredi, vettovaglie,
tutto fu portato via, dando poi fuoco a quel che rimaneva! … Quante memorie, quanti cimelii,
quanti preziosi documenti non dovettero allora andar perduti! … per cui riesce tanto povera
la storia antica della nostra sventurata città e del nostro Capitolo! …
Perché, fra tanta rovina, non andasse anche perduta la venerata spoglia del nostro glorioso
Protettore S. Riccardo, un pio e zelante Sacerdote della Cattedrale, per nome
Oliviero Matusi (nome che dovrebbe esser scolpito a caratteri d’oro accanto alla tomba
di S. Riccardo), pensò mettere in salvo quel prezioso deposito, celandolo in luogo a tutti ignoto.
Quindi, involto in un drappo di seta quelle sacre ossa, unitamente al cuore disseccato
ed alla pelle del cranio, le depositò in una cassa, nella quale racchiuse pure alcuni vecchi calendarii,
un elenco di miracoli, operati dal santo, ed un Messale col foglio della Messa propria di S. Riccardo,
affinché non se ne perdesse la memoria di lui. Indi, cavato un fosso sotto l’altare maggiore
della Cattedrale, vi collocò quel sacro deposito, apponendovi sopra una larga pietra,
sulla quale v’incideva una croce; rimettendo poscia il tutto nello stato primitivo,
senza che apparisse traccia alcuna di quel nascondiglio.
Intanto, dopo d’aver spogliata la Chiesa di tutti i suoi tesori, e dopo d’aver saziata
la loro ferocia ed ingordigia, quei malandrini Ungheresi si partirono da Andria,
fortificandosi nei principali castelli e città della Puglia. Ma, scoppiata nel Reame una orribile peste,
Re Ludovico, imbarcatosi su d’una galea, armata in Barletta, con pochi dei suoi, fece ritorno in Ungheria
[28],
lasciandovi a suo Castellano un tal Corrado Lupo, con alquanti presidii nel Reame.
La Regina Giovanna e Luigi, suo marito, come seppero della partenza di Re Ludovico,
tosto fecero ritorno a Napoli e, con l’aiuto di molti baroni, mossero guerra ai presidii quivi lasciati
da Re Ludovico. Tutta la Puglia, ad eccezione di Manfredonia e di Monte Santangelo,
si dette alla Regina Giovanna ed a Luigi, già dal Papa decorato del titolo di Re. Corrado Lupo,
assoldato gran numero di militi alemanni, dopo d’aver saccheggiato Foggia, venne a depredare Napoli,
ricuperando ancora molte città della Puglia. Andria, per la seconda volta, si vide allora depredata
dagli Ungheresi e dagli Alemanni coalizzati, contro i quali oppose nuova e più viva resistenza;
ma, finalmente, dové darsi alla dominazione del Re d’Ungheria, insieme a Barletta, Trani,
Giovinazzo, Bitonto e Molfetta. Bisceglie non si arrese
[29].
Finalmente, dopo tanto disastro, ritornò la pace, avendo Re Ludovico riconosciuto le ragioni
della Regina Giovanna, nel dominio del Reame delle due Sicilie.
Sotto il governo di questa regina Giovanna e del Re Luigi il regno delle due Sicilie
fu travagliato ancora, più volte, dalla carestia, dalla peste e da continue guerre civili.
La Regina Giovanna, compresa da sentimenti di pietà per i suoi vassalli, alleggerì
di molto le imposte ed i balzelli, per cui fu ben amata dai suoi sudditi.
A premiare poi i grandi servizii, resi dal nostro Conte Bertrando Del Balzo, la Regina Giovanna
decorò del titolo di Duca il figlio di costui, Francesco, il quale, nel 1348,
andò sposo alla Principessa Margherita, vedova di Odoardo, Re di Scozia, e sorella del Re Luigi
di Taranto, secondo marito della Regina Giovanna. Per questo matrimonio,
il Duca Francesco Del Balzo ottenne dal Re Luigi la concessione di alcune terre
[30].
Era Margherita, al dir degli scrittori, molto
grassa e di
naso grosso.
Il Duca Francesco Del Balzo era, invece, giovanissimo e bello della persona. Un documento,
trovato a Trieste dal Signor
Attilio Hortis cosi lo descrive:
erat enim et hic (Franciscus de Baucio) suapte natura Persona integer, formositate decorus,
liberalitatis morumque compositus, quae si integritate servasset, ut poterat,
altos honoribus et dignitate vicisset.
*
* *
Da quest’epoca Andria fu decorata del titolo
Ducale, titolo che sin’allora non era stato concesso che ai soli Reali
[31].
Ottenuto il titolo di Duca, Francesco del Balzo e suo Padre Bertrando presero ogni cura
per la nostra città, rifacendola di tutti i danni, subiti dagli Ungheri.
Posero in assetto tutto il Borgo di S. Onofrio, (dove esisteva il vecchio monistero delle Benedettine,
fra le quali aveva dimorato Suor Caterina Del Balzo); riedificarono l’antichissima Chiesa, esistette
in quel Borgo, intitolata a S. Onofrio, la quale oggi va intitolata a S. Sebastiano, detta pure
Chiesa del Purgatorio
[32],
la quale è sotto la dipendenza del Capitolo Cattedrale, che ne nomina il Rettore di essa;
rifecero pure il campanile dell’orologio, che s’innalzava, allora, in quel Borgo, accanto
all’attuale Chiesa di S. Maria delle grazie, ov’è l’asilo delle Orfanelle,
sotto la dipendenza delle Suore
Stimatine; riedificarono la Chiesa
della SS.
ma Annunziata (messa pure nel borgo di S. Onofrio), distrutta dagli Ungheri,
dotandola di parecchi beni immobili, ed istituendovi un determinato numero di Cappellani,
sotto la dipendenza di un Rettore, detto Priore, riserbando alla famiglia Del Balzo
il giuspatronato sulla nomina di detto Priore, e il diritto di elezione e
collazione dei Cappellani, secondo risulta da un documento dell’archivio ducale,
di cui ne parla lo storico Durso (
Storia di Andria, pag. 91).
Però questo abuso di collazione, al dire del medesimo D’Urso, durò sino al Duca Francesco II Del Balzo;
il quale, dando ascolto ai giusti reclami del Vescovo, ritenne per sé il solo diritto di
elezione,
cedendo al Vescovo quello di
collazione di dette Cappellanie.
Quei Cappellani, in origine, venivano scelti fra le più cospicue famiglie di Andria,
ed avevano l’obbligo di celebrare giornalmente in detta Chiesa
[33],
e d’intervenire in alcune determinate funzioni dell’anno
[34].
Quanto al diritto di giuspatronato, nella nomina del Priore, e nella elezione dei Cappellani,
i Del Balzo, in seguito, lo cedettero alla Università di Andria, per aver questa fatto costruire,
a sue spese, il Presbiterio ed il Coro in detta Chiesa. E ciò ce lo dimostra anche
lo stemma del nostro Comune, messo su detto Presbiterio.
A Bertrando del Balzo devesi pure la rifazione del Pergamo e del Coro della Collegiata di S. Nicola,
gravemente danneggiati dagli Ungheresi. Ciò, dice il Durso, hanno confermato
quelle due imprese esistite sino agli ultimi tempi nei due lati del Coro, delle quali
in una era l’arma dei De Balzo, e nell’altra quella di Alnéto, consistente in tre code di cavallo.
Se non che Bertrando Del Balzo, recatosi a Napoli, nel 1357
[35]
per affari di Stato (essendo egli Giustiziere del Regno), dopo pochi mesi, vi lasciava la vita.
Fu tumulato nella Chiesa di S. Domenico in Napoli, dove leggesi la seguente epigrafe,
fatta incidere, posteriormente, dal suo pronipote Francesco II del Balzo, il quale,
a sue spese, fece erigere quel mausoleo.
«Bertranto de Baucio Montis Caveosi et Andrim Comiti»
«Regni Magno Iustitiario»
«Franciscus de Baucio Dux Andria prenepos»
B. M. F.
*
* *
Al Vescovo Egidio era intanto, nel 1340, successo Mons. Fra Giovanni
(II di tal nome nella cronologia dei Vescovi di Andria). Il Durso dice di non aver altre notizie
di questo Vescovo Fra Giovanni II, se non di essere stato creato da Clemente VI (1334-1352)
e di esser morto nel 1349. Noi invece troviamo, nell’Ughelli e nel Cappelletti,
d’esser stato questo Vescovo Fra Giovanni II nativo di Alessandria, ed appartenente
all’ordine eremitano di S. Agostino. Egli fu eletto prima Vescovo di Acerno dal Clero di quella città,
e consecrato dall’Arcivescovo di Salerno. Ma, poichè Papa Clemente non volle riconoscere
tale elezione, vi rimase Fr. Giovanni, per qualche tempo, nella qualità di amministratore
della Chiesa di Acerno; finchè poi lo stesso Pontefice, a dì 10 dicembre del 1348,
lo destinò a Vescovo di Andria, secondo risulta dai Registri di Papa Clemente VI,
nella Vaticana. Questo Vescovo Fr. Giovanni occupò per un solo anno la sede vescovile di Andria,
essendo morto nel 1349.
Il Moroni, invece, porta un altro Vescovo, per nome Iacobus, nel 1345 translatus Acerno.
Sarà questo, forse, un equivoco del Moroni, confondendo Iacobus, con Ioannis,
che il medesimo Moroni dice confirmatus nel 1348.
Con la morte del Vescovo Fr. Giovanni II, nello stesso anno 1349, venne ad occupare la sede vescovile
di Andria Fr. Andrea, ancor egli dell’ordine Eremitano di S. Agostino, preconizzato dal medesimo Papa
Clemente VI, nel dì 14 Marzo 1349, come risulta dai medesimi Regesti di detto Papa
[36].
Il Vescovo Fr. Andrea, dice il Durso, morì nel 1353
[37].
A questi successe il Vescovo Giovanni [III di tal nome], che l’Ughelli ed il Cappelletti riportano nel 1356,
sotto il Pontificato di Papa Innocenzo VI [1352-1362]. Il Durso dice esser stato
questo Vescovo un concittadino
andriese, morto nel 1375
[38].
Nessun'altra notizia si ha di questo Vescovo.
NOTE (Nell'originale la numerazione è di pagina e non progressiva)
[1]
La ribellione cominciò all’ora del
Vespero, quando le campane chiamavano i Preti al Coro; perciò i
Vespri Siciliani.
[2]
A Carlo II d’Angiò deve grande riconoscenza la città di Barletta. Fece egli compiere i restauri
del Regio Palazzo nel Castello di quella città, accordò l’unione di Canne a Barletta; fece completare
la cinta delle mura, riordinare le vie, ed ingrandire il porto. Istituì la celebre fiera di S. Martino,
per la quale, da ogni parte del Regno, era un accorrere a Barletta di compratori e di venditori
d’ogni genere di articoli casalinghi, di stoffe, di cristallerie e di quant’altro occorreva per usi domestici.
Essa durava per circa un mese, cominciando il dì 11 Novembre (festività di S. Martino).
Ora, di quella fiera, non resta che un’ombra appena, a causa delle facilitazioni ferroviarie,
che han reso accessibile la comunicazione con le grandi città, dove tutti vanno a fornirsi
dell’occorrente, secondo i propri bisogni.
[3]
Fra gli altri feudi, Re Carlo II d’Angiò assegnò pure a sua figlia Beatrice in dote i seguenti villaggetti o casali,
messi nel contado di Andria,
S. Lizio, S. Candido, S. Vittore, S. Ottaviella, S. Barbara e Muritano.
[4]
Questa famiglia
Del Balzo, secondo tutti gli istoriografi, trae sua origine da una stirpe delle più illustri famiglie d’Italia.
l Bollandisti, dicono che questa famiglia rimonta appena al 1314 (
acta sanctorum, Tom. II).
Ma, stando a quel che ne dimostra una lapide, messa in una delle Cappelle della Real Chiesa di S. Chiara in Napoli,
la famiglia del Balzo par che abbia sua origine fin dagli antichi Re d’Armenia, e propriamente dai Re Magi,
che si recarono alla grotta di Betlemme. Nella Chiesa di Casaluce (Castello vicino ad Aversa,
costruito da Casa Del Balzo) leggesi questo epitaffio, scolpito su pietra:
«Illustri Bauciorum Familiae,
Quae a priscis Armeniae Regibus, quibus, stella duce,
Mundi Salvator innotuit, originem duxisse traditur».
[5]
Nel 1854 il Vescovo Longobardi, per non far perire la memoria e la devozione a S. Colomba,
scrisse al Vescovo di Sens in Francia (patria di S. Colomba) per avere un’altra reliquia della Santa;
e quel Vescovo gentilmente inviò una falance del dito, chiusa in teca di cristallo,
munita del proprio sugello. Morto il Vescovo Longobardi, l’Arcidiacono di questa Cattedrale,
allora D. Alessandro Parlati, ottenne, dopo qualche tempo, dalla sorella del Longobardi
quella preziosa reliquia, che fu donata al nostro Capitolo, il quale gelosamente
la custodisce nel suo Reliquiario, messo nella Cappella di S. Riccardo.
La pia Signora D. Caterina lannuzzi nei Porro, a sue spese, fe’ costruire una nuova teca
di argento, in cui quella Reliquia è ora racchiusa.
[6]
Cosi Domenico Pincerna:
Non contenta essa Beatrice dava pingue entrate alla mia Cattedrale ecc. …
Vedi: "
Ammonimenti cristiani morali, e civili" (appendice - giunta "
Avvenimenti profani, prodigiosi, naturali
& c."). Opera pubblicata in Lucca, appresso Leonardo Venturini, nel 1742.
[1^ ed.: Pincerna, Domenico.
Ammonimenti cristiani morali, e civili, opera di d. Domenico Pincerna patrizio della citta di Ruvo, arciprete della cattedrale di Andria,
in Lucca Appresso Leonardo Venturini, 1741;
2^ ed: Pincerna, Domenico.
Avvenimenti profani, prodigiosi, naturali & c. di d. Domenico Pincerna, arciprete della cattedrale di Andria. Giunta agli ammonimenti morali, e civili del medesimo autore,
In Lucca, 1742]
[7]
Se eran degni i Del Balzo di tal privilegio, se ne resero poi indegni i successivi Duchi di Andria,
i quali abusarono di quel privilegio, a scapito della dignità vescovile, come a suo tempo diremo.
[9]
Durso loc. cit. pag. 86. in nota. E dove fu risposta quella veneranda spoglia ? …
Che ne avvenne di quell’avello, che dovette esser certamente degno della figlia di un Re?
e che avrebbe formato la gloria di nostra città e del nostro Capitolo?
Nessuna traccia esiste più al presente di quell’avello! …
Incredibilia, sed vera! …
E poi si attribuisce agli
Angioini la distruzione dei mausolei delle due Imperatrici Sveve! …
Altro che Angioini accoglieva nel suo seno questa sventurata nostra patria,
che ha coperto d’
immondizie tanti preziosi monumenti d’arte! …
che ha lasciato passare il pennello dell’imbianchino su tanti capolavori scolpiti sulla pietra o sul marmo!
che ha buttato nelle cisterne, o spezzate lapidi antiche, che sarebbero valse a formare una storia!
Ed ora giustamente la critica storica ci vien sflaggellando a sangue,
abbattendo e distruggendo tutto quel che non vien comprovato da
monumenti e documenti. …
Sarebbe desiderabile che si rintracciassero, almeno, le vestigia del mausoleo,
che ricordava la pia Contessa Beatrice.
[12]
Bullarium ord. F.F. Praedicatorum Rev.mi P. Thom. Ripoll.
Mag. Generalis illustratum a P. Antonino Bremond: Romae 1729, Tom. I. pag. 77.
[16]
Cappelletti loc. cit.
[18]
Contava allora Andria venticinque mila abitanti, come risulta da un pubblico istrumento del 1328,
per Notar
Laurentius De Notario, riportato nel libro delle cause del 1763,
che trovasi nell’archivio Capitolare sotto il titolo:
Il Capitolo della Cattedrale contro del Vescovo ecc, 1763, Pag. 3.
[19]
Andria, in quel tempo, aveva molti villaggi suburbani, quali
Trimoggia, Cidomola,
Quadrone, Muritano, Cicalia, S. Nicola della Guardia, S. Ilario, S. Maria in Chiancola,
S. Pantaleone, S. Angelo, S. Bartolomeo. S. Ciriaco, S. Barbara. S. Brigida, S. Tommaso,
S. Tavella, S. Lizio, S. Vittore, S. Simeone, S. Pietro, S. Martino, S Candido, S. Lucia,
S. Potito, S. Mauro, S. Vito, S. Valentino, il Borghello, S. Lorenzo, S. Sabina,
e molti altri, che, in tempi remoti, al dire del Prevosto Pastore
(
Memoria manoscritta dall’origine, erezione e stato della Collegiata Parrocchiale
Chiesa di S. Nicola della città di Andria) erano circa un centinaio.
[20]
Cavallos, moneta napolitana, corrispondente alla terza parte del centesimo.
[21]
Tari, corrispondente a centesimi 85.
[22]
In quel documento non compariscono le due dignità capitolari, il
Primicerio ed il
Priore;
forse, in quel tempo, non erano state istituite ancora nel nostro Capitolo.
La prima notizia del
Primicerio la troviamo, la prima volta, nel 1446,
nella persona di Angelo Vulpone, quella del
Priore nel 1517, nella persona di un tal
Riccardus.
[23]
È rinomato nella città di Aversa il monistero di S, Pietro, ove fu strozzato il misero Re Andrea.
La tomba di questo infelice sovrano è messa nel Duomo di Napoli, presso la sagrestia.
[24]
Tutini Camillo,
Discorsi dei sette officii, ovvero dei sette Grandi del Regno di Napoli,
stampati a Roma per I. Dragonelli nel 1666.
[25]
Secondo narra il Tutini, gli uccisori di Re Andrea furono Gasso di Dinissiaco,
Conte di Terlizzi, Roberto da Gabani, Conte di Enoli e senescalco del Regno,
Nicolò De Milafano Cameriere regio, Sancia De Gabano, Contessa di Murcone, Carlo Artus
e Bertrando suo figlio, Corrado di Catanzaro, e Corrado Umfredo da Montefuscolo.
[26]
Giannone, Lib. XXIII, pag. 228.
[27]
Muratori, anno 1350.
[28]
Matteo Villani,
Cronica, L. I, Cap. XVI.
[29]
Villani, L. I, cap. XXXVIII.
[30]
Ciò rilevasi da un documento, esistente in Napoli, di cui il
Delellis ne dà il seguente sunto:
Eminenti Iuveni Francisco de Bancio, Duci Andriae, concessio jurium terrarum Marathiae et Scalae,
contemplatione matrimonii inter ipsum et illustrem Margaritam sororem nostram.
[31]
Giannone, Lib. XXIII, pag. 238 – Costanzo, Lib. VI, pag. 178 – Valletta,
Leg. feu.
[32]
Questa Chiesa prese il nome di
S. Sebastiano o di Purgatorio quando la Confraternita,
ivi esistente (che era una sezione della Confraternita del Gesù di Porto Santa),
si scisse da quella del Gesù, per alcune discordie insorte nel 1605.
Fu allora che un Prete della Cattedrale (D. Giandonato Aybar), a troncare ogni discordia
con quelli di Porta Santa, ottenne un decreto, col quale veniva concesso alla Confraternita
in S. Onofrio il titolo della
Morte, sotto la protezione della
Natività di Maria,
cambiando il sacco
bianco nel sacco di color
nero:
senza però rinunciare ai titoli e privilegi della Confraternita del Gesù con l’obbligo
di associare i cadaveri dei poverelli della città. Il medesimo
Aybar,
ricco di famiglia, dotò questa Chiesa di alcuni suoi beni pel mantenimento del culto.
Fu allora che questa Chiesa prese il nome di
Purgatorio.
Il Vescovo Franco approvò detta Congregazione nel Marzo del 1606, sotto alcune condizioni,
fra le quali quella di non poter associare alcun cadavere, né di dar ad esso sepoltura
in detta Chiesa, senza l’intervento del Capitolo della Cattedrale.
Ecco le parole di quel decreto:
quando contingerit aliquem eligere sepulturam
intus dictam Ecclesiam S. Sebastiani, officium et associatio cadaveris speciet
et spectare debeat Capitulo Cathedrali (archivio capitolare, libro delle cause pag. 420).
Prese quella Chiesa anche il nome di
S. Sebastiano nel 1656, quando una terribile peste
afflisse Andria, la quale venne liberata da quel flagello nel dì 20 Gennaio
(festività di S. Sebastiano) di detto anno. In memoria di quell’evento la Università di Andria,
a dimostrare la gratitudine al gran taumaturgo S. Sebastiano, lo dichiarò protettore
della città e si obbligò, con voto solenne, di offrire annualmente a quella Chiesa,
nella quale veneravasi detto Santo, ducati 6 annui e parecchie libbre di cera, (voto oggi non più mantenuto).
[33]
La Chiesa dell’Annunziata, in origine, era costruita e tre, navate, come ne fan prova le tre porte d’ingresso,
due delle quali, cioè le laterali, furon poi murate, quando quella Chiesa si ridusse ad una sola nave.
[34]
Questo Collegio di Cappellani, con a capo il Priore, durò in detta Chiesa dell’Annunziata sino al 1813,
essendo Vescovo Mons. Lombardi, il quale concesse che quel Collegio si trasferisse poi nella Chiesa di S. Agostino,
abbandonata dagli Agostiniani, dopo la soppressione di quel Convento, avvenuta nel 1808.
[35]
In quell’anno nuove lotte vennero a turbare il nostro Reame, per cui dové il nostro Conte Bertrando
Del Balzo esser chiamato a Napoli. Fra le tante lotte vi fu quella del Conte di Minervino,
detto il
Conte Palatino, il quale, dopo d’aver scacciato da Roma
il tribuno
Cola di Rienzo, si unì al Duca Luigi di Durazzo, scendendo con buon numero
di militi a depredare la Puglia. Ma, dopo aver subito gravi perdite presso Ascoli
caduto nelle mani del Principe di Taranto, fu fatto impiccare ad uno dei merli
del Castello d’Altamura. Egual sorte toccò a Luigi Durazzo, fatto morire prigioniero
nel Castello dell’Ovo in Napoli.
[36]
Epist. 106, fd. 16 ann. 8.
[38]
Idem, ibidem, pag. 95.
[tratto da “Il
Capitolo Cattedrale di Andria e i suoi tempi” di M. Agresti, tipi
Rosignoli, Andria, 1912, Vol.I, cap.VI, pagg.123-137]